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I capolavori della letteratura dell'Ottocento
I capolavori della letteratura dell'Ottocento
I capolavori della letteratura dell'Ottocento
E-book4.207 pagine67 ore

I capolavori della letteratura dell'Ottocento

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Info su questo ebook

Goethe, Le affinità elettive • Austen, Orgoglio e pregiudizio • Manzoni, I promessi sposi • Melville, Moby Dick • Flaubert, Madame Bovary • Dostoevskij, Delitto e castigo • Wilde, Il ritratto di Dorian Gray

Edizioni integrali

Geniale rappresentazione della disgregazione della società aristocratica settecentesca e del tramonto di un mondo, Le affinità elettive di Goethe cela in sé, sotto apparenze semplicissime, una malinconica riflessione sulla potenza dell’eros e sull’irreversibile scorrere del tempo, ma anche sul contrasto tra natura e istituzioni dell’uomo. Orgoglio e pregiudizio è certamente l’opera più popolare e più famosa di Jane Austen: la storia delle cinque sorelle Bennet e dei loro corteggiatori, è un vero e proprio long-seller, ineccepibile per l’equilibrio della struttura narrativa e lo stile terso e smagliante. Vertice della letteratura italiana, la storia di Renzo e Lucia, don Abbondio e padre Cristoforo, don Rodrigo e l’Innominato ha appassionato generazioni di lettori, tanto che I promessi sposi di Manzoni occupa ancora oggi un posto del tutto speciale nelle biblioteche d’Italia. Moby Dick è l’opera più celebre dell’Ottocento americano: grande romanzo del mare, narra la drammatica sfida del Capitano Achab alla Balena Bianca, colosso marino ma anche creatura metafisica, figurazione dell’inconoscibile. La storia della caccia alla Balena Bianca diviene un’allegoria del destino dell’uomo. La pubblicazione di Madame Bovary fu il primo e più clamoroso caso di pubblica censura ai danni di un’opera moderna: la Emma di Flaubert divenne immediatamente il simbolo del disagio e dell’insofferenza borghese, vittima della sua stessa smaniosa irrequietezza. Uno dei più grandi capolavori della narrativa russa (e quindi di ogni tempo e Paese), Delitto e castigo è di sicuro il più celebre dei romanzi di Dostoevskij: il giovane Raskòlnikov uccide una vecchia usuraia, ma è tormentato dalla coscienza della colpa e del proprio fallimento. Il ritratto di Dorian Gray è considerato il romanzo simbolo del decadentismo e dell’estetismo. In esso Wilde dà vita a un mito destinato all’immortalità: il sogno di possedere un ritratto che invecchi al suo posto, assumendo i segni del tempo, diviene per Dorian Gray una paradossale, terribile realtà.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2015
ISBN9788854183490
I capolavori della letteratura dell'Ottocento

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    Anteprima del libro

    I capolavori della letteratura dell'Ottocento - AA.VV.

    540

    Die Wahlverwandtschaften, traduzione di Luca Crescenzi

    © Newton Compton editori s.r.l.

    Pride and Prejudice, traduzione di I. Castellini e N. Rosi

    © Newton Compton editori s.r.l.

    I promessi sposi

    © Newton Compton editori s.r.l.

    Moby Dick, or The Whale, traduzione di Pietro Meneghelli

    © Newton Compton editori s.r.l.

    Madame Bovary. Mœurs de province, traduzione di Ottavio Cecchi

    © Newton Compton editori s.r.l.

    Prestuplènie i nakazànie, traduzione di Vittoria Carafa de Gavardo

    © Newton Compton editori s.r.l.

    The Picture of Dorian Gray, traduzione di Emanuele Grazzi

    © Newton Compton editori s.r.l.

    Prima edizione ebook: maggio 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-83490

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di Librofficina

    Immagine di copertina: © Mikel Casal

    Progetto grafico: Luisa Montalto e Dario Morgante per Purple Press

    I capolavori della letteratura dell’Ottocento

    Johann Wolfgang Goethe, Le affinità elettive

    Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio

    Alessandro Manzoni, I promessi sposi

    Herman Melville, Moby Dick

    Gustave Flaubert, Madame Bovary

    Fedor Dostoevskij, Delitto e castigo

    Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray

    Edizioni integrali

    Johann Wolfgang Goethe

    Le affinità elettive

    A cura di Luca Crescenzi

    Introduzione

    Lo studioso della natura organica, scriveva Goethe intorno al 1794 nella sua Considerazione sulla morfologia, deve essere molto riconoscente sia al fisico, che indaga l’effetto dei principi della meccanica sugli organismi viventi, sia al chimico «che si occupa solo della qualità delle materie e delle condizioni della loro commistione»¹. La chimica, infatti, il cui oggetto di studio sono propriamente le sostanze inorganiche, può in verità favorire la comprensione della natura vivente almeno per una ragione essenziale: perché le «sottilissime disgiunzioni e congiunzioni» che sa descrivere nei corpi inerti sono le medesime che si riscontrano nell’osservazione degli esseri superiori. La fisica, invece, perseguendo lo studio della causalità naturale, manifesta al morfologo una verità altrimenti nascosta: vale a dire che «le nature organiche diventano tanto più perfette, quanto meno si possono applicare a esse i principi della meccanica»². In virtù di queste considerazioni il Goethe classico teorizzava l’opportunità di fondare una scienza fisico-chimica; una scienza, cioè, che rendesse possibile a ogni studioso della natura vivente in generale, e della natura umana in particolare, stabilire quali leggi elementari fossero essenziali e ineluttabili anche per gli esseri superiori e quali invece si mostrassero in essa inefficaci o secondarie.

    Con ciò, tuttavia, oltre che i principi della sua morfologia, Goethe fissava anche, con quindici anni di anticipo, il programma poetico che tra il 1808 e il 1809 lo avrebbe condotto a scrivere il suo romanzo più moderno e più tragico, se non più grande: Le affinità elettive.

    È noto come Goethe iniziasse a elaborare la sua materia con l’intenzione di scrivere una novella da inserire nel composito insieme del suo ultimo romanzo, Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister. Ed è egualmente noto come poco dopo tale materia gli apparisse troppo importante per poter essere riversata in una forma breve. Essa gli permetteva infatti di tradurre sul piano della poesia le sue esperienze di scienziato e di fondere l’osservazione dei rapporti e dei conflitti sociali all’osservazione dell’ordine intrinseco alle leggi di natura. Presentando egli stesso il suo romanzo compiuto in un annuncio sul «Quotidiano per le classi colte», Goethe scriveva non a caso: «Sembra che l’autore sia stato indotto a usare questo titolo singolare dagli studi di fisica che va proseguendo. Egli pare aver notato che nelle scienze naturali ci si serve spesso di metafore etiche per render più chiare cose molto lontane dall’ambito delle conoscenze umane e così, trattando un caso morale, ha voluto ricondurre un’allegoria della chimica alla sua origine spirituale […]»³.

    L’allegoria chimica – che Goethe aveva volutamente ostentato nel romanzo – era quella indagata dallo scienziato svedese Olof Torbern Bergman nella sua opera De attractionibus electivis del 1775, in cui era studiata la disposizione di taluni elementi a dividersi e a unirsi di preferenza con altri secondo dinamiche che lo stesso Goethe poteva ricondurre per similitudine a quelle che regolano i rapporti umani. In apparenza, perciò, la medesima logica che informava la Considerazione sulla morfologia degli anni Novanta, attraversava il nuovo romanzo goethiano e la chimica prestava le sue «sottilissime disgiunzioni e congiunzioni» a una rappresentazione della natura vivente nella sua forma più alta. Tuttavia, se i saggi e l’attività scientifica del Goethe classico avevano mirato a rappresentare il corso seguito dalla natura nella realizzazione delle sue forme perfette, il romanzo appariva ora come il più paradossale esperimento del Goethe scienziato, quello in cui pareva dimostrarsi come la natura stessa potesse dar luogo indifferentemente alle più splendide creazioni e alle più tragiche catastrofi, alla bellezza della rosa – che nella Metamorfosi delle piante del 1790 aveva rappresentato il vertice delle forme naturali — come all’aster che è la cifra simbolica dell’autunno della vita nelle Affinità elettive⁴. Il romanzo, anzi, contrapponeva alla visione classica di una natura che progredisce, un passo dopo l’altro, verso la sua massima perfezione, l’immagine di una realtà segnata dalla legge del decadimento il cui fine ultimo può essere solo la morte.

