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Di nuovo con te
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E-book418 pagine6 ore

Di nuovo con te

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Info su questo ebook

Violet sa esattamente qual è il suo posto nel motoclub del Reign of Terror: come tutte le donne, deve starsene in disparte e lasciare che siano gli uomini a risolvere qualsiasi tipo di problema. Quando suo padre viene ucciso, però, si rende conto che se vuole proteggere se stessa e il fratellino deve prendere le redini della propria vita e tagliare i ponti con tutti, compreso Chevy, il ragazzo con cui è cresciuta e di cui è innamorata. Ma nel momento in cui un clan rivale la ricatta, minacciando di rivelare vecchi segreti che potrebbero danneggiare le persone che le sono più care, tutte le sue certezze si sgretolano. Violet è costretta così a mettere in discussione quello che era convinta di sapere sul conto del padre, del Terror, di Chevy e soprattutto ciò che lei ha sempre sognato. Il che comporta dare un nuovo significato a parole come famiglia, lealtà, amore, amicizia, perdono... E trovare dentro di sé la forza per diventare la persona che salverà tutti loro.

Il terzo episodio della serie Thunder Road, dedicato a due dei personaggi più controversi dei romanzi precedenti: Violet e Chevy.

"Una storia indimenticabile e inebriante che mi ha tenuta incollata alla pagina." - Kami Garcia, autrice della serie bestseller Beautiful Creatures
LinguaItaliano
Data di uscita8 giu 2017
ISBN9788858967119
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    Anteprima del libro

    Di nuovo con te - Katie McGarry

    1

    Chevy

    Le indicazioni del compito di inglese che non ho fatto sporgono dall'alto della cartellina: Due strade divergevano in un bosco ingiallito. Peccato non poterle percorrere entrambe.

    La storia della mia vita.

    Secondo il mio allenatore di football, delle due maledette strade che ho dovuto affrontare la scorsa settimana, ho scelto quella sbagliata. Mi sono imbattuto nel coach proprio mentre andavo a inglese e mi ha rimproverato per la mia patetica capacità decisionale, quando ho scelto di sostenere il Motoclub Reign of Terror anziché uno dei membri della squadra di football.

    Non solo mi ha fatto il culo, ma con la sua predica mi ha fatto pure arrivare in ritardo a inglese, senza giustificazione. Grandioso, perché l'insegnante di inglese odia gli studenti ritardatari tanto quanto io odio guidare la mia moto quando ci sono quaranta gradi e piove.

    Giro l'angolo, poi sbircio dalla finestrella sulla porta della mia aula. La signora Whitlock è in piedi di fronte alla cattedra, con la sua camicia bianca d'ordinanza, la longuette grigia e la montatura degli occhiali nera. Dall'ultima fila, il mio miglior amico Rasoio incrocia il mio sguardo e scuote la testa.

    Dannazione. Significa che alla prof oggi gira male e si rifiuta di lasciare entrare chiunque.

    Io non metto mai la coda tra le gambe, ma quella donna è una delle poche che riesce a farmi implorare. Se non mi farà entrare, allora mi segnerà come assente, la segreteria penserà che abbia saltato apposta la scuola e questo significa che non potrò partecipare alla partita di football di questa sera.

    Quando busso, la finestrella vibra. L'intera classe gira la testa nella mia direzione, tutti tranne la signora Whitlock. Sento i muscoli del collo tendersi. È una delle persone più tenaci che io conosca e mio nonno è il presidente di un club motociclistico. Questo la dice lunga.

    Inizia a scrivere sulla lavagna e io busso di nuovo. Questa volta la signora Whitlock si volta dalla mia parte e mi guarda come se avessi preso a calci un cucciolo. Ho capito. Sono in ritardo. Sono la feccia dell'umanità, quindi lasciami portare le mie chiappe dentro in modo che io possa giocare a football.

    C'è un ragazzo nel mio club, Porcile. Ha quasi la stessa età della signora Whitlock, quasi trenta, e ha una cotta per questa donna, anche se lei non lo degnerebbe mai di uno sguardo. Quando c'è lei in giro, in pratica lui va a sbattere contro i muri, tanto è impegnato a farle la radiografia. Io non la trovo bella... mi sembra solo incazzata, un ostacolo tra me e il giocare.

