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L'intricata tela di maggio
L'intricata tela di maggio
L'intricata tela di maggio
E-book421 pagine6 ore

L'intricata tela di maggio

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Info su questo ebook

La trama è complessa, vi s’intrecciano varie storie, che si ricompattano in quella principale: l’omicidio di una donna, il cui hobby era dipingere. C’è il mondo del malaffare, l’eroe brillante ma non infallibile, numerosi colpi di scena, sorprese, anche momenti di trasporto amoroso, impensabili sia per la giovane età dell’autore sia per la mentalità del tempo, in cui il racconto fu ideato e scritto.
“Erano sulla soglia:«Ora vado», Joe era ben consapevole che se la porta fosse stata aperta, non avrebbe più frenato i suoi bollori.
«Ora vado», ripeté senza riuscire a mettere in atto le sue parole. Faceva fatica a staccare la mano da quella calda di lei che lo invocava a rimanere. Si avvicinò per darle un bacio pudico, a fior di labbra.
Oh, mio Dio … quelle rotondità carnose, calde, morbide, socchiuse … quel tocco leggero … si unirono … e fu il sogno. Un colpetto al bordo e la porta si chiuse con un ‘clak’. E nulla poté calmare la frenesia. Indietreggiarono avvinghiati …”

Si era negli anni ‘60, l’autore, ancora diciassettenne, era dedito agli studi. Viveva in un piccolo paese del Sud, ricco di storia, dove la povertà si coniugava con il sacrificio, il duro lavoro e la solidarietà. Amava, come gli altri giovani, le canzoni di quegli anni - bellissime -, il calcio - che praticava da dilettante - e leggere racconti gialli, oltre ai più gettonati fumetti (Tex Willer, Black Macigno, Topolino, ecc.), molto in voga. Alla lettura, puntualmente, seguiva un confronto serrato con gli amici, animato, pieno di enfasi: quello era il suo ambiente, il suo mondo. Nella piccola comunità, il progresso faceva capolino e quei giovani, animati da buoni propositi e nuove idee, nutrivano tanta speranza nel futuro. Il vecchio, però, resisteva ancora al bussare del nuovo, nonostante il suo castello cominciasse a scricchiolare.
L’idea del racconto maturò in lui dopo uno di quei bellissimi, infiniti, a volte, inconcludenti dibattiti.
LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2020
ISBN9788835850090
L'intricata tela di maggio

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    Anteprima del libro

    L'intricata tela di maggio - Biagio Amelio

    Amelio Biagio

    L'intricata tela di maggio

    UUID: b2fb96ff-54bf-471e-b864-0ad39185a8c8

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    Premessa

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    BIOGRAFIA

    Premessa

    Cercavo fra le carte i miei ricordi, i giovanili, i dolci e i più spinosi … ecco, un quaderno: è pieno di poesie!

    Eccone un altro ... però, ne mancano altri due.

    Sono perplesso e sconcertato. Riguardo e, con frenesia, mi metto a rovistare: li desidero con tutto me stesso perché in quelli ci sono storie, ci sono amori … e quanti sogni, quante fantasie, c’è un pezzo della mia vita.

    Frugo con ansia, muovo, rigiro. No e, poi, no … ma, imperterrito, continuo il mio cercare.

    Una cartella rossa mi dà gioia e qualche chance ... il cuore inizia a battere forte, forte.

    La tiro fuori, ho gli occhi aperti, spalancati, pieni di speranza.

    Porta un titolo al centro, tracciato da una 'bic' dall'inchiostro blu: Il ragno e la ragnatela.

    Il volto mi s’illumina, spariscono le poesie, ai quaderni persi penserò dopo, lì dentro c'è quello che il tempo aveva cancellato dalla mia mente. Apro la cartella con frenesia e cupidigia …

    Quanti fogli ingialliti! Sono uno sull'altro, hanno forma e caratteristiche diverse, pure la grafia e l’inchiostro.

    É il mio giallo! Dopo 53 anni quel racconto è ancora là che mi aspetta. Quanta pazienza ha avuto! Per me è come Il ritorno del figliol prodigo.

    Sul primo foglio c’è il progetto: succintamente la trama, poi il movente, le indagini. Segue il racconto minuzioso, elaborato in più versioni! Ci sono tutte!

    C’è quella scritta a mano su fogli di protocollo a righe, quella su fogli quadrettati, l’altra - formato libro - scritta a macchina a righe strette per risparmiare carta; anche l’ultima (anzi la penultima), quella battuta a macchina dagli amici (cinque fogli da Pepè, cinque da Giovanni, da Billy, da Tonino, da mio fratello 'ricciolo', ecc.).

    Non avevo ancora 18 anni.

