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Autoritratto con Varrone
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E-book458 pagine5 ore

Autoritratto con Varrone

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Un libro sulla passione di vivere nella cultura e nella bellezza, tra meravigliosi e progrediti progetti edilizi; un libro sulla capacità di rinascere dopo cruente distruzioni; un libro su come rispettare la natura e l'ambiente tramite uno sviluppo sostenibile ed un meditato riciclo. Così Varrone, sconosciuto ai più, diventa un faro per le angosce esistenziali della nostra epoca.
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2020
ISBN9791220306096
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    Anteprima del libro

    Autoritratto con Varrone - Silvana Errico

    Moro.

    1. MARCO TERENZIO VARRONE E CASINUM

    1. Le Terme Varroniane di Cassino (riel.da https://mapio.net/pic/p-22468008/).

    1a. L’ISOLA CHE C’È

    Sapete che siete proprio fortunati? Miei giovani lettori - finora non ve lo ha fatto notare nessuno - ma proprio a Voi spetta far conoscere ed apprezzare una parte dimenticata dei Vostri luoghi. Luoghi splendidi e ora quasi selvaggi, che in passato si presentavano in aspetti impensabili fra quelle acque e quelle fronde. Acque e fronde come scenario di desideri realizzati, di architetture compiute, di storie di odio e riconciliazione, di perdita e di ripresa fra guerre civili e investimenti economici. Tra tante utopie e sogni di isole felici ed irraggiungibili, a Casinum ci fu chi realizzò la sua ‘isola che c’è’, in una villa ‘perfetta’¹: [...] Tu hai una villa meravigliosa per le decorazioni delle pareti, per le opere d’intarsio e per le ancora più superbe pavimentazioni a mosaico, ma ti sarebbe sembrato poco se le pareti non fossero abbellite con opere letterarie. Per quanto possibile, anch’io - volendo contribuire ad adornarla maggiormente di elementi pertinenti - ti mando questo libro, memore di quelle nostre conversazioni sulla villa perfetta ² [...]. Questa fattoria, concepita per lucrose attività produttive, arricchita da un Museo, una Biblioteca ed un luogo sacro agli ospiti - proprio l’isola che c’è - viene così descritta³: [...] Quoi ego: Cum habeam sub oppido Casino flumen, quod per villam fluat, liquidum et altum marginibus lapideis, latum pedes quinquaginta septem, et e villa in villam pontibus transeatur, longum pedes DCCCCL derectum ab insula, quae est in imo fluvio, ubi confluit altera amnis, ad summum flumen, ubi est museum10 circum huius ripas ambulatio sub dio pedes lata denos, ab hac est in agrum versus ornithonis locus ex duabus partibus dextra et sinistra maceriis altis conclusus. Inter quas locus qui est ornithonis deformatus ad tabulae litterariae speciem cum capitulo, forma qua est quadrata, patet in latitudinem pedes XLVIII, in longitudinem pedes LXXII; qua ad capitulum rutundum est, pedes XXVII. Ad haec, ita ut in margine quasi infimo tabulae descripta sit, ambulatio, ab ornithone f plumula, in qua media sunt caveae, qua introitus in aream est. In limine, in lateribus dextra et sinistra porticus sunt primoribus columnis lapideis, pro mediis arbusculis humilibus ordinatae, cum a summa macerie ad epistylium tecta porticus sit rete cannabina et ab epistylio ad stylobaten. Hae sunt avibus omnigenus oppletae, quibus cibus ministratur per retem et aqua rivolo tenui affluit. Secundum stylobatis interiorem partem dextra et sinistra ad summam aream quadratam e medio diversae duae non latae oblongae sunt piscinae ad porticus versus. Inter eas piscinas tantummodo accessus semita in tholum, qui est ultra rutundus columnatus, ut est in aede Catuli, si pro parietibus feceris columnas. Extra eas columnas est silva manu sata grandibus arboribus, ut infima perluceat, tota saepta maceriis altis. 13 Intra tholi columnas exteriores lapideas et totidem interiores ex abiete tenues locus est pedes quinque latus. Inter columnas exteriores pro pariete reticuli e nervis sunt, ut prospici in silvam possit et quae ibi sunt videri neque avis ea transire. Intra interiores columnas pro pariete rete aviarium est obiectum. Inter has et exteriores gradatim substructum ut theatridion avium, mutuli crebri in omnibus columnis impositi, sedilia avium. Intra retem aves sunt omnigenus, maxime cantrices, ut lusciniolae ac merulae, quibus aqua ministratur per canaliculum, cibus obicitur sub retem. Subter columnarum stylobaten est lapis a falere pedem et dodrantem alta; ipsum falere ad duo pedes altum a stagno, latum ad quinque, ut in culcitas et columellas convivae pedibus circumire possint. Infimo intra falere est stagnum cum margine pedali et insula in medio parva. Circum falere et navalia sunt excavata anatium stabula. In insula est columella, in qua intus axis, qui pro mensa sustinet rotam radiatam, ita ut ad extremum, ubi orbile solet esse, arcuata tabula cavata sit ut tympanum in latitudinem duo pedes et semipedem, in altitudinem palmum. Haec ab uno puero, qui ministrat, ita vertitur, ut omnia una ponantur et ad bibendum et ad edendum et admoveantur ad omnes convivas. Ex suggesto faleris, ubi solent esse peripetasmata, prodeunt anates in stagnum ac nant, e quo rivus pervenit in duas, quas dixi, piscinas, ac pisciculi ultro ac citro commetant, cum et aqua calida et frigida ex orbi ligneo mensaque, quam dixi in primis radiis esse, epitoniis versis ad unum quemque factum sit ut fluat convivam. Intrinsecus sub tholo stella lucifer interdiu, noctu hesperus, ita circumeunt ad infimum hemisphaerium ac moventur, ut indicent, quot sint horae. In eodem hemisphaerio medio circum cardinem est orbis ventorum octo, ut Athenis in horologio, quod fecit Cyrrestes; ibique eminens radius a cardine ad orbem ita movetur, ut eum tangat ventum, qui flet, ut intus scire possis. Da provetto regista, lo scrittore inquadra questa descrizione nella Villa Publica di Roma, durante un dialogo con alcuni suoi amici, aspettando i risultati delle votazioni per gli edili ⁴.