    La signora Whitlock indica l'orologio sopra la scrivania. Mi sta dicendo che posso aspettare. Se sono fortunato, aprirà la porta dopo il test, per il quale riceverò uno zero. Se non sono così fortunato, non aprirà proprio la porta.

    Due patetiche strade e io posso percorrerne solo una. Da nessuna parte in quella stupida poesia si diceva che c'era del buono e del cattivo in entrambe e che, qualche volta, è meglio non scegliere, ma accamparsi al bivio e non fare niente.

    Sbatto il pugno sull'armadietto più vicino, quasi gustandomi il dolore.

    «Ti senti meglio?»

    Un'occhiata al corridoio e mi paralizzo. Non importa quante volte la veda in un giorno, riesce sempre a togliermi il fiato. Violet è appoggiata contro l'armadietto, bellissima come sempre. Setosi capelli rossi le scendono sulle spalle, un paio di jeans strappati che sembrano tagliati su misura per le sue curve e parecchi braccialetti ai polsi che tintinnano quando si muove.

    Mi sento meglio? Per niente, ma annuisco comunque, mentre tento di capire se mi dà più dolore stare da solo con Violet o farmi strappare le palle. «Non fa male.»

    «Sì, lo vedo che sbattere il pugno contro l'armadietto non fa male.»

    Sorrido perché mi ha capito e, soprattutto, perché Violet ha fatto una battuta. Da quando ci siamo lasciati, la scorsa primavera, le cose tra di noi sono state tese. Da parte sua e da parte mia. Certe persone, come me e Violet, non sanno come stare l'una vicina all'altra quando le strade si dividono. «Ora parliamo?»

    «Io sono chiusa fuori dall'aula. Tu sei chiuso fuori dall'aula. Non posso ignorarti, se è questo che vuoi.»

    Non lo è. Non ho mai voluto che mi ignorasse. «Perché sei in ritardo?»

    Violet stringe le labbra e distoglie lo sguardo. Il mio sesto senso si agita. C'è qualcosa che non va. La conosco da sempre. Siamo nati a poche settimane di distanza e abbiamo imparato a gattonare sul pavimento appiccicoso del club del Reign of Terror insieme. Siamo stati amici, sempre amici, finché un giorno non siamo stati più solo amici. Siamo diventati qualcosa di più, e poi abbiamo perso tutto.

    «Non è da te essere in ritardo» dico. Violet è anticonformista. Va al suo ritmo, ma non è il tipo da arrivare tardi in classe. È una questione di rispetto per lei, qualcosa che le ha insegnato il padre. Violet può anche non dare mai ascolto a nessuno, ma a suo padre dava ascolto. «Che succede?»

    Rimane in silenzio e la frustrazione tuona dentro di me. Una volta mi raccontava tutto. Pensava fossi qualcuno che potesse aiutarla a risolvere i suoi problemi. Non mi considera più così e questo mi fa incazzare. Sono arrabbiato con lei per come siamo diventati. Sono arrabbiato con me stesso perché non capisco come aggiustare le cose tra di noi.

    «Il tuo ritardo non ha nulla a che vedere con Stone, vero?» Stone è suo fratello e quella domanda è un colpo alla cieca, ma non voglio perdere la possibilità di continuare a parlare con lei.

    «Perché sei in ritardo?» replica lei senza rispondere e io sollevo la testa. Suppongo che i colpi alla cieca, a volte, vadano a segno. Violet ha tardato a causa di Stone.

    «Cos'è successo?» insisto.

    «Non ho intenzione di parlarne.»

    «Vi...»

    Mi interrompe. «Ti ho detto sei mesi fa come aiutare me e mio fratello e mi hai risposto di no.»

    Scappando via? Non ho cambiato idea riguardo a quella soluzione insensata.

    «Dimmi tu perché sei in ritardo» dice lei. «Se non me lo dici, allora dobbiamo smettere di parlare, perché l'ultima cosa di cui entrambi abbiamo bisogno, oltre a mancare il test o probabilmente essere segnati come assenti, è farci punire per rissa. Perlomeno è l'ultima cosa di cui ho bisogno io, okay?»

