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Voyeurismo - 10 brevi racconti erotici in collaborazione con Erika Lust
Voyeurismo - 10 brevi racconti erotici in collaborazione con Erika Lust
Voyeurismo - 10 brevi racconti erotici in collaborazione con Erika Lust
E-book159 pagine2 ore

Voyeurismo - 10 brevi racconti erotici in collaborazione con Erika Lust

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Info su questo ebook

"Questo hotel ha una caratteristica unica, che non ha nessun altro hotel per quanto ne so, e che è riservata esclusivamente ai clienti più benestanti. Si chiama PLAYROOM. È un posto dove, a pagamento, puoi fare il voyeur e guardare una coppia che fa sesso. Gli ospiti dell'hotel ci possono anche avere rapporti sessuali tra di loro. L'aspetto più eccitante e unico è che c'è un paio d'occhi anche dall'altra parte del muro, che guardano attraverso un portello che si chiude appena il rapporto è finito." Questo libro contiene i seguenti racconti brevi:La donna e il pescatore - Brunch e orgasmi - Voyeurismo - Flirt sulla neve - La prima volta -Il maestro di danza - Jenny la Piratessa - Il gioco del dottore - Rapiscimi - Ricordi di lui-
LinguaItaliano
EditoreLUST
Data di uscita1 feb 2021
ISBN9788726536249

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    Voyeurismo - 10 brevi racconti erotici in collaborazione con Erika Lust - Autori vari

    Voyeurismo - 10 brevi racconti erotici in collaborazione con Erika Lust

    Translated by LUST

    Cover image: Shutterstock

    Copyright © 2021 Lea Lind, Marguerite Nousville, Cecilie Rosdahl, Olrik, Reiner Larsen Wiese, Beatrice Nielsen, Sarah Skov and LUST, an imprint of SAGA, Copenhagen

    All rights reserved

    ISBN: 9788726536249

    E-book edition, 2021

    Format: EPUB 3.0

    All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    La prima volta

    Lea Lind

    Mentre cammino per il parco mi pare di vedere Anna ovunque. Riflessa nelle pozzanghere, tra le nuvole, o intenta a sbirciare tra i rami degli alberi. Che strana sensazione, percepirla così vicina anche se ormai è così lontana. Almeno geograficamente. Faccio un sospiro e mi passo la mano tra i capelli alla James Dean, pettinatura che lei derideva sempre, definendola simile a zucchero filato brillantinato, ma di cui allo stesso tempo sembrava non riuscire a fare a meno.

    La tua cera per capelli mi macchia tutto il cuscino aveva riso.

    La prima volta che ero stato sdraiato tra le sue lenzuola color corallo. La prima volta che ero stato sdraiato tra le lenzuola color corallo di chiunque.

    Ma più rimani e meglio è aveva bisbigliato passando le dita sulle macchie unticce.

    Perché ora sei qui con me, e quando non ci sei...

    Aveva premuto l’indice nella federa del cuscino, disegnandovi cuori invisibili mentre mi guardava. Il mio pene si era indurito sotto il suo sguardo che era passato rapidamente dall’innocenza al desiderio. Sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire, sebbene nessuno dei due l’avesse mai fatto prima, e sebbene non dovesse succedere esattamente quel giorno. Si era avvicinata le dita alle labbra umide e aveva preso a succhiarle piano, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi affamati.

    E ora dovrò pregare per la mia redenzione? Aveva ridacchiato.

    Mi ero lanciato sopra di lei e l’avevo baciata avidamente. Ricordo la sensazione sotto la pelle come se fosse accaduto soltanto ieri; forse è per questo che mi sento così vuoto da quando Anna se n’è andata. Mi sento come se non ci fosse più niente di vivo dentro di me, nessun muscolo, cellula né tendine in funzione. Solo organi morti, sangue rinsecchito e vene che penzolano come fili imbalsamati color porpora. Un cuore morto che ama con la stessa passione di prima. Dov’è andato? E un cazzo che si rizza continuamente senza che Anna lo possa ricevere? Cosa dovrebbe fare?

    Quindi non vi siete lasciati? Ha protestato Marco l’altro giorno mentre giocavamo a basket al parco. Mi ha lanciato la palla dritta tra le braccia. Io ho fatto qualche passo all’indietro e sono inciampato, confuso, poi mi sono ripreso e ho scosso la testa. Perché no, non ci siamo lasciati, però... È difficile da spiegare. L’unica cosa che posso dire con certezza è che per la prima volta capisco cosa intende la gente quando dice che l’amore fa male, anche se da fuori tutto sembra normale. Inizio ad accelerare il passo. Mentre mi dirigo verso l’uscita del parco e lungo il viale, mi frugo in tasca alla ricerca del cellulare e controllo il profilo Instagram di Anna, ma non c’è niente di nuovo. Non da quando ha pubblicato la sua foto d’addio dall’aeroporto, inquadrando l’ala dell’aereo mentre si allontanava da Barcellona.