    Non ricordo niente del racconto. La memoria, però, mi fa vedere un ragazzotto, piegato sulla scrivania, estraniato dal mondo, preso dal pensare e dallo scrivere o mentre ne parla con gli amici e, vagamente, quella Casa Editrice di Roma che pretende una versione più lunga e qualche delitto in più … No, non ricordo la trama.

    E, allora, mi butto a capofitto e le divoro tutte quelle carte, tutte le versioni, anche gli appunti.

    E, come allora, mi ritrovo con la penna in mano o con le dita su una tastiera, staccato dal mondo, a scrivere di quella storia, inventata nel 1966.

    Elimino le ingenuità, proprie dell’età giovanile, cambio i nomi delle città perché non sono mai stato in Inghilterra, lascio il fatto, il metodo intuitivo e pratico dell’indagare dell’epoca, i nomi dei personaggi principali.

    C’è del nuovo ma l’involucro resta tutto.

    Avrei desiderato lasciare quel titolo ma, in tutti questi anni, sono stati pubblicati altri 'ragni' e altre 'ragnatele'.

    Lo dedico a me stesso e alla mia giovinezza.

    Biagio Amelio

    CAPITOLO 1

    12.5.1966: Ore 0,10

    «Perché procediamo così lentamente? Non dobbiamo sbagliare nemmeno di un secondo. E, poi, con quel tizio …», disse con tono burbero Roddy Marton;

    «Non preoccuparti. Saremo sul posto prima dell’ora prevista», era Sam, l’autista.

    «Accelera! ̵̶ replicò un terzo nervosamente ̵̶ Quest’andatura mi dà ai nervi. C’è ancora della strada da fare» e, senza smettere, spiattellò la sua «Quei due non mi sono simpatici: troppi misteri. I loro nomi? Non li conosciamo … poco importa, tanto a noi preme solo la grana, il gruzzoletto che riceveremo quando tutto sarà finito. Ci dicono solo il necessario. Null’altro. Come se rischiassero loro; invece, a fare il lavoro sporco siamo noi, noi a correre i pericoli. Questa cosa non mi piace, puzza!».

    «Tu, Charles, vedi pericoli dappertutto. Uno dei tizi, come li definite tu e Roddy, è il mio carissimo amico Alan, quindi, non c’è nulla, proprio nulla di cui preoccuparsi. Continua a dormire, che è meglio», tentò di farlo tacere Sam Janet.

    «Sarà, però a pensar male … è meglio tenere le orecchie dritte. Ricordate? L’altra sera si presentano mentre giochiamo a poker. Restano lì a guardare per un pò e, al momento giusto, ci chiedono se siamo disoccupati e se le nostre preferenze ricadono sui turni di notte. Siamo quasi ubriachi e a corto di grana e, senza rifletterci su, accettiamo: come ragionare se la testa affoga nel whisky e il cervello è tutto fumo e nebbia? Ci impegniamo senza chiedere nulla sull’affare - che dire? Il genere, il luogo - e ci imbarchiamo in quest’avventura piena d'incognite», riprese Roddy.

    «Sei polemico. Da anni lavoriamo insieme e, questa, è la prima volta che ti vedo preoccupato per un lavoro, che, in fin dei conti, conosciamo fin troppo bene», replicò Thomas.

    «L’età e l’esperienza insegnano», sentenziò con sufficienza Roddy.

    «Siamo dei ladri comuni, é vero, ma nessuno può insegnarci il mestiere; quindi, anche se questo è un bel colpo, ottima la ricompensa, non dobbiamo preoccuparci più di tanto: il rischio é quello di sempre. E, poi, è troppo tardi per ripensarci, ormai, non possiamo tirarci indietro. Comunque, lo ripeto, c’è il mio " bel Al", lui è il nostro santo protettore». Era Sam a rassicurare i suoi compari.

    «Beh, non perdiamoci in questi discorsi. Ormai siamo in ballo e dobbiamo ballare». Roddy, che era seduto comodamente di fianco a Sam, chiuse l’argomento. La verve polemica iniziale gli si era attenuata.

    «Bravo il nostro Chris, bravo ̶ rivolse l'attenzione al giovane silenzioso che se ne stava accucciato dietro l’autista con la testa poggiata all’angolo, a contatto del finestrino posteriore ̶ Dio che ragazza, amici! Te la sei spassata, eh? Proprio bella quella donna».

    «É solo un’amica. Sandie é più grande di me», rispose senza aggiungere altro quel giovane dall’aria per bene. «Anche il nome é delizioso! É più grande? Meglio. Gallina vecchia fa buon brodo!», ridacchiò Roddy, compiaciuto della propria battuta.

    «Che vecchia e vecchia! E, poi, é innamorata di un altro e ha tanti problemi». L'imbarazzato Chris, di punto in bianco diventato l’oggetto primario della conversazione, cercò d'interrompere sul nascere la sequela di commenti che stava per prendere piede.