    A queste conseguenze giunge la vicenda di Eduard e Charlotte; una vicenda che Goethe situa in un universo ristretto, delimitato quasi esclusivamente dai confini della proprietà dei due protagonisti, e segue registrando ogni mutamento, ogni «passaggio di stato», con la precisione del naturalista intento a studiare le conseguenze delle sue arbitrarie combinazioni di elementi. Ogni nuovo accadimento vi è infatti rappresentato nelle sue premesse e nei suoi effetti secondo una logica assoluta che non prevede eccezioni. Il matrimonio felice di Eduard e Charlotte è tolto al suo stato di quiete dall’arrivo del capitano e di Ottilie ed entra in crisi dando luogo a due nuove coppie, una delle quali si sottomette completamente a quella legge d’attrazione umana che è l’eros, laddove l’altra vi si oppone in nome del superiore principio etico della rinuncia. I quattro protagonisti restano tutti, però, egualmente vittime del loro destino. Ottilie, Eduard, Charlotte e il capitano soccombono in modi diversi alla consapevolezza del dolore che le loro relazioni provocano; un dolore emblematicamente rappresentato nella catastrofe del figlio di Charlotte e di Eduard che è però anche il figlio di Ottilie e del capitano, ai quali somiglia come incarnazione dei desideri repressi dei suoi genitori reali.

    La piena consapevolezza con la quale Goethe articola il suo romanzo nei modi di un esperimento scientifico è evidente fin dal celebre passaggio del quarto capitolo della prima parte nella quale il capitano, riferendosi all’esempio della formazione del gesso, spiega la teoria delle affinità elettive spingendo Charlotte a individuarne subito le possibili applicazioni alla società e ai rapporti umani. Non un particolare della successiva vicenda è dimenticato in questa sua anticipazione, né le unioni incrociate che immediatamente dopo avranno luogo, né il destino del piccolo Otto, paragonabile a quello dell’acido gassoso liberato dall’unione di calcare e acido solforico, del quale si dice a un certo punto che è libero di «unirsi all’acqua» per servire «da ristoro a sani e ad ammalati come fonte minerale». E d’altra parte lo stesso Goethe così osservava presentando il suo romanzo all’amico Friedrich Wilhelm Riemer: «I simboli morali nelle scienze naturali (ad esempio quello delle affinità elettive scoperto e utilizzato dal grande Bergman) sono più ricchi di spirito e si lasciano collegare alla poesia e alla società più di tutti gli altri […]».

    La tenacia con cui Goethe si sforza di assimilare il suo romanzo a un esperimento chimico è stata ritenuta dalla critica al romanzo ora decisiva per la sua interpretazione, ora secondaria e, anzi, esibita volutamente allo scopo di sviare l’attenzione del lettore da quello che è il suo nucleo problematico più profondo e nascosto. Non c’è tuttavia alcun dubbio che di qui si debba partire per proporre una qualsiasi lettura della vicenda. E sarà bene allora tornare a ricordare come per Goethe lo studio della materia inerte presupponesse il ricorso non solo alle scoperte della chimica, ma anche agli strumenti offerti dalla fisica. Se si tiene conto di questo, infatti, le Affinità elettive appariranno ancor più come una revoca e anzi una ritrattazione dell’ottimismo umanistico del Goethe classico. Poiché se nelle conclusioni parziali della già ricordata Considerazione sulla morfologia Goethe aveva creduto di poter affermare la superiorità dell’uomo sui principi della meccanica, il romanzo perveniva alle conclusioni esattamente opposte: la ragione della catastrofe di tutti i protagonisti della vicenda sta infatti nel non poter essi sottrarsi, in alcun modo, all’inesorabile regolarità dell’ordine naturale.

    Per ben comprendere questo punto di importanza capitale bisogna riferirsi a un’osservazione critica – che è merito di Sandro Barbera aver sviluppato per primo– la quale afferma la centralità del problema del tempo nelle Affinità elettive. Tale problema, ovviamente, non è compreso nella tematica «chimica» del romanzo, ma pertiene piuttosto alla sua dimensione «fisica»; è cioè condizione preliminare per porre l’interrogativo sulla capacità dell’uomo di dominare il rigido ordine della meccanica naturale e rispondere a esso affermativamente o, come in questo caso, negativamente. Si osserverà allora che l’intera vicenda descritta nel romanzo è segnata dalla vanità degli sforzi dei protagonisti di frenare, accelerare o capovolgere il corso del tempo, ovvero dall’impossibilità di conferire l’impronta dell’uomo al flusso inarrestabile degli avvenimenti.

    Non a caso, fin dalla prima scena della narrazione, Eduard – che è l’unico vero protagonista maschile della storia – appare intento a innestare ramoscelli sui tronchi di alcuni alberi del suo giardino; il suo carattere è chiaramente quello dell’uomo d’azione – una sorta di replica del modello di Faust – che adopera il suo ingegno e il suo lavoro per trarre vantaggio, forzandola, dall’opera indifferente della natura. Vero e proprio motore della vicenda, Eduard appare infatti continuamente in lotta con la fatalità del tempo. La sua stessa preistoria di personaggio è segnata da questo contrasto; rientra infatti perfettamente nella logica del suo agire l’aver sposato in prime nozze una donna più vecchia di lui e l’aver tentato, alla morte di costei, di riannodare le fila del suo amore giovanile per Charlotte come se nulla, nel corso degli anni, fosse cambiato tra loro. Egualmente la sua attrazione per Ottilie sembra direttamente legata al tentativo effettuato un tempo da Charlotte – e più volte rievocato nel corso del romanzo – di avvicinarlo alla fanciulla per indurlo a sposarla. Tutto l’agire di Eduard è, in altri termini, segnato dal sentimento doloroso di ciò che si è dissolto negli anni e dalla volontà della sua riconquista; e il suo atteggiamento è perfettamente caratterizzato da quel passaggio del romanzo in cui il limite del rapporto dell’uomo col tempo è messo in relazione con la tendenza di taluni individui a «perdersi nel passato» e a cercar di «rievocare e ricostruire in qualche modo quel che è completamente perduto». Eduard, insomma, una sorta di eroe proustiano, che incarna la coscienza del romanzo resa esplicita da un passo del diario di Ottilie – per cui «nulla è così fuggevole da non lasciare dietro di sé una traccia, qualcosa di simile a s黹⁰, ma che allo stesso tempo soccombe al contrasto tra questa consapevolezza e la logica elementare, meccanica del procedere lineare e irreversibile del tempo. La sua malinconia scaturisce da questo conflitto e la sua catastrofe ne è il risultato.

    Altresì Eduard appare come colui che per riattingere la felicità del passato, pone il suo attivismo al servizio della progettazione del futuro e può perciò affermare con piena coscienza: «se sono persuaso della validità di qualcosa che può e deve avvenire, non mi do pace fintanto che non la vedo realizzata»¹¹. Anche in questo caso, però, il romanzo ribadisce la vanità dell’intento e rinvia al suo motivo di fondo: l’impossibilità di modificare, di plasmare, di volgere a proprio favore e, dunque, di umanizzare, la continuità meccanica del tempo. Ancor più di Eduard – per il quale parlano soprattutto i ripetuti fallimenti dei suoi progetti – è l’ospite inglese di Charlotte a dichiarare l’imprevedibilità del futuro e, dunque l’illusorietà di ogni anticipazione dell’avvenire. «Non ho rimpianti per le mie proprietà […] soprattutto perché mio figlio, per il quale ho fatto e costruito tutto, al quale speravo di lasciare ogni cosa e col quale speravo di goderne ancora, non si interessa di nulla ed è partito per l’India per impiegare meglio, laggiù, come tanti altri, la sua vita o per dissiparcela. Certo noi facciamo fin troppi investimenti preventivi sulla vita. Invece di iniziare subito a trovarci a nostro agio in una condizione mediocre, ci espandiamo sempre più per renderci tutto sempre più scomodo»¹².

    Se però l’uomo d’azione aspira continuamente a infrangere i limiti che la natura impone all’uomo, Eduard non può che avere, in Ottilie, il suo completamento e il suo opposto. Ottilie è infatti – non meno di Gretchen nel Faust – espressione di un’umanità che vive in perfetta armonia con l’ordine dell’universo e asseconda il ritmo degli eventi naturali accordando a essi la propria esistenza. Non per nulla Ottilie appare pigra e lenta nel contesto di quell’istituto per la formazione delle giovani di buona famiglia in cui tutte le sue «attive» coetanee seguono gli impulsi della moda e dell’occasione. La sua essenza si esalta invece a contatto con le piante e i fiori nel giardino del castello o nel confronto col ritmo delle stagioni cui, di volta in volta, si adegua.