    Darei qualsiasi cosa per averla di nuovo accanto a me, la vera Anna, la sua testa posata sulla mia spalla. Il profumo rassicurante della sua pelle, i piccoli, calmi respiri che alle mie orecchie suonano sempre melodici e meditativi. Come le nenie da cui dipendono i neonati per trovare pace. Non so cosa fare di me stesso. I messaggi da parte sua si stanno diradando, il che mi rende insicuro nonostante l’amore che provo per lei sia al di sopra di ogni dubbio.

    E nonostante il fatto che entrambi ci siamo promessi di rimanere insieme. Non so cosa aspettarmi, adesso. Devo anche lasciarle il tempo di tornare a sentirsi a casa nel suo vecchio appartamento, di risistemarsi nella sua vecchia vita...

    Devi venire a trovarmi mi aveva detto con le lacrime agli occhi.

    Lacrime sottili, trasparenti e scintillanti che sgorgavano dai suoi occhi proprio come quando le avevo detto che la amavo per la prima volta. E l’ultima volta eravamo rimasti a letto insieme, nudi, condividendo un senso di interconnessione che nessuno dei due aveva mai provato prima con altre persone, e che nessuno dei due desiderava provare con altre persone. Sento un calore irradiarsi nel mio corpo mentre i ricordi della prima volta che ho visto Anna riportano un po’ di vita nelle mie viscere defunte. Le sue gambe lunghe, la pelle bianca come il latte, quei bellissimi capelli biondo-rossicci, gli insoliti occhi tra il verde e il grigio, e poi il suo sorriso. Quel sorriso unico che ha mostrato soltanto a me.

    Oslo sospiro e assaporo la tristezza contenuta in quella parola. Oslo...

    Ha un sapore freddo, e c’è una tale distanza tra la mia città e la sua. Barcellona e Oslo distano in totale 2.580,40 chilometri, secondo Google Maps, e 10.000 milioni di miliardi secondo me. Mi inumidisco le labbra e mi pare di sentire la mano di Anna che mi accarezza la guancia. Sentire la mancanza di qualcuno è come ricevere una pugnalata che s’insinua nel cuore, lo ruota, lo fa a pezzi. Le mie vene si attorcigliano nel corpo come radici in una stretta mortale. Non so come annaffiarle ora che Anna non è più accanto a me.

    Ci vediamo è stata l’ultima cosa che mi ha detto prima di andarsene, e io tengo strette quelle parole. Il tonfo sordo di una palla da basket sul cemento si fa strada nei miei pensieri. Soltanto quando la palla mi sfiora mi rendo conto di non essermelo soltanto immaginato.

    Scusa! Ride un tipo un po’ imbarazzato.

    Afferro la palla. Me la faccio piroettare sul dito indice, dribblo e la lancio nella sua direzione. Il tipo mi ringrazia e io annuisco ripensando a tutte le volte che Anna e io abbiamo giocato a basket insieme nel parco. Lei era scarsissima. Ma io facevo in modo di giocare peggio di lei.

    Non mi avevi detto che hai giocato per tantissimi anni? Aveva riso lei.

    Io avevo alzato le spalle. Volevo soltanto starle vicino ed era più facile farlo quando non ero impegnato a dribblare per sfuggirle. Piego il collo all’indietro e guardo il cielo.

    Dove sei? Bisbiglio e mi sembra di sentirla ridere al centro del sole.

    Fisso lo sguardo sull’idrogeno che brucia. Mi viene da starnutire, come se il rosso infuocato del tramonto lassù fossero i capelli morbidi di Anna che mi solleticano il naso. Mi passo la lingua sulle labbra. Con lei era tutto così giusto. Con lei è tutto così giusto. Le avevo fatto conoscere Barcellona. Lei ne amava l’atmosfera. Vivevamo nutrendoci di churros e di amore. Passeggiavamo per le strade, sulla spiaggia e nel parco; il tempo sembrava essersi fermato, ma tutto intorno a noi era pieno di vita.

    Sei sempre così rilassato ridacchiava lei con una scintilla negli occhi.

    "Mañana, mañana" ridevo io e le baciavo la punta del naso.

    Era esattamente l’opposto delle feste diplomatiche cui dovevo partecipare con Anna e i suoi genitori, nonostante loro fossero molto gentili. Fissavo capelli a zucchero filato in maniera più curata, come quelli di uno yuppie, e mi trovavo lì con lei a cercare di rimanere serio in mezzo a tutte quelle persone dagli abiti ingessati e i sorrisi dipinti. Mangiucchiavamo antipasti e bevevamo sorsi di cocktails. Facevamo un gioco in cui eravamo le star di un thriller scandinavo e dovevamo portare avanti un negoziato affinché un criminale ricercato fosse consegnato all’ambasciata del suo paese natio. Ma in segreto versavamo i cocktail nelle caraffe e ci nascondevamo nello scantinato dell’ambasciata.

