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La sottile arte di fare ca**ate
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E-book256 pagine3 ore

La sottile arte di fare ca**ate

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Info su questo ebook

Storia e controstoria di tutte le idiozie e le catastrofi compiute dall’umanità

Un successo internazionale pubblicato in 11 Paesi

Considerando il riscaldamento globale, le tonnellate di plastica negli oceani, la situazione esplosiva in Medio Oriente e Trump e Kim Jong Un con le dita pericolosamente vicine ai “bottoni Rossi”, è difficile immaginare che le cose possano andare peggio di così per gli esseri umani (a meno che quelle dita non premano sul serio i bottoni, scatenando una guerra nucleare). Fortunatamente per noi, Tom Phillips ha scritto questa guida dissacrante e spassosa su come affrontare con filosofia il fatto che da quando l’uomo è sceso dagli alberi e ha cominciato ad affilare le sue armi, le cose si sono messe male, malissimo, sempre peggio. E la pessima situazione attuale è solo la ciliegina sulla torta di idiozie compiute dall’umanità. Questo libro è un esilarante viaggio attraverso i fallimenti più creativi e disastrosi della storia dell’uomo, dalla preistoria ai giorni nostri. Perché non importa quanto possiamo crescere di numero, quante sfide possiamo superare come specie… La catastrofe è sempre e comunque dietro l’angolo.

Un viaggio esilarante attraverso gli aspetti più catastrofici della storia e tutte le idiozie umane, dalla preistoria ai giorni nostri

«Nei tempi bui, è rassicurante sapere che siamo sempre stati un gruppo di stupidi ignoranti.»
Stuart Heritage
Tom Phillips
ha studiato Storia e Antropologia a Cambridge. Attualmente vive a Londra ed è il direttore editoriale di Buzzfeed Inghilterra. Ha pubblicato con la Newton Compton La sottile arte di fare ca**ate.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2018
ISBN9788822726346
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    Anteprima del libro

    La sottile arte di fare ca**ate - Phillips Tom

    prologo

    –––––––––––––––––––– • ––––––––––––––––––––

    L’alba di tutti i casini

    Molto, molto tempo fa, mentre il sole sorgeva sulle vallate e le pianure dell’Etiopia, una giovane scimmia stava oziando su un albero.

    Non possiamo sapere cosa stesse pensando o facendo quel giorno. Forse stava valutando se andare a cercare qualcosa da mangiare, o un compagno, o magari stava guardando l’albero accanto per decidere se fosse migliore del suo. Di sicuro non poteva sapere che gli eventi di quel giorno l’avrebbero fatta diventare l’esemplare più famoso mai esistito della sua specie; e anche se avessimo potuto dirglielo, il concetto di fama non avrebbe avuto il minimo senso per lei. Non sapeva nemmeno di trovarsi in Etiopia, perché parliamo di milioni di anni prima che qualcuno avesse la brillante idea di tracciare delle linee su una mappa e di dare nomi alle forme che poi avremmo potuto rivendicare con le guerre.

    Lei e i suoi parenti erano leggermente diversi dalle altre scimmie dell’epoca: avevano qualcosa di strano nei fianchi e nelle gambe che consentiva loro di muoversi in modo nuovo. Stavano cominciando a scendere dagli alberi e a girare per la savana in posizione eretta: un primo cambiamento che, col tempo, avrebbe portato a voi e a me e a qualsiasi altra persona su questo pianeta. Questa scimmia non lo sapeva, ma stava vivendo l’inizio di una delle storie più straordinarie di sempre. Era l’alba del grande viaggio dell’uomo.

    Poi cadde dall’albero e morì.