    A questa condizione di compiutezza riposante in se stessa Ottilie può essere sottratta soltanto dall’attivismo di Eduard che esercita su di lei una seduzione in tutto simile – anche stavolta – a quella che Faust esercita su Gretchen. Non a caso il dono del bauletto ricolmo di stoffe e capi di vestiario somiglia moltissimo a quello del cofanetto pieno di oggetti preziosi per mezzo del quale Faust turba la quiete «innocente» di Gretchen. Ottilie è attratta dal suo opposto perché come ogni essere in natura subisce la legge della polarità e ricerca quell’unico complemento che può potenziarla facendola uscire da se stessa e tramutandola in natura creativa. Goethe, tuttavia, appare ormai consapevole del fatto che l’azione trasformatrice dell’individuo proteso nel suo sforzo a superare i limiti imposti dai principi della meccanica ha effetti distruttivi oltre che autodistruttivi. E così Ottilie, sottratta alla pace della sua bellezza riposante in se stessa, diventa infanticida, portando a compimento la più innaturale metamorfosi della femminilità.

    Altresì Eduard, in quanto prototipo dell’uomo d’azione opposto all’ineffabile immobilità della natura, è anche l’eroe di un’era nuova che la Rivoluzione francese aveva portato in primo piano sulla scena europea, di una modernità incapace di trovare la sua misura in armonia con l’ordine naturale degli eventi e che cerca disperatamente di negare la fatalità del tempo opponendo a esso il corso di una storia che è l’uomo stesso a creare. Charlotte rappresenta, nel romanzo, la coscienza di questa modernità e in nessun punto della narrazione ciò emerge con maggiore evidenza che nel dialogo con cui si apre l’ottavo capitolo della seconda parte, all’interno del quale il conflitto tra le generazioni è espressamente interpretato come una conseguenza, appunto, di quel conflitto tra tempo storico e tempo biologico che domina il romanzo. All’assistente che le rappresenta l’ineluttabile potenza della natura nel contrasto tra padre e figlio Charlotte osserva: «Ma perché non si dovrebbe opporre nulla a questo corso della natura, perché non si dovrebbero metter d’accordo padre e figlio, genitori e ragazzi?»¹³.

    L’aspirazione di Charlotte – in ciò sicuramente simile a Eduard – è dunque quella di sottomettere alla volontà umana il destino racchiuso nell’ordine naturale delle cose. Ma diversamente da Eduard, ella vorrebbe che a tale ordine si sostituisse una volontà razionale e salvifica. Non a caso è attratta dal capitano che appare due volte, nel corso del romanzo, come colui che salva dall’acqua, ovvero dalla morte provocata dal più quieto e indifferente degli elementi naturali, due giovani. In lui è dunque lecito scorgere il rappresentante dell’efficienza progettuale della ragione e, pertanto, il personaggio che traduce nel romanzo la visione del mondo illuminista. Ma proprio la razionale rinuncia sua e di Charlotte a vivere fino in fondo ciò che la passione detta loro, gli impedisce di compiere l’ultimo e più importante salvataggio. Egli è assente, perché così ha voluto l’etica razionale sua e di Charlotte, quando il figlio della stessa Charlotte sprofonda nelle acque del lago.

    Proprio il principio goethiano dell’Entsagung, della rinuncia, dunque, nel quale talvolta si è voluto scorgere l’elemento-chiave del romanzo¹⁴ è sotto accusa nella vicenda del capitano, poiché – diversamente da quanto accadeva nell’Ifigenia in Tauride – risulta incapace di produrre un’etica salvifica. Sicché il più bel concetto del razionalismo umanistico goethiano soccombe anch’esso alla fatalità degli eventi e non offre una barriera utile all’irruzione del tempo.

    «Mentre la vita ci trascina», dice Charlotte nel già citato dialogo con l’assistente, «crediamo di agire da noi stessi, di sceglier noi la nostra attività e i nostri piaceri, ma naturalmente, a ben guardare, siamo solo costretti a seguire i piani e le inclinazioni del tempo»¹⁵. Questa consapevolezza è al centro di tutto il romanzo ed è il risultato dell’esperimento anticlassico goethiano. Recuperando dalla chimica inorganica e dalla fisica dei corpi la sua similitudine Goethe allude all’importanza che continua a rivestire nei rapporti umani, nella società e nella storia una natura elementare, estranea all’universo spirituale dell’uomo e in conflitto con esso: la società moderna, anche laddove siano attive le sue più nobili attitudini, non può organizzarsi secondo l’ordine superiore della norma morale, ma deve cedere alla semplice regolarità della legge di natura. Le istituzioni e le creazioni dell’uomo subiscono inevitabilmente l’aggressione del tempo e ne vengono distrutte, poiché non hanno strumenti per opporsi a essa.

    Questa materia – che sola poteva spingere Goethe a realizzare un’opera realmente tragica – è, in sé, come si è detto, la contraddizione di tutto quanto l’età del classicismo aveva auspicato e promosso. Agli occhi del vecchio Goethe torna a manifestarsi il potere incoercibile delle leggi della meccanica che vanifica ogni realizzazione umana. Nulla ha valore o durata, di tutto ciò che l’uomo realizza per mezzo della sua sola attività e della sua scienza nello sforzo di emanciparsi dall’ordine eterno della natura. Ma l’uscita da quell’ordine universale è l’unica immaginabile fonte di felicità per colui che aspira alla creazione di un mondo veramente e interamente umano. In questo conflitto tragico si dibattono i protagonisti delle Affinità elettive, ed è in questo conflitto il nucleo pessimistico dell’opera del tardo Goethe.

    LUCA CRESCENZI

    1 J. W. Goethe, Werke – Hamburger Ausgabe (in seguito citata con la sigla

    ha

    seguita dal numero del volume), vol.

    XIII

    : Naturwissenschaftliche Schriften, a cura di D. Kuhn e R. Wankmüller, p. 125.

    2 Ivi, pp. 125-126.

    3

    ha

    , vol.

    VI

    , p. 639.

    4 Su questi due simboli e sul loro valore nell’opera scientifica del Goethe classico e nelle Affinità elettive cfr. G. Baioni, «Appunti sulla Urpflanze», in «Annali di Ca’ Foscari»,

    XXIII

    2, 1984, pp. 15-28.

    5

    ha

    , vol.

    XIII

    , p. 64.

    6

    ha

    , vol.

    VI

    , p. 274.

    7 Ivi, p. 638.

    8 Cfr. il saggio «Il disordine del tempo nelle Affinità elettive», in S. Barbera, Goethe e il disordine. Una filosofia dell’immaginazione, Venezia, Marsilio, 1990, pp. 39-109.

    9

    ha

    , vol.

    VI

    , p. 417.

    10 Ivi, p. 426.

    11 Ivi, p. 287.

    12 Ivi, p. 431.

    13 Ivi, p. 419.

    14 Cfr. ad esempio G. Morpurgo Tagliabue, «Goethe e Rousseau e la doppia Entsagung», in

    ID

    ., Goethe e il romanzo, Torino, Einaudi, 1991, pp. 65-117.

    15

    ha

    , vol.

    VI

    , p. 417.

    Parte prima

    Capitolo primo

    Eduard – così chiameremo un ricco barone nel fiore degli anni – Eduard aveva trascorso l’ora più bella di un pomeriggio d’aprile nel suo vivaio, per innestare su dei giovani tronchi certi ramoscelli da poco ricevuti. Il lavoro era appena terminato; aveva riposto gli attrezzi nella custodia e considerava con soddisfazione il suo operato, quando si avvicinò il giardiniere che si compiacque della zelante collaborazione del signore.

    «Non hai veduto mia moglie?», domandò Eduard accingendosi a proseguire il cammino.

    «Di là, nei nuovi edifici», rispose il giardiniere. «Oggi sarà terminata la capanna di muschio che ha fatto costruire presso la parete di roccia, di fronte al castello. È venuto tutto molto bene e di certo piacerà a Vostra Grazia. C’è una vista magnifica: sotto, il villaggio, un po’ a destra la chiesa, il cui campanile quasi si oltrepassa con lo sguardo; davanti, il castello e i giardini».

    «Verissimo», disse Eduard, «a pochi passi da qui potevo vedere gli uomini lavorare».

    «Poi», seguitò il giardiniere, «a destra si apre la valle e, al di là dei ricchi prati alberati, si guarda in una limpida lontananza. Il sentiero che risale le rupi è tracciato assai gradevolmente. La graziosa signora se ne intende; ai suoi comandi si lavora con piacere».

    «Va’ da lei», disse Eduard, «e pregala di aspettarmi. Dille che desidero vedere la nuova creazione e rallegrarmene».

