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Riscontri. Rivista di cultura e di attualità: N. 1 (GENNAIO-APRILE 2021)
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Riscontri. Rivista di cultura e di attualità: N. 1 (GENNAIO-APRILE 2021)
E-book468 pagine2 ore

Riscontri. Rivista di cultura e di attualità: N. 1 (GENNAIO-APRILE 2021)

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Info su questo ebook

“Riscontri” è una testata unica nel suo genere che si caratterizza per l’approccio globale al mondo della cultura, con articoli di critica letteraria, di storia e di filosofia. Lontana dagli eccessi della specializzazione e al di fuori di ogni condizionamento che non consista nel rigore scientifico e nell’onestà intellettuale dei contributi, la Rivista mantiene da più quarant’anni l’approccio divulgativo che l’ha resa celebre anche oltre i confini nazionali.

In questo numero:

Pandemia e nuova antropologia politica
• Nuove esplorazioni dantesche
• «Pape Satàn». Il messaggio pasquale segreto della Divina Commedia
• La vita narrata del principe dei musici. Carlo Gesualdo tra cronaca, romanzo e romanzesco
• Le “acri sillabe” di Leonardo Sciascia. Temi e struttura di una raccolta “impoetica”, “neorealista”, “montaliana”, che racconta la Sicilia e il mondo
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2021
ISBN9791220803595
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    Anteprima del libro

    Riscontri. Rivista di cultura e di attualità - Riscontri

    AA. VV.

    RISCONTRI N. 1 (2021)

    Anno XLIII (Gennaio-Aprile)

    UUID: 39315d3b-2385-40e7-9d41-62420c516645

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    EDITORIALE

    Pandemia e nuova antropologia politica

    NEL VII CENTENARIO DELLA MORTE DI DANTE

    Nuove esplorazioni dantesche

    «Pape Satàn»

    STUDI E CONTRIBUTI

    La vita narrata del principe dei musici

    Le peripezie di tre illustrazioni di copertina realizzate da Carlo Levi

    OCCASIONI

    Le acri sillabe di Leonardo Sciascia

    Gaetano Afeltra, famosi a modo loro

    MISCELLANEA

    L’arte matematica di Escher

    ASTERISCHI

    Nord e sud

    RECENSIONI

    Vulnera temporis

    Poesie controcorrente

    L’attività letteraria di Ugo Piscopo nell’interpretazione di Carlo Di Lieto

    Il tenue filo rosso

    Godot lo stava aspettando

    La storia con una smorfia sul viso

    Eutanasia di un’epoca

    LIBRI CONSIGLIATI

    Note

    In copertina:

    Gustave Doré,

    Dante, Divina commedia - Inferno (1861)

    (Inf. XXXIV 1)

    Tutti i diritti di riproduzione e traduzione

    sono riservati

    Responsabile: Ettore Barra

    Registrazione presso il Tribunale di Avellino, n. 2 del 15/03/2018

    Amazon Media EU S.à.r.l. (AMEU), 5 rue Plaetis, L-2338 Luxembourg

    ANNO XLIII (Nuova Serie IV) - N. 1, GENNAIO-APRILE 2021

    Periodicità: quadrimestrale

    email: direttore.riscontri@gmail.com

    sito: www.riscontri.net

    EDITORIALE

    Pandemia e nuova antropologia politica

    In molti hanno analizzato le analogie e le differenze tra l’attuale pandemia e i tanti morbi che, nella storia, hanno afflitto l’umanità. Interessanti e acute analisi di confronto sia degli aspetti sanitari che di quelli socio-economici. Dalla peste di Atene fino all’influenza spagnola del XX secolo, passando per le grandi pestilenze medievali e moderne. Nonostante le incolmabili differenze – per varietà della malattia e periodo storico – ciascun episodio si rivela utile oggetto di riflessione. In particolare potrebbe essere utile ripercorrere la Storia della colonna infame, pagine manzoniane dal grande significato etico sui protagonisti involontari di quasi ogni epidemia: i cosiddetti untori, che oggi si definiscono come irresponsabili. Fondamentale capro espiatorio anche dell’attuale, e completamente fallimentare, gestione pandemica.

