Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Drake I - La portatrice di caos
Drake I - La portatrice di caos
Drake I - La portatrice di caos
E-book271 pagine4 ore

Drake I - La portatrice di caos

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

George Carson II è un giovane ragazzo costretto a vivere sempre sotto stretto controllo, erede unico della florida attività economica del padre, magnate del caffè. Il suo unico amico, Colton, è la guardia del corpo che lo tiene sotto stretta sorveglianza.
A stravolgere la sua giovane vita ci penserà Rebecca Dahlia Drake, che lo trascinerà in un viaggio nel tempo tra avventure e caos, rivelando misteri e mostrando una realtà impensabile e imprevedibile per George.

Nato a Verona nel 1992, appassionato di scrittura, cinema, fumetto e disegno fin da quando era bambino. Laureato in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Verona e diplomato nello studio dei processi dell’industria cartaria. Ha cominciato a scrivere racconti brevi, sceneggiature, girare cortometraggi amatoriali per poi ritornare alla scrittura.
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2023
ISBN9788830691001
Drake I - La portatrice di caos

Leggi altro di Alessandro De Angelis

Correlato a Drake I - La portatrice di caos

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Drake I - La portatrice di caos

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Drake I - La portatrice di caos - Alessandro De Angelis

    LQpiattoDeAngelis.jpg

    Alessandro De Angelis

    Drake I

    La portatrice di caos

    © 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-8617-5

    I edizione ottobre 2023

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Drake I

    La portatrice di caos

    A Francesco F., Alice Z., Antonio P., R. G. e la mia famiglia per avermi aiutato a ritrovare me stesso.

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1

    20 dicembre 1979 – Los Angeles

    George Carson II, che per comodità chiameremo solo George, figlio di Joseph, era destinato a un’eredità di un impero economico florido. I Carson infatti in quel periodo erano i magnati del caffè e nel caso del ragazzo sfortunatamente voleva dire avere un sacco di sicurezza e persone che gli stavano attorno, sempre. Lui stava diventando grande, avrebbe compiuto tredici anni la settimana dopo e a differenza del padre si comportava e vestiva in modo diverso. George era particolarmente freddo e distanziato con le altre persone e questo era dovuto al fatto che vedeva i suoi coetanei solo durante il periodo scolastico, le attività sportive come allenamento di scherma, spada e nulla di più. C’erano state più occasioni in cui lui tentò di fuggire da casa, senza successo. Voleva vedere il mondo che c’era all’esterno, conoscere persone diverse dalle cameriere, gli autisti e le guardie del corpo. Per il padre era come se l’esterno potesse far male al figlio, doveva essere contenuto in una teca di cristallo. George allo stesso tempo però si poteva considerare fortunato ad avere con sé John Colton, il capo della sicurezza e sicuramente il più simpatico tra il gruppo.

    Colton era arrivato da un anno, aveva ottime referenze e si era fatto valere in più occasioni per il suo spirito d’iniziativa e intelligenza. Era sulla quarantina, capelli e barba ben curati e soprattutto una corporatura adatta a quel tipo di lavoro. Nonostante la sicurezza che lui trasmetteva, in quel periodo erano accaduti dei fatti strani e inquietanti. Lettere minatorie, tentativi di rapimento e la sensazione di essere osservati in qualsiasi momento. Decisamente una situazione pericolosa che il capo della sicurezza era sempre pronto a risolvere. I tentativi di rapire il giovane George Carson stavano aumentando ma lo stesso Colton aveva un piano.

    Da quando iniziarono ad accadere questi avvenimenti lui si stava preparando per terminare gli attacchi una volta per tutte e per fare quello un’esca era necessaria. Stava per parlarne con il padre di George quando lo stesso ragazzo lo fermò prima che entrasse nell’ufficio. L’uomo vide George che gli stava bloccando il passaggio, questo vestiva diversamente dalla sua solita uniforme scolastica o il completo che gli aveva comprato il padre. Il giovane sembrava un qualsiasi altro coetaneo che si vedeva per strada con felpa, jeans e scarpe di tela. Colton era un po’ perplesso dalla situazione ma cercò di affrontarla al meglio.