    A fine serata tornavamo a casa mia e rimanevamo a parlare fino a quando le notti lasciavano il posto ai giorni; parlavamo dei nostri sogni, di un futuro in cui io ero lo sceneggiatore e Anna l’attrice, mia musa eterna.

    Il primo amore è sempre il più grande, anche se il prossimo lo sarà ancora di più aveva detto sorridendo mia madre la prima volta che aveva conosciuto Anna - e si era innamorata di lei all’istante, proprio come me.

    Anna aveva ridacchiato imbarazzata e si era stretta a me. Poi era diventata una battuta ricorrente tra noi. Soprattutto quando ci dividevamo una porzione di churros.

    Voglio il più grande ridevo io.

    Ma il mio lo sarà ancora di più! Rideva Anna e scappava con tutto il cono in mano.

    Io la inseguivo. La afferravo al volo con tutte le forze fino a farci cadere entrambi sulla sabbia. Sentivo i nostri cuori battere forte mentre baciavamo via lo zucchero dalle nostre bocche e ci facevamo strada l’una nell’anima dell’altro. Era tutto così dolce quando Anna era accanto a me. Supero l’ingresso del condominio e cammino fino all’angolo del palazzo. Non voglio entrare in casa senza Anna, così invece salgo per la scala antincendio verso il tetto, dove ci sedevamo sempre insieme a guardare le stelle. Appoggio la schiena alla ringhiera e spero che il Grande Carro sia visibile stasera.

    Il Grande Carro è la costellazione più facile da individuare aveva riso Anna mentre mi mostrava il disegno che aveva tatuato sull’avambraccio. Eravamo a letto, senza fiato.

    Una volta trovata quella, puoi trovare anche tutte le altre.

    Io non voglio trovare nient’altro, soltanto te avevo bisbigliato.

    Lei si era stretta a me e io le avevo sfiorato la pelle col pollice.

    Non ti ha fatto male? Le avevo chiesto.

    È passato ormai aveva sorriso.

    Io avevo baciato l’inchiostro nero bluastro.

    Mi fai il solletico aveva ridacchiato lei prima d’infilare le braccia sotto la mia felpa.

    Cosa ti tatueresti tu? Mi aveva chiesto mentre mi disegnava cerchi sulla scapola, imitando col dito un ago da tatuaggi.

    Non ci ho mai pensato avevo mormorato.

    Un’ancora? Aveva riso lei.

    Una rosa, o forse un ritratto di tua madre?

    Una Anna! Avevo riso chinandomi su di lei.

    La patta dei miei pantaloni premuta contro la sua gonna. Le sue guance si erano tinte di rosso e mi aveva mordicchiato il labbro inferiore, spingendo il seno contro il mio torace. Non mi sono mai deciso a farmi inchiostrare la pelle, ma quell’ultimo giorno con Anna mi è rimasto addosso come un tatuaggio; uno che non è stato doloroso da realizzare, ma è dolorosissimo da portare in giro adesso che lei non è più qui. È come un fastidio incessante sulla pelle che solo Anna può guarire a suon di baci. Tamburello con le dita sulla ringhiera. C’è un pezzetto di carta incastrato tra lo scalino su cui sono seduto e il bordo della ringhiera.

    Gioco con l’angolo che spunta mentre ripenso all’ultima giornata passata con Anna nell’appartamento dei suoi, quando avevamo finalmente avuto un momento solo per noi tra gli scatoloni del trasloco e i sacchi dell’immondizia. L’ultima volta che l’avevo stretta a me. Stava preparando il tè. Io seguivo con lo sguardo i suoi movimenti. La sua mano tremò mentre mi porgeva la tazza bollente.

    Tu credi che l’amore non abbia limiti? Mi domandò timidamente.

    Sempre! Risposi prendendole la mano.

    Lei sorrise facendomi lasciare la presa poi si puntellò con le mani sul bancone per tirarsi su. Io mi posizionai davanti a lei, faccia a faccia. Ci baciammo ed entrambi capimmo che era giunto il momento. Era già successo che stessimo nudi insieme, a toccarci ovunque, ma non eravamo mai arrivati fino in fondo. Provavo un desiderio profondo di diventare tutt’uno con lei, e non soltanto di starle sdraiato accanto. Mi feci strada con la mano sulle sue cosce e dentro i pantaloncini. Lei prese piccoli respiri rapidi mentre le baciavo il collo; poi avvolse le gambe intorno alla mia vita e mi mise le braccia al collo. La sollevai dal bancone e la portai in camera sua. La posai sul letto, che non era ancora stato portato via, e salii sopra di lei.

    Ci baciammo. Lasciai scivolare le mani sulla sua gola mentre le sollevavo la camicetta scoprendo la cintola. Le baciai l’ombelico mentre mi accarezzava i capelli. Anna mi sfilò la maglietta e

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