    In pochi, però, hanno notato e messo opportunamente in evidenza un elemento completamente inedito rispetto al passato. La privazione di una risorsa il cui godimento appartiene da sempre a tutta l’umanità, a prescindere dalle coordinate geografiche e culturali, e che in quanto tale è stata oggetto di profonde indagini filosofiche. Tra le pagine più importanti a riguardo spiccano, senza dubbio, quelle del De rerum natura di Lucrezio. Nel secondo libro del poema, infatti, il filosofo epicureo tratta del raggiungemmo dell’atarassia: lo stato di serenità del saggio. Colui che osserva le fatiche e gli affanni dell’umanità, contemplando il male dell’inquietudine negli altri:

    Suave, mari magno turbantibus aequora ventis

    e terra magnum alterius spectare laborem;

    non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,

    sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.

    suave etiam belli certamina magna tueri

    per campos instructa tua sine parte pericli;

    sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere 7

    edita doctrina sapientum templa serena,

    despicere unde queas alios passimque videre

    errare atque viam palantis quaerere vitae, 10

    certare ingenio, contendere nobilitate,

    noctes atque dies niti praestante labore

    ad summas emergere opes rerumque potiri.

    o miseras hominum mentes, o pectora caeca!

    qualibus in tenebris vitae quantisque periclis 15

    degitur hoc aevi quod cumquest!

    Se non ha senso affannarsi per aumentare le proprie ricchezze e per acquisire potere, in che modo, dunque, il saggio dovrebbe trascorrere la sua esistenza?

    […] nonne videre

    nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui

    corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur

    iucundo sensu cura semota metuque?

    ergo corpoream ad naturam pauca videmus 20

    esse opus omnino: quae demant cumque dolorem,

    delicias quoque uti multas substernere possint

    gratius inter dum, neque natura ipsa requirit,

    si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes

    lampadas igniferas manibus retinentia dextris, 25

    lumina nocturnis epulis ut suppeditentur,

    nec domus argento fulget auroque renidet

    nec citharae reboant laqueata aurataque templa,

    cum tamen inter se prostrati in gramine molli

    propter aquae rivum sub ramis arboris altae 30

    non magnis opibus iucunde corpora curant,

    praesertim cum tempestas adridet et anni

    tempora conspergunt viridantis floribus herbas.

    nec calidae citius decedunt corpore febres,

    textilibus si in picturis ostroque rubenti 35

    iacteris, quam si in plebeia veste cubandum est.

    quapropter quoniam nihil nostro in corpore gazae

    proficiunt neque nobilitas nec gloria regni,

    quod super est, animo quoque nil prodesse putandum;

    si non forte tuas legiones per loca campi 40

    Per Lucrezio il saggio non ha bisogno di vivere in lussureggianti palazzi d’oro. Riposarsi alla riva di un fiume, sull’erba, è quanto gli serve per stare bene. Non ha necessità, quindi, di lottare per accaparrarsi un bene che è (o, sarebbe forse meglio dire, che era?) a disposizione di tutti. Senza limitazione o eccezione alcuna. Eppure anche il filosofo conosce bene gli orrori della peste di Atene, con la cui descrizione si chiude il De rerum natura. Difficilmente, infatti, Lucrezio avrebbe potuto immaginare, più di duemila anni fa., un divieto di passeggio come quello che viene oggi imposto. E probabilmente non v’è essere umano, prima e dopo di lui, pur privo della sua raffinata erudizione e magari povero sia di beni materiali che di strumenti culturali, che non si sia sentito in qualche modo ricco davanti allo spettacolo di un tramonto.

    Di esempi se ne potrebbero portare ancora tanti. Basti pensare a quel capolavoro della letteratura mondiale, nato significativamente in un contesto completamente diverso da quello del filosofo romano, rappresentato dal Cantico delle creature di san Francesco. Ebbene, sarebbe interessante provare a immaginare le reazioni di Lucrezio e del poverello d’Assisi di fronte a Dpcm, o a decreti legge, che prevedano un confinamento domiciliare dalla durata indefinita. Senza alcuna riconosciuta possibilità di uscire, se non per comprovate esigenze di lavoro o di altra necessità. Come se camminare o praticare attività sportiva all’aperto non fosse un’esigenza necessaria al preservamento della propria salute. In pochi hanno notato come quello di uno Stato che vieti il contatto con la natura costituisca un vero e proprio capovolgimento antropologico dalla portata millenaria, compromettendo il «summum bonum» del vivere «secundum naturam» (Seneca, De otio).

    Al contrario di quanto creduto da molti, quello italiano è uno degli Stati ad aver imposto le limitazioni più rigide ai diritti individuali. Forse nessun altro Paese al mondo ha codificato in modo così puntuale il divieto di passeggio, applicandolo in maniera generalizzata per un periodo di tempo così lungo e indefinito. L’opinione pubblica è stata infatti orientata a credere che la gestione della pandemia sia pressoché simile in tutto il mondo, a parte alcuni casi – come quelli cileno e svedese – che vengono deplorati dalla comunicazione di massa per fini evidentemente interni. In realtà, è soprattutto l’Occidente – e in particolare l’Europa – ad aver deciso di rispondere alla sfida del covid-19 con la compressione, sempre più pressante, dei diritti fondamentali dei cittadini.

