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L'eroico giornalista
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E-book126 pagine1 ora

L'eroico giornalista

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Il libro racconta del DAP e di temi inerenti alla trasmissione di Massimo Giletti, non è l'arena e delle telefonate intercorse in trasmissione tra il ministro Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo. Il testo racconta della scarcerazione dei boss e purtroppo delle pessime decisioni che per colpa di qualcuno hanno reso vano il lavoro di Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Saranno proprio tre che in tre lettere aperte, inviate al governo, chiederanno spiegazioni sulla loro morte e, ringrazieranno Giletti di aver parlato dell'argomento.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2020
ISBN9788831677097
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    Anteprima del libro

    L'eroico giornalista - Giuseppina De Lorenzo

    bugia.

    Prefazione

    " Cari Politici e caro Governo,

    Mi chiamo Carlo Alberto dalla Chiesa, sono stato figlio di un generale dei Carabinieri e un padre, sono entrato nell’Arma, che ho onorato e rispettato da sempre, durante la seconda guerra mondiale e ho partecipato alla Resistenza. Ho combattuto dopo la guerra il banditismo prima in Campania e poi in Sicilia; ho indagato su Cosa Nostra e ho voluto combatterla ottenendo alcuni risultati che, come tutti ricordiamo, ho ottenuto anche con le Brigate Rosse. Nel luglio del 1982 trasmisi alla Procura di Palermo il cosiddetto rapporto dei 162. Tale rapporto, steso congiuntamente da polizia e carabinieri, ricostruiva l'organigramma delle famiglie mafiose palermitane attraverso scrupolose indagini e riscontri. A fine agosto, con una telefonata anonima fatta ai carabinieri di Palermo probabilmente, dal boss Filippo Marchese, venne annunciato per la prima volta il mio attentato dichiarando che, dopo gli ultimi omicidi di mafia, ’’l'operazione Carlo Alberto sarebbe stata quasi conclusa, dico quasi conclusa’’. Ma tutto questo non mi ha fermato, anzi, ho continuato. Alle ore 21:15 del 3 settembre 1982 arrivò ciò che da tempo già sapevo: la A112 sulla quale viaggiavo, guidata dalla mia bellissima moglie Emanuela, fu affiancata in via Isidoro Carini a Palermo da una BMW, dalla quale partirono alcune raffiche di Kalashnikov AK-47, che ci uccisero. Fu un attimo in cui io e mia moglie perdemmo la vita, la vita , la vita caro governo , quella stessa VITA CHE HO DEDICATO ALL’ARMA CON SACRIFICI E ONORE , perché vede , non è solo una divisa, è un codice Etico, è senso di giustizia e voi cari Politici, dovreste saperlo, dovreste essere il punto cardine, come lo era per l ‘agente di Polizia Domenico Russo,  la mia scorta, deceduto a Palermo il 15 settembre 1982 per le ferite riportate nel mio attacco, morto per difendermi e perché credeva fortemente nella giustizia , il quale morì dopo 12 giorni all'ospedale di Palermo a causa delle gravi ferite riportate e che , nel nome della lotta alla mafia lo rifarebbe ancora, e ancora, per dare un esempio di lotta alla mafia e di non cedimento. Perché vede, uno stato che non lotta, uno Stato che non cede dà sicurezza ai cittadini perché caro governo, di destra o di sinistra che tu sia: «La mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana» e non vorrei essere morto da UOMO INVANO. L’ho fatto per creare un mondo migliore ai posteri, e, in pochi giorni, con la scusa del Coronavirus è stato vanificato’’. Vi assicuro che non esiste posto più sicuro di un carcere di fronte ad una pestilenza o pandemia, una pena è una pena. Il virus non è un alibi. SPERO CHE ESISTANO ANCORA UOMINI SENZA PAURA E CON IL CORAGGIO, COME GILETTI, DI PARLARE DI GIUSTIZIA E, MI RINCUORA VEDERE CHE NON SONO MORTO DEL TUTTO INVANO PERCHE’ VEDE CARO GOVERNO, DA QUASSU’ VEDO E, VI GARANTISCO CHE DI MAGISTRATI, AVVOCATI, CARABINIERI E UOMINI E DONNE CHE ODIANO LA MAFIA PER FORTUNA LA BELL’ITALIA NE E’ PIENA. ’’