    «Dai, dicci qualcosa, siamo tutti orecchi», insistette Roddy e si girò a guardare, con un sorrisetto ironico e compiaciuto, il volto del giovane che andava tingendosi di un lieve rossore.

    «Ho già detto troppo!». Indispettito, Chris diede un taglio a quelle chiacchiere che lo imbarazzavano.

    Il quinto personaggio dell’allegra brigata, Charles, era seduto sul sedile posteriore, fra Thomas e Chris, con la testa adagiata sulla spalla sinistra del giovane. Dopo l’intervento iniziale aveva ripreso a sonnecchiare e, ora, scocciato da quel borbottare, esplose:

    «Smettetela di belare branco di pecore!».

    «E tu, Charles, smettila di brucare nel sonno», rispose Sam.

    Uno sbuffo trattenuto li scosse, un riso nervoso, forzato, causato non tanto dalla freddura di Sam, ma dall’intimo desiderio di allentare la palese tensione che aleggiava nell’abitacolo. Il riso cessò presto e fra loro calò il silenzio.

    Nonostante le rassicurazioni di Sam, l’apprensione non era sparita, una rapina non era cosa da poco, c’era pericolo nell’azione ̵̶ eccome se c’era! ̵̶ e loro, esperti e non, ne erano consapevoli.

    Sam, l’autista, pigiò sull’acceleratore e l’auto, con un lieve sussulto, filò dritta e veloce.

    Poco dopo si fermò in uno spiazzo recintato e si collocò di fianco a un’auto, lì in attesa con le luci di posizione accese. Non appena le ruote terminarono l’ultimo giro, gli sportelli anteriori dell’auto in sosta si aprirono in contemporanea e ne scesero due uomini. Uno dei due, con incedere autoritario, si avvicinò e si curvò per parlare con Roddy il quale, quasi per riverenza, abbassò il finestrino. L’uomo non aspettò che il vetro giungesse in fondo e, quando era già a metà corsa, mise in moto la lingua:

    «Dobbiamo terminare l’operazione entro l’una», disse perentoriamente, mentre Roddy lo guardava imbambolato come se stesse ascoltando chissà quale cosa e pendesse solo da quelle labbra. «Ti ricordo che la crocetta in rosso sulla piantina indica la stanza della cassaforte. Abbiamo venti minuti, non uno in più. Prima ci sbrighiamo, comunque, meglio è. Quello è il limite massimo, poi non c’è una pur minima possibilità di farla franca. Quindi, non perdiamoci in chiacchiere».

    Fece una breve sosta e continuò: «Il nostro amico Alan ̶ indicò con la testa l’uomo tra i 30 e i 40 anni, fisicamente ben messo che se ne stava poggiato sul cofano della macchina ̶ sosterà fuori dalla gioielleria per segnalare eventuali pericoli. Ormai ci siamo, solo pochi minuti, più o meno dieci, e saremo sul posto. Sbrigatevi, ma senza avere fretta: quella è una brutta bestia. Il tempo c’è. Subito dopo ci troveremo dove stabilito. Ripeto, dal nostro arrivo, abbiamo venti minuti, un margine cospicuo per tutta l’operazione. In ogni caso, stop prima dell’una.» Il suo volto era deformato da una calzamaglia. Erano gli ultimi, spiccioli suggerimenti che facevano eco alle indicazioni già fornite in precedenza da Alan. E, per chiudere, volle rassicurarsi ancora una volta:

    «È tutto chiaro?».

    «Ok», rispose Roddy.

    Sam alzò la mano dallo sterzo per assentire, gli altri dal sedile posteriore lo fecero con la testa.

    Senza aggiungere altro, il capo spedizione con un gesto eloquente della mano diede il via. Le macchine, con il loro carico di speranze e di tensioni, presero a muoversi lentamente imboccando la strada che le portava nel luogo, dove, ben conservati, erano in attesa ori, gioielli e pietre preziose, il cui destino era segnato. Era notte e la luce era andata a farsi benedire.