    2. La Villa Publica di Roma in un denario d’argento (55 a. C.). Legenda: Dritto P. FONTEIVS. CAPITO. III. VIR. CONCORDIA - Verso T. DIDI. IMP. VIL. PVB.(riel. Da http://khs11cityofrome.weebly.com/villa-publica.html)

    3. Nel cerchio il sito della Villa Publica nell’assetto di Roma repubblicana: si trattava di un edificio a 2 piani con portico a 5 colonne ioniche e 4 archi, reggenti un alto cornicione e 5 colonne superiori per il tetto. (rielab. dal Nouveau Larousse illustré, XIXe s., Paris 1866 - 1877).

    4. Denario di Varrone e Pompeo Magno (49 a. C.). Dritto: testa di Iuppiter terminalis con legenda VARRO PRO Q. Verso: scettro tra un delfino e un’aquila, con legenda MAGN . PRO COS.(riel. da https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/18/il-delfino-e-la-mezzaluna-quarta-parte/).

    Il dialogo verte sulle rendite delle ville e sugli allevamenti da far fruttare. L'opera presenta diversi livelli di lettura e, come in un film, flashback autobiografici si susseguono in un gioco da decifrare, con l'autore che si svela a poco a poco, nei ricordi felici delle vittorie e in quelli bui della sconfitta e - sine dubio - la sua ‘isola che c'è' gli era proprio necessaria. Varrone - nato a Rieti nel 116 a.C. e morto a Roma nel 27 a.C., con oltre 620 libri all'attivo, suddivisi in circa 70 opere, ebbe ottimi maestri, come Antioco di Ascalona e Lucio Elio Stilone. Compose il III libro del De rustica nel 37 a.C., ormai ottantenne e quando la sua vita avventurosa aveva trovato una serena stabilità. La propensione alla politica ne aveva segnato la maggior parte dell'esistenza. Gli studi furono il rifugio da eventi come guerre di ogni genere, da quelle contro Roma a quelle intestine. Trovò sempre il modo di elaborare opere miliari della letteratura latina, malgrado le campagne belliche intraprese. La sua prima opera - una novità come studio sistematico linguistico - il De antìquitate litterarum, fu dedicata al poeta tragico Lucio Accio. Malgrado si fosse anche esercitato nell’ars oratoria, non ebbe da essa l'attesa rinomanza e nemmeno l'impegno profuso per la Patria lo ricompensò dei tanti sacrifici.