    In ambito europeo, poi, l’Italia è stata tra le prime a chiudere le scuole. Probabilmente sono proprio gli istituti italiani ad aver patito le chiusure più lunghe. Ed è più o meno questa la situazione che si presenta nel confronto generale con gli altri paesi europei. In primis con la Germania che nella prima ondata della primavera 2020 ha applicato quello che il gergo giornalistico ha definito un semi-lockdown, o lockdown light. Mentre per tre lunghi mesi il governo imponeva agli italiani il tassativo divieto di uscire di casa, se non per fare la spesa, i tedeschi godevano ampiamente degli spazi all’aperto, senza per questo determinare una situazione epidemiologica peggiore.

    L’Italia detiene probabilmente anche il primato dei casi di repressione divenuti mediatici, con inseguimenti, multe e arresti di persone colte in flagranza di reato mentre si trovavano da sole in spiaggia, o al parco, nell’evidente impossibilità di nuocere ad alcuno; immagini rimbalzate nell’informazione estera, dove la sensazione di smarrimento è stata molto più forte rispetto a quella locale.

    Per la verità, anche nelle successive ondate la situazione non è cambiata di molto. Impedire di allontanarsi dal Comune di residenza, o addirittura dalla propria abitazione, significa, infatti, privare gran parte della popolazione della possibilità di raggiungere il mare o la montagna e in generale gli spazi aperti. Così come chiudere le piazze e transennare i giochi destinati ai bambini nei parchi non può che avere il sapore amaro dell’abuso. Con gravi ripercussioni sulla salute fisica e mentale che solo il tempo potrà rivelare in tutta la loro gravità.

    Tutto ciò nella consapevolezza – prima empirica e, da tempo, ormai anche scientifica – del bassissimo rischio di contagio all’aperto, che nessun governo o comitato di salute pubblica sembra intenzionato a voler considerare. Per non parlare del rifiuto di puntare con decisione sulla terapia domiciliare, esigenza evidente a tutti fin dai primi mesi e che ancora oggi – nonostante la conferma dell’Istituto Negri – rimane nel dimenticatoio. Due aspetti che la dicono lunga sull’illusione di molti di essere governati dalla scienza e dai dati sanitari, come se questi ultimi non necessitassero di interpretazioni e di conseguenti decisioni di stampo inevitabilmente politico. Anche la decisione di blindare le vacanze pasquali, salvo per chi potesse permettersi un viaggio all’estero, è di per sé altamente significativa in quanto va ad annichilire i fondamenti stessi di dottrine come quelle di Lucrezio e dell’Assisiate.

    Quello che gran parte dei cittadini italiani ignora è che quando per la Germania si parla finalmente di adottare un lockdown rigido o radicale, si tratta di misure che per noi – sia dal punto di vista sociale che da quello economico, grazie ad una vera politica di aiuto alle imprese – somiglierebbero più a una passeggiata che ad un vero lockdown, come si era soliti dire una volta, lacrime e sangue. Tranne nel recente caso in cui si stava predisponendo una chiusura generalizzata (perfino dei supermercati) di cinque giorni, immediatamente sventata da una forte protesta di piazza che ha portato addirittura alla formulazione di scuse da parte della cancelliera di ferro.

    Uno scenario, quest’ultimo, inimmaginabile per un’Italia che sembra sempre più oggetto di una sperimentazione politica. Permangono, quindi, tuttora insoluti i dubbi sull’effettiva natura della gestione pandemica e che è possibile sintetizzare in quest’unica domanda: se è vero, com’è vero, che il problema è prettamente di tipo sanitario, perché – vaccinazione a parte che, come assicurato dagli stessi esperti, non consente alcun ritorno alla normalità – nel dibattito pubblico risulta completamente assente il tema della riforma della Sanità (pur presentata sempre allo stremo, per la strutturale carenza di posti letto), tanto da risultare come la più piccola voce di spesa all’interno del Recovery Plan?

    Ettore Barra

    NEL VII CENTENARIO DELLA MORTE DI DANTE

    Nuove esplorazioni dantesche

    Come non era difficile profetizzare, questo 2021 – settimo centenario della morte di Dante – sta vedendo un proliferare di iniziative in memoria del sommo poeta e, perlopiù, del suo sommo poema. Per i noti motivi, molti gli eventi online; ad alcuni dei quali è capitato di partecipare anche all’estensore di questo articolo[1]. In parte pescando da quelle conferenze, in parte rimeditando temi danteschi a distanza di anni o decenni, segnaliamo qui di seguito una serie di spunti per portare avanti la ricerca infinita, un compito interpretativo che è davvero «ovra inconsummabile»[2].