    Circa 3,2 milioni di anni più tardi, un gruppo diverso di scimmie – alcune delle quali in possesso di una laurea – avrebbe rinvenuto le sue ossa fossilizzate. Poiché erano gli anni Sessanta, e all’epoca della scoperta stavano ascoltando una famosa canzone di un gruppo formato da quattro musicisti di Liverpool strafatti, decisero di chiamarla Lucy¹. Era una specie nuova – quella che oggi chiamiamo Australopithecus afarensis – e fu salutata come l’anello mancante fra uomo e scimmia. La scoperta di Lucy avrebbe affascinato il mondo: diventò un nome d’uso comune, il suo scheletro girò gli Stati Uniti con una mostra itinerante per sei anni, e adesso è l’attrazione principale del museo nazionale di Addis Abeba.

    Eppure l’unico motivo per cui sappiamo di lei è che, detto brutalmente, fece casino. Il che, in retrospettiva, è un ottimo esempio di come sarebbero andate le cose da quel momento in poi.

    Questo è un libro sugli esseri umani, e sulla nostra straordinaria capacità di mandare tutto a puttane. Un libro su perché per ogni cosa che ci rende orgogliosi di essere umani (l’arte, la scienza, i pub), ce n’è sempre un’altra che ci fa scuotere la testa dallo sconcerto e la disperazione (la guerra, l’inquinamento, i pub negli aeroporti).

    È piuttosto probabile che di recente – quali che siano le vostre opinioni personali o convinzioni politiche – a un certo punto vi siate fermati a riflettere sullo stato in cui versa il mondo e che abbiate pensato: «Oh, merda, cos’abbiamo fatto?».

    Questo libro vuole dare una minuscola, vuota briciola di conforto: non c’è da preoccuparsi, siamo sempre stati così. Eppure, ehi, siamo ancora qui!

    (D’accordo, al momento della stesura di questo libro mancano poche settimane al vertice nucleare fra Donald Trump e Kim Jong Un, che potrebbe avere luogo o no, e potrebbe andare bene o no. Purtroppo, devo consegnare la versione definitiva all’editore prima di poter scoprire se moriremo tutti. Andrò avanti immaginando che, se state leggendo questo libro, allora ce l’abbiamo fatta ad arrivare quantomeno alla fine di luglio.)

    Ci sono un sacco di libri sui più importanti successi dell’umanità: i grandi leader, gli inventori geniali, l’indomabile spirito umano. Ci sono anche un sacco di libri sugli errori che abbiamo commesso, sia a livello individuale sia a livello collettivo. Ma non ce ne sono altrettanti su come riusciamo a generare una catastrofe dopo l’altra.

    Per una di quelle ironie che sembrano piacere così tanto all’universo, spesso i motivi per cui mandiamo tutto a puttane sono gli stessi per cui raggiungiamo la grandezza. L’uomo vede schemi nel mondo, può comunicarli ad altri uomini, e ha la capacità di immaginare scenari futuri: se cambiassimo questa cosa, allora accadrebbe quest’altra cosa, e il mondo sarebbe un posto leggermente migliore.

    L’unico problema è che… be’, non siamo granché bravi in queste cose. Qualsiasi giudizio sincero sul rendimento passato dell’uomo in questo ambito assomiglierebbe alla valutazione annuale particolarmente brutale scritta da un capo che vi detesta. Immaginiamo schemi là dove non esistono. A volte le nostre capacità comunicative sono, diciamo, scarse. E nel corso della storia non siamo quasi mai riusciti a renderci conto che cambiare questa cosa potrebbe portare anche a quella cosa, e a quell’altra ancora peggio, e oh Dio no ora sta accadendo questa cosa come la fermiamo.

    Per quanto l’uomo arrivi in alto, per quante sfide riesca a superare, la catastrofe è sempre in agguato. Per fare un esempio storico: un attimo prima sei Sigurd il Possente (un conte delle Orcadi norreno vissuto nel ix secolo), e torni verso casa trionfante con la testa del nemico che hai appena ucciso, Máel Brigte, detto Dente Sporgente, che penzola dalla sella.

    E l’attimo dopo sei… be’, sei Sigurd il Possente un paio di giorni più tardi, moribondo a causa di un’infezione causata dal dente sporgente del decapitato Máel Brigte, che ti ha graffiato mentre stavi tornando a casa trionfante.