    Fu seguace di Gneo Pompeo Magno in diverse spedizioni: contro Sertorio, contro i pirati e contro Cesare. Dopo Farsàlo, in segno di pace, Cesare prevedeva di affidargli la direzione della Biblioteca Pubblica di Roma nel 44 a.C., ma essa fu vanificata dalla sua morte⁵. I ripensamenti politici di Varrone si scorgono nella dedica a Cesare dell'opera Anti'quitatum rerum divinarum⁶. Fu proscritto e gli fu sottratta la proprietà a Casinum, evento immortalato nella II Filippica di Cicerone. Varrone si salvò grazie all'ospitalità di Fufio Caleno, che lo nascose in una sua casa, peraltro frequentata da Marc'Antonio (!) pur perdendo la maggior parte degli averi.

    CRONOLOGIA E CURSUS HONORUM DI VARRONE

    Egli, in un'opera scomparsa degli ultimi anni di vita, narra della perdita della sua biblioteca nel 43 ⁹. Dopo l'accordo di Miseno del 39 ¹⁰ solo la quarta parte dei beni incamerati fu restituita ai pristini proprietari mentre, grazie ad eccellenti appoggi, qualche proscritto riuscì a farsi depennare dalle liste, senza confische. Lo sappiamo sia da Appiano sia da Cornelio Nepote¹¹ ma Varrone non vi figura. Citando spesso alcuni suoi beni al passato, è plausibile che il Reatino, dopo il 39, abbia relegato nel ricordo quelli ormai perduti, lenendo il suo dolore con lo studio e l'impegno storico-letterario.

    Varrone fu al seguito di Pompeo anche perché questi ebbe, con la Lex Gabinia, un potere tanto ampio da consentirgli il controllo assoluto sul mare e sulle coste per 50 miglia all'interno: ma esso fu ben riposto perché - nel 67 a. C. - i pirati furono sconfitti in soli tre mesi. Varrone partecipò alla spedizione secondo il seguente schema:

    In questa impresa navale il valore di Varrone si distinse talmente, da fargli meritare la corona navalis, un'onorificenza al merito conferita a pochissimi eroici Romani.¹² Scrive Viviana Capelli¹³: Pompeo, privo di ogni conoscenza delle pratiche senatoriali, essenziali nell'esercitare la carica di console, persuase l'amico Varrone¹⁴ a scrivere per lui un manuale delle procedure in senato, così da apprenderle in poco tempo. (AUL. GELL. 14.7.2.) Varrone definì la sua opera εἰσαγωγικός, vale a dire uno scritto introduttivo alla materia senatoriale, corredato da un commentario. La commissione di tale compito sarebbe un segnale della volontà di Pompeo di inaugurare un nuovo periodo di prosperità dopo le guerre civili, partendo dal rispetto della tradizione senatoriale. Cfr. STEEL 2013: 118.

    La débacle di Pompeo iniziò con la rapida ascesa dovuta alla brillante vittoria contro i pirati mentre, fatalmente, si delineavano le conseguenti inimicizie che lo portarono alla rovina¹⁵. Varrone era propretore in Spagna nel 49 a.C., allo scoppio della guerra civile, e fu costretto ad una resa poco gloriosa, secondo Cesare¹⁶.

    5. Esempio di corona navalis. Diritto: testa laureata di Augusto, legenda AVGVSTVS COS • XI. Verso: testa di Agrippa con corona navalis. Legenda: M • AGRIPPA • COS • TER • COSSVS • LENTVLVS. Da http://www.acsearch.info/record.html?id=26296.

    6. Le campagne di Pompeo

    Rielaborazione da https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/10/le-campagne-militari-di-pompeo.

    7. Cesare e Pompeo. Rielaborazione da: https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/14/gli-scontri-fracesare-e-pompeo.