    Sembrava una di quelle notti tipiche dei film western, nell’ora prescelta dal protagonista per mettere in atto le sue strategie: accingersi a far scattare qualche trappola, evadere o a mandare all’aria i piani dei cattivi. Le strade erano deserte, vuote, nessuno vi circolava. In giro non c’era neanche un cane randagio in cerca di un osso da spolpare. Non sarebbe stata una bella idea attraversarle o fare una semplice passeggiata per il rischio di cattivi incontri. Con l’aggiunta che l’ambiente smorto, gelido e senza luce avrebbe instillato, nel temerario, incertezze, timori, brividi di gelo, sensazioni tali da far rimpiangere il dolce, intimo, sicuro tepore della propria dimora. Analoga sensazione, seppure indotta dal timore e dall’incertezza del risultato, circolava in quegli uomini. L’atmosfera della notte faceva il resto. Pure quelle luci al neon, che passavano davanti ai loro occhi: non erano tante, erano distribuite qua e là, appannate, nebulose, lasciate accese solo per la pubblicità. A volte si udivano, attraverso i finestrini semi aperti, le dolci note di un pianoforte o di un violino e, in luoghi più isolati, la sordina solitaria di una tromba o la voce calda di un cantante morto di sonno. Un attimo e volavano via allo stesso modo delle voci o dei suoni di qualche programma televisivo che attraversavano balconi o finestre aperte per giungere attutite alle loro orecchie. Strana atmosfera per un sobborgo di una grandissima città come Red Rose! Ecco la gioielleria Norton, finalmente! Non aspettavano altro che vederla spuntare davanti a loro! C’era la smania dell’agire, anche un pò d’agitazione, che, certo, sarebbero entrambe scomparse con l’inizio delle operazioni. Sam sollevò progressivamente il piede dall’acceleratore riducendo la velocità poco a poco fino ad annullarla.

    Ognuno impugnò la propria calzamaglia, per camuffare il volto, per essere pronto a inserirla non appena le ruote avrebbero terminato l’ultimo giro prima di fermarsi. I loro volti non furono più gli stessi quando Sam bloccò l’auto, senza però spegnere il motore, lasciandolo borbottare ai minimi, per essere celere nella ripartenza. Con le calzamaglie indosso sembravano zombi in movimento.

    Aprirono gli sportelli e si trascinarono con rapidità all’aria aperta. Il buio della notte e gli abiti scuri li rendevano invisibili e, questo, li faceva sentire più sicuri e più tranquilli. Anche la posizione della gioielleria, situata in un angolo, contribuiva ad allentare la tensione.

    Dalla seconda auto scese Alan e andò a collocarsi all’angolo della strada, il posto giusto per vigilare senza dare nell'occhio e segnalare l’eventuale presenza d’intrusi. Il capo gang, per rassicurarsi che tutto procedesse come previsto, fece pochi passi e, tranquillizzatosi, rientrò in macchina e sedette al posto di guida.

    Thomas afferrò la borsa di lavoro, nella quale sostavano, ben ordinati, i ferri del mestiere, e la trascinò con sé. Attraversò frettolosamente la carreggiata, si portò sul marciapiede opposto e, giunto ai pressi della gioielleria, la sollevò per anticiparne l’apertura. Poi, la adagiò per terra. Le sue mani vi s’introdussero frenetiche e vi armeggiarono fino a estrarne un vecchio grimaldello: non era giunto il momento di sostituirlo?

    No, non era un pazzo, non lo avrebbe mai dismesso. Per lui era difficile disfarsi dell’oggetto al quale era affezionato. Avevano marciato insieme per tutta una vita, perché gettar via un amico alla fine del loro percorso? Si mise in posizione e, armato del caro arnese, cercò di forzare la serratura. Una, due, tre volte …

    Le cose parevano non andare per il verso giusto perché quella resisteva. Riprovò ancora. No, la maledetta si opponeva, non voleva cedere: aveva tutta l’intenzione di fare fino in fondo il suo dovere! D’altronde, era stata costruita proprio per quello, per resistere a furti e scassi.

    Era passato solo qualche secondo e l’ansia cominciò a prendere corpo. In barba ai consigli ricevuti, all’abilità e all'esperienza maturata, i soci si strinsero intorno a Thomas come per dargli forza.

    «Sbrigati ̶ lo sollecitavano ̶ non abbiamo molto tempo ... ».

    «Un attimo … quieti !», grugnì quello indirizzando di sghimbescio uno sguardo a dir poco infastidito. «Che ci vuole ... », erano impazienti.

    Altro che incoraggiamento, quelli lo innervosivano. «Basta! Non mettetemi fretta … sta per cedere». E continuò il suo armeggiare nella serratura.

    «Zitti... ci siamo», bisbigliò abbozzando un sorriso di soddisfazione.

    «Quanto tempo ancora? Sbrigati». Era Roddy che, non avendo udito le parole rassicuranti di Thomas, continuava a fremere e ringhiare. E, nel suo agitare, non coordinò il moto dei denti, che strinsero la lingua.

    «Ahi!», grugnì facendo seguire una bestemmia.

    Proprio in quell’istante, mentre qualche testa stava per partire, la serratura fece uno scatto.

