Affari di famiglia
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Silvia Capoccia: senese di nascita, orvietana di adozione. Appassionata lettrice e scrittrice. Vive in campagna insieme ai suoi adorati animali ed è sempre alla ricerca di un nuovo mistero da raccontare.
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Anteprima del libro
Affari di famiglia - Silvia Capoccia
AFFARI DI FAMIGLIA
Silvia Capoccia
Copyright
Foto della copertina: Silvia Capoccia
Editing: Andrea Laprovitera
Copyright © 2020 LibroSì Edizioni
ISBN versione ebook: 9788898190812
Sommario
Copyright
CAPITOLO I
CAPITOLO II
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
CAPITOLO V
CAPITOLO VI
CAPITOLO VII
CAPITOLO VIII
CAPITOLO IX
CAPITOLO X
CAPITOLO XI
CAPITOLO XII
CAPITOLO XIII
CAPITOLO XIV
CAPITOLO XV
CAPITOLO XVI
CAPITOLO XVII
CAPITOLO XVIII
CAPITOLO XIX
CAPITOLO XX
CAPITOLO XXI
CAPITOLO XXII
CAPITOLO XXIV
Sinossi
CAPITOLO I
Il corpo di un uomo dondolava delicatamente alla brezza mattutina che aveva fatto seguito all’afa della notte. La corda era appesa al ramo di uno dei platani del giardino e il nodo sosteneva, dandogli appoggio, la testa dell’uomo reclinata sulla spalla sinistra.
Le mani lungo i fianchi, i piedi, nudi, nascosti dai pantaloni di un pigiama a righe di comune fattura e bagnati dall’irrigazione che, a settori, dava un po’ di refrigerio all’erbetta in quei primi giorni di agosto. A lato dei piedi, sulla destra, un muretto di pietra a forma di semicerchio rivestito di edera e, vicino al muretto, parzialmente nascosta dal rampicante, una statuetta che rappresentava una fatina seduta su un grande fungo.
Dal taschino della casacca del pigiama spuntava l’angolo di un biglietto. Alcuni scoiattoli scorrazzavano per il prato rincorrendosi incuranti di questa presenza. Il viso dell’uomo era sereno e composto senza la smorfia della morte dipinta sul volto.
Di fronte a lui un bellissimo prato verde curato e ben rasato che faceva da cornice a delle piccole case poco distanti dalla mansion messe a disposizione degli ospiti e degli amici del proprietario, Mr. Anthony Shelton, che avessero voluto fargli visita per passare insieme qualche giorno lontani dalla confusione di Londra.
La mansion si trovava nel Cotswold, la campagna a ovest di Londra, a circa due ore dalla capitale ed era stata ristrutturata dal padre di Mr Shelton, Edward Shelton, nei primi anni del ‘900.
Il prato era delimitato da una recinzione vicino alla casa padronale mascherata ad arte da una siepe con varie piante che si alternavano per tipologia, colore e grandezza conferendole un effetto mosso: eucaliptus, ligustro, bosso, lauro, viburno. Un piccolo cancello permetteva l’accesso alle scuderie nel campo oltre la siepe con altri recinti rotondi per i cavalli e un piccolo laghetto naturale con delle canne intorno.
Se l’uomo appeso avesse potuto aprire gli occhi risvegliandosi dal suo sonno eterno avrebbe visto i primi raggi del sole risplendere e inondare pian piano tutto il prato. Le nuvole che in lontananza si stavano ammassando, non stonavano con l’atmosfera bucolica di quella mattina di agosto immersa nei suoni della natura e nel silenzio delle attività umane.
L’uomo dava le spalle alla villa, un edificio del 1800 che si stagliava, su una collinetta, il punto più alto della tenuta, circondato da piante secolari che offrivano refrigerio durante le giornate estive.
Tra poco la casa si sarebbe svegliata e Miss Mawle, la cuoca, avrebbe aperto le finestre della cucina e cominciato a preparare il primo caffè della giornata. Questo era un lusso che lei e il resto del personale di servizio si concedevano prima di cominciare ad assolvere ai loro doveri quotidiani. Jane Allison, la cameriera che risiedeva alla villa, si sarebbe occupata come tutte le mattine della colazione di Mr Pickems, il maggiordomo, che per l’età e, piuttosto, per abitudine, preferiva gustarsi la colazione nella sua stanza.