    Mi avvicino all'armadietto di fronte a lei e colpisco piano il metallo con il capo. Be', nemmeno io voglio parlare del perché sono in ritardo. Affondo una mano in tasca e penso a come cambiare argomento. Raccontare a Violet che ho fatto tardi perché il mio allenatore di football si è scagliato contro di me per aver picchiato un ragazzo che stava dando problemi al Terror, un ragazzo che aveva causato problemi a lei, non avrebbe aiutato me e Violet a mantenere un rapporto civile. Ce l'aveva col club e, di conseguenza, ce l'aveva con me.

    Violet mi guarda con l'espressione di chi sta provando a risolvere un problema di matematica. Sfortunatamente, mi conosce bene quanto io conosco lei.

    «Il ritardo ti costerà caro, è così?» chiede. «Questa sera non potrai giocare, se ti segna assente, vero?»

    Incontro i suoi occhi azzurri pieni di compassione e ho una fitta al petto. Rinuncerei volentieri alla partita di questa sera, se potessi tornare indietro nel tempo, a quando potevo parlare a Violet liberamente, e non è una cosa che faccio di solito.

    Il football è la mia vita. Come il club motociclistico. Il Reign of Terror è la mia famiglia... di sangue, è un legame di fratellanza. Non so chi sono senza il Terror come non so chi sono senza il football.

    Ultimamente sono stato combattuto tra i due, proprio come in quella poesia, e chiunque nella mia vita ha scelto da che parte stare. Violet era una persona con la quale potevo parlare, ma poi se ne è andata.

    Sei mesi fa mi ha chiesto di scappare con lei. Era spinta dalla rabbia, spinta da qualcosa di cui non mi ha voluto parlare. Quando le ho risposto di no, che dovevamo rimanere a casa, stare vicini alla nostra famiglia, vicini al club, la sera successiva Violet è tornata e ha dichiarato che stavo preferendo il club a lei e che tra noi era finita.

    Essendo un running back, ho ricevuto una dose di colpi più che sufficiente negli anni, ma nessuno mi ha mai preso alla sprovvista come lei quella sera. Non ho mai provato il tipo di dolore che mi ha provocato Violet lasciandomi.

    La porta della classe si apre e mi sento sollevato. Dovrò farmi il culo per recuperare la mia media dopo questo zero nel test, ma almeno stasera potrò giocare.

    La signora Whitlock esce, squadra me e poi Violet. «Ti lascio entrare solo se hai una giustificazione, altrimenti puoi andare dritto in segreteria e sperare che te ne diano una.»

    Sono fregato. Non c'è modo di ottenere una giustificazione dall'ufficio e ritornare in tempo. Sto per prendere a calci l'armadietto, quando Violet mi si mette davanti e tende un foglio. «Ecco la giustificazione di Chevy.»

    Giro la testa nella sua direzione. «È cosa

    «La tua giustificazione.» Violet mi guarda. «Grazie per la tua offerta, ma non è giusto che la prenda. Sono io quella che non ha una giustificazione e sono io quella che deve rimediare.»

    Inizia a indietreggiare e il mio cervello in corto circuito comincia a riprendersi. Non posso permetterglielo. «Violet...»

    «Divertiti stasera» dice, poi sparisce giù per le scale.

    «Si unisce a noi, signor McKinley, oppure no?» mi domanda la signora Whitlock. Non ho mai odiato di più una persona di questa donna e faccio uno sforzo enorme per mettere un piede davanti all'altro.

    Tutti mi guardano mentre avanzo tra i banchi e mi lascio cadere nell'ultimo posto della fila, quello vicino a Rasoio. Lui è tranquillo, rilassato, capelli biondi e occhi azzurri, e mi guarda come un gufo che sta decidendo se vuole l'ignaro topolino come merenda ora o più tardi.

    La signora Whitlock è persa nel suo mondo, mentre blatera delle varie interpretazioni della poesia e di persone morte troppo tempo fa. Posso fare poco, se non aprire la mia cartellina e fissare l'inizio del mio compito.

    «Chevy» sussurra Rasoio e gli getto un'occhiata. Indica il foglio sul suo banco su cui, nella sua confusa calligrafia, ha scritto: Stai bene?

    Sì, perché posso giocare a football, stasera. No, perché Violet si è sacrificata in modo che questo accadesse. Cavolo no, perché il mondo è un casino e non so come aggiustarlo. Peggio, perché non so se leggere qualcosa di più nel gesto di Violet... se questo significa che da qualche parte, in fondo al cuore, crede che possiamo ancora avere una possibilità.

