Simbolo: Generare pensiero
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Anteprima del libro
Simbolo - Francesco Paparella
memoriam
Introduzione
Lo studio del lessico filosofico rappresenta una modalità particolarmente interessante di ricostruzione e comprensione della storia intellettuale e speculativa di una cultura. I concetti filosofici e i termini ad essi associati, infatti, non sono statici ma soggetti a un processo di mutazione e metamorfosi. In questo modo il variare, trasformarsi, articolarsi di un lemma dotato di particolare rilevanza può rendere possibile persino ricostruire il divenire del pensiero e osservare la storia della filosofia nel suo farsi.
Tra le categorie o dispositivi filosofici dotati di una simile ricchezza concettuale, un posto speciale è riservato al simbolo. Questo termine è caratterizzato da un tasso di variabilità e ambiguità del tutto peculiare, tanto che per certi versi ‘simbolo’ può essere assunto come esempio paradigmatico della stessa tendenza mutagena propria di ogni categoria filosofica. L’espressione ‘simbolo’, poi, è particolarmente ricca da un punto di vista speculativo ed è diventata, a più riprese e in modi differenti, una categoria chiave di interi sistemi metafisici. È sufficiente passare brevemente in rassegna i contesti dottrinali in cui viene usata in modo sistematico, non accidentale o occasionale, per comprenderne sia l’intrinseca ambiguità e polivocità che il peso speculativo.
Nel confrontarsi con il simbolo nella sua complessità e variabilità, lo scopo di questo testo non è tanto fornire un elenco esaustivo e completo (difficilmente realizzabile nei limiti di una monografia) dei sistemi o luoghi teorici nei quali il simbolo ricopre un ruolo di una qualche importanza. La ricerca in questione ha un diverso, duplice obiettivo. Innanzitutto, attraverso un’analisi dei momenti più importanti nello sviluppo diacronico del simbolo, vuole distillare una teoria in grado di descrivere i caratteri essenziali della categoria (al di là di alcune oscillazioni semantiche e casi che non rispettano quella ‘regola’). L’esito di un’indagine così strutturata sarà la definizione dei meccanismi di funzionamento del simbolo, dei contesti dottrinali ai quali è principalmente connesso nonché di questioni e oggetti teorici a cui si trova più spesso associato, tratteggiando una fisionomia coerente, capace di trascendere le singole occorrenze pur comprendendole tutte. In secondo luogo, questa ricerca vuole dedurre una strategia filosofica fondamentale o una filosofia del simbolo. Si tratta di individuare nel dire simbolico, e attraverso di esso, un repertorio di meccanismi speculativi e dinamiche concettuali capaci di aprire un orizzonte di pensiero ‘differente’. Al termine della ricostruzione della storia del simbolo, quindi, si cercherà di comprendere se il simbolo possa condurre all’individuazione di alcune regole fondamentali del fare filosofia in grado di portare a una ridefinizione delle stesse dinamiche del pensiero.
Per una simile ricostruzione diacronica, nel mondo antico la prima tappa è rappresentata da quelle tradizioni filosofiche in cui il simbolo riveste un ruolo concettuale particolarmente significativo: Platone e alcuni esponenti della tradizione platonica, in particolare Plutarco e Plotino.
Lo sviluppo in senso cristiano della medesima linea teorica, soprattutto quella del neoplatonismo ispirato da Dionigi Areopagita, costituisce nel mondo medievale un secondo momento essenziale per la storia speculativa del simbolo. Anche all’interno di alcune esperienze ‘mistiche’ (come quelle di Ildegarda di Bingen e di Gioacchino da Fiore) proprie della ricerca teologica dell’epoca di mezzo si possono trovare importanti indicazioni per la comprensione di questo dispositivo.
L’esame in diacronia del simbolo deve tenere presente poi alcune peculiari dottrine rinascimentali sul geroglifico e, alle soglie della contemporaneità, la riflessione della cultura romantica. In questa tradizione il simbolo verrà compreso e descritto a partire dalla sua opposizione all’allegoria, secondo una linea teorica il cui successo sarà testimoniato dalla ripresa della medesima dialettica da parte di Walter Benjamin nella sua opera sul dramma barocco.
Molteplici, infine, nel XX e XXI secolo le fonti e i contesti da cui si possono ricavare indizi per una storia del simbolo: filosofia del linguaggio, retorica e semiotica, psicanalisi, linguistica ed ermeneutica forniscono tutte, pur nella diversità di linguaggi, una definizione convergente della categoria.
Tuttavia, nell’elaborare una ricostruzione del valore filosofico del simbolo devono essere evitati due errori. Da un lato prendere in considerazione termini pertinenti ai fini della ricerca solo per un’ambiguità omonimica (pericolo tanto più grande quando ci si confronta con una categoria polivoca come quella di simbolo); dall’altro trascurare fenomeni linguistico-concettuali e dispositivi che, per quanto apparentemente distanti dall’oggetto della ricerca, hanno la capacità di condurre a una sua più profonda comprensione.