    1b. I RAPPORTI TRA CESARE E VARRONE

    Abbiamo esaminato come la vita di Varrone abbia percorso tutto il periodo travagliato delle trasformazioni repubblicane, con sanguinose guerre civili che funestarono quasi interamente il I secolo a.C. Da Silla a Pompeo a Cesare e poi ad Ottaviano, molte variazioni e innovazioni caratterizzarono quegli anni. Potremo illustrarle sinteticamente, rielaborandole da https://www.pearson.it/libroliquido/demo/2016/Geostoria_SSSG_9788869101847/01_h_unit.html:

    Quadro d'insieme: la crisi della repubblica

    Lo stretto legame fra Pompeo e Varrone non costituì un privilegio per quest'ultimo, consigliere e quasi mentore del primo. Egli ne subì le conseguenze, come abbiamo visto. Ma il suo raziocinio lo portò a scelte sicuramente vincenti, al contrario di Cicerone. "All'indomani della battaglia di Farsàlo, Cesare lascia salva la vita ai pompeiani che si arrendono e si rivolgono a lui supplicandolo. Il gesto di clemenza del vincitore trova ampia eco in numerose fonti antiche. La dimostrazione della propria lenitas (contrapposta alle crudeltà dei pompeiani, più volte registrate nel De bello civili ) è un motivo importante della propaganda cesariana: la clemenza verso gli avversari sarà il principio-guida del programma politico di Cesare in vista della pacificazione civile¹⁷". Così egli si riconciliò con i rivali ed anche Varrone ne beneficiò. La guerra civile con Pompeo viene commentata da Cesare in tre libri: i primi due raccontano gli eventi del 49 a.C., l'ultimo quelli del 48 - con la narrazione incompleta della guerra di Alessandria, nell'autunno dello stesso anno - per cui, secondo alcuni, l'opera sarebbe stata elaborata in tempi successivi all'esito bellico e pubblicata postuma. Data la vis compositiva del De bello civili, con le sue alterne vicende, secondo altri è più probabile che la stesura sia avvenuta a ridosso degli episodi descritti, con la pubblicazione nel 46 a.C.. Leggiamo cosa scrive Cesare nei Commentarii sulla guerra civile: [...] M. Varro in ulteriore Hispania initio cognitis eis rebus, quae sunt in Italia gestae, diffidens Pompeianis rebus amicissime de Caesare loquebatur: praeoccupatum sese legatione ab Cn. Pompeio teneri obstrictum fide; necessitudinem quidem sibi nihilo minorem cum Caesare intercedere, neque se ignorare, quod esset officium legati, qui fiduciariam operam obtineret, quae vires suae, quae voluntas erga Caesarem totius provinciae. Haec omnibus ferebat sermonibus neque se in ullam partem movebat. Postea vero, cum Caesarem ad Massiliam detineri cognovit, copias Petreii cum exercitu Afranii esse coniunctas, magna auxilia convenisse, magna esse in spe atque exspectari et consentire omnem citeriorem provinciam, quaeque postea acciderant, de angustiis ad Ilerdam rei frumentariae, accepit, atque haec ad eum latius atque inflatius Afranius perscribebat, se quoque ad motus fortunae movere coepit¹⁸.

    Dal 18^ al 21^ capitolo dello stesso libro II si narra della disfatta pompeiana in Spagna, con Varrone sempre più confuso ed osteggiato dalle città di Cordova, Carmona, Italica nonché abbandonato da una delle sue legioni, presso Gades. In conclusione, egli arriva a Cordova da Cesare e, dopo avere reso lealmente i conti della pubblica amministrazione, gli consegna il denaro e gli svela ubicazione e dotazione di frumento e navi. Cesare giunge in pochi giorni a Tarragona proprio con queste navi e con quelle degli abitanti di Gades. Qui già erano in attesa delegazioni da quasi tutta la provincia e, conferiti privati e pubblici onori con ricompense ad alcune città - tutti col medesimo criterio - parte da Tarragona per arrivare via terra a Narbona e quindi a Marsiglia, dove apprende dal pretore Marco Lepido di una legge per la nomina di un dittatore e di essere stato eletto dittatore.

    Il divario fra Cesare e Varrone, tenuto anche conto - all'epoca - dell'età del Reatino, all'incirca settantenne, mostra la superiorità tattica del primo, freddamente razionale nello scegliere uomini e mezzi, oltre a trattare accordi e gestire alleanze. Diciamo che con Varrone Cesare ‘abbia vinto facile' mentre riuscì a sconfiggere Pompeo - transfuga - proprio perché questi aveva abbandonato luoghi sicuri. L'orrenda morte di Pompeo fu il cruento epilogo di una guerra intestina. Ed anche la fine di Cesare, malgrado i trionfi e la gloria, fu drammaticamente sanguinosa.