    Il giardiniere si allontanò in fretta e Eduard lo seguì poco dopo.

    Discese lungo le terrazze, osservò, passando, serre e aiuole per la riproduzione, finché giunse all’acqua e, attraverso un ponticello, al luogo in cui il sentiero diretto ai nuovi edifici si biforcava. Tralasciò il ramo che, passando oltre il cimitero, andava quasi diritto verso la parete di roccia, per imboccare l’altro che, a sinistra, saliva per un po’ girando lievemente attraverso un ameno sottobosco; nel luogo in cui i due rami si incontravano, Eduard sedette per un istante su un’opportuna panchina, quindi intraprese la salita vera e propria e attraverso ogni sorta di scale e pianerottoli posti sullo stretto sentiero, ora più ora meno ripido, si vide condotto infine alla capanna di muschio.

    Sulla soglia Charlotte accolse il marito e lo fece sedere in modo da permettergli di abbracciare in un solo sguardo, attraverso la porta e la finestra, i diversi quadri che componevano il paesaggio, quasi come in una cornice. Eduard se ne compiacque, e sperò che la primavera presto rendesse ancor più viva ogni cosa. «Ho solo un’osservazione da fare», soggiunse, «la capanna mi sembra un po’ troppo piccola».

    «Per noi due è grande abbastanza», rispose Charlotte.

    «Ma certo», disse Eduard, «c’è spazio anche per un terzo».

    «Perché no?», disse Charlotte. «E anche per un quarto. Per una compagnia più numerosa prepareremo altri luoghi».

    «Giacché siamo qui soli e indisturbati, e d’animo tranquillo e sereno», disse Eduard, «devo confessarti di aver già da qualche tempo qualcosa sul cuore che devo e voglio confessarti, ma non mi riesce».

    «Avevo notato qualcosa in te», rispose Charlotte.

    «E voglio anche confessare», seguitò Eduard, «che se il messo postale di domani mattina non impellesse, se non dovessimo decidere già oggi, forse avrei taciuto ancora più a lungo».

    «Di che si tratta, dunque?», chiese Charlotte incoraggiandolo affettuosamente.

    «Si tratta del nostro amico, il capitano», rispose Eduard. «Tu conosci la triste situazione in cui si trova, come tanti altri, senza averne colpa. Quanto dev’essere doloroso per un uomo della sua cultura, del suo talento e della sua abilità, vedersi messo fuori attività e… ma non voglio nascondere più a lungo quel che desidero per lui: vorrei che fosse ospite da noi per qualche tempo».

    «È una cosa su cui bisogna riflettere bene e considerare sotto più di un aspetto», rispose Charlotte.

    «Sono pronto a esporti il mio parere», replicò Eduard. «Nella sua ultima lettera domina una sommessa espressione di profondo malumore; non che gli manchi alcunché di necessario: sa limitarsi perfettamente e all’indispensabile ho provveduto io; né gli pesa accettare qualcosa da me: per tutta la vita siamo stati a tal punto debitori l’uno all’altro che non sappiamo calcolare quale sia il rapporto tra i debiti e i crediti… l’essere inattivo, questo è il suo vero tormento. Il suo esclusivo piacere, anzi, la sua passione è impiegare a vantaggio degli altri, ogni giorno e ogni ora, le molteplici capacità che ha perfezionate in sé. E adesso lo starsene con le mani in mano o il continuare a studiare per procurarsi altre abilità quando non può utilizzare quanto possiede in sommo grado… insomma, cara bambina, è una condizione penosa il cui tormento egli, nella sua solitudine, sente duplicato e triplicato».

    «Ma io pensavo», disse Charlotte, «che avesse ricevuto offerte da diverse parti. Io stessa avevo scritto per lui a diversi amici e amiche intraprendenti e, a quel che ne so, anche questo non fu senza conseguenze».

    «Verissimo», rispose Eduard, «ma anche queste diverse occasioni, queste offerte, gli procurano nuovo tormento, nuova inquietudine. Nessuna di quelle situazioni è adatta a lui. Non dovrebbe agire; dovrebbe sacrificarsi, sacrificare il suo tempo, le sue idee, il suo modo d’essere, e questo gli è impossibile. Quanto più considero tutto questo, quanto più lo sento, tanto più vivo diventa il desiderio di vederlo qui da noi».

    «È molto bello e gentile da parte tua», disse Charlotte, «considerare la situazione dell’amico con tanta partecipazione; ma mi permetto di esortarti a pensare anche a te, a noi».

    «L’ho fatto», rispose Eduard. «Dalla sua vicinanza possiamo riprometterci solo vantaggi e piacere. Non voglio parlare della spesa, che in ogni caso, qualora egli si trasferisca da noi, sarà per me minima; e, al contempo, penso che la sua presenza non ci procurerà il minimo disagio. Potrà vivere nell’ala destra del castello, e tutto il resto verrà da sé. Quanto non si farebbe per lui in questo modo, e quale piacere verrebbe a noi dalla sua frequentazione, quanti vantaggi! Da tempo desideravo una misurazione del fondo e dei dintorni; se ne occuperà e la dirigerà lui. La tua intenzione, in futuro, non appena siano trascorsi gli anni delle attuali concessioni, è quella di amministrare da te stessa i terreni. Quant’è pericolosa una simile impresa! E quante nozioni preliminari non ci potrà procurare! Mi accorgo fin troppo di quanto mi manchi un uomo di questo genere. I contadini hanno le giuste nozioni; ma le loro spiegazioni sono confuse e insincere. I diplomati che vengono dalla città e dalle accademie certo sono chiari e onesti; ma manca loro la nozione immediata dell’oggetto. Dall’amico posso aspettarmi l’una e l’altra cosa; e poi discendono da tutto ciò cento altre circostanze che mi fa piacere immaginare abbiano a che fare anche con te e dalle quali mi attendo ogni bene. Ti ringrazio, dunque, di avermi ascoltato benevolmente; ma ora parla tu, in tutta libertà e in modo circostanziato, e dimmi tutto ciò che hai da dire, io non ti interromperò».

    «Molto bene», rispose Charlotte, «comincerò allora con un’osservazione di carattere generale. Gli uomini pensano più al dettaglio, al presente, e a buon diritto poiché sono chiamati a fare, ad agire; le donne, invece, pensano più a ciò che nella vita si trova in reciproca connessione, e con egual diritto poiché il loro destino, il destino delle loro famiglie, è legato a tali connessioni e la loro coerenza è da esse favorita. Gettiamo perciò uno sguardo sulla nostra vita presente e su quella passata, e converrai con me che l’invito del capitano non si accorda in tutto e per tutto con i nostri propositi, con i nostri piani, con le nostre disposizioni.

    E quanto mi piace ricordare i nostri primi rapporti! Da giovani ci amavamo con tutto il cuore; fummo separati: tu da me, perché tuo padre, per insaziabile brama di possesso, ti congiunse a una donna ricca e alquanto più vecchia; io da te, perché, senza speciali prospettive, dovetti concedere la mia mano a un uomo benestante, non amato ma onorato. Tornammo liberi; tu per primo, mentre la tua manimetta ti lasciava proprietario di un vasto patrimonio; io più tardi, proprio all’epoca in cui tu tornavi dai tuoi viaggi. Così ci ritrovammo. Gioivamo del ricordo, amavamo il ricordo, potevamo vivere insieme indisturbati. Tu insistesti per un’unione; io non accondiscesi subito: poiché avendo noi quasi la stessa età io, come donna, ero invecchiata, tu, come uomo, no. Da ultimo non volli negarti ciò che sembravi considerare la tua unica felicità. Volevi ristorarti al mio fianco di tutte le traversie patite a corte, nell’esercito, nel corso dei viaggi, volevi pensare a te stesso, volevi godere la vita; ma anche questo, soltanto con me. Misi la mia unica figlia in collegio, dove certamente riceve un’educazione più varia di quanto non sarebbe potuto accadere in un luogo di campagna; e non solo lei, vi misi anche Ottilie, la mia cara nipote, che forse, sotto la mia guida, sarebbe cresciuta nel migliore dei modi come aiutante di casa. Tutto questo avvenne, col tuo assenso, al solo scopo di vivere per noi stessi, di godere finalmente indisturbati della felicità tanto struggentemente bramata un tempo e tardi raggiunta. Così iniziammo la nostra vita in campagna. Io mi incaricai dell’amministrazione interna, tu di quella esterna e dell’andamento generale delle cose. La mia disposizione è a venirti incontro in tutto, a vivere per te solo; proviamo almeno per qualche tempo, fino a che punto possiamo bastare a noi stessi in questo modo».