Per l’elaborazione di una filosofia del simbolo risultano allora irrilevanti le forme lessicali formalizzate della matematica (simbolo matematico) ma anche i segni le cui tipologie più generali sono codificate dalle teorie semiotiche: mentre le prime si manifestano subito prive di attinenza con i fenomeni del dire simbolico quale specifico momento speculativo, i secondi risultano solo in senso generico associabili al simbolo.
Il simbolo filosofico, infatti, appare sì una tipologia di segno o di fenomeno comunicativo, ma risulta anche contrassegnato da una profonda specificità. Il simbolo condivide con il segno l’essere parte di un codice, risultando quindi dotato della capacità di rimandare ad altro, ma se ne distingue per i modi di tale rimando: non tendenzialmente univoci e arbitrari, ma complessi e motivati. Per questa ragione, poco pertinente per la presente ricerca è anche il simbolo di Cassirer. Per quanto il filosofo di Breslavia parli di simboli artistici e del mito come elementi concreti che condensano un’esperienza coscienziale e la rendono esperibile, nella sua dottrina il simbolo non sembra distinguersi in modo abbastanza netto dal segno genericamente inteso.
D’altra parte, una ricostruzione anche sommaria delle singole dottrine sul simbolo nel pensiero occidentale mostra come questa categoria manifesti una continuità con altre all’apparenza differenti, quali enigma, indovinello, analogia e metafora solo per citarne alcune. Pur conservando nei confronti di questi fenomeni semiotico-concettuali una residuale differenza, in particolare nel caso di quelle forme del dire traslato alle quali può essere associato o contrapposto (come accade per l’allegoria nel contesto romantico), il simbolo può essere compreso nei suoi meccanismi di funzionamento e nella sua specificità solo attraverso un’analisi differenziale in dialettica con quelle categorie.
In modo analogo, l’elaborazione conclusiva di una filosofia del simbolo richiede un’analisi del dispositivo che lo faccia reagire, come si fa in chimica, con categorie a prima vista del tutto allotrie, in particolare ‘piega’ e ‘specchio’, a partire dalle indagini filosofiche che ne hanno messo in evidenza il profondo valore speculativo, rispettivamente quelle di Deleuze e di Merleau-Ponty.
Studiare il simbolo significa compiere un percorso trasversale all’interno della storia del pensiero. Tale rinnovato confronto con i momenti più importanti della filosofia occidentale, a partire da una prospettiva non canonica, ha lo scopo di mettere in questione le modalità convenzionali con cui si intende la stessa attività speculativa, per trovare, nella rilettura del passato, un modo nuovo di pensare e quindi di stare nel mondo.
Antichità
Alle origini del simbolo
Simbolo: il mistero di Dio
Il pensiero greco antico sul simbolo è caratterizzato da una sostanziale asistematicità e da un’assenza di analisi specifiche. Simbolo, infatti, viene usato spesso, in diversi contesti e da molteplici autori, ma solo in rari casi il termine diviene oggetto di una riflessione mirata, volta a definirne i caratteri peculiari, o risulta concetto chiave di una dottrina che possa a sua volta suggerire un ‘modo simbolico’ in filosofia.
Nonostante queste difficoltà, alcune occorrenze di simbolo nelle opere degli autori che vanno da Platone alla prima patristica greca possiedono uno spessore concettuale che le rende elementi utili per ricostruire una storia filosofica del simbolo e della connessa teoresi. I casi più significativi che consentono di procedere in questa direzione sono quelli contenuti nelle opere della tradizione platonica, in particolare negli scritti di Plutarco di Cheronea.
Il simbolo nella cultura greca: Platone e Aristotele
Nella cultura greca, l’occorrenza più antica del termine simbolo si trova in un verso di Archiloco in cui l’espressione compare al plurale (σύμβολα).
Qui simbolo deve essere inteso come ‘scongiuro’, ovvero come una parola o un gesto che ha valore apotropaico o beneaugurante.
Questa accezione viene utilizzata poi nell’ambito religioso e sacrale, in un contesto in cui la questione della corretta interpretazione dei segni e degli oracoli ha una particolare importanza. In un’ Olimpica di Pindaro (12,10), ad esempio, il termine compare con il significato appunto di ‘segno’. Con un’accezione analoga il termine si trova anche in Anassagora, dove l’arcobaleno è indicato come segno connesso con il temporale.
I significati di simbolo più diffusi nella cultura greca sono però quello di ‘segno di riconoscimento’ e di ‘contratto’ (che risultano tra loro intrecciati). Il primo è attestato già in Erodoto e fa riferimento alla pratica di dividere a metà una moneta o un altro oggetto: ciascuna metà era tenuta da una persona o gruppo a testimonianza dell’esistenza di un patto o accordo (ad esempio, un rapporto di amicizia tra due famiglie), perché la ricomposizione della totalità originaria dimostrava l’esistenza di un legame precedente. Il secondo si trova anche nell’ Etica Nicomachea di Aristotele (IX, 1164b, 13-14). Come si può vedere, si tratta di significati che, benché in parte differenti, condividono alcune marche semantiche fondamentali. In queste occorrenze e con quei valori, tuttavia, il termine