    Avete capito bene: Sigurd il Possente si è distinto nella storia militare per essere stato ucciso da un nemico che aveva già decapitato diverse ore prime. Il che ci insegna una lezione importante a) sulla presunzione e b) sull’importanza di scegliere nemici attenti all’igiene dentale. In questo libro ci concentreremo sulla presunzione e sulle sue catastrofiche conseguenze. Gli appassionati di storia d’igiene dentale, invece, rimarranno tristemente delusi.

    (Inoltre, vale la pena notare che Sigurd il Possente e Máel Brigte stavano combattendo soltanto perché il primo aveva sfidato il secondo a una battaglia che prevedeva quaranta soldati per parte. Máel Brigte accettò la sfida, ma poi Sigurd si presentò con ottanta soldati. In questo senso, forse c’è anche un’altra lezione da imparare dalla storia di Sigurd: l’importanza di non essere delle teste di cazzo, un altro argomento ricorrente di queste pagine.)

    Sigurd è solo uno dei poveracci che la storia ricorda più per gli insuccessi che per le vittorie. Nei prossimi dieci capitoli, attraverseremo l’intera storia dell’umanità e passeremo in rassegna il suo catalogo di casini. Un cortese avvertimento: se non siete degli amanti della Schadenfreude, questo potrebbe essere un buon momento per smettere di leggere.

    La storia del progresso umano inizia con la nostra capacità di pensare ed essere creativi. Questo ci distingue dagli altri animali, ma è anche ciò che ci fa apparire regolarmente come dei completi coglioni.

    Nel primo capitolo, Perché il vostro cervello è un idiota, scopriremo come i nostri antenati pensavano in maniera diversa da noi, e poi vedremo come, a causa dei nostri tentativi di trovare un senso al mondo, la nostra mente finisca per giocarci brutti scherzi, deludendoci e guidandoci a prendere tutte le nostre terribili, terribili decisioni.

    Nel secondo capitolo, Che bell’ambiente che hai, seguiremo l’umanità all’alba dell’agricoltura, quando cominciammo a plasmare il mondo intorno a noi, e vedremo quanto regolarmente incasiniamo i luoghi in cui viviamo, capaci come siamo di non pensare mai seriamente a come rispondere alla domanda: ehi, qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere se deviassimo il corso di questo fiume?

    Dopodiché, osserveremo più da vicino i nostri goffi tentativi di controllare la natura, in La vita, ehm, vince sempre; vedremo, fra le altre cose, come il presidente Mao e un appassionato di Shakespeare riuscirono a causare catastrofi speculari sottovalutando gli uccelli.

    A mano a mano che le primissime società umane si sviluppavano e diventavano più complesse, diventò chiaro che avevamo bisogno di qualcuno al comando che prendesse le decisioni. Nel quarto capitolo, Segui il capo, analizzeremo alcune fra le peggiori persone non elette ad aver mai avuto quel lavoro; nel quinto capitolo, Il potere del popolo, studieremo invece il caso della democrazia, per vedere se se la sia cavata meglio.

    Per quanto riusciamo a plasmare il mondo intorno a noi, il vero potenziale dell’uomo per sembrare un completo idiota fu scoperto soltanto quando abbiamo cominciato a girare il mondo e le diverse civiltà a incontrarsi. È allora che ci siamo lasciati davvero andare e abbiamo iniziato a sbagliare a livelli inimmaginabili.

    Nel sesto capitolo, La guerra. Ehm. A cosa serve?, vedremo come l’uomo, da sempre, si faccia coinvolgere in lotte inutili, ed esamineremo alcune delle conseguenze più stupide, fra cui l’esercito che riuscì a perdere una battaglia senza che i nemici si facessero vivi, o come mandare a puttane un piano d’attacco coordinato alla perfezione dimenticandosi dell’esistenza del fuso orario.