    Scuoto la testa, Rasoio annuisce ed entrambi fissiamo la lavagna. Due strade. Un percorso. Non posso imboccarle entrambe. La scelta dovrebbe essere semplice, stando al tizio che l'ha scritta. Non lo è. Inoltre non parla di quello che succede quando le persone come Violet ti spingono su un percorso tuo malgrado.

    «Allora a quanti di voi è piaciuta la poesia?» chiede la signora Whitlock.

    L'intera classe alza la mano. Quasi tutti, tranne me e Rasoio.

    2

    Violet

    Veloce: cosa ottieni quando un dentista sposa una sarta?

    Non lo sai?

    Risposta: un tipo tosto che fa parte di un club motociclistico.

    Non capisci?

    Be', nemmeno io.

    Non ho la benché minima idea del perché mio padre si sia unito a un club motociclistico. I suoi genitori non avevano quello stile di vita, diversamente da molti altri membri. I miei nonni appartenevano senza dubbio alla classe media. Mio nonno era un dentista e aveva un piccolissimo studio, mentre mia nonna era una modista.

    Si sono sposati e, poco dopo, è nato mio padre, che ha avuto una vita banalissima e noiosa. È cresciuto persino in una villetta a due piani con lo scantinato, la staccionata bianca, il televisore Zenith che trasmetteva MTV e i disegni a gessetto sui marciapiedi.

    Crescendo, papà, ha giocato a football, è uscito con una cheerleader (mia mamma) e ha ottenuto una borsa di studio a copertura parziale per il college. È diventato contabile. La classe media felice, questo era mio padre. Non aveva senso unirsi a un club motociclistico, ma lui ne è diventato parte e, a causa di questa decisione, è morto.

    Mentre guardo gli altri in fila, che ridono e chiacchierano con le loro felici famiglie borghesi, tutto quello a cui riesco a pensare è che avrei potuto essere io. Avrei potuto essere la ragazza con il maglione blu che ridacchia con il padre in abiti informali.

    Ma non sono io, e dubito che capirò mai il perché.

    La folla sugli spalti esplode di gioia e l'altoparlante urla nella tiepida serata di metà ottobre. La squadra di casa, la squadra della mia scuola, fa un touchdown. In fila accanto a me al botteghino, mio fratello Brandon si solleva sulle punte, affondando le mani nelle tasche dei jeans, sforzandosi di vedere il campo da football.

    È una delle molte persone che amo così tanto da star male. Ed è anche una delle numerose persone della mia vita che, a quanto pare, non riesco a smettere di ferire.

    «Credi che sia stato Chevy a segnare?» È la prima cosa che dice da quando siamo usciti da scuola, questo pomeriggio. È furioso perché l'ho trascinato in presidenza e ho mostrato al vicepreside il livido e il taglio sul suo braccio procuratigli da qualche imbecille a pranzo. Mio fratello è lo zimbello di molti ragazzi della nostra scuola e non capisce mai perché non posso lasciarlo solo.

    È per quello che è successo a pranzo se oggi sono arrivata in ritardo a inglese. Brandon sanguinava e l'ho portato in infermeria. L'infermiera gli ha suggerito di chiamare la mamma e andare a casa, ma io l'ho convinto a tornare in classe perché deve imparare a tenere la testa alta. I tipi come quello che gli ha fatto male oggi continueranno a causargli problemi, se credono di avere la meglio su di lui. Ma tipi del genere meritano anche di essere puniti, ecco perché ho trascinato Brandon nell'ufficio del vicepreside dopo la scuola.

    «Ti ho chiesto se credi che sia stato Chevy a segnare» ripete Brandon.

    «Non lo so.» Espiro per scacciare il dolore che il nome di Chevy mi provoca. Chevy era il mio ragazzo. Era uno dei miei migliori amici. È anche una delle persone che amo da star male.

    «Non sono riuscito a sentire chi ha segnato» continua mio fratello. «Tutti che esultavano. Credi che lo scopriremo, dopo che saremo entrati? Credi che qualcuno ce lo dirà? Puoi chiedere?» Brandon si gratta il mento per due volte e le sue guance diventano rosse in contrasto con la sua pelle naturalmente pallida.