Beth e Ally, di supporto a Miss Mawle e tuttofare, arrivavano dal villaggio vicino e dai dintorni ogni mattina e di lì a poco avrebbero cominciato a tirare fuori pentole e padelle per preparare la colazione facendole risuonare come tanti campanellini, quelli che talvolta si ritrovano vicino alle porte di casa e che vengono mossi dal vento. Susan, un’altra cameriera che come Jane alloggiava alla villa, ogni sera doveva chiudere persiane, finestre e tende in tutta la casa e fare la stessa cosa in ordine inverso la mattina successiva facendo attenzione a non fare troppo rumore a partire da quelle del salone a piano terra dove veniva servita la colazione a prescindere dal numero dei commensali. In effetti cominciare la giornata in quella stanza metteva di buon umore e questo non guastava come amava dire spesso Miss Mawle. Quella mattina Mr Shelton avrebbe fatto colazione con due suoi ospiti provenienti da York, arrivati dalla stazione di Londra con un cab il giorno prima: Mr Bamford, vecchio amico di Mr Shelton e la figlia Margareth che, visto lo scarso preavviso, avevano dimorato alla villa. A loro si sarebbe aggiunto Francis, il figlio di Mr Shelton, tornato alla tenuta da qualche giorno per occuparsi di un puledro ancora non in grado di reggersi sulle zampe, nato da pochi giorni dopo un parto difficile.
Via via, come un domino, anche le altre finestre sarebbero state aperte e Susan insieme a Ally avrebbero cominciato a spolverare lasciando Beth alle prese con la cucina e con Miss Mawle.
Jane non riteneva un onore portare la colazione a Mr Pickems, il membro più anziano del personale, ed eseguiva questa mansione con un misto di rassegnazione e alterigia onde contrastare lo sguardo freddo del maggiordomo che la fissava da sotto le sopracciglia cespugliose e con cui l’accoglieva ogni mattina quando entrava nella sua stanza dopo un rapido colpetto alla porta.
Ciò che Jane amava veramente e che faceva subito dopo era occuparsi dei fiori che abbellivano la loggia e il prato di fronte al portone principale. I fiori erano di vari tipi e colori: azalee, gerani, lavanda e camelie, rododendri e oleandri. Alle altre piante pensava il giardiniere, Mr Sawlin, di origine gallese da molto tempo ormai dipendente di Mr Shelton, un uomo anziano con le spalle curve e mani callose che, in giovane età, aveva lavorato nelle miniere di carbone. Forse era per questo motivo che amava il suo lavoro all’aria aperta. Le sue dita erano così delicate e agili nel toccare e curare le piante che Jane, ogni volta, rimaneva incantata dalla maestria con cui se ne occupava. Dopo una tazza di caffè, a Mr Sawlin piaceva spiegare a Jane un po’ di botanica e insegnarle il nome dei fiori raccontandole anche le leggende attribuitegli, talvolta, dalla tradizione.
Jane aprì il portone principale e, come tutte le mattine, cominciò a riempire l’innaffiatoio. Presto sarebbe arrivato il sole e la calura. Quella mattina, mentre innaffiava, una mano talvolta lasciava il manico dell’innaffiatoio sfiorando la tasca del grembiule dove conservava una lettera, l’ultima che aveva ricevuto, che dal giorno prima teneva sempre con sé e tutte le volte che ripeteva quel gesto arrossiva e sorrideva abbassando timidamente gli occhi come se ci fosse qualcuno davanti a lei. Sebbene non fosse il lavoro che avrebbe desiderato fare, era contenta. Aveva dopotutto un posto meraviglioso dove stare, era circondata da persone che le volevano bene e non la disapprovavano e soprattutto, da un po’ di tempo, ricambiava l’amore di un uomo speciale che, nonostante tutto, non mancava mai di dimostrarle il suo affetto. Persa nelle sue riflessioni alzò la testa per riavviarsi una ciocca di capelli che le era caduta sulla fronte e in quel momento scorse qualcosa vicino al platano poco distante dalla casa. L’espressione beata che aveva pervaso il suo viso fino ad un attimo prima sparì. L’innaffiatoio cadde in terra rovesciando l’acqua che ancora conteneva. I suoi occhi si spalancarono e rimasero sgranati come pietrificati. Il suo corpo cominciò a tremare come una foglia al vento e urlò.