    La Nemesi non va per il sottile, nella storia dell'umanità: egli fu aggredito dai congiurati ai piedi della statua di Pompeo, nella Curia pompeiana, presso lo splendido insieme di teatro e porticus con le loro opere d'arte. Quel che accomuna le morti di questi due valorosi romani è che Pompeo fosse stato genero di Cesare e che gli assassini del dittatore fossero quasi ‘persone di famiglia'.

    Nelle figure 4, 9, 10, 11 e 12 abbiamo una testimonianza - attraverso monete dell'epoca - degli avvicendamenti al potere. Dal denario di Varrone proquestore con Pompeo Magno proconsole (49 a.C.) alle emissioni di Sesto Pompeo (42-39 a.C.), notiamo come per decenni una preminenza marittima sia rimasta in ambito familiare. Il 48 a.C. segna il trapasso di Pompeo mentre per Cesare il conio passa dall'argento all'oro ma, giunto all'apice del potere, egli viene stroncato. In pochi anni la Repubblica ha subito trasformazioni radicali e non sempre ben accette. Gli intellettuali del tempo, quasi mai neutrali e, anzi, direttamente interessati a sfruttare il potente di turno, hanno lasciato ai posteri i loro strali, i loro commenti satirici o accorati, le loro veementi accuse.

    Sembra quasi incredibile che, da un periodo di crisi come questo - vissuto in prima persona da Varrone - sia sorta una mutazione col dominio di uno solo, il Princeps. Ma proprio a lui - e non credo per piaggeria - il Reatino dedicò l'opera De gente Populi Romani, volto alla deificazione di Giulio Cesare.

    Forse le diverse figure emergenti, come i grandi strateghi susseguitisi - prima socii e poi acerrimi rivali - costituirono la premessa per questa composizione. Ed il loro valore determinò la grandezza e la potenza di Roma, con l'annessione di sconfinati territori, con etnie e religioni diverse. Questa ascesa indusse il fiorire del pensiero nella letteratura, nelle arti, nelle invenzioni, col fondamentale apporto della cultura greca. Anche Varrone fu coinvolto nella temperie a lui coeva e lo notiamo in quegli scritti in cui confronta un passato austero con un presente futile e corrotto. Era stato in Grecia - ad Atene - negli anni 84-82 (periodo anche di un soggiorno di M. Tullio Cicerone), dove aveva partecipato agli incontri con filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona. L'influsso di questa esperienza pervade ed arricchisce tutta la sua opera di sottili riflessioni e di approfondite comparazioni. Nelle Saturae Menippaeae il triumvirato di Cesare, Pompeo e Crasso (60 a.C. - 53 a. C.) si presenta come un orrido mostro a 3 teste, il Τρικάρανος ¹⁹:

    καὶ τρεῖς οἳδε (Pompeius Crassus Caesar) τὸ μέγιστον ἐπὶ πᾶσι

    κράτος ἔχοντες τὰς χρείας ἀλλήλοις συνηράνιζον. Καὶ τις αὐτῶν

    τήνδε τὴν συμφροσύνην συγγραφεύς, Οὐάρρων, ἐνὶ βιβλίῳ περιλαβὼν ἐπέγραψε Τρικάρανον.