    La coda è lunga e lui è accaldato perché siamo arrivati tardi. A causa mia. L'ho fatto un po' apposta, un po' inconsciamente. A ogni modo, Brandon è arrabbiato con me. Non è una novità. Il normale stato d'animo di Brandon nei miei confronti è la rabbia. Sono quella che stabilisce regole e limiti, mentre tutti gli altri nella sua vita lo viziano o lo fanno divertire.

    La vita non è divertente e non fanno un favore né a lui né a me, cercando di comportarsi in modo diverso.

    Comunque, voglio bene a Brandon e odio che lui sia arrabbiato con me, quindi siamo qui per vedere il mio ex ragazzo giocare a football. Come ho detto, la vita non è divertente. Ma Brandon merita un attimo di felicità, specialmente perché a scuola ci sono così tante persone decise a renderlo infelice.

    Siamo a metà campionato e questa sera la squadra della nostra cittadina gioca contro una grande scuola di città. Due titani che si scontrano per il dominio. Sebbene io appaia immune, l'eccitazione attorno a me è contagiosa. Un mare di felpe blu, sorrisi e batti il cinque.

    Avanziamo nella fila e siamo a due persone dallo sportello; tiro fuori i soldi dalla tasca posteriore e porgo a Brandon una banconota da cinque dollari, mentre ne trattengo altri cinque per me.

    Lui spalanca gli occhi e si tira su gli occhiali che gli sono scivolati sul naso. «A cosa servono i soldi?»

    «Per comprare il tuo biglietto.» Sorrido, sperando che veda che sono calma e che rimanga calmo. Mio fratello ha quattordici anni, ha tre anni meno di me. Io frequento l'ultimo anno, lui è una matricola. Nonostante le molte cose in comune, come la pelle pallida e lentigginosa, gli assurdi capelli rossi e gli occhi azzurri di nostro padre, per molte altre siamo diversi.

    Ragioniamo in modo diverso. Non significa che il mio sia migliore. È solo diverso. Brandon è un pochino più lento per certe cose, e molto più veloce per altre. E spesso si agita parecchio, quando ci sono altre persone e nelle situazioni come quelle in cui ci troviamo ora.

    «Puoi farlo per me, Vi?» Certo, ora per lui sono Vi, il che significa che sono ufficialmente fuori dalla lista nera, e io sto quasi per cedere.

    Quasi. Mio fratello ha bisogno di imparare come cavarsela da solo nelle situazioni facili.

    «Puoi farcela» lo incoraggio. «Devi solo darle i soldi, chiederle un biglietto per studenti e poi lei ti consegnerà il resto insieme al biglietto. Ci vorranno solo pochi secondi.»

    Brandon si fa piccolo piccolo e, anche se è alto quanto me, mi ricorda quando eravamo bambini e gli tenevo la mano mentre viaggiavamo sullo scuolabus perché aveva paura.

    «Non mi piace come ci guarda la signora allo sportello. La vedo in giro per la città e mi fa sentire come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, quando invece non è così.»

    Il mio cuore perde un colpo, mentre giocherello con i braccialetti che ho al polso. «Qualsiasi sguardo cattivo ci lanci, è per me, non per te.»

    Questo è vero solo in parte. La donna alla biglietteria gode nel guardarci male. Direi che ha una faccia da stronza ma, quando non si occupa di me o di mio fratello, in effetti sorride.

    Viviamo in una piccola città. Brandon è il ragazzino strano, mentre io, dopo che una foto di me che me la spassavo con un ragazzo ha fatto il giro dei social media, sono la puttana della città.

    Prima di quella famosa foto mi avevano sempre etichettata come una bambina del Reign of Terror, perché mio padre ne faceva parte. Non so dire se, agli occhi della bigliettaia, puttana sia meglio di una del Terror. Probabilmente pensa che le due cose siano legate.

    «Vi» ricomincia, ma io mi irrigidisco e inizia a scapparmi la pazienza.

    «È solo un biglietto.» Questa volta la calma nella mia voce è forzata, così come il sorriso. «Voglio che tu sia in grado di comprare un biglietto.»

    Brandon abbassa le spalle e detesto aver perso il controllo, ma se non riesce a comprarsi un biglietto per una partita di football, come farà a comprarsi il cibo, quando sarà più grande?