    «Ecco! ̶ borbottò Thomas ̶ bastava solo avere pazienza … », quasi per riaffermare le sue indubbie capacità. Eliminato quel pensiero, ognuno poté dedicarsi al proprio compito:

    - Alan era già all’angolo a far da palo;

    - Sam e il capo erano nelle rispettive auto, mani sullo sterzo, portiere aperte e motore borbottante, pronti a innescare la marcia;

    - Thomas e Charles presero di mira le vetrine interne ed esterne;

    - Roddy e Chris, occhi sulla mappa, cercarono di fissare in mente la posizione della stanza in cui era situata la cassaforte.

    Entrarono, serrarono la porta e, per agire con il massimo riserbo, usarono le pile: la discreta luce non sarebbe trapelata all’esterno.

    Thomas e Charles si misero all’opera con i tronchesini per tranciare i lucchetti che bloccavano le vetrate di esposizione a scorrimento, evitando, così, di far rumore nell’infrangerle. Liberati dai fermi, i vetri scivolarono silenziosi e senza intoppi lungo le guide ben oleate.

    Spalancarono gli occhi, erano sbalorditi davanti a quel " Ben di Dio", agli oggetti luccicanti, che sostavano inermi e in posa per essere ammirati, che brillavano se sfiorati dai faretti.

    In un attimo, come un affamato si getta su un pasto, vi si catapultarono con le mani aperte. Era gradevole ed emozionante toccare i preziosi che scivolavano docilmente fra le loro dita, un piacere enorme quel senso di possesso, quel contatto con l’oro, l’argento, le perle, i diamanti!

    C’era gusto, emozione, tante sensazioni, brividi sulla pelle, un coacervo d’impressioni e la fretta di sbrigarsi, di prelevare tutto e mettersi al sicuro.

    Fu quella tensione, quel sottile nervosismo la causa di qualche sbavatura nel compiere anche l’operazione più semplice: il deposito della refurtiva nel sacchetto di telo, tenuto dai lembi e spalancato nelle mani inquiete di Charles. Una frenesia che fu causa d’instabilità di quel sacchetto, cosicché parte dei preziosi finì per terra.

    Un " mannaggia" assieme a un gesto di stizza sfuggì a Thomas, che si premurò di riagguantarli subito. Smagliature, ma perdite di tempo. Chris e Roddy, intanto, tenevano gli occhi puntati sulla piantina dei locali per individuare quello in cui era ubicata la cassaforte.

    Non fu difficile trovare il retrobottega.

    Di là della porta si apriva l’ingresso per due piccole stanze, due buchi:

    la prima indicava il WC riservato al proprietario – un altro WC per i dipendenti era allocato nella parte opposta della gioielleria –;

    la seconda, segnalata sulla mappa con una crocetta rossa, era l’Ufficio del titolare, dove entrarono. Era un locale interno e poterono accendere le luci.

    Era arredato modestamente, una scrivania munita di cassetti, una macchina per scrivere su un mobiletto, un piccolo scaffale con libri e cataloghi e, in un angolo, dietro una magnifica tenda, la cassaforte. Era evidente che l’accesso fosse riservato al solo titolare.

    Roddy e Chris erano più tranquilli rispetto a Thomas e Charles. Forse perché più freddi, avevano assorbito meglio la tensione iniziale. Certo, non erano dei robot e, la loro, poteva essere calma apparente. Roddy trovò subito la combinazione della cassaforte, impostata su tre numeri, ma la vista gli si era annebbiata, tutto si offuscava e non riusciva a focalizzare il foro della cassaforte.

    Che cosa stava accadendo ai suoi occhi? E le mani? Anche loro facevano le bizze, poiché un leggero tremore, attimo dopo attimo più marcato, le infastidiva.

    Non si scoraggiò: aprì e chiuse più volte le dita per riportarle alla normalità e la stessa cosa fece con gli occhi, dai quali tentò, con un leggero massaggio e un accennato strofinio, di eliminare quella specie di cataratta che gravava sulle pupille. Una-due, tre volte.

    Poi, inizialmente con difficoltà poi con sicurezza, riprese le manovre con il suo rudimentale attrezzo ad angolo, con il quale cercò di centrare il buco maledetto. Non ci riuscì subito.

    Purtroppo, schiaritasi la vista, il tremolio delle mani si era aggravato. Allora si concentrò e, con tutta la rimanente forza di volontà, s’impose la calma. Ben sapeva che, se l'ansia si fosse impadronita di lui, sarebbe stata la fine!

    Si fermò un attimo, fece dei profondi sospiri e riuscì a ritrovarsi: i brividi di freddo si attenuarono e cessò il tremore delle mani. E la chiave entrò nel buco.

    La girò lentamente fino a quando l'orecchio sinistro, poggiato a pochi centimetri del foro, non avvertì uno scatto. E voilà! Come d’incanto la cassaforte si aprì mostrando il suo contenuto. Sembrava fosse trascorso chissà quanto tempo, in effetti, poco o più di un minuto. Alla vista dei preziosi, i volti si distesero in un bel sorriso. «É una fortuna !», esclamò Roddy.