    «Che succede George? C’è qualcosa che non va? Voglia di scappare e confonderti tra la folla?» domandò Colton con tranquillità.

    «Vorrei chiederti qualcosa, John…» disse George con esitazione.

    «Oh ma certo, chiedi pure, quello che vuoi… purché non sia una questione troppo delicata.»

    «Se tutto quello che sta accadendo a noi non ci fosse in questo momento… potrei andarmene? Non ho in mente un posto preciso, ma vorrei semplicemente andare via da qui per un po’.»

    Il capo della sicurezza rimase scioccato dalle parole dell’altro. Se fosse stato lui al posto suo non sarebbe mai voluto fuggire da quella prigione dorata che aveva attorno a sé. La villa era immensa, molti acri attorno alla costruzione, decisamente un paradiso e non una vera condanna ai suoi occhi. D’altro canto però il ragazzo non vedeva nessuno, non aveva rapporti normali con i suoi amici, nessun vero contatto o relazione. Questo era dovuto al padre che era considerato dallo stesso Colton decisamente iperprotettivo. Forse doveva lasciarlo partire, fargli prendere decisioni anche se sbagliate, ma qualcosa non glielo permetteva.

    «Senti, George…» disse l’uomo «Fra qualche anno potrai andare via se vorrai ma al momento non posso fare nulla, tuo padre ha delle regole che dobbiamo rispettare.»

    «Ma… sicuro che non si può far nulla? È ingiusto quello che sto subendo… non posso continuare così!» disse George innervosito.

    Il ragazzo con uno scatto d’ira improvviso scalciò uno dei mobili della residenza e se ne andò nella propria camera. Il capo della sicurezza per qualche secondo continuò a fissarlo, fino a quando l’altro svanì salendo le scale.

    «Preadolescenza… Che periodo orribile» disse aggiustandosi la cravatta e il vestito.

    Qualche secondo dopo John Colton entrò nell’ufficio del suo capo. Il posto era decisamente spartano per uno con quelle finanze. Il mobilio era poco costoso tra tavoli, poltrone e librerie ma per i quadri e le teche di vetro il discorso era diverso. Si poteva dire che Joseph Carson non fosse un vero ricco ma che facesse solo finta, secondo Colton spesso quello si comportava da soldato e non da comandante.

    Il capo della sicurezza andò immediatamente verso una delle teche proprio vicino alla scrivania di Joseph, gli piaceva il contenuto e sembrava che volesse conoscere la storia di quegli oggetti.

    All’interno della protezione di vetro c’erano oggetti che all’apparenza potevano valere poche migliaia di dollari, ma il valore era soprattutto sentimentale. Una sciabola, un vecchio revolver Navy convertito a pallottole tradizionali e una vecchia foto. La foto soprattutto era interessante, risaliva al 1879 e raffigurava un gruppo di persone quasi cancellate e poi c’era una donna armata fino ai denti. Quello al centro dell’immagine doveva essere l’antenato di Joseph e George, George Carson I.

    «Se continui a guardarla in questo modo prima o poi sarà tua… o almeno posso farti delle copie, se desideri» disse Joseph Carson avvicinandosi anche lui alla vetrina.

    «Scusi signore ma queste cose mi affascinano… chissà quanta storia avrebbero da raccontare se potessero parlare, questi oggetti» disse Colton un po’ imbarazzato.

    «Questa è una storia che è meglio non venga mai raccontata, mio caro. Ci sono cose che è meglio lasciare sepolte… ora accomodati. So che volevi parlarmi del tuo piano contro i nostri avversari.»