    Mancano ancora dei mesi al mio diploma e, anche se penso a come fare per portarlo con me, quando me ne andrò, non potrò occuparmi di lui per sempre. Ha bisogno di imparare a cavarsela da solo. È quello che dobbiamo imparare tutti.

    Le persone davanti a noi si allontanano con i biglietti. Una mamma, un papà, un fratello e una sorella. Classe media e un sorriso da lato a lato. Li odio sinceramente per la loro felicità. Lo so che questo mi rende una persona sgradevole, ma a volte la vita è sgradevole.

    «Puoi farcela.» Gli prendo la mano e gliela stringo in modo rassicurante. «So che puoi farcela.»

    Brandon deglutisce a fatica, ma annuisce. Tensione nervosa mista a orgoglio mi scorre nelle vene mentre mi stringe la mano a sua volta e afferra meglio i soldi con l'altra. Sta per affrontare le sue paure. Il sorriso sulle mie labbra ora è sincero. Mio fratello crede in se stesso, io credo in lui e forse entrambi staremo bene.

    Proprio mentre Brandon fa un coraggioso passo in avanti, due gilet di pelle nera scivolano davanti a noi e ora a fissarmi c'è un mezzo teschio con le orbite che sputano fuoco.

    Vedo rosso e inizia a ribollirmi il sangue. «C'è una fila e voi l'avete appena saltata.»

    Eli, uno dei migliori amici di mio padre, una volta, getta un'occhiata alle sue spalle e ci fa l'occhiolino, mentre tira fuori il portafogli. Come sempre, ha i capelli rasati, i dilatatori alle orecchie e un sorriso a trentadue denti come se dovessimo essere felici di vederlo. «Ci penso io.»

    Fantastico. Ecco il club del Reign of Terror in sella alle sue Harley nere, deciso a salvare la giornata di persone che, in realtà, hanno bisogno di imparare come salvare loro stesse.

    «No, davvero, ci pensiamo noi» insisto.

    Provo a farmi strada per pagare ma Porcile, il braccio destro di Eli, mi si pianta davanti come l'ammasso di testosterone e fastidio quale è. Poi si muove e io in qualche modo mi ritrovo lontana dalla biglietteria.

    «Sono sorpreso di vederti qui, Violet.» Porcile ha quasi trent'anni e crede di essere bello con i suoi capelli biondi e i muscoli possenti. Crede anche di essere figo perché era nelle Forze Speciali o negli Army Ranger o qualcosa di altrettanto esagerato, ma non mi impressiona. «Sono sorpreso che tu sia qui, ma sono felice di vederti. Non sei mai venuta alle partite, quest'anno.»

    «Ero occupata» dico.

    «È così che chiami evitare chiunque appartenga al Terror? Occupata?»

    «A me sta bene.»

    «Ciao, Porcile!» Brandon si è acceso come una lucciola convinta che la sua specie fosse estinta. Eli che, naturalmente, ama il ruolo del salvatore, ha messo un braccio attorno alle spalle di mio fratello, mentre si uniscono a noi.

    «Ehi, Stone.» Porcile chiama mio fratello con lo stupido soprannome che gli ha dato il club. «Come va?»

    «Bene. Ci hanno comprato i biglietti, Vi!»

    «Sì, certo, perché la poverina non è in grado di affrontare il caro vecchio botteghino da sola» dico sarcastica, poi lancio un'occhiataccia a Eli. «Brandon stava per comprarsi il biglietto.»

    Eli si sgranchisce il collo come se fosse l'unico ad avere il diritto di annoiarsi. «La maggior parte delle persone direbbe grazie.»

    «Non hai capito il punto.»

    Eli dà una pacca sulla schiena di mio fratello. «Perché non entri con Porcile? Mi piacerebbe fare due chiacchiere con Violet.»

    Brandon saltella come un dannato cagnolino al quale è stato promesso di giocare e si affretta dentro lo stadio, lasciandomi con Eli. E pensare che mio fratello mi ha chiamata Vi. Il piccolo traditore.

    «Porcile!» urlo. «Non lasciarlo da solo!»

    Ho obbligato mio fratello a fare la spia oggi e, se portarlo alla partita lo farà sorridere, mi sono anche assunta il rischio che le persone di cui ha fatto i nomi possano essere qui. Se ci saranno, scommetto che non daranno problemi a Brandon, finché io gli starò accanto.