    «Siamo ricchi !», gli fece eco il giovane Chris, dimenticando che loro erano i manovali e non i destinatari dei beni. Non ci furono altri intoppi: banconote, pietre preziose, collane, gioielli e ori furono collocati nella borsa di pelle che li aspettava ben aperta.

    «Dai che ci siamo ... », incitò Roddy, tenendola dai bordi, mentre Chris si dava da fare con gli oggetti preziosi, con il denaro e con tutto quello che di valore incontrava con mani e occhi.

    L'orologio segnava quasi l’una, esattamente l’ora zero e 55 minuti, e il lavoro era finito: cinque minuti prima del previsto. Potevano sloggiare.

    Uscirono dalla gioielleria in tutta fretta avendo cura di chiudere ben bene la porta d'ingresso per evitare che qualcuno potesse allertare anticipatamente la Police: era meglio che il furto fosse stato scoperto al mattino, ciò li avrebbe favoriti nella fuga.

    Furono investiti dall’aria fresca della notte, che parve ancora più piacevole di prima: presi dai pensieri, allora, non l’avevano goduta. La inspirarono profondamente finché i polmoni non ne furono pieni senza indugiare per goderla meglio, non potevano saziarsene: dovevano sloggiare subito se non volevano correre seri rischi.

    Un cenno ad Alan, intento a vigilare, e si mossero in direzione delle auto che lì attendevano con il motore acceso dall’altra parte della strada, subito dopo il selciato.

    Era andato tutto a meraviglia e il bottino, come previsto, era cospicuo.

    Tolsero l’ingombrante calzamaglia mentre percorrevano lo spazio che li divideva dalla tranquillità, Scesero da quell’unico gradino e iniziarono ad attraversare la strada.

    Le portiere delle auto erano aperte e Sam e il capo, mani sullo sterzo, erano pronti a ripartire. Avevano percorso qualche metro, solo qualche passo sul selciato, erano nel bel mezzo della carreggiata, quando un rumore di motori e uno stridore di gomme in frenata ruppero il silenzio rendendo l’aria inquieta e meno respirabile. Che cosa stava succedendo?

    Sorpresa e smarrimento.

    Quelli non erano semplici passanti o auto in transito, non erano semplici intrusi, non erano lì per caso, tutti insieme e nello stesso istante, no, quelli non portavano nulla di buono, sì, quelli erano poliziotti! Contemporaneamente, dal nulla spuntarono ombre in movimento, quatte-quatte, cercando riparo dietro le auto in sosta e dietro gli alberi: sì, erano poliziotti.

    «Siamo stati traditi!», gridò Thomas spaventato.

    E la sua mano istintivamente volò nella tasca destra, dove incontrò quel rassicurante calcio; lo afferrò e senza mirare, a vanvera, premette il grilletto. Uno sparo a caso, imprudente quanto inutile, ferì l’aria.

    La risposta fu immediata, altri colpi tracciarono il buio.

    La scintilla era scoccata e pure la battaglia. I ladri erano nel bel mezzo del fuoco, sotto tiro, alla mercé dei poliziotti.

    I meno esposti erano gli autisti, Sam e il capo.

    «Arrendetevi, siete circondati!», l’ispettore Sanders ammonì i banditi a perseverare nella pugna mentre i suoi agenti vigilavano, pronti a rispondere al fuoco. Il suo invito restò lettera morta e, allora, tornò a ripeterlo una, due volte ancora.

    In mezzo alla strada, allo scoperto, Charles si sentì perso. Non sapeva cosa fare, scappare o farsi largo sparando; alla mercé della sua insicurezza non considerò nemmeno per un attimo l’invito proveniente dal megafono, si lasciò prendere dal nervosismo e dalla paura e, totalmente in bambole, sparò.

    Dalla parte opposta della strada, quasi contemporaneamente, si sentì un grido. Aveva fatto centro!

    Il poliziotto colpito urlava dolorante e, richiamando le sue forze sulle gambe, cercava di tenersi in piedi. Non ci riuscì – il dolore era forte e le forze, al confronto, nulle –, solo pochi attimi e si piegò su un fianco lasciandosi cadere a terra. Due colleghi gli si strinsero intorno.

    La risposta non si fece attendere: una raffica di colpi partì dall’altro schieramento.

    Charles ruzzolò per terra come un fantoccio, senza neppure un grido.

    Thomas e Chris abbozzarono un tentativo di aiuto, ma dovettero rinunciare: le pallottole fischiavano intorno a loro e non era possibile soccorrere l’amico. Era evidente che per lui fosse finita.