    cioè: e quei tre uomini (Pompeo, Crasso, Cesare), che avevano il maggior potere su tutti, hanno soddisfatto reciprocamente i loro bisogni. E uno scrittore, Varrone, definendo in un libro la loro alleanza, la definisce Il mostro a tre teste". Pareri dissimili riguardano l'inserimento del brano perduto nelle Menippee. Secondo Cèbe, Il mostro a tre teste non ne farebbe parte²⁰ - per la stesura ascrivibile fra 80 e 67 a.C. - mentre secondo Astbury il pamphlet è attribuibile a Varrone nel 59 a.C. ma forse inserito in altra opera ²¹. È chiaro che questo scritto porti a riflessioni sul suo rapporto con i triumviri e soprattutto su quello con Pompeo, che - secondo Cichorius - nel 59 a.C. si era allentato. Comunque, l'osservazione hanno soddisfatto reciprocamente i loro bisogni mette in luce proprio la corruttela di chi fa prevalere il proprio interesse invece di quello collettivo. Pompeo aveva deluso Varrone? Il testo dei Commentarii alla guerra civile ed il comportamento di Varrone in Spagna lasciano adito a molte congetture. Varrone era fiducioso solo nella clemenza di Cesare? Pompeo era stato un alleato sleale? O un uso del plurale per il singolare, da riferire ad uno solo? Crasso aveva accresciuto le sue ricchezze e come stratega e statista era inferiore a Cesare e Pompeo ma il mostro a tre teste era riferito a tutti i componenti. Astbury²² ritiene il Trikàranos una contestazione di Varrone, confutando le tesi di Henriksson, Strasburger, Della Corte, Dahlmann, Anderson²³. Garzetti ²⁴ considera il carattere di Varrone libero ed anticonformista - pur se passatista - e, vista la capacità analitica e perspicace del suo pensiero, lo ammira per la valutazione politica senza calcoli utilitaristici. A pag. 191 leggiamo: Il solo Appiano ci dà notizia della composizione da parte di Varrone, nell’anno 59, di uno scritto dal titolo greco Tpwàpavog, di solito interpretato come una satira contro [...] Cesare, Pompeo e Crasso allo scopo di dominare lo stato, e trapelata evidentemente per mille segni, come ben sappiamo dalle lettere di Cicerone, nel corso del 59, l’anno del consolato di Cesare. Sarebbe infatti strano che Varrone, volendo elogiare il triumvirato, secondo una tesi sostenuta di recente, avesse scelto di chiamarlo «il tricipite» in senso indubitabilmente mostruoso, il «mostro a tre teste», il «Cerbero». La sottile allusione [...] non poteva certo essere capita dal gran pubblico mormorante sulle strane cose che stavano accadendo, rivelatrici dell’esistenza dell’accordo (non della concordia) di tres homini immoderati²⁵. [...] Anche se da un po’, come si ritiene, Varrone non scriveva più satire menippee, non è da escludere che nel clima favorevole ne riprendesse l’estro e il gusto, nella prosa del libello più adatto all’argomento. Lo scrittore satirico dev’essere per natura indipendente e franco nella sostanza, pur se velato [...]. Probabilmente Varrone, dopo la fase critica, era tornato ‘all'ovile' come membro per la lex lulia Agraria. Come si nota dal carteggio fra l'esule Cicerone ed Attico, amico di entrambi, il Reatino non poté intercedere presso Pompeo come Cicerone chiedeva e la resa a Cesare rappresenta l'epilogo di un sodalizio già incrinato dal Trikàranos. D'altra parte, Gneo Pompeo e Sesto Pompeo, figli di Pompeo, cercavano di emergere: perciò una nuova generazione si affacciava alla ribalta per occupare posti di comando ed i vecchi alleati venivano messi in disparte. Ma i sogni di gloria svanirono ben presto: dopo la morte del padre, essi combatterono contro Cesare per finire sconfitti a Munda (45 a.C.). Gneo Pompeo fu poi catturato e giustiziato. Sesto, rimasto solo, lottò invano e - anche se fu nominato dal Senato prefetto della flotta e delle coste del mare, come antagonista di Antonio ed Ottaviano - fu proscritto dopo il Secondo Triumvirato. Con saccheggi e scorrerie riuscì a prevalere nelle Isole maggiori italiane, specie in Sicilia. Dopo aver vinto Ottaviano (38 e 37 a.C.), fu sgominato a Nauloco da Agrippa (36 a.C.) ed un'altra cruenta fine lo attendeva a Mileto, nel 35 a.C..

    ___________________

    ¹ Marco Terenzio Varrone, De re rustica, I II, 1,1 0. Si tratta della dedica a Pin nio, suo vicino di casa.

    ² V. Ibidem, 1.113,6. ÌI suocero Fundanio invita a costruire la vi lla con la diligenza degli antichi e non secondo il lusso dei modern i.

    ³ Ibidem, IH, V, 9-17. Traduzione in italiano alle pagg. 67-69-71. Vartone si dedicò ad opere di vasto respiro ed Ì suoi interessi spaziarono quasi in ogni campo del sapere. Rerum rusticarum o De re rustica, in tre libri - completata nel 37 a Casinvm - è un’opera conservata interamente, scritta in forma dialogica con vari personaggi - fra i quali lo stesso Varrone e Tito Pomponio Attico.