    «Poiché ciò che si connette, come tu dici, è propriamente il vostro elemento», disse Eduard, «certo non bisogna sentirvi parlar di filato, oppure bisogna risolversi a darvi ragione, e di ragione, fino a oggi, ne hai. Le fondamenta che sin qui abbiamo dato alla nostra esistenza sono buone; ma non dobbiamo costruirvi sopra nulla e nulla deve più prodursi da esse? Quel che io realizzo nel giardino e tu nel parco dev’essere fatto solo per degli eremiti?»

    «Giustissimo!», rispose Charlotte. «Molto bene! Ma non facciamoci entrare nulla che sia d’ostacolo o estraneo. Pensa che i nostri propositi, anche per ciò che riguarda gli intrattenimenti, hanno in un certo senso a che fare solo col nostro reciproco stare insieme. Per prima cosa volevi sottopormi i diari dei tuoi viaggi in successione cronologica, con l’occasione mettere in ordine diverse altre carte che a essi si riferiscono e, con la mia collaborazione, col mio aiuto, mettere insieme da quegli inestimabili ma confusi quaderni e fogli un tutto dilettevole per noi e per gli altri. Io promisi di aiutarti nella copiatura, e immaginammo che dovesse essere così piacevole, così gradevole, così intimo attraversare col ricordo il mondo che non avremmo visto insieme. Anzi, abbiamo già iniziato. Poi, la sera, hai ripreso il tuo flauto e mi accompagni al cembalo; né ci mancano le visite dei vicini e ai vicini. Con tutto questo io, almeno, mi sono costruita la prima estate veramente lieta che abbia mai pensato di godere in vita mia».

    «Se solo non tornassi sempre a pensare», disse Eduard, passandosi una mano sulla fronte, «mentre tu mi ripeti tutto questo, amorosa e ragionevole, che la presenza del capitano non turberebbe nulla, ma piuttosto accelererebbe e ravviverebbe ogni cosa. Anch’egli ha partecipato ad alcuni dei miei viaggi; e ha annotato molte cose, ma da un punto di vista diverso: utilizzeremmo tutto insieme e solo allora ne verrebbe fuori un bell’insieme».

    «Lascia allora che ti confessi sinceramente», replicò Charlotte con una certa impazienza, «che questo proposito contraddice alla mia sensibilità, che un presentimento non mi fa presagire nulla di buono».

    «A questo modo voi donne sareste proprio invincibili», disse Eduard, «dapprima così ragionevoli che non vi si può contraddire, così amabili che vi si cede volentieri, così sensibili che non vi si può far male, così presaghe da metter paura».

    «Io non sono superstiziosa», disse Charlotte, «e non concedo nulla a questi oscuri impulsi, se tali soltanto essi sono; ma per lo più sono inconsapevoli ricordi di conseguenze fauste e infauste, sperimentate in occasione di azioni nostre o altrui. Nulla è più importante, in ogni circostanza, che il sopraggiungere di un terzo. Ho visto amici, fratelli, amanti, sposi, i cui rapporti sono completamente mutati, la cui situazione si è completamente capovolta, per l’intervento casuale o voluto di una nuova persona».

    «Questo può ben succedere», disse Eduard, «a quegli uomini che vivono ignari di sé, non a quelli che, illuminati dall’esperienza, sono più consapevoli di se stessi».

    «La coscienza, mio adorato», rispose Charlotte, «non è un’arma sufficiente e, anzi, talvolta è pericolosa per colui che l’adopera; e da tutto questo si deduce almeno che non dobbiamo affrettarci. Concedimi ancora qualche giorno, non decidere!».

    «Per come stanno le cose», rispose Eduard, «ci affretteremmo sempre, anche dopo molti giorni. Ci siamo esposti reciprocamente le ragioni a favore e contro; si tratta di decidere e, veramente, il meglio sarebbe di lasciarlo fare alla sorte».

    «So», rispose Charlotte, «che in casi dubbi scommetti volentieri o tiri i dadi; in un caso così serio lo considererei un sacrilegio».

    «Ma cosa dovrò scrivere al capitano?», esclamò Eduard. «Perché lo devo fare subito».

    «Una lettera pacata, ragionevole, consolatrice», disse Charlotte.

    «Il che equivale a non scrivere», replicò Eduard.

    «E tuttavia, in certi casi», rispose Charlotte, «è necessario e affettuoso scrivere di nulla piuttosto che non scrivere nulla».

    Capitolo secondo

    Eduard si trovava solo nella sua stanza, e veramente la rievocazione delle vicende della sua vita per bocca di Charlotte, il ricordo della loro condizione, dei loro propositi, avevano piacevolmente emozionato il suo animo fervido. Vicino a lei, in sua compagnia, egli si era sentito così felice, da pensar di scrivere al capitano una lettera affettuosa, partecipe, ma pacata e senza alcun cenno d’assenso. Tuttavia, quando si fu recato allo scrittoio ed ebbe preso la lettera dell’amico per leggerla ancora una volta, la triste condizione di quell’uomo eccellente gli si ripresentò immediatamente; tutte le sensazioni che gli avevano angustiato quei giorni si risvegliarono e gli parve impossibile abbandonare il suo amico a una così angosciosa situazione.

    Eduard non era abituato a rifiutarsi qualcosa. Fin dalla giovinezza, figlio unico e viziato di ricchi genitori che avevano saputo persuaderlo a uno strano ma vantaggiosissimo matrimonio con una donna molto più vecchia, che pure l’aveva vezzeggiato in tutti i modi, cercando di ricambiare il buon comportamento nei suoi confronti con la massima generosità, padrone, poi, di se stesso dopo la precoce morte di costei, viaggiatore indipendente, capace di ogni cambiamento e di ogni mutamento, mai eccessivo nei suoi desideri, ma desideroso di molte e disparate cose, franco, benefico, coraggioso e, anzi, all’occasione valoroso… cosa al mondo poteva opporsi ai suoi desideri?

    Fino ad allora tutto era andato secondo il suo genio, era giunto anche a possedere Charlotte che aveva infine conquistato con una fedeltà ostinata e addirittura romanzesca; e ora si sentiva per la prima volta contraddetto, per la prima volta impedito, proprio quando voleva chiamare a sé l’amico di gioventù, quando, per così dire, voleva conchiudere tutta la sua esistenza. Era seccato, impaziente, impugnò più volte la penna e la posò perché non riusciva ad accordarsi con se stesso sul cosa scrivere. Contro i desideri di sua moglie non voleva andare, assecondarli non poteva; inquieto com’era, gli sarebbe stato del tutto impossibile scrivere una lettera pacata. La cosa più naturale era cercar di differire. Con poche parole pregò il suo amico di perdonarlo perché non gli aveva scritto in quei giorni e non gli avrebbe scritto esaurientemente oggi, e gli promise al più presto una lettera più importante e tranquillizzante.

    Il giorno dopo Charlotte, durante una passeggiata al medesimo luogo, colse l’occasione per riprendere il filo del colloquio, convinta, forse, che non vi fosse modo più sicuro per troncare un proposito, che discuterlo frequentemente.

    Eduard si auspicava quella ripresa. Si espresse, alla sua maniera, con affabilità e cortesia: poiché se egli, sensibile com’era, prendeva fuoco facilmente quando la vivacità dei suoi desideri si faceva pressante, se la sua ostinazione poteva renderlo impaziente, pure tutte le sue espressioni erano addolcite in tal modo da un totale riguardo per gli altri, che si era costretti a trovarlo sempre amabile anche quando riusciva molesto.

    A questa maniera, quella mattina, egli mise dapprima Charlotte di ottimo umore, poi con discorsi suadenti la sconcertò del tutto, sicché, alla fine, ella esclamò: «Tu vuoi proprio che io conceda all’amante quel che ho rifiutato al marito».

    «Almeno, mio caro», proseguì, «devi constatare che i tuoi desideri, l’amabile vivacità con cui li esprimi, non mi lasciano indifferente né insensibile. E mi costringono a una confessione. Anch’io ti ho nascosto qualcosa fino ad ora. Mi trovo in una situazione analoga alla tua e ho già esercitato su me stessa quella medesima violenza che mi aspetto ora da te».

    «Mi fa piacere sentirlo», disse Eduard, «noto che nel matrimonio è necessario, talvolta, litigare, perché così si apprende qualcosa l’uno dell’altro».