    I due si sedettero uno di fronte all’altro, vicino al caminetto dello studio. C’era solo un tavolino che separava i due e sopra a questo delle bottiglie di alcolici e due bicchieri pronti all’uso. Colton non volle bere, doveva essere vigile e concentrato ma Joseph si versò tranquillamente un bicchiere o due mentre conversavano.

    «Allora, John. Qualche giorno fa mi avevi detto di avere un piano, in cosa consiste?» domandò Joseph.

    «Penso che il nostro piano d’azione migliore sia dividersi… lei e suo figlio. Vi porteremo in luoghi sicuri mentre cercheremo di risolvere la situazione» rispose l’altro.

    «Dividerci? Mi sembra un po’ avventato e prematuro, John. Sicuro che non ci sia un altro modo?»

    «No, ho paura di no. Infatti ci servirà un luogo che nessuno o poche persone fidate conoscono.»

    «Avrei un posto di quel tipo ma non è qui a Los Angeles, è in Wyoming nella cittadina di Blackwood.»

    «Blackwood? Interessante… non è la stessa dove è stata scattata quella foto nella teca?»

    «Esattamente, lì ho un appartamento. È una piccola città ma nessuno sa che l’ho preso io e nemmeno chi sono, non ho un volto di una star di Hollywood, perciò lì sarete al sicuro.»

    «Grazie, signore.»

    «In meno di una settimana dovrebbe arrivare una nuova recluta per il servizio di sicurezza, spero che facciate conoscenza appena tutto questo sarà finito per il meglio.»

    Le parole di Joseph erano confortanti per Colton che poco dopo se ne andò salutando il suo capo e, a quanto pare, amico. Si erano messi d’accordo per il da farsi, era rischioso ma forse valeva la pena tentare.

    Il capo della sicurezza dopo si diresse direttamente alla stanza di George per annunciargli la bella notizia. Sarebbe stata così per poco dato che il pericolo era in agguato, anche poco distante dalla villa.

    Qualche ora dopo tutti erano pronti per attuare il piano congeniato da Colton ma qualcuno stava osservando. Da una strada sopraelevata una stramba e piccola auto rossa con fanali a scomparsa e una motocicletta verde smeraldo in stile dopoguerra erano parcheggiate in attesa.

    Sul cofano della piccola sportiva c’era seduto un giovane uomo con un volto da malandrino, vestito in completo nero e con cravatta leggermente slacciata, probabilmente per il caldo. Questo aveva in mano un binocolo da cui stava osservando la villa dei Carson e su un po’ di fogli che aveva vicino si stava annotando qualcosa.

    Dal piccolo mezzo invece provenivano dei suoni indistinguibili, c’era qualcuno che stava comunicando tramite radio portatile. Sui sedili anteriori c’era una donna sdraiata, le sue scarpe di tela uscivano dal finestrino dell’auto.

    «Blackwood? Vuoi sapere se la conosco bene? Per chi mi hai presa? Sai chi sono… lascia fare tutto a me» disse lei comunicando con una persona misteriosa dall’altra parte.

    Passò un po’ prima che la donna uscisse dal mezzo per mostrarsi alla luce del sole. Era decisamente stramba, portava scarpe di tela basse, jeans e una camicia blu scuro con motivo floreale. Non si poteva dire che una come lei fosse comune, soprattutto in quegli anni, e poi quel cespuglio di capelli rossi e ricci che si ritrovava non la facevano passare inosservata. Il suo volto era affascinante, aveva dei tratti che la facevano sembrare furba, anche se non era una modella dati i grossi occhiali tondi da vista.

    «Allora? Cos’ha detto?» domandò l’uomo ancora seduto sull’auto.

    «Blackwood, Wyoming. Sarà la nostra destinazione, preparati dei vestiti pesanti e poi cominciamo a ragionare su un piano… Ne avremo bisogno» disse lei con un certo nervosismo.

    «Ancora non riesco a capire perché non sfruttiamo il momento ora. Nessuno potrebbe fermarci, non se l’aspetterebbero.»