    Ripresero la corsa appena interrotta tentando di mettersi al sicuro senza fare un cenno di resa.

    L’artiglieria avversa non cessò e non diede loro scampo: furono colpiti entrambi alla testa e al petto.

    Caddero come Charles sulla strada.

    Solo Roddy e Alan, gettandosi letteralmente fra le portiere aperte evitarono di essere colpiti e riuscirono a entrare in macchina: Roddy s’infilò nella parte posteriore in quella del capo, Alan in quella anteriore di Sam. Sanders rinnovò l’invito alla resa, ma ottenne come risposta una mossa fulminea e imprevedibile, che lo sorprese lasciandolo di sasso. Erano in un crocevia, gli uomini in uniforme erano appostati dietro le rispettive auto e da lì sorvegliavano le vie d’ingresso alla zona. In una di esse, sdraiato per terra, dolorante, c’era il poliziotto ferito gravemente al fianco, sanguinante, che si lamentava mentre due colleghi cercavano di rianimarlo e un terzo sparava come un matto per coprire l’azione di soccorso.

    Nonostante il posto fosse ben presidiato, quello era il punto più debole dello schieramento della Police, dove un solo poliziotto utilizzava un’arma per coprire il soccorso del collega sanguinante: un piccolo spiraglio per i ladri, intrappolati nel bivio.

    Le loro macchine non indugiarono e presero quella via.

    L’agente non si lasciò sorprendere dalla mossa improvvisa dei ladri: alzò il revolver e sparò.

    All’unisono, dalle macchine in fuga, partì uno sparo che lo raggiunse al braccio. Il suo proiettile, però, era stato più preciso, più efficace e andò a ferire al petto Sam, che si afflosciò di colpo sullo sterzo.

    La macchina ebbe un primo sobbalzo, mentre l’uomo rigirava gli occhi e reclinava il capo.

    Fece in tempo a pronunciare:

    «... muoio ... muoio ... Alan, vai via... salvati... vattene!», seguito da un profondo sospiro. Spirò.

    Dalla vita alla morte in un solo attimo.

    La macchina, priva di guida, continuò motu propriu la sua corsa, ebbe uno scarto, esitò per qualche centesimo di secondo e, quando la ruota toccò il marciapiede, si bloccò.

    Furono attimi eterni per Alan, che stava seduto al suo fianco, intrappolato, sbigottito dalla situazione.

    «Devo reagire – si disse – devo muovermi, subito …».

    La forza della disperazione spesso ci illumina. Un secondo e, già, aveva deciso cosa fare. Riparato dall’auto del capo che sopraggiungeva, aprì lo sportello, trascinò fuori il corpo inanimato di Sam, lo depose rapidamente sul marciapiede e, con un «Addio, mio buon amico ... », si pose alla guida.

    Lasciò che l’auto del capo lo sorpassasse, poi ripartì immediatamente. L’azione era stata rapida e sorprese Sanders e gli agenti, impegnati nel portare soccorso ai due colleghi feriti. Quando riuscirono a sparare qualche colpo era già tardi e l’auto di Alan, colpita in più punti sulla carrozzeria, riuscì a fuggire. Ancora qualche colpo, poi, le armi smisero di tuonare. Erano stati pochi minuti, ma di vero inferno!

    La guerriglia era terminata, l’azione no: non potevano lasciare fuggire quei banditi!

    Sanders non pensava minimamente di starsene buono-buono a guardarli scomparire nel nulla, non poteva accontentarsi dei corpi sulla strada e del recupero di metà bottino, sarebbe stata una vera disfatta.

    Un attimo per organizzarsi e, approfittando del tardivo arrivo di due auto amiche, fece tuonare la sua voce:

