All'altare con il capo
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Matt non ha alcun dubbio: lui vuole il suo bambino... insieme a Violet. Quella è una trattativa su cui non è disposto a cedere, ma dovrà essere in grado di offrirle ben più della semplice passione se vuole che Violet percorra quella navata, rendendolo l'uomo più felice del mondo!
Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Anteprima del libro
All'altare con il capo - Cathy Williams
1
Violet esitava, sfiorando con il dito il tasto d'invio della mail. Sentiva già un profondo senso di vuoto e di perdita, mentre il panico cresceva al pensiero dell'ignoto che si apriva davanti a lei. Ma non era più una bambina, aveva ventisei anni e quella paura era fuori luogo.
Premette il tasto e chiuse gli occhi, cancellando la vita che scorreva dietro le finestre della sua Mews House di Londra, alle sette e mezzo di una bella domenica sera d'estate.
Sapeva esattamente come il suo capo avrebbe reagito a quel messaggio.
Tanto per cominciare, grazie al cielo, non lo avrebbe letto fino al mattino seguente. Sarebbe arrivato come al solito alle sei, si sarebbe preparato un caffè forte e si sarebbe seduto alla sua scrivania, coperta come sempre di cartelline, fogli sparsi e decine di appunti scarabocchiati su Post-it di tutti i colori.
Per prima cosa avrebbe letto le mail e la sua sarebbe stata lì, in cima a tutte le altre. L'avrebbe aperta e avrebbe... perso le staffe.
Si alzò e si sgranchì le articolazioni. Continuava a chiedersi come avrebbe reagito alle sue dimissioni. L'avrebbe scoperto la mattina dopo. Decise che sarebbe andata a lavorare più tardi del solito, verso le nove e mezzo, quando l'ufficio fosse già stato affollato e il suo capo meno propenso a dare in escandescenze davanti a tutti.
Non che a Matt Falconer importasse più di tanto, quello che pensavano gli altri. Lui era la legge! Nei due anni e mezzo in cui aveva lavorato per lui, l'aveva visto infuriarsi decine di volte, per il solo fatto di essere stato gentilmente contraddetto su qualcosa. A volte era stato compito suo impedirgli di mangiarsi vivo un povero impiegato, che aveva osato presentare una relazione men che perfetta. Aveva lavorato al suo fianco fino alle prime ore del mattino, per mettere a punto un contratto che non poteva aspettare. Si era palesata con tatto, quando l'aveva visto fissare la parete di fronte, con i piedi sulla scrivania e le mani piegate dietro la testa, depresso perché l'ispirazione l'aveva momentaneamente abbandonato.
Si sedette al tavolo della cucina con davanti la ricca insalata mista che si era preparata poco prima, ma riusciva solo a rovistare tra le verdure, con la forchetta.
Troppi pensieri le affollavano la mente.
Nell'arco di una settimana il suo mondo si era capovolto e lei era ancora sconvolta.
Violet odiava i cambiamenti. Odiava le sorprese. Amava l'ordine, la stabilità e... la routine. Amava tutte le cose che le ragazze della sua età di solito detestavano.
Non cercava l'avventura. Di certo non avrebbe mai contemplato l'idea di mollare il suo lavoro anche se, nel profondo, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo, perché... con il tempo, i suoi sentimenti per il suo brillante, capriccioso, imprevedibile capo erano diventati troppo... scomodi.
Allontanò il piatto e guardò l'ambiente che la circondava, come se lo vedesse per la prima volta. Non aveva senso, ovviamente, perché viveva in quella bella casetta di città, da quando aveva vent'anni. Era addolorata al pensiero di doverla affittare a un perfetto sconosciuto, mentre faceva l'inventario di ciò che la circondava. Ricordi sparsi un po' dovunque, sui mobili e sulle mensole... la libreria sommersa dagli spartiti... i manoscritti con tante annotazioni. Le fotografie... i manifesti...
Gli occhi le si colmarono di lacrime. Di nuovo.
Cercò di ricacciarle e si concentrò sulla pulizia della cucina, mentre la radio suonava in sottofondo. Musica classica, naturalmente. La sua preferita.
D'un tratto sentì bussare forte alla porta. Chiunque fosse, insisteva facendo un fracasso incredibile, senza nemmeno avere la decenza di lasciarle il tempo di arrivare alla porta.
Si affrettò ad andare ad aprire, prima che i vicini cominciassero a lamentarsi e... lui era lì.
Matt Falconer. Il suo capo. L'ultima persona che si era aspettata di veder apparire sulla sua soglia. Come diavolo aveva avuto il suo indirizzo?