    «No, Colton è furbo e poi ci sono troppe persone coinvolte. Dobbiamo cogliere il momento giusto, che non è adesso… facciamogli credere che sta vincendo. Sarà quello il momento per colpire.»

    I due stettero ancora per pochi secondi a fissare la villa per poi passarsi il binocolo a vicenda. Non accadde nulla per ore ma poi una limosine uscì dalla villa seguita da alcune auto della scorta. Il padre di George si vedeva dalla balconata dello studio mentre dava un momentaneo addio al figlio, che se ne era andato via con Colton e alcuni dei suoi uomini.

    «Divide et impera» disse la donna con un sorriso.

    «Cosa?» domandò l’altro con perplessità.

    «È latino, significa dividi e conquista… Colton spera che portando via il ragazzo dal padre potrà vincere. Vuole confonderci e ammetto che è un bel trucco, se non fosse per il fatto che sappiamo che ci saranno delle guardie in borghese attorno ai due.»

    «Sicura di tutte queste informazioni? Non credi che ci stia raccontando balle?»

    «Tranquillo, le informazioni sono giuste.»

    Poco dopo qualcuno cominciò ad avvicinarsi ai due che stavano osservando la villa dei Carson. Apparentemente la donna, mentre stava prestando attenzione ad altro, sembrò accorgersene. Quella però fece finta di niente e continuò a usare l’oggetto per osservare la villa.

    Il complice fece la stessa cosa, solo che era difficile capire se anche lui si fosse accorto di quello che ormai era alle loro spalle. L’assalitore era a pochi metri dalla coppia ma il giovane dal completo elegante improvvisamente si girò dando un calcio all’arma puntata contro di lui. Con sorpresa dell’altro, venne colpito in faccia da una raffica di pugni prima di essere steso con una mazza di ferro diretta alle ginocchia.

    «Tu chi sei e chi ti manda?» domandò la donna appoggiando la mazza al mento dell’assalitore.

    «Meglio se cominci a parlare prima che provo a farti sputare tutti i denti» disse il suo complice dopo essersi levato la giacca.

    L’altro non parlò, sembrò che gli si fossero sigillate le labbra dopo il piccolo scontro da cui uscì perdente. La sua pistola era finita sotto la piccola sportiva rossa, non c’era modo di prenderla, improvvisamente questo cominciò a stringere i denti forzatamente.

    «Oh no! Fermati!» urlò il complice.

    Si sentì il suono della rottura di un dente e improvvisamente la bocca dell’assalitore cominciò a irrigidirsi e i suoi occhi cominciarono a guardare nel vuoto. Il corpo fu scosso dalle convulsioni e quando finì, la coppia gli si avvicinò.

    «Non riuscirò mai a capirlo… cosa provoca così tanta lealtà verso il proprio padrone da volersi uccidere… credi che sia stato cianuro?» domandò l’uomo.

    «Quello o qualcosa di molto simile, ha agito fin troppo in fretta» disse la donna rivoltando le tasche per cercare documenti.

    Sul corpo dell’assalitore non c’era niente e probabilmente non c’era nulla per identificarlo. Impronte digitali cancellate, il suo volto era fin troppo comune e anche se fossero riusciti a identificarlo, probabilmente non ci sarebbe stato riscontro. La donna poi provò a vedere se riusciva a trovare l’arma con cui voleva attaccarli e la vide proprio sotto l’auto, la prese e cominciò a esaminarla. Era piccola con delle incisioni fin troppo pacchiane e un silenziatore, anche quello inciso.

    «Tutte queste incisioni, non riesco a capirle. Non è che fanno andare l’arma meglio… oh, ma guarda…» disse la donna disgustata per poi fermarsi perplessa.

    «Cosa c’è?» domandò l’altro per poi avvicinarsi.

    Sul calcio della semiautomatica c’era inciso nel legno un simbolo dipinto di rosso, un drago che anche se stilizzato risultava minaccioso. Entrambi rimasero perplessi dalla scoperta, non sapevano bene cosa pensare.