    Al contrario di Carducci

    Nel romanzo Il Divino Sequel[3] era stato creato un antagonismo personale tra Dante e Giosuè Carducci mescolando dati storici e fiction, addirittura fantascienza. C’è tuttavia un argomento concreto in cui la posizione del poeta della Commedia va chiaramente in direzione opposta a quella del poeta delle Odi barbare. In pratica, Dante sembra capovolgere ante litteram il concetto carducciano di nemesi storica per cui le colpe politiche dei padri ricadono sui figli[4]. Nella Divina Commedia compaiono episodi in cui, al contrario, le colpe politiche dei padri vengono redente dai figli.

    Il più noto è il caso di Guido da Montefeltro (Inferno 27) e di suo figlio Bonconte (Purgatorio 5). Nonostante alla fine dei suoi giorni il condottiero Guido avesse fatto penitenza e abbracciato la vita francescana, Dante lo condanna all’inferno per essersi macchiato di quella che ai suoi occhi è una vergogna indelebile: aver aiutato papa Bonifacio VIII. Nella fattispecie, aiutato a conquistare la città di Penestrino, oggi Palestrina, suggerendogli una tattica neppure troppo originale: fare promesse e non mantenerle. Bonconte invece era misteriosamente scomparso durante la battaglia di Campaldino; il poeta presume che, ferito a morte, si fosse allontanato dal campo di battaglia e il suo cadavere fosse poi stato trascinato via da una piena del fiume Archiano.

    Le anime di padre e figlio subito dopo la morte si trovano sottoposte a processo, reclamate dal demonio come nella letteratura devozionale e nel teatro di strada medievale. A portare in cielo Guido arriva nientemeno che san Francesco in persona. Ma… sorpresa! Il Poverello di Assisi rimane lì come uno spettatore passivo mentre un demonio ghermisce l’anima dell’ex condottiero e, con un ragionamento «loïco», la precipita tra le fiamme eterne. Nulla da fare, Dio forse sarebbe disposto a perdonare, ma Dante no.

    In modo parallelo, attorno all’anima di Bonconte si accende una disputa tra un diavolo e, stavolta, un angelo. Qui però è l’angelo ad avere vittoria facile, aiutato dal fatto che il moribondo aveva invocato il nome di Maria prima di esalare l’ultimo respiro. Il demonio allora si vendica sul cadavere chiamando a raccolta la furia degli elementi.

    Ancora più interessante è la questione sveva. Agli appassionati di cultura medievale non può non lasciare di stucco il trattamento riservato dall’Alighieri a un personaggio gigantesco come Federico II. Un trattamento – viene da dire – ancora peggiore che la condanna all’inferno: l’anonimato, tant’è che molte persone probabilmente neppure ricordano dove sia situato l’imperatore svevo nella Divina Commedia. Viene ridotto a un nome, citato alla spicciolata da Farinata degli Uberti in mezzo a un elenco: «Qua dentro è ’l secondo Federico…»[5].

    Poi però, con un colpo di scena, in Purgatorio 3 incontriamo il figlio di Federico II, Manfredi, che si è salvato l’anima in barba alla scomunica papale. Manfredi è tutto suo padre: un bel nordico[6] dai lunghi capelli dorati, accusato dagli avversari di aver commesso «orribil… peccati», eufemismo che rimanda a libertà in campo sessuale e religioso. Manfredi somiglia al padre in tutto, tranne che nella sorte eterna. Andando in purgatorio, e quindi prima o poi in paradiso, porterà con sé in cielo al cospetto di Dio la metà del DNA di Federico II.

    Pensava di essersela cavata…

    Parlando di noti personaggi storici semi-nascosti nella Divina Commedia, che colui «che fece per viltà il gran rifiuto»[7] fosse papa Celestino V è senz’altro una tradizione molto antica. La troviamo già nelle Chiose all’Inferno[8] pubblicate nel 1322 da Jacopo Alighieri, figlio del poeta.

    Esistono però delle alternative, a mio parere rilevanti. Secondo Giovanni Pascoli[9], Dante non vuole rivelare chi è quel dannato, né spera che lo scopriamo da soli: la sua pena da ignavo è appunto quella di rimanere ignoto per i secoli dei secoli.

    Un’altra ipotesi minoritaria tra gli esegeti è quella per cui personalmente

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