Di sicuro lei non gliel'aveva dato. Per Violet, proteggere la sua vita privata era una forma d'arte.
Arrossì. Colta di sorpresa, non aveva potuto prepararsi all'impatto che aveva su di lei, così rimase lì, imbambolata, a fissare il suo bellissimo viso.
Dopo due anni e mezzo, le faceva ancora lo stesso effetto. Era così alto, così atletico, con le spalle larghe, i fianchi stretti e le lunghe gambe muscolose. I suoi capelli erano forse troppo lunghi e gli occhi, azzurri, erano ombreggiati da folte ciglia nere. E, naturalmente, c'era la sua pelle olivastra, che tradiva le origini spagnole della madre. Accanto a lui, i semplici mortali finivano sempre per sembrare pallidi, anemici e slavati.
«Scusi... cosa ci fa qui... signore?» balbettò Violet, sistemandosi una ciocca dei capelli castani dietro l'orecchio.
«Signore? Da quando sono stato nominato cavaliere? Fatti da parte, voglio entrare.»
Violet arretrò di un passo, restando aggrappata alla maniglia, ma gli sarebbe bastata una spintarella per forzare il blocco, cosa che, a giudicare dalla sua espressione, non avrebbe esitato a fare.
«È domenica» disse Violet, sfoderando il tono calmo che usava sul lavoro e in particolare con il suo irritabile capo. «Immagino che sia venuto per la mia... lettera di dim... be', la mia mail...»
«Lettera?» ruggì Matt. «Una lettera dovrebbe essere perlomeno educata!»
«Disturberà i vicini» scattò Violet.
«Allora fammi entrare e non saranno disturbati.»
«La mia era una lettera di dimissioni molto educata.»
«Vuoi parlare qui fuori, Violet? Sarò ben felice di bussare a tutte le porte dei tuoi ricchi vicini e di invitarli ad assistere a una sonora sfuriata.»
«Sei impossibile, Matt.»
«Be', almeno abbiamo liquidato il signore. È già un inizio. Fammi entrare. Ho bisogno di qualcosa di forte da bere» dichiarò, appoggiando la mano sulla porta.
Violet sospirò, la aprì poi si fece da parte per lasciarlo entrare nel piccolo ma raffinato ingresso, con il pavimento in pietra, bianco e nero.
Per qualche secondo Matt non disse nulla. Si guardò intorno mentre Violet rimaneva dov'era, prevedendo già le domande cui non aveva nessuna voglia di rispondere.
Quando finalmente posò lo sguardo su di lei, l'espressione rabbiosa che aveva avuto poco prima sulla porta ora era in parte mitigata da una genuina curiosità.
«Come hai avuto il mio indirizzo?» gli domandò.
«Entrare nei file dei dipendenti denota un ingegno mostruoso, vero? Bel posto, Violet» commentò. «Chi l'avrebbe mai detto?»
Violet arrossì poi gli lanciò un'occhiataccia. Matt rispose con un mezzo sorriso esasperante.
Lei girò sui tacchi e si diresse in cucina.
Come tutte le Mews House, eleganti ed esclusive case a schiera ricavate da antiche stalle, la sua non era grande, ma nemmeno piccola. Di fronte alla porta d'ingresso, una scala lucidissima conduceva al piano di sopra, dove si trovava la camera da letto. Al piano di sotto c'era un ampio salotto, un piccolo studio che usava come ufficio e sala da musica, un guardaroba con una tappezzeria dal sapore vittoriano. E, naturalmente, la cucina, che era abbastanza spaziosa da ospitare un tavolo da sei, ingombro di carte che Violet si affrettò a raccogliere e sistemare su una credenza. Poi si voltò verso di lui, si appoggiò al bancone e incrociò le braccia.
Non avrebbe potuto sentirsi più a disagio di così. I suoi austeri tailleur l'avevano protetta da lui, creando il necessario confine tra capo e segretaria.
Lì, in casa sua, con un paio di jeans e una vecchia maglietta, si sentiva... esposta e vulnerabile, ma non avrebbe permesso che tutto ciò trasparisse sul suo viso.
«Non mi hai mai detto di vivere in un piccolo gioiello come questo» commentò Matt, accomodandosi su una sedia della cucina, come se fosse stato lì centinaia di volte.
«Non credo di averti mai detto dove vivevo» ribadì Violet.
Lui annuì. «È proprio questo il punto. Perché mi hai nascosto una cosa del genere? Parecchie persone tacciono sulle loro case perché sono imbarazzate.»
