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Mio fratello era pakistano
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E-book71 pagine52 minuti

Mio fratello era pakistano

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Info su questo ebook

Thriller - racconto lungo (44 pagine) - Per Alessandro Giani, giovane operativo dell’AISE, la prima missione è qualcosa di più del battesimo del fuoco. È un confronto con le proprie radici. In Pakistan.Kenji Albani: nato a Varese il 13 novembre 1990 (è italiano nonostante il nome giapponese). Laureato in Scienze della Comunicazione e diplomato come sceneggiatore di fumetti alla Scuola del Fumetto di Milano. Segnalato al concorso Giulio Perrone Editore nel 2008, ha poi pubblicato una ventina di racconti fra riviste letterarie locali e piattaforme online. Ha al suo attivo anche una quindicina di articoli di vario genere (dallo sportivo al culturale, passando per la paleontologia) su siti e riviste specializzati. Per Delos Digital ha pubblicato un saggio (La primissima Guerra del Golfo) e racconti di vario genere (SF, storico, thriller): Il serpente che si morde la coda, Il grande attacco, Il cinematografo della morte, Dare vita, dare morte). Ha curato l’antologia AA.VV., di sua ideazione, Dark graffiti.


Qualcosa è andato storto nell’operazione congiunta CIA-AISE nei FATA, i Territori Tribali nel Pakistan Nord-occidentale. Cosa è accaduto ad Alessandro Giani, fresca recluta dell’intelligence italiana, alla sua prima operazione sul campo? Verrebbe anche da chiedersi perché impegnare un giovane alle prime armi e non un veterano adeguatamente competente. Non fosse che Alessandro, oltre a una fortissima motivazione, ha un’altra caratteristica utile: ci è nato, in quelle zone del Pakistan. Perché prima di essere adottato da una coppia italiana, da bambino, il suo nome era Amjad.


Kenji Albani, nato a Varese il 13 novembre 1990 (è italiano nonostante il nome giapponese), è laureato in Scienze della Comunicazione e diplomato come sceneggiatore di fumetti alla Scuola del Fumetto di Milano. Segnalato al concorso Giulio Perrone Editore nel 2008, ha poi pubblicato una ventina di racconti fra riviste letterarie locali e piattaforme online. Ha al suo attivo anche una quindicina di articoli di vario genere (dallo sportivo al culturale, passando per la paleontologia) su siti e riviste specializzati. Per Delos Digital ha pubblicato un saggio (La primissima Guerra del Golfo) e racconti di vario genere (SF, storico, thriller): Il serpente che si morde la coda, Il grande attacco, Il cinematografo della morte, Dare vita, dare morte). Ha curato l’antologia Dark graffiti.

LinguaItaliano
Data di uscita19 gen 2021
ISBN9788825414479
Mio fratello era pakistano

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    Anteprima del libro

    Mio fratello era pakistano - Kenji Albani

    9788825414158

    1

    – Sì, mio fratello era pakistano…

    – Molto bene, signor Giani. Suo fratello era pakistano. E, poi, ha ottenuto la cittadinanza italiano, giusto?

    Emilio Giani sospirò nel sentirsi provocato dal quel ghignetto ironico. E dal modo irritante in cui il presentatore aveva detto cittadinanza e pronunciato il verbo ottenere.

    È un idiota e un bastardo.

    Oppure fa l’idiota e il bastardo. Ma fin troppo bene.

    Fin dal primo momento, Emilio aveva giudicato lo showman quantomeno ottuso. Oltre che sgradevole, persino fisicamente. Sembrava un porcellino: grasso, naso all’insù, con gli occhiali. Doveva essere diventato quel che era grazie a qualche raccomandazione.

    Emilio volse lo sguardo verso le telecamere, verso il pubblico in sala, una folla di lobotomizzati che applaudiva a comando.

    Un groppo in gola gli ricordò che non era lui, Emilio Giani, il protagonista del caso del giorno. E cosa ne pensassero il pubblico e il conduttore del programma non era fondamentale. Quindi, chiuso o no, razzista o no, raccomandato o no, il presentatore era quello e non si poteva fare nulla per cambiarlo. Perciò, rispose seccamente: – Sì.