    • Libro I: dedicato a Fundania, moglie di Varrone, che aveva comprato un podere e chiesto al marito di aiutarla nella gestione. Tratta quindi dell’agricoltura in generale;

    • Libro II: dedicato a un allevatore di bestiame, Turranio Nigro. Tratta dell’allevamento del bestiame, compreso quello da pascolo;

    • Libro III: dedicato a un vicino di campagna, Q. Pinnio. Tratta dell’allevamento di uccelli, animali da cortile, api e pesci.

    La produzione agricola varroniana accentua tendenze preesistenti in Catone, presupponendo una concentrazione delle terre nelle mani di pochi proprietari: Varrone pensa a villae e latifondi più vasti, sfruttati intensamente con mano d’opera servile. Nella villa di Varrone si incontrano sia produzioni di pregio destinate al mercato cittadino e su vasta scala con fini di lucro, sia produzioni agricole finalizzate a utilitas e voluptas (profitto e diletto). L’opera, meditata con vivacità e brio, non ha esclusivamente finalità didascaliche ma anche estetiche della vita nella fattoria.

    ⁴ Il III libro del De re rustica è ambientato nel 54 o 50 a. C., nella Roma repubblicana. durante i comizi elettorali per eleggere gli edili. Il senatore Quinto Assio e Varrone, dopo aver votato il candidato del loro partito, cercano refrigerio dal sole cocente nella Villa Publica, presso il Campo Marzio. Lì incontrano l’augure Appio Claudio, Cornelio Merula - di famiglia consolare - Fircellio Pavone, Minucio Pica e Marco Petronio Passero. I nomi propri degli ultimi quattro amici riecheggiano quelli di uccelli, il cui redditizio allevamento è fonte dei consigli varroniani.

    ⁵ Nel 39 a.C. Varrone potè vantarsi di essere l'unico fra i viventi ad avere un ritratto nella biblioteca aperta dall'ex cesariano Asinio Pollione.

    ⁶ Le Antiquitates rerum humanarum et divinarum - perdute e giunteci per le citazioni del De civitate Dei di Sant'Agostino e per quelle di Plinio, Aulo Gellio, Nonio, Macrobio, ecc., constavano di 41 libri totali, con 25 riguardanti le Res humanae e 16 le Res divinae, in un compendio di cultura e religione di Roma. I 16 libri delle Res divinae - nel 47 a.C. - furono dedicati a Cesare come pontifex maximus.

    ⁷ V. Conrad Cichorius, Historische Studien zu Varrò in Romische Studien, Leipzig, 1922, pp. 193-194-196.

    ⁸ Cfr. Luigi Pompili Olivieri, Annali di Roma: dalla sua fondazione sino a’ di’ nostri, Tomo V, I. Roma 1841, p. 16. Vitruvio riporta che, per questa edilità, furono trasportate a Roma da Sparta alcune pitture, col supporto murario, per abbellire i comizi. Ma Cichorius (op. cit., p. 203) osserva che nel 1908 (Seidel Fast, aedil, Bresl, Diss. S, Q2 f.) fu chiarito che il Varrone in questione fosse un parente di Cicerone, C. Visellius Varro.

    ⁹ Gell. 3, 10, 17.

    ¹⁰ Appian., B. civ. 5, 72.

    ¹¹ Appiano: B. civ. 4, 44; Cornelio Nepote: Att. 10, 4; 12, 34.

    ¹² Realizzata in oro, veniva conferita al comandante che avesse distrutto la flotta nemica. Nella storia di Roma, la meritarono M. Attilio Regolo (257 a.C.), Varrone (67 a.C.) e Agrippa (36 a.C.).

    ¹³ In Pompeo, i pirati e la Lex Gabinia, Milano 2015.

    ¹⁴ V. Cic., De Imp. Cn. Pomp. 60. M. Terenzio Varrone fu intimo di Pompeo. Esperto comandante navale, in più occasioni gli consigliò rotte navigabili al posto di itinerari terrestri, nei periodi di guerra. In VAN OOTEGHEM 1954: 105 si ricostruisce, ad esempio, la proposta di Varrone a Pompeo di percorrere determinate tratte marittime per approdare in Spagna e iniziare la guerra contro Sertorio.

    ¹⁵ Plutarco, Vita di Lucullo, 36.2-4 e Vita di Pompeo, 45.2-5; Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XXXVI, 46.1-2.

    ¹⁶ Cfr.

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