    «Ti preoccupi troppo» risponde Porcile senza voltarsi.

    Quando si tratta di mio fratello, invece, loro non si preoccupano abbastanza.

    Eli osserva Brandon e Porcile entrare nello stadio. Anziché andare a sinistra sugli spalti, vanno a destra verso il chiosco e medito di accoltellare Porcile alla giugulare. Il cibo del chiosco rende mio fratello euforico e, vista la giornata orribile che abbiamo avuto, avrei voluto essere io a renderlo felice con un hot dog, dei nachos e una granita.

    I motociclisti di tutto il mondo, per quel che mi riguarda, fanno davvero schifo.

    Eli si gira verso di me e mi si stringe il cuore. Buon Dio, mi ricorda Chevy. Una versione più vecchia, ma è chiaro che sono parenti. Eli è un McKinley come Chevy. Capelli castani, occhi scuri, spalle ampie. Mi sono chiesta spesso se Chevy diventerà il clone di Eli, una volta cresciuto. Eli è suo zio. Non sarebbe male se Chevy gli somigliasse da grande, ma è la paura che diventi un guerriero e un delinquente come suo zio ad averci separati.

    Eli mi studia guardingo mentre tira il dilatatore che ha all'orecchio. Ha il ghigno che usa per dimostrare alla gente che è tranquillo, ma io non me la bevo. Neanche Dio sa quanti demoni ossessionano la sua anima.

    A essere sincera, Eli era una delle mie persone preferite, ma io e lui non andiamo più molto d'accordo dalla morte di mio padre. In effetti non vado più d'accordo con nessuno del Terror, da quando papà è morto, un anno fa.

    «Ciao, Violet.»

    «Brandon stava comprando il suo biglietto.» Mi sforzo per mantenere un tono calmo. «Non puoi continuare a intrometterti e fare le cose per lui. Deve imparare a cavarsela da solo.»

    «Anche per me è bello vederti» dice Eli come se non avessi mai parlato. «Sono felice che tu abbia portato Stone. So quanto quel ragazzino ami vedere Chevy giocare.»

    «Forse non mi hai sentito, quindi cercherò di essere un pochino più diretta» dico. «Smettila di impicciarti di mio fratello. Non sei d'aiuto. Nessuno di voi è d'aiuto.»

    «Come sta tua mamma?» prosegue lui, di nuovo come se non avessi neppure aperto bocca.

    «Col muso lungo come sempre. Sai cosa potrebbe aiutarla? Un lavoro o un hobby o un obiettivo. Non farà mai niente finché voi ragazzi continuerete a spuntare all'improvviso e prendervi cura di lei.» Gli sto spiegando il problema, ma dubito che Eli capisca. La logica complica il suo processo mentale.

    Il lampo di frustrazione nel suo sguardo rivela che mi sta ascoltando, eppure continua la farsa. «Di' a tua madre che io e qualche altro ragazzo del club verremo ad aiutarla con la casa. Tagliare l'erba. Pagare le bollette.»

    Una furia pericolosa mi vortica dentro. «Sono stanca di ripetervi che non abbiamo bisogno dell'aiuto del Terror. In realtà staremmo meglio senza di voi.»

    «Non possiamo parlare senza litigare?» sbotta Eli, infuriato.

    Eccolo. Finalmente mostra la sua vera natura. «Non stiamo litigando. La mia voce non è ancora così alta da attirare l'attenzione della gente e non ho nemmeno detto fanculo, quindi siamo ancora in territorio civile, direi.»

    Eli apre la bocca per rispondere, ma il suo cellulare suona. Prende il telefono, controlla il messaggio e un'ombra gli incupisce il volto. Crescendo, ho visto quello sguardo centinaia di volte e quell'espressione significa che, qualunque cosa stia accadendo nel suo prezioso club, è più importante di me, più importante che restare.

    È lo stesso sguardo che aveva mio padre prima di lasciarmi per l'ultima volta.

    Perché non voglio che il club sia coinvolto nella mia vita e in quella di mio fratello? Perché Brandon non ha bisogno di persone che gli promettono che gli resteranno accanto per prendersi cura di lui, ma poi lo abbandonano appena squilla il cellulare. Mio fratello merita di meglio. Io merito di meglio ora e meritavo di meglio quando papà era vivo.