Fu un urlo che squarciò il silenzio come un fulmine il cielo sereno.
CAPITOLO II
Miss Margie Mawle stava ancora seduta al tavolo rettangolare al centro della cucina sorseggiando il suo caffè dando le spalle alla porta e guardando l’orologio appeso al muro tra le due finestre: segnava le nove. A breve avrebbe dovuto cominciare a preparare la colazione che sarebbe stata servita alle dieci esatte. Mancava Beth. Chissà dove si era cacciata?! Probabilmente stava chiaccherando nell’ingresso con Susan e Ally. Un sorriso le si dipinse sulle labbra. Beth arrivava puntuale tutte le mattine alle otto. Era come creta nelle sue mani e le andava a genio. Aveva da poco compiuto i diciotto anni ma, nonostante la sua giovane età, eseguiva alla perfezione i suoi compiti se non distratta dalle altre e soprattutto voleva diventare una cuoca e non perdeva occasione di imparare da Miss Mawle. È vero che la faceva sgobbare ma le voleva bene e solo a lei dava alcuni dolcetti che teneva chiusi nella dispensa.
Miss Mawle amava quella cucina, le dava sicurezza ed era il suo regno incontrastato. Nessuno del personale osava metterlo in dubbio neanche Mr Pickems. Spesso si ritrovava ad osservare le suppellettili e i mobili come se fosse la prima volta. Era una cucina in stile vittoriano, essenziale, funzionale ed elegante e l’unico segno della modernità era il frigo rivestito da ante di legno. Sulla soglia delle finestre che si aprivano sul piccolo parco sul retro della villa c’erano dei piccoli oggetti ornamentali di rame e d’argento che rendevano elegante la stanza. Vicino alla finestra un lavandino in ceramica che non veniva più usato e un mobile basso dove venivano conservati piatti, bicchieri e tazze di porcellana. Un nuovo lavello con due vaschette era stato posizionato vicino all’uscita di servizio. Un armadietto lì accanto conteneva tovaglioli, tovagliette e asciugamani di lino. Sul tavolo lungo da lavoro, sull’altro lato della cucina, c’erano un vecchio macina caffè, dei pestelli e dei taglieri di marmo talmente pesanti che raramente venivano spostati per spolverare. Le pentole di rame facevano parte ormai dell’arredamento ed erano disposte in alto su una mensola ornata da un lambrequin i cui colori riprendevano quelli utilizzati per dipingere le scene di caccia sulle pareti ormai un po’ deteriorate dal tempo. E poi altri mobili dove venivano tenute le pentole e le padelle tra la stufa a legna e il fornello, cassetti, una dispensa e un porta vivande ormai in disuso ma che Miss Mawle utilizzava per tenere delle riviste di cucina. Un grande lampadario ricavato da una ruota di carro e delle appliques alle pareti con la base di legno avevano sostituito le candele del secolo scorso e completavano l’arredamento.
Miss Mawle lavorava in quella casa da molti anni, da quando era stata assunta poco più che ventenne da Edward Shelton un uomo autoritario e di poche parole.
Era nata a Saint Albans nell’Hertfordshire, una contea dell’Inghilterra orientale. Dopo la morte della madre, anche lei una cuoca, aveva lasciato la casa dove era cresciuta e, con le poche cose che possedeva dentro una valigia, era partita per Londra ospite della signora Middleton, un’amica di sua madre. E proprio grazie a lei riuscì a trovare lavoro in casa Shelton sostituendo la vecchia cuoca che pochi giorni prima era morta per raggiunti limiti di età. Questo succedeva cinquant’anni prima e da allora era rimasta alla tenuta che aveva subito amato poiché il verde che la circondava le aveva ricordato Saint Albans e ciò compensava il fatto di essere distanti dalla città. A settanta anni Margie aveva ancora un viso paffuto con gote rosate, fronte alta e occhi marroni svegli e acuti. I capelli erano ormai grigi ma ancora con qualche ciocca di colore castano. Nonostante avesse qualche chilo di troppo l’energia non le mancava. Era ben organizzata e amava apportare delle modifiche ai suoi piatti per renderli sempre più appetitosi e gustosi. L’unica differenza rispetto a quando era giovane, diceva spesso, erano gli occhiali che portava appesi al collo con una catenella