    – Bene. Ma esponga pure il pregresso, per favore. Ignori il fatto che alcuni di noi sono evidentemente già a conoscenza dei fatti – insisté, con un mezzo sputacchio sulla f. Nessuno schizzo raggiunse Emilio, che però si sentì comunque disgustato.

    – D’accordo… Alessandro è nato con il nome Amjad nella valle dello Swat, in Pakistan, a metà degli anni Ottanta.

    – Ah-ehm. – Il conduttore fece un sorriso finto imbarazzato. Sembrava divertirsi, il maialino. – Io sono laureato, cum laude, in Giurisprudenza. Non in geografia. Potrei anche non sapere, di preciso, dov’è questa valle…

    – Nei cosiddetti Territori del Nord Ovest del Pakistan. Una terra… difficile. Quando Alessandro nacque, bastava attraversare qualche passo montano e si arrivava nell’Afghanistan della guerra civile…

    – L’invasione sovietica.

    – No, no. È solo propaganda occidentale. Tutti credono che i sovietici invasero l’Afghanistan, ma non è corretto. Puntellarono il regime filosovietico, invece. Esattamente come Putin sta facendo con Assad in Siria. In quel periodo, si assistette a un confronto diretto fra governativi afghani spalleggiati dall’Armata Rossa e mujaheddin che…

    – Non dilunghiamoci. La storia contemporanea certo ci aiuta a capire, non le sue valutazioni personali rispetto alla stessa. Vorremmo andare rapidamente al punto. Parliamo di Alessandro Giani, o meglio di Amjad.

    – Sì, certo. Uhm, Alessandro ebbe i natali in un villaggio di questa valle. Negli anni Ottanta e Novanta il posto era relativamente tranquillo, a parte gli sconfinamenti dei guerriglieri afghani, qualunque fazione fossero, e il passaggio delle forze speciali pakistane che venivano impiegate nel conflitto. A partire degli anni Duemila, invece, i Territori del Nord Ovest diventarono parecchio interessanti per il governo di Islamabad. I Talebani Pakistani, le tribù insorte che non si capiva bene a chi fossero fedeli… In quegli anni, Alessandro crebbe a Roma. Lui è il fratello maggiore. I nostri genitori lo avevano adottato temendo di non poter avere figli. Il timore fu smentito, ma ugualmente Alessandro fu amato come loro figlio. A tutti gli effetti.

    Una pausa, breve. Frammenti di memoria.

    – Ricordo che Alessandro aveva sempre dei dubbi. Lo vedeva che aveva la pelle più scura dei bambini che lo circondavano. A scuola, quei pochi bulli che provavano a mettergli i piedi in testa lo chiamavano negretto, ma lui li ridimensionava. Ne soffriva, ma credo si sentisse anche in qualche modo speciale. Forse si vedeva come un supereroe, nella sua diversità… Quando fu in grado di capire, i miei genitori gli dissero la verità. Non saprei dire fino a quando avessero fatto orecchie da mercante alle domande sul perché avesse la pelle più scura. Forse, avevano persino favorito l’idea che fosse speciale. Ma, si sa, prima o poi ai bambini va spiegato che Babbo Natale non esiste. Così gli dissero tutto… Mio padre racconta spesso che aveva atteso quel momento con ansia. Aveva l’angoscia di ferirlo, di farlo sentire diverso. Invece, Alessandro accettò tutto. Lo ricordo. Avevo solo poco più di un anno meno di lui. Stette in silenzio qualche secondo, poi si fece indicare sull’atlante il posto. La Valle dello Swat, intendo. Iniziò a guardare quel pezzo di carta con adorazione. E diceva: io vengo da là… Magari si sarebbe detto che sarebbe scappato di casa, in un tentativo infantile di raggiungere lo Swat. Al contrario, la vita continuò come tutti i giorni. Apparentemente…

    Lo sguardo di Emilio percorse la stanza dello

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