    In fede

    CARLO ALBERTO DALLA CHIESA

    " Cari Politici e caro Governo,

    Ho amato la bella Sicilia, il sole, il profumo del mare, perché il Sud è il Marrakech dell’Italia: sento ancora il profumo delle arance siciliane, del buon caffè, dei buoni cannoli siciliani, e anche l’odore delle sigarette di cui io e Paolo facevamo uso, per capire come districarci tra un boss e l’altro…senza troppi giri di parole ci siamo capiti, sono Giovanni, Giovanni Falcone. Ebbene sì. Ci tengo anche io a inviarvi una lettera. Non sono bravo con le parole, ma sono bravo con la legge; non sono bravo con le lettere, ma so riconoscere dove è presente e come agisce la criminalità; ho avuto mille difetti, uno di questi, credetemi, è fastidioso per molti e lo sarà per i 400 boss scarcerati, parte dei quali ho contribuito io a mandarli in carcere: ODIO LA MAFIA. Ebbene sì, signori miei, ODIO LA MAFIA. La odio con tutto me stesso. La odio fin da quando ho capito che si radica anche dentro le branchie dello Stato, e comanda pure noi. La odio perché fa paura a molti e li rende deboli. Ed è proprio per questo, caro Governo, che anche di fronte ad una pandemia, non bisognava cedere, perché vede, la mafia, usa tutte le scuse, tutti le più remote possibilità, si ricicla e si rinnova sempre e si trasforma in un nuovo prodotto e continua, continua, e continua ad accrescersi e con la violenza tenta di fare paura. Ma lo Stato non deve cedere, perché altrimenti si rende complice, e rischia di farci comandare. Vedete, ho questo enorme difetto, ma ho anche un enorme pregio: il SENSO DELLA GIUSTIZIA. E vedete, lo grido ad alta voce, perché l’Italia è fatta da uomini e donne giuste, uomini e donne che ogni giorno insegnano ai figli ciò che è giusto o sbagliato, uomini e donne che muoiono in nome della giustizia e della legge. Perché ci credono ancora. Anche io da quassù li osservo e li benedico, perché a qualcosa la mia morte è servita, non è una morte del tutto vana. Vedete miei signori, ho perso la mia vita a 53 anni, non ero giovane ma volevo anche io vivere ancora. Vede caro governo, io e Paolo abbiamo trascurato i nostri affetti, arrivando a risultati inimmaginabili come il Maxi-processo che ha portato a dure condanne di molti esponenti di Cosa Nostra. Peccato che in una Pasqua qualsiasi di un anno qualsiasi tutto è stato vanificato. La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Ma non era questa la fine che mi aspettavo, caro Governo. Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. E lo Stato purtroppo ha dato il primo segnale. Bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza. E su questo Giletti ne ha dato un grosso esempio. Nei momenti di malinconia mi sono lasciato andare a pensare al destino degli uomini d’onore: perché mai degli uomini come gli altri, alcuni dotati di autentiche qualità intellettuali, sono costretti ad inventarsi un’attività criminale per sopravvivere con dignità? Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili. Non rimpiango niente, anche se a volte ho percepito un comprensibile desiderio di tornare alla normalità: meno scorte, meno protezione, meno rigore negli spostamenti. E allora mi sono sorpreso ad aver paura delle conseguenze di un simile atteggiamento: normalità significava meno indagini, meno incisività, meno risultati. E temo che la magistratura sia  tornata alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall’altro, e alla resa dei conti, palpabile, l’inefficienza dello Stato. Vede , le dico con orgoglio che rimarrei  di nuovo, come in  quel 23 maggio 1992 quando alle 17:56, pensate , mi ricordo ancora l’ora, lo sentivo che stava per succedere, sapevo che erano gli ultimi momenti in cui sentivo l’odore della mia bella Sicilia,  all'altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo mi fanno saltare in aria, insieme a mia moglie Francesca Morvillo e tre poveri uomini  della scorta, Antonio Montanaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, anche loro qui con me morti perché per loro io ero un forte esempio di GIUSTIZIA da seguire.  Ecco, la Giustizia caro governo, non può essere per tutti, o si sta dalla parte del giustizia o si sta dalla parte della mafia. Io ho

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