    «Seguiamoli! – E, rivolto ai nuovi arrivati – Occupatevi dei feriti. Non spostate i morti per nessuna ragione, arriverà presto la Scientifica». Seguito da tre unità, non volendo dare altro vantaggio ai fuggitivi, l’ispettore montò in macchina e volò via. Gli agenti remasti sul posto si diedero da fare per soccorrere i feriti e occuparsi dei morti. Si avvicinarono ai corpi, scompostamente stesi sulla strada, per verificarne lo stato. Da loro non provenivano lamenti, né un alito né un respiro, il battito del cuore era nullo, il polso spento: segni di morte certa. Alcuni gioielli, caduti dal sacchetto di tela, stavano sull’asfalto sparpagliati su una piccola area – quanto erano belli in vetrina ! –; alcuni sfioravano la mano destra di Charles, tesa nel tentativo di afferrarli: la raffica iniziale l’aveva fregato. Era lì immobile, teneva la mano sinistra, ancora calda, distesa lungo il corpo e gli occhi rivolti verso quel bottino, del quale non avrebbe mai potuto godere la sua parte. Thomas, a lui vicino, era segnato da due fori tracimanti sangue: affezionato alle sue cose, in un ultimo e disperato anelito, tratteneva al petto, quasi per non lasciarli, i ferri del mestiere . Distante, molto distante, sul marciapiede c’era Sam, rimasto ucciso nell’ultima manovra. Anche il ragazzo dall’aspetto gentile, Chris, era steso sulla strada. I suoi splendidi occhi azzurri sembravano voler rimanere in questo mondo, l’angolo della bocca era rigato di rosso, il corpo esanime. Non aveva fatto nulla per mantenersi abbarbicato all’ unico, vero e prezioso bene: la vita! Troppo presto se l’era lasciata sfuggire! Questo si vedeva, questo appariva. La scena che si parò davanti agli indigeni, curiosamente scesi in strada, non fu delle più belle! Furono subito allontanati. Ebbero, però, tutto il tempo per rendersi conto dell’accaduto. Su quel parapiglia di uomini e mezzi aleggiava la morte. Spiccavano i corpi dei malviventi, inzuppati del sangue che fuoriusciva dalle ferite mortali, e l’ampia conca rossa che si andava formando a fianco di ciascuno.

    Il poliziotto, che si era avvicinato a Chris per verificarne lo stato, percepì un lieve alito caldo uscire dalla bocca imbrattata di rosso. Dio santo, Chris era ancora vivo! Lo adagiarono con cura sul sedile posteriore della macchina, sulla quale avevano trovato posto i due poliziotti feriti, con la testa poggiata in un angolo e le gambe distese, vicino all’agente meno grave. E via, una corsa veloce. Pochi minuti dopo erano in Ospedale. Dopo qualche ora, gli agenti, eseguiti i rilievi, scattate le foto che immortalavano lo stato dei luoghi e la posizione dei corpi, disegnata sul terreno la sagoma di ogni cadavere, collocarono delicatamente i corpi inermi di Thomas, Charles e Sam sui sedili posteriori delle macchine. Intanto, l’auto che trasportava i feriti - in gravi condizioni un poliziotto e un bandito - e un poliziotto colpito a un braccio, era giunta all’ Hospital.

    Quella notte i medici ebbero tanto da fare.

    CAPITOLO 2

    L’andatura era folle, le gomme slittavano sull’asfalto a ogni curva generando un rumore stridulo, prolungato, che portava a supporre un immediato, rovinoso impatto su quei muri che pareva corressero in senso inverso, quasi volessero aggredirli.

    Chi guidava stringeva all’inverosimile lo sterzo, tanto da non accorgersi del fastidio provocato alle proprie mani, come se, in quel momento, fossero altra cosa e non il proprio carpo. Guidavano come automi e, per mantenersi saldi e ben equilibrati, pressavano il fondo schiena in basso, tra il sedile e lo schienale verticale. Tenevano gli occhi fissi sulla strada, i volti sporti in avanti quasi a sfiorare il parabrezza con la fronte e il naso.

    Idee non ne avevano più, si erano ormai volatilizzate dalle menti. Anche la meta non era più chiara, imboccavano strade di fortuna, impreviste nei loro piani, senza sapere in che luogo si trovassero né la via da prendere per ricongiungersi a quella - per ora, non importante - che li avrebbe condotti al luogo dell’appuntamento. L’unico obiettivo del momento era mantenere la libertà, e poteva essere raggiunto solo svincolandosi dagli ostinati inseguitori: quelli non mollavano di un centimetro e li tallonavano ossessivamente.

    La velocità, dettata dalla situazione, dallo stato d’animo e dai luoghi, era un azzardo. Anche l’attraversamento di un cane costituiva un pericolo. Il ritmo impresso non consentiva loro di avere coscienza dei luoghi attraversati e, pertanto, le macchine procedevano a caso.

    Volavano piazze, viali, strade - a volte ampie e spaziose, a volte ridotte, vicoli strettissimi nei quali si rischiava di toccare i muri delle case -, nelle quali s’infilavano senza chiedersi dove sfociassero, se avessero un’uscita o quale fosse la situazione che si sarebbe presentata ai loro occhi.

    Viaggiavano senza regola, senza un radar mentale che li consigliasse alla cautela, con i piedipiatti alle calcagna che non demordevano, che li braccavano senza mollare un attimo la presa. Quella che né si stringeva né si allentava, restava identica e non dava loro speranze di farla franca.

    Era come si trovassero in una stanza stretta, che si rimpiccioliva poco a poco diventando sempre più minuscola, sempre più buia e priva d’aria e, loro, stessero lì-lì per essere stritolati.

    Li braccavano, i poliziotti, spingevano a tavoletta sull’acceleratore, mettevano più gas nel motore portando l’andatura alle stelle con il risultato che la distanza dai

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