    «Devi sapere, dunque», disse Charlotte, «che a me accade con Ottilie la stessa cosa che accade a te col capitano. Mi spiace moltissimo sapere quella cara bambina in un collegio, dove si trova in una situazione molto opprimente. Se Luciane, mia figlia, che è nata per il mondo, là si educa a esso e riceve insegnamenti di lingua, di storia e quant’altro, e suona a prima vista pezzi e variazioni; se con la sua natura vivace e la sua felice memoria, si potrebbe dire, dimentica tutto e si ricorda di tutto all’istante; se per libertà di contegno, grazia nella danza e garbata facilità di conversazione si distingue su tutte e la sua innata essenza dominatrice la rende regina della ristretta cerchia; se la direttrice dell’istituto la considera una piccola divinità che solo ora, sotto le sue mani, prospera veramente, le farà onore, ispirerà fiducia e procurerà l’afflusso di altre giovani; se le sue lettere e i rendiconti mensili sono sempre e solo inni all’eccellenza di una simile figlia che io so ben tradurre nella mia prosa, per contro quello che mi dice di Ottilie sono solo scuse su scuse per il fatto che una fanciulla la quale, tra l’altro, cresce così bella non si sviluppa e non vuole mostrare alcuna capacità e alcuna abilità. Il poco che ancora aggiunge – anche quello – non è per me un enigma, poiché nella cara bambina rivedo tutto il carattere di sua madre, la mia preziosa amica, che è cresciuta accanto a me e la cui figlia, qualora potessi esserne l’educatrice o la tutrice, vorrei far diventare una stupenda creatura.

    Poiché però non rientra nei nostri piani, e non si dovrebbero tirare e stiracchiare troppo le condizioni della propria vita, né introdurre sempre in esse qualcosa di nuovo, piuttosto sopporto, e supero anche la spiacevole sensazione che provo quando mia figlia, che sa bene quanto completamente la povera Ottilie dipenda da noi, fa uso spavaldamente nei suoi confronti dei suoi privilegi distruggendo così, in una certa misura, la nostra benevolenza.

    Ma chi è così ben educato da non far valere contro gli altri, talvolta in modo terribile, i propri privilegi? Chi occupa una posizione così alta da non dover soffrire a volte la medesima pressione? Queste prove accrescono il valore di Ottilie; ma da quando mi sono resa chiaramente conto della penosa situazione, mi sono data da fare per trovarle posto altrove. Da un’ora all’altra dovrebbe giungermi una risposta, e allora non esiterò più. Questa è la situazione in cui mi trovo, mio caro. Come vedi portiamo entrambi le stesse pene in un fedele cuore di amici. Sopportiamole insieme dal momento che non si eliminano l’una con l’altra».

    «Siamo esseri strani», disse Eduard sorridendo. «Non appena possiamo allontanare da noi un qualcosa che ci dà pena, crediamo già di averlo risolto. Nell’insieme possiamo sacrificare molte cose, ma il concederci nella singola circostanza è un’esigenza per la quale raramente siamo maturi abbastanza. Così era mia madre. Per tutto il tempo in cui io, da bambino o da ragazzo, vissi presso di lei, non riuscì mai a sottrarsi alle preoccupazioni del momento. Se mi attardavo facendo una cavalcata doveva essermi successa una disgrazia; se un acquazzone mi bagnava tutto, di certo avrei avuto la febbre. Presi a viaggiare, mi allontanai da lei e fu quasi come se non le appartenessi più.

    Se consideriamo più attentamente le cose», seguitò, «ci comportiamo entrambi in modo stolto e irresponsabile, lasciando due nobilissime nature tanto care al nostro cuore nell’ansia e nell’oppressione solo per non esporci al pericolo. Se questo non si deve chiamare egoismo, a cos’altro si vorrà dare questo nome! Prenditi Ottilie, lasciami il capitano e, in nome di Dio, facciamo il tentativo!».

    «Si potrebbe ancora osare», disse Charlotte pensierosa, «se il pericolo fosse solo per noi stessi. Ma credi tu che sarebbe consigliabile veder abitare nella stessa casa il capitano e Ottilie, un uomo che ha all’incirca i tuoi anni, anni – permettimi questa lusinga diretta e a quattr’occhi – nei quali soltanto l’uomo diventa capace d’amare e degno di essere amato, insieme a una fanciulla dei pregi di Ottilie?»

    «E tuttavia non so», disse Eduard, «come tu possa porre così in alto Ottilie! Me lo spiego soltanto pensando che abbia ereditato la tua simpatia per sua madre. È graziosa, questo è vero, e ricordo che il capitano richiamò la mia attenzione su di lei quando, un anno fa, ritornammo e la incontrammo insieme a te da tua zia. È graziosa, e in particolare ha dei begli occhi; ma non ricordo che abbia fatto su di me la minima impressione».

    «Questo è lodevole da parte tua», disse Charlotte, «giacché ero presente io; e sebbene Ottilie sia molto più giovane di me, la presenza della vecchia amica esercitò un tale fascino su di te da farti sorvolare sulla promettente bellezza in boccio. Anche questo fa parte del tuo modo d’essere, è per questo che divido tanto volentieri la vita con te».

    Charlotte, per quanto sembrasse parlare sinceramente, nascondeva qualcosa. All’epoca aveva infatti presentato intenzionalmente Eduard, appena tornato dai suoi viaggi, a Ottilie, per rivolgere a quell’amata figlia adottiva un così buon partito: a se stessa, in relazione a Eduard, non pensava ormai più. Anche il capitano era stato istigato a sollecitare l’attenzione di Eduard; ma quest’ultimo, che serbava tenacemente in cuore il suo precoce amore per Charlotte, non aveva guardato né a destra né a sinistra, ed era stato solo felice all’idea che gli fosse possibile poter finalmente partecipare di un bene così vivamente desiderato e all’apparenza per sempre negato da una serie di eventi.

    I due coniugi erano sul punto di recarsi al castello ridiscendendo i nuovi impianti, quando un servitore salì incontro a loro di corsa facendo udire già dal basso il suo riso. «Le Signorie Loro vengano, presto! Il signor Mittler è entrato al galoppo nel cortile del castello. Ha gridato a noi tutti di cercare lorsignori e di chieder loro se c’è bisogno. Se c’è bisogno, ci ha gridato dietro: capito? Ma presto, presto!».

    «Che tipo bizzarro!», esclamò Eduard. «Non capita giusto a proposito Charlotte? Torna subito indietro!», ordinò al servitore, «digli: c’è bisogno, c’è molto bisogno! Non ha che da smontare. Accudite il suo cavallo, conducetelo nel salone, mettetegli davanti una colazione; verremo subito».

    «Prendiamo la via più breve», disse a sua moglie, e imboccò il sentiero lungo il cimitero che altrimenti usava evitare. Ma come fu sorpreso di notare che, anche là, Charlotte aveva dato spazio al sentimento. Aveva saputo a tal punto disporre e ordinare tutto, rispettando al meglio gli antichi monumenti, che quello appariva un luogo piacevole sul quale l’occhio e l’immaginazione indugiavano volentieri.

    Anche alla lapide più antica era stato reso l’onore dovuto. Erano posate ritte contro il muro in ordine di data, incastonate o applicate in altro modo; pure l’alto zoccolo della chiesa ne risultava variegato e adorno. Quando entrò dalla piccola porta Eduard si sentì singolarmente sorpreso; strinse la mano a Charlotte e una lacrima gli brillò nell’occhio.

    Ma l’ospite bizzarro la scacciò subito. Questi non aveva saputo trovar pace al castello, aveva cavalcato a spron battuto, attraverso il villaggio, fino al portone del cortile della chiesa, qui si era fermato e aveva gridato ai suoi amici: «Non mi avrete mica preso in giro? Se c’è veramente bisogno, resterò qui a pranzo. Ma non mi trattenete: oggi ho ancora molto da fare».

    «Giacché vi siete dato tanta pena», gli gridò incontro Eduard, «venite dentro col cavallo, ci incontriamo in un luogo grave, ma guardate come Charlotte ha abbellito questa desolazione».

    «Qui dentro», esclamò il cavaliere, «non entro né a cavallo, né in carrozza, né a piedi. Quelli là riposano in pace, con loro non ho nulla a che spartire. Dovrò già sopportare che un giorno mi portino qui con i piedi in avanti. Dunque, sul serio?»

    «Sì», disse Charlotte, «proprio sul serio! È la prima volta che noi, sposi novelli, ci ritroviamo confusi e in un imbarazzo dal quale non sappiamo trarci».

    «Non date quest’impressione», rispose l’altro, «ma voglio credervi. Se però mi prendete in giro, in futuro vi lascerò nei guai. Seguitemi in fretta; al mio cavallo potrà far bene il riposo».