    Ci dirigeremo verso l’ignoto con le eroiche figure delle esplorazioni geografiche nel settimo capitolo, Lo spasso del colonialismo, in cui scopriremo (chi l’avrebbe mai detto) che il colonialismo fu terribile.

    L’ottavo capitolo, Una guida per principianti e/o attuali presidenti alla diplomazia, ci insegnerà importanti lezioni su come gestire elegantemente i contatti fra culture diverse, fra cui come lo scià dell’impero corasmi prese probabilmente la decisione politica peggiore della storia. (Comportò dare fuoco alle barbe.)

    Negli ultimi secoli, il progresso scientifico e tecnologico ci ha portato in un’era caratterizzata da innovazioni senza precedenti, rapidi cambiamenti e nuovi ed eccitanti modi di fallire. Sarà l’argomento principale del nono capitolo, Il culmine della tecnologia, dove scopriremo che la scienza non fa sempre la cosa giusta, come le misteriose radiazioni che solo i francesi potevano vedere, o l’uomo che fece non uno ma due degli errori più catastrofici del xx secolo.

    Ora il cambiamento avviene a una tale velocità che il mondo moderno può generare confusione; nel decimo capitolo, Una breve storia di come non si prevede il futuro, guarderemo esattamente quanto di frequente non siamo riusciti a predire le terribili cose nuove che stanno per accaderci.

    E infine, in Mandare a puttane il futuro, faremo un’ipotesi realistica su come saranno i prossimi secoli di stupidità umana, e concluderemo che probabilmente prevederà rimanere intrappolati in una prigione nello spazio che ci siamo costruiti con la nostra stessa spazzatura.

    Questo è un libro sulla storia, e sui nostri errori in quanto esseri umani. Per cui, naturalmente, vale la pena notare che spesso commettiamo errori molto, molto gravi sulla storia stessa.

    Il problema è che la storia è sfuggente: nessuno si è disturbato a scrivere la grande maggioranza delle cose che sono successe nei secoli, e molte delle persone che si sono prese la briga di farlo potrebbero essersi sbagliate, o sarebbero potute essere matte, o bugiarde, o estremamente razziste (e spesso una combinazione di tutt’e quattro le cose). Sappiamo di Sigurd il Possente perché la sua storia compare in due documenti, la saga di Heimskringla e quella di Orkneyinga. Ma come possiamo essere certi della loro accuratezza? Come facciamo a essere sicuri che non fosse soltanto una qualche barzelletta spassosa che girava fra i norreni e che noi non capiamo?

    Non possiamo, nonostante lo straordinario lavoro compiuto da storici, archeologi e altri esperti in una decina di campi diversi. Il numero delle cose che sappiamo con certezza è piuttosto piccolo se paragonato al numero delle cose che sappiamo di non sapere. E il numero delle cose che non sappiamo nemmeno di non sapere è probabilmente ancora più grande, ma purtroppo non lo sappiamo con certezza.

    Quello che sto dicendo è: la probabilità che in questo libro sui casini non ci siano a sua volta casini è, francamente, minima. Cercherò di chiarire dove esiste l’incertezza: quando siamo piuttosto sicuri, e quando invece la cosa migliore che possiamo fare è un’ipotesi ragionata. Ho cercato di evitare le storie troppo belle per essere vere, i racconti apocrifi e aneddoti storici che sembrano ingigantirsi ogni volta che vengono raccontati. Spero di non essermi sbagliato.