    «Credi che qualcuno ci stia prendendo in giro?» domandò l’uomo «È un drago rosso e tu…»

    «Lo so cos’è! È lo stemma della mia famiglia, lo ricordo bene. Qualcuno sta giocando con noi e non mi piace come sta andando questa partita, preparati. L’inferno e una tormenta di menzogne ci aspettano a Blackwood.»

    22 dicembre 1979 – Blackwood, Wyoming

    Blackwood era tutto il contrario rispetto a Los Angeles, piccola cittadina, in mezzo alle montagne, persone riservate e un freddo quasi perenne che ti penetrava anche nelle ossa. Non era il classico posto per un viaggio, specialmente quello che si immaginava George da quando aveva detto a Colton di voler lasciare la villa.

    A George non era proprio permesso uscire nemmeno dall’edificio in cui si trovavano ma in uno di quei rari momenti in cui era da solo a girovagare accadde qualcosa di strano. Durante una mattinata si ritrovò nell’ascensore e lì le porte si stettero per chiudere quando una strana donna entrò. La strana figura sembrava sulla trentina, origine asiatica, tratti molto rigidi ma che allo stesso tempo la facevano sembrare la donna più bella che il ragazzo avesse mai visto. I suoi vestiti erano tutt’altro che normali, un vestito corto, calze a righe e stivaletti tutto in nero con decorazioni o alternanza sul viola. Quando poi lei si girò, riuscì anche a vederla in faccia soprattutto quei capelli lunghi color argento e gli occhi che sembravano dorati. Il ragazzo pensò che quella dovesse trovarsi lì solo perché c’era una festa a tema fantasy o per un compleanno e lei doveva fare l’intrattenitrice.

    «Oh, lo so. Sono stramba, vero?» domandò lei improvvisamente.

    «Ah, non saprei dirglielo, signorina… non esco molto fuori per saperlo. La gente normale potrebbe vestirsi così per quanto ne so» rispose il ragazzo.

    «Sei un bugiardo ma grazie per aver mentito in quel modo. Ti rivedrò ancora, George Carson.»

    Il giovane appena sentì il nome non riuscì a dirle nulla, lui non gliel’aveva detto e quel fatto fu preoccupante. Le porte dell’ascensore si chiusero e lei svanì improvvisamente.

    Quando andò a raccontare il fatto a Colton, tutti gli uomini sotto il suo comando cominciarono a cercare nell’edificio, nessuno trovò traccia della donna in costume da strega moderna. Una cosa però era sicura, al solo descrivere quella figura Colton rabbrividì come se si fosse trattato di un mostro.

    Più tardi, quella stessa mattina, il ragazzo guardò fuori dalla finestra, vide solo un triste paesaggio che probabilmente non avrebbe più voluto vedere finita quella storia. Il capo della sicurezza continuava a ripetere che ci sarebbero voluti solo pochi giorni ma in realtà si sapeva che avrebbero impiegato molto più tempo. Dovevano esserci indagini per stanare gli psicotici che stavano stringendo la morsa in quel periodo triste per la famiglia Carson.

    «Sai, John… quando ti avevo detto che mi sarebbe piaciuto uscire fuori dalla villa non pensavo di restare bloccato in un appartamento schifoso per il periodo natalizio. Pensavo a un fast food, un centro commerciale, sala giochi o anche le spiagge che abbiamo a Los Angeles…» disse George annoiato «Posti dove ragazzi come me si incontrano.»

    Colton non rispose, in quel momento era piuttosto concentrato a osservare una cartina, su cui alcune puntine erano posizionate dove si trovavano gli uomini sotto il suo comando. In quella cittadina si trovavano almeno una ventina di posizioni e forse c’era più di una persona in quei luoghi. Si poteva dire che avesse stanziato un piccolo esercito in una sonnolenta cittadina. Tutto era dalla loro

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1