    Ben presto i tre si ritrovarono assieme nel salone; fu servito il pranzo e Mittler raccontò quel che aveva fatto e intendeva fare in giornata. Quell’uomo singolare era stato, un tempo, sacerdote e oltre che per l’incessante attività si era distinto nel suo ufficio per la capacità di comporre e appianare tutti i conflitti, tanto quelli domestici quanto quelli di vicinato, dapprima quelli di singoli individui, poi quelli di intere comunità e numerosi proprietari terrieri. Per tutto il tempo che era rimasto in servizio nessun matrimonio si era sciolto, e i Consigli provinciali non erano stati disturbati da azioni e processi provenienti dalla sua giurisdizione. Ben presto si era reso conto di quanto gli fosse necessaria la scienza del diritto. Dedicò a essa tutto il suo studio e ben presto si sentì all’altezza del più abile avvocato. La sua sfera d’azione si ampliò straordinariamente e già si era in procinto di chiamarlo alla Residenza per fargli compiere dall’alto quel che aveva cominciato dal basso, quando ebbe una cospicua vincita alla lotteria, comprò un piccolo possedimento, lo diede in affitto e lo rese centro della sua attività, col fermo proposito, o piuttosto in onore di vecchie abitudini e inclinazioni, di non trattenersi in nessuna casa nella quale non ci fosse qualcosa da appianare e non vi fosse da portare aiuto. Coloro che credono superstiziosamente nel significato dei nomi affermano che il nome Mittler¹⁶ lo determinava a questa singolarissima vocazione.

    Quando il dessert fu servito l’invitato ammonì gravemente i suoi ospiti di non celare più oltre le loro rivelazioni, perché subito dopo il caffè doveva andar via. I due coniugi resero le loro confessioni in modo circostanziato; ma non appena ebbe afferrato il senso della cosa Mittler si alzò indispettito da tavola, corse alla finestra e diede ordine di sellare il suo cavallo.

    «O non mi conoscete», esclamò, «e non mi capite, o siete molto cattivi. Questa sarebbe una lite? Qui ci sarebbe bisogno di aiuto? Credete che io stia al mondo per dar consigli? È il mestiere più stupido che uno possa fare. Ciascuno si consigli da sé e faccia quello di cui non può fare a meno. Se tutto va bene, goda della sua saggezza e della sua fortuna; se le cose vanno male, allora ci sono io. Chi vuole liberarsi di un male sa sempre quello che vuole; chi vuole qualcosa di meglio di quel che ha è completamente cieco… Sì, sì! Ridete pure… Gioca a mosca cieca, magari acchiappa qualcosa; ma cosa? Fate quello che volete: è indifferente! Prendete con voi i vostri amici, lasciateli stare: è tutto uguale! Ho visto fallire le cose più ragionevoli e riuscire quelle più insulse. Non vi rompete la testa, e se in un modo o nell’altro le cose andranno male, non ve la rompete lo stesso. Fatemi pure chiamare e io vi presterò aiuto. Fino ad allora, servitor vostro!».

    E così balzò a cavallo senza aspettare il caffè.

    «Vedi», disse Charlotte, «quanto poco sia utile un terzo quando tra due persone molto unite non vi sia completo accordo. Adesso, se possibile, siamo ancora più confusi e incerti di prima».

    I due coniugi avrebbero probabilmente esitato ancora un po’ se in risposta all’ultima lettera di Eduard non ne fosse giunta una del capitano. Si era deciso ad accettare uno dei posti che gli erano stati offerti sebbene non fosse affatto adatto a lui. Doveva condividere la noia con gente ricca e distinta la quale confidava nel fatto che egli sapesse distrarla.

    Eduard comprese molto chiaramente la situazione e la dipinse anche in modo assai incisivo. «Vogliamo sapere il nostro amico in uno stato simile?», esclamò. «Non puoi essere così crudele, Charlotte!».

    «Quello strano uomo, il nostro Mittler», disse Charlotte, «ha ragione, in fondo. Ogni impresa come questa è un azzardo. Non c’è uomo che sappia in anticipo cosa potrà venirne. Queste nuove situazioni possono essere latrici di fortuna e sfortuna, senza che ci possano essere attribuiti meriti o colpe particolari. Io non mi sento forte abbastanza da resisterti ancora. Facciamo il tentativo. Di un’unica cosa ti prego: che sia soltanto per breve tempo. Permettimi di impegnarmi in suo favore ancor più attivamente di quanto sia accaduto finora, e di utilizzare assiduamente la mia influenza, di mettere in moto le mie relazioni per procurargli un posto che possa dargli opportuna soddisfazione».

    Eduard rassicurò sua moglie con affettuosissime manifestazioni della più viva gratitudine. Corse poi, con animo libero e lieto, a fare al suo amico proposte scritte. Charlotte dovette aggiungere di suo pugno, in un post scriptum, la sua approvazione e unire le sue amichevoli preghiere a quelle di Eduard. Scrisse con fare spigliato, amabile e cortese, ma con una sorta di fretta altrimenti insolita in lei; e da ultimo, cosa che non le capitava facilmente, rovinò la carta con una macchia d’inchiostro che la fece irritare e che diventò solo più grande quando cercò di cancellarla.

    Eduard ci scherzò su, e poiché c’era ancora spazio aggiunse un secondo poscritto: l’amico doveva capire da quel segno con quale impazienza fosse atteso e conformare la sollecitudine del suo viaggio alla fretta con cui la lettera era scritta.

    Il messo era partito e Eduard credette di non poter esprimere la sua gratitudine in modo più convincente che insistendo più e più volte sul fatto che Charlotte doveva subito ritirare Ottilie dal collegio.

    Charlotte lo pregò di rinviare e quella sera seppe destare in Eduard la voglia di un intrattenimento musicale. Charlotte suonava molto bene il cembalo; Eduard non altrettanto bene il flauto: infatti, benché di tanto in tanto vi avesse dedicato molto zelo, non aveva avuto in dono la pazienza, la tenacia necessarie al perfezionamento di un simile talento. Eseguiva perciò la sua parte in modo molto ineguale, bene in alcuni passaggi, forse soltanto troppo rapidamente; su altri però si arrestava perché non gli erano sufficientemente noti, sicché sarebbe stato difficile per chiunque altro portare a termine un duetto con lui. Charlotte però ci si sapeva raccapezzare; si fermava e si lasciava nuovamente trascinar via da lui, assolvendo così al duplice ruolo di un buon direttore d’orchestra e di una saggia donna di casa, che nell’insieme sanno sempre conservare la misura sebbene non sempre i singoli passaggi vadano al tempo giusto.

    Capitolo terzo

    Il capitano arrivò. In precedenza aveva inviato una lettera molto ragionevole che aveva completamente tranquillizzato Charlotte. Tanta sincerità su se stesso, tanta chiarezza sul suo stato attuale e su quello dei suoi amici rendeva le prospettive liete e serene.

    Le conversazioni delle prime ore, come suole accadere tra amici che non si vedono per lungo tempo, furono vivaci e, quasi, estenuanti. Verso sera Charlotte dispose una passeggiata ai nuovi edifici. Il capitano si compiacque molto del posto e notò tutte quelle bellezze che si potevano vedere e godere solo ora, grazie alle nuove strade. Aveva l’occhio esercitato ma capace di accontentarsi; e sebbene capisse subito molto bene cosa ancora si potesse desiderare non mise di cattivo umore, come spesso succede, le persone che lo conducevano attraverso i loro possedimenti, esigendo più di quanto le circostanze non permettessero o, magari, ricordando un qualcosa di più perfetto visto altrove.

    Quando giunsero alla capanna di muschio la trovarono adornata in modo vivacissimo di semplici fiori artificiali e sempreverdi, tra i quali però erano disposti così bei mazzolini di vere spighe di grano e altri frutti d’albero e di campo da far onore al senso artistico di chi li aveva sistemati. «Sebbene mio marito non ami che si celebrino i compleanni o gli onomastici, pure non si arrabbierà per aver io dedicato oggi, a una triplice festa, queste poche ghirlande».

    «Triplice?», esclamò Eduard. «Certo!», rispose Charlotte. «L’arrivo del nostro amico lo consideriamo senz’altro una festa; e poi voi due non avete pensato che oggi è il vostro onomastico. Non vi chiamate forse entrambi Otto?».

    I due amici si diedero la mano al di sopra del piccolo tavolo. «Mi fai ricordare», disse Eduard, «questo episodio della nostra amicizia giovanile. Da bambini ci chiamavamo così tutti e due; ma quando andammo a vivere insieme in collegio ne nacque qualche confusione, sicché gli cedetti volentieri questo bel nome laconico».