    Il che ci riporta a Lucy, caduta dal suo albero 3,2 milioni di anni fa. Come facciamo a sapere che sia caduta da quell’albero? Be’, nel 2016, un gruppo di ricercatori americani ed etiopi pubblicò un articolo su «Nature», la più importante rivista scientifica del mondo. Eseguirono una tc delle ossa fossilizzate di Lucy, creando una mappa tridimensionale per ricostruire lo scheletro al computer. E scoprirono che le fratture ossee di Lucy sono le stesse che si osservano in un essere vivente e che non sono mai guarite: il che ci suggerisce che era viva quando si fratturò le ossa, ma che morì poco dopo. I ricercatori consultarono numerosi chirurghi ortopedici, che diedero tutti la stessa risposta: le fratture di Lucy sono quelle di un paziente caduto da una certa altezza. Il modo in cui il braccio è fratturato suggerisce che l’abbia steso per cercare di interrompere la caduta. Dagli studi geologici, sapevano che l’area in cui aveva vissuto Lucy era un terreno boschivo piatto, vicino a un torrente: niente dirupi o sporgenze rocciose da cui potesse cadere. La conclusione? Lucy cadde da un albero.

    È una scoperta straordinaria, e fu ben accolta da molti altri esperti del settore. L’unico problema è che altri esperti – fra cui Donald Johanson, il primo a scoprire Lucy – non sono così convinti. Giustamente hanno detto: «No, belli miei, il motivo per cui le ossa sono rotte è che sono rimaste sepolte sottoterra per 3,2 milioni di anni». (Sto un po’ parafrasando.)

    Per cui… Lucy è caduta da un albero o no? Forse. È persino probabile. In molti sensi, è questo il punto essenziale del libro: abbiamo l’incredibile potere della deduzione scientifica, e potrebbe comunque essere sbagliata. Possiamo anche essere i migliori al mondo nel nostro campo, possiamo realizzare il lavoro migliore della nostra carriera e pubblicare uno studio innovativo sulla rivista più prestigiosa del mondo che unisce sbalorditivi progressi nei campi della paleontologia e della fisica, dell’informatica e della medicina, delle scienze forensi e della geologia, e che offre una vista senza precedenti su un’epoca di milioni di anni fa… e correremo comunque il rischio che arrivi qualcuno e dica: «Ahahahah, no».

    È proprio quando pensiamo di aver risolto tutto che lo spettro, sempre in agguato, dei casini colpirà.

    Ricordatevi di Sigurd il Possente.

    1 La canzone era Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles.

    capitolo i

    –––––––––––––––––––– • ––––––––––––––––––––

    I. Perché il vostro cervello è un idiota

    Fu circa 70.000 anni fa che gli esseri umani cominciarono, per la prima volta, a rovinare le cose per tutti.

    Ovvero quando i nostri antenati iniziarono ad abbandonare l’Africa per emigrare nel resto del mondo, prima in Asia e, un po’ più tardi, in Europa. Il motivo per cui questo scontentò un sacco di persone è che all’epoca la nostra specie, Homo sapiens, non era l’unica esistente, anzi. Esattamente quante altre specie di esseri umani girassero il mondo in quel periodo è ancora una questione dibattuta. Non è semplice, infatti, prendere scheletri o dna frammentari e cercare di capire cosa conti come specie a sé stante, come sottospecie, o semplicemente come una versione strana della stessa specie. (È anche un ottimo modo per aprire un dibattito se mai doveste trovarvi con un gruppo di paleoantropologi che non hanno niente da fare.) Ma quale che sia la classificazione usata, all’epoca di Homo sapiens c’erano almeno altre due specie di umani sul pianeta, di cui la più famosa è Homo neanderthalensis o, com’è meglio conosciuto, uomo di Neandertal. Sviluppatisi in seguito alle precedenti migrazioni dall’Africa, vivevano in gran parte dell’Europa e in vaste aree dell’Asia da più di 100.000 anni. Insomma, non erano gli ultimi arrivati.

    Purtroppo per loro, appena qualche decina di migliaia di anni dopo che i nostri antenati comparvero in scena – un battito di ciglia dal punto di vista dell’evoluzione – i Neandertal e tutti gli altri nostri parenti erano spariti dalla faccia della Terra. Secondo uno schema che si sarebbe consolidato velocemente nella storia dell’uomo, arriviamo noi e il vicinato sparisce. Dopo qualche migliaia di anni dalla comparsa dell’uomo moderno nell’area, i Neandertal cominciano a sparire dai reperti fossili, lasciando appena qualche gene spettrale che ancora oggi infesta il nostro dna. (Ci furono senz’altro incroci fra i Neandertal e gli intrusi che li stavano sostituendo; se siete di origine europea o asiatica, per esempio, c’è una buona probabilità che il vostro dna sia tra l’1 e il 4% di origine neandertaliana.)