    «Devi andare?» Il tono cantilenante della mia voce trasuda amarezza.

    Lo sguardo torvo che mi lancia Eli è l'unica conferma che mi serve. «La nostra conversazione è finita.»

    Sì, lo è. «Devo prendermi cura di mio fratello mentre voi ragazzi andate a giocare.»

    Mi allontano da lui perché qualcuno nella vita di Brandon deve essere responsabile. Qualcuno deve essere l'adulto e, dato che le altre persone della sua vita sono decise a essere degli irresponsabili, il fardello ricade su di me.

    3

    Chevy

    Col cavolo che riesco a capire perché le ragazze amano ricevere fiori, ma i loro volti si illuminano, le loro labbra si sollevano e i loro occhi brillano come se gli avessi regalato il mondo. Mah, forse sono solo le ragazze con cui ho avuto a che fare io a reagire in questo modo. Forse le loro vite sono così incasinate che l'idea di un qualsiasi ragazzo che offre loro qualcosa senza volere niente in cambio le manda fuori di testa.

    È triste, ma vero. A me, però, non spiace essere la persona che procura loro un secondo di felicità.

    La nuova dipendente di Shamrock accetta le due margherite che ho fatto magicamente apparire. Le ho rubate due tavoli più in là da un bouquet che un militare teneva in mano. Suppongo volesse darlo a una delle cameriere. Non si è accorto che ho sgraffignato i fiori, e nemmeno gli altri. Mano lesta, una distrazione, e il mondo mi appartiene.

    «Grazie.» Abbassa lo sguardo e il mio cuore ha un sussulto. È carina. Sulla ventina. Può anche essere brava nel suo lavoro qui al bar, ma con quell'atteggiamento non supererà la notte. Ora come ora non c'è spazio per la modestia, la timidezza o le emozioni, se si vogliono fare soldi.

    «Una bella ragazza come te» dico ammiccando, «li stende tutti.»

    «Lavori qui?» mi chiede.

    La direttrice del bar, nonché migliore amica di mamma, mi colpisce sulla nuca prima che possa rispondere di no. «Smettila di flirtare con le mie ragazze» mi dice Brandy mentre guarda la nuova cameriera. «Stai attenta a lui, crede di poter convincere chiunque ad amarlo.»

    «Tu mi ami.»

    «E me ne pento quasi tutti i giorni.» Lo dice sorridendo, poi allunga la mano verso la sua nuova dipendente. «Forza, lascia che ti mostri da dove viene la magia vera.»

    «La mia magia è vera!» urlo e lei scoppia a ridere. Non posso evitare di sogghignare perché, tra pochi minuti, si incazzerà, appena si accorgerà che le ho rubato l'orologio... di nuovo.

    La nuova ragazza mi saluta con la mano, lanciandomi un'occhiata da sopra una spalla. Io annuisco in risposta. Il pezzo da venti nella mia tasca mi dice che non ci sarà più quando più tardi passerò a prendere mia mamma. Bisogna avere la pelle dura per fare la cameriera lì.

    Con un rumore sordo mamma appoggia la sua gigantesca borsa sul bancone, si leva la mia giacca di pelle e me la passa, svelando la canottiera e quelli che chiama i suoi jeans macchina da soldi. Mi ha chiesto di accompagnarla lì, dato che l'altro barista si è dato malato.

    Di solito accompagno mamma con la sua auto poiché odia le moto, ma questa mattina la sua Ford del 1980, già riassemblata, è morta di nuovo, e non ho avuto tempo di capire cosa si è rotto.

    Le passo l'orologio di Brandy e lei sospira pesantemente. «Per favore, potresti smettertela di rubare alle persone?»

    «Non è rubare, se poi restituisco.» Faccio un sorrisino; poi, quando la bocca di mamma si contrae, un sorrisone. Tutti nascono con un dono. Il mio dono è essere di mano lesta. È un peccato che le mie uniche opzioni di carriera siano il mago di strada o il borseggiatore. Certi giorni i miei piedi sono rapidi quanto le mie mani ed è questo a fare di me un gran giocatore di football.

    «Stasera dovremmo fare un bell'incasso.» Mamma usa il suo cellulare per controllarsi il trucco.

    Osservo il locale semibuio di tanto in tanto illuminato dai fasci di luce

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