    «Nella qual cosa non fosti poi troppo generoso», disse il capitano. «Ricordo infatti benissimo che preferivi il nome Eduard, giacché, pronunciato da labbra gradevoli, suona particolarmente bene».

    I tre sedevano ora intorno allo stesso tavolino presso il quale Charlotte si era espressa con tanto ardore contro la venuta dell’ospite. Eduard, nella sua contentezza, non voleva ricordare quel momento a sua moglie; e tuttavia non si trattenne dal dire: «Ci sarebbe ancora abbastanza posto per un quarto».

    In quell’istante si udirono corni da caccia provenire dal castello che, per così dire, confermavano e rafforzavano i buoni sentimenti e gli auspici degli amici riuniti. Ascoltarono in silenzio, mentre ognuno si raccoglieva in se stesso e in quella bella unione sentiva doppiamente la sua felicità.

    Eduard ruppe per primo il silenzio, alzandosi e uscendo fuori dalla capanna. «Conduciamo l’amico proprio in cima all’altura», disse a Charlotte, «perché non creda che questa valle circoscritta sia il nostro solo retaggio e la nostra sola dimora; di lassù la vista è più libera e il petto si allarga».

    «Ancora per questa volta», disse Charlotte, «dovremo arrampicarci per il vecchio sentiero un po’ faticoso; ma spero che presto le mie scalette e i miei gradini condurranno più comodamente fino in cima».

    Si giunse così, attraverso rupi, arbusti e cespugli all’ultima altura, che in verità non formava un piano, ma una fila di floridi dossi. Villaggio e castello, dietro, non si vedevano più. In basso si scorgevano ampi stagni; più oltre colline erbose fino alle quali quegli stagni si protendevano; ripide rocce verticali delimitavano nettamente, infine, l’ultimo specchio d’acqua e riflettevano sulla sua superficie le loro forme imponenti. Là nella gola, dove un torrente impetuoso scendeva negli stagni c’era, mezzo nascosto, un mulino che coi suoi dintorni appariva come un ameno luogo di pace. All’interno del semicerchio che si abbracciava con lo sguardo si alternavano, variopinti, alture e avvallamenti, boschetti e foreste, il cui primo verde prometteva per il futuro una vista ricchissima. In alcuni punti anche singoli gruppi arborei attiravano lo sguardo. In particolare, ai piedi degli amici in contemplazione, vicina alla riva dello stagno centrale, una massa di pioppi e di platani si distingueva per la sua bellezza. Si levava alta, giovane e sana, nel suo massimo rigoglio, protendendosi lateralmente.

    Eduard richiamò particolarmente su quegli alberi l’attenzione dei suoi amici. «Quelli», esclamò, «li ho piantati io stesso da ragazzo. Erano tronchi giovani che salvai quando mio padre, impiantando una nuova parte del grande parco del castello, li fece sradicare a mezza estate. Senza dubbio anche quest’anno si mostreranno grati con nuovi germogli».

    Tornarono indietro contenti e sereni. All’ospite fu assegnato un ampio e gradevole alloggiamento nell’ala destra del castello, nel quale sistemò e ordinò ben presto libri, carte e strumenti per proseguire la sua attività abituale. Ma nei primi giorni Eduard non gli diede requie; lo condusse in giro dappertutto ora a piedi, ora a cavallo, e gli fece conoscere i dintorni e i terreni; al tempo stesso gli comunicò il desiderio, che da lungo tempo nutriva, di conoscer meglio e meglio sfruttare i terreni stessi.

    «La prima cosa da fare», disse il capitano, «sarebbe una pianta della località con l’ago magnetico. È una cosa semplice e divertente, e sebbene non offra la massima precisione è pur sempre utile e soddisfacente per iniziare; inoltre si può realizzare senza grandi aiuti e si sa con certezza che la si finirà. Se poi dovessi pensare a una misurazione più precisa, anche per quella si troverà il modo».

    Il capitano era molto esperto in questo genere di rilevamenti. Aveva portato con sé gli attrezzi necessari e cominciò subito. Diede istruzioni a Eduard, ad alcuni cacciatori e a dei contadini che avrebbero dovuto aiutarlo nel lavoro. Le giornate erano favorevoli; trascorse le sere e le prime ore del mattino disegnando e campendo le ombre. Ben presto punti luce e isofote vennero tracciati e Eduard vide i suoi possedimenti venir fuori dalla carta in tutta evidenza, come una nuova creazione. Credette di cominciare a conoscerli solo ora; gli parve che ora soltanto gli appartenessero veramente.

    Si diede l’occasione di parlare del luogo e degli edifici che, sulla base di una simile veduta complessiva, si sarebbero eseguiti assai meglio che non attraverso singole e isolate impressioni dal vero.

    «Dovremo spiegarlo a mia moglie», disse Eduard.

    «Non farlo!», disse il capitano che non contrastava volentieri le convinzioni degli altri con le proprie e che aveva imparato dall’esperienza come le opinioni delle persone fossero troppo varie per poter essere ridotte a un solo denominatore anche dalle considerazioni più ragionevoli. «Non farlo!», esclamò. «Potrebbe facilmente inquietarla. A lei, come a tutti coloro che si occupano di queste cose solo per diletto, preme più fare qualcosa che non che qualcosa sia fatto. Si saggia la natura, si preferisce questo o quel posticino; non si osa eliminare questo o quell’ostacolo, non si è audaci abbastanza da sacrificare qualcosa; non si è capaci di immaginare in anticipo quel che nascerà, si prova, riesce, non riesce, si cambia quel che magari si poteva lasciar stare, si lascia quel che si doveva cambiare, e così resta alla fine sempre un lavoro frammentario che piace e stimola, ma non soddisfa».

    «Ammettilo francamente», disse Eduard, «tu non sei soddisfatto dei suoi edifici».

    «Se l’esecuzione corrispondesse pienamente al pensiero, che è molto buono, non ci sarebbe nulla da eccepire. Si è sforzata dandosi gran pena su per le rocce e ora tormenta, se mi permetti, tutti quelli che fa salire. Non si cammina con una qualche libertà né affiancati né in fila. Il ritmo del passo viene interrotto a ogni istante; e quante altre cose si potrebbero obiettare».

    «Ma sarebbe stato facile fare altrimenti?», chiese Eduard.

    «Facilissimo», rispose il capitano, «avrebbe solo dovuto rompere quell’angolo di roccia, che per di più è inappariscente perché è composto di piccoli frammenti; in tal modo avrebbe ottenuto una bella curva arcuata per la salita oltre a pietre di riporto per murare quei punti in cui il sentiero fosse diventato stretto e tortuoso. Ma questo sia detto tra noi in strettissima confidenza: altrimenti Charlotte potrebbe irritarsi e arrabbiarsi. Inoltre conviene lasciar stare quel che è già fatto. Volendo spendere altro denaro e altra fatica ci sarebbero ancora svariate cose da fare e molte piacevolezze da realizzare dalla capanna di muschio in su e sulla cima dell’altura».

    Se dunque, al momento, i due amici avevano di che occuparsi, pure non veniva loro meno il ricordo vivido e piacevole dei giorni passati cui Charlotte usava prender parte. Ci si propose anche non appena fossero stati portati a termine i lavori più urgenti, di dedicarsi ai diari di viaggio, evocando anche in questo modo il passato.

    Peraltro Eduard aveva poco da discutere con la sola Charlotte, soprattutto da quando sentiva nel cuore il biasimo, che gli pareva ben giustificato, per i suoi lavori nel parco. A lungo Eduard tacque quel che il capitano gli aveva confidato; ma quando infine vide sua moglie nuovamente intenta a realizzare gradini e stradicciole dalla capanna di muschio alla cima dell’altura, non si trattenne più e con qualche giro di parole le fece conoscere le sue nuove vedute.

    Charlotte rimase colpita. Aveva spirito sufficiente per comprendere subito che avevano ragione; ma il già fatto li contraddiceva e ormai era stato realizzato così; lei l’aveva trovato giusto, desiderabile, e anche quel che ora criticavano le era caro in ogni singola parte; contraddisse la sua convinzione, difese la sua piccola creatura, rimproverò gli uomini che subito vanno nel grande e nello splendido, che di uno scherzo, di un passatempo vogliono subito fare un’opera e non pensano ai costi che un progetto più ampio porta senz’altro con sé. Era toccata, ferita, irritata; non poteva lasciar stare il vecchio, non poteva respingere completamente il nuovo; ma, decisa com’era, interruppe subito il lavoro e

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