    Un’altra questione dibattuta è esattamente perché e come noi siamo sopravvissuti mentre i nostri cugini si sono estinti. In realtà, quasi tutte le spiegazioni più probabili compariranno più volte nelle pagine di questo libro. Potremmo aver cancellato i Neandertal dalla faccia della Terra per sbaglio in seguito alle migrazioni, portandoci dietro malattie per le quali non avevano alcuna resistenza. (Spesso la storia dell’umanità è, in effetti, soltanto la storia delle malattie che siamo riusciti a contrarre durante i nostri viaggi e a scambiarci a vicenda.) O magari siamo stati fortunati a trovare un clima variabile a cui abbiamo potuto adattarci meglio; le prove suggeriscono che i nostri antenati vivevano in agglomerati sociali più grandi, e che comunicavano e commerciavano in un’area molto più vasta rispetto ai Neandertal, più isolati e retrogradi, il che vuol dire che potevano fare affidamento su maggiori risorse quando si presentava un periodo freddo.

    O forse li abbiamo semplicemente ammazzati, perché, ehi, non è così che facciamo?

    È più che probabile che non esista un’unica spiegazione, perché è così che funzionano le cose in genere. Ma molte delle spiegazioni più plausibili hanno un elemento in comune: il nostro cervello, e il modo in cui lo usiamo. Non è così semplice come dire «noi eravamo più intelligenti e loro stupidi», perché i Neandertal non erano gli zucconi che sono diventati nell’immaginario collettivo. Avevano un cervello grande quanto il nostro e costruivano attrezzi, controllavano il fuoco e realizzavano arte astratta e gioielli in Europa decine di migliaia di anni prima che Homo sapiens arrivasse e cominciasse a rendere tutto più sofisticato. Ma la maggior parte dei vantaggi plausibili che avevamo sui nostri cugini ha a che fare col pensiero, con le nostre strutture sociali più complesse o con i modi in cui comunicavamo all’interno e fra i diversi gruppi.

    Abbiamo un modo di pensare che ci rende speciali. Voglio dire, è ovvio. È proprio lì, nel nome della specie: Homo sapiens, dopotutto, vuol dire proprio uomo sapiente. (Siamo sinceri: la modestia non è mai stata una delle caratteristiche principali della nostra specie.)

    E per onestà verso il nostro ego, il cervello umano è una macchina veramente straordinaria. Possiamo notare schemi nel nostro ambiente e fare ipotesi ragionate in base a essi per capire come funzionano le cose, costruire un complesso modello mentale del mondo che includa più di ciò che possono vedere gli occhi. E in base a quel modello mentale possiamo compiere salti immaginativi: siamo in grado di prevedere i cambiamenti che potrebbero migliorare la nostra situazione. Possiamo comunicare queste idee ad altri esseri umani, che a loro volta possono migliorarle in modi a cui noi non avremmo mai pensato, trasformando la conoscenza e l’inventiva in uno sforzo comunitario che viene tramandato di generazione in generazione. Dopodiché, possiamo convincere gli altri a lavorare insieme al servizio di un progetto che fino a quel momento era soltanto nella nostra immaginazione, per compiere passi in avanti che nessuno di noi avrebbe mai potuto fare da solo. E poi ripetiamo tutto ciò molte volte in centinaia di migliaia di modi diversi, volta dopo volta, e quelle che un tempo erano soltanto folli innovazioni diventano tradizioni, che a loro volta generano nuove innovazioni, fino a ritrovarci con qualcosa che potremmo chiamare cultura o società.

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