«Vuoi un caffè?» gli propose Violet per sviare l'argomento, «o preferisci un tè?»
«Mi stai forse dicendo che non c'è un solo goccio di whisky in tutta la casa? No? Be', allora caffè sia. Sai come lo prendo, Violet, perché sei ben informata per quanto riguarda il sottoscritto...»
Matt allungò le gambe davanti a sé, con l'aria di chi non aveva la minima fretta, piegò le mani dietro la testa e la fissò, incuriosito.
In termini di incubi che si avveravano, quello era di certo il peggiore.
Matt Falconer, leggenda multimilionaria del mondo dell'informatica e delle telecomunicazioni, l'uomo adorato dalla stampa e dalle donne, era a casa sua, ansioso di ficcare il naso in cose che Violet aveva sempre voluto tenere per sé.
Dal momento stesso in cui era entrata nel suo ufficio, annidato in cima a uno dei palazzi più rappresentativi di Londra, aveva intuito che il suo capo non sarebbe stato come gli altri per cui aveva lavorato. Non sarebbe stato affabile o paterno come George Hill, con cui lei aveva lavorato per due anni prima di essere licenziata. Né sarebbe stato come Simon Beesdale, il suo ultimo capo. Un orgoglioso neopapà, che teneva decine di foto della sua famiglia sparse ovunque. Sempre sorridente e incoraggiante, Simon aveva fatto di tutto per integrarla nella sua squadra, composta da quindici persone.
No, Matt Falconer aveva dato il via al loro rapporto arrivando con un'ora di ritardo il giorno del colloquio, per poi gettarla nella mischia, a cavarsela da sola. Violet aveva dovuto accettare la sfida e imparare in fretta. E si era goduta ogni secondo. Le era piaciuto andare in ufficio all'alba per poi finire a sera inoltrata. Il brusio e il ritmo frenetico dell'attività. L'ambiente di lavoro informale. Aveva tenuto il passo, guadagnandosi il suo rispetto e vedendo il suo stipendio lievitare nel giro di due anni.
Ma il brillante intelletto e la rigida etica del lavoro di Matt erano intrecciati con una sconcertante sicurezza di sé, una sovrabbondanza di fascino e una forte personalità, il tutto programmata per ignorare ogni limite e confine.
Aveva resistito con fermezza alla marea di domande che le aveva fatto, quando era entrata nella sua società. Si era mantenuta sul vago e non aveva abboccato all'esca quando, dopo tre settimane, lui le aveva detto che le donne tendevano a rispondere, quando lui mostrava interesse per la loro vita privata.
«Non è il mio caso» aveva ribattuto senza la minima traccia di scusa nella voce. «Io intendo tenere ben separata la mia vita privata da quella professionale.»
E non si era mai pentita della sua decisione, Anzi, con il passare del tempo, cadendo sempre più sotto l'incantesimo del suo carismatico capo, aveva ringraziato il cielo che il buonsenso avesse prevalso fin dall'inizio.
Così la presenza di Matt Falconer lì, nella sua suggestiva dimora, la stava gettando nel panico.
«Per esempio» continuò lui, «immagino che, conoscendo ogni mia mossa, tu sapessi che avrei dovuto portare Clarissa al balletto, questa sera... quindi non avrei letto la tua mail fino a domattina. Forse hai pensato che, tornando a casa a notte fonda, avrei digerito meglio la notizia che intendevi lasciare il lavoro meglio retribuito e più stimolante che si possa sperare di trovare?»
Violet si asciugò le mani sudate sui jeans e gli preparò il caffè, proprio come piaceva a lui. Nero, senza zucchero. Gli dava le spalle, ma continuava a sentire il suo sguardo penetrante sulla schiena.
«Non è vero» disse, spingendo verso di lui una tazza di caffè e sedendosi il più lontano possibile.
Lo conosceva abbastanza bene da sapere che la sua curiosità non sarebbe svanita per miracolo. Ora si stava occupando della faccenda delle sue dimissioni, che considerava urgente, ma presto sarebbe tornato alla carica sul come potesse vivere in quella casa.
Ebbe un fremito d'apprensione, ma il suo sorriso rimase composto, la sua espressione educata e tollerante, anche se un po' perplessa.
Proprio il tipo d'immagine professionale che voleva trasmettere.
«Quindi, non ricordavi che sarei andato al balletto...»
«Che importanza ha?»
«Mi hai deluso, Violet. Pensavo fossimo amici e invece eccoti qui, troppo