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Come gli Alieni Occuparono lo Stato: L'anello d'oro, #1
Come gli Alieni Occuparono lo Stato: L'anello d'oro, #1
Come gli Alieni Occuparono lo Stato: L'anello d'oro, #1
E-book161 pagine1 ora

Come gli Alieni Occuparono lo Stato: L'anello d'oro, #1

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Info su questo ebook

Non un racconto di fantascienza né una storia a fumetti, bensì l'algida narrazione di una vicenda thriller di spietata follia dove nessuno può ritenersi al riparo da minacce esterne.

Texas, anni Cinquanta. La noiosa vita degli abitanti di una cittadina viene scombussolata dall'arrivo di un giovane forestiero. Alcuni lo accolgono volentieri, altri ne rimangono turbati. Gloria, moglie e madre ambiziosa, si invaghisce di lui. Un uomo che vuole ucciderlo comparirà ben presto al suo seguito. I due finiranno per affrontarsi mentre strani fenomeni iniziano ad accadere di notte e qualcuno comincia a sparire.

 

Come gli Alieni Occuparono lo Stato. Il primo romanzo della serie "L'Anello d'oro" che comprende anche il secondo: "Qualcosa nell'acqua"

 

Fabio Romolo autore anche della serie Investigatore Emmett Kowalski: "Il Grande Sogno – Una Storia Vera" , "Duplice Inganno" e "L'Ultimo Miraggio".

LinguaItaliano
Data di uscita18 feb 2021
ISBN9781393542124
Come gli Alieni Occuparono lo Stato: L'anello d'oro, #1
Autore

Fabio Romolo

Born in Italy, he has loved movies since his childood. He worked in a multinational until he decided to leave and start writing as he had done in his teens. He spent some time in L.A. years ago. He published three hard-boiled stories of the “Detective Emmett Kowalski” series with noirish atmospheres set in the Los Angeles of the Forties. His other two books, of the “Golden ring” (Anello d’oro) series, are thriller stories taking place in Southern USA. The author lives in a small town on the Mediterranean coast.

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    Anteprima del libro

    Come gli Alieni Occuparono lo Stato - Fabio Romolo

    A coloro che ci provano e non ce la fanno mai. 

    Giungeranno prima della fine di ogni cosa,

    cavalcando raggi cosmici gamma.

    Canaglia!

    Tu che ti muovi, rivolti,  strilli e piangi dentro la mia mente;

    non t’ascolto, non ti conosco.

    Quando infine ci incontreremo,

    inizierò a dimenticare di me.

    Prima parte

    1 – La strada

    L’infinita e stretta statale è un serpente che attraversa la prateria. Si trascina incontro al disco infuocato del sole calante nel tardo pomeriggio estivo.

    Mucche in lontananza sui campi aridi, o magari sono covoni ammucchiati da pigri contadini; qualcuno dubiterebbe che si tratti anche di fieno. Carcasse di animali dunque?

    Là, dove la strada sbuca dalla collina, qualcosa emerge dall’orizzonte, sembra la testa di un rettile a caccia di prede, ma è solo la sagoma di un’auto in avvicinamento.

    Le ruote corrono sull’asfalto bollente e il parabrezza è sudicio di insetti spappolati. Il guidatore della Ford del 1952 non soffre il caldo opprimente della pianura che lo circonda, rimane assorto con lo sguardo avanti. Indossa un cappello da cowboy, come chiunque da quelle parti. Trattiene una sigaretta in bocca. Guarda lo specchietto retrovisore e abbassa leggermente gli occhiali da sole: gli iridi sono azzurro chiaro, glaciali direbbe qualcuno; a volte la gente sa essere davvero banale.

    Accende l’autoradio. Muove la manopola finché non la sintonizza su una delle numerose stazioni di musica country. Inizia a canticchiare il motivetto con la sigaretta fra le labbra; prosegue così per alcuni chilometri.

    In corrispondenza di un incrocio con una sterrata, l’auto frena. La portiera si apre e l’uomo poggia il suo stivale a punta sulla strada. Esce dalla vettura e si sistema i jeans. Si posiziona sul bordo della carreggiata, verso la prateria. Abbassa la zip e comincia a urinare. Di fronte al sedile anteriore del passeggero c’è una cassetta con delle bottiglie di birra, ne ha tracannate alcune prima di partire.

    Sollevata la cerniera, sputa il mozzicone che finisce vicino a un serpente a sonagli; non lo ha neppure notato. Appena l’animale scuote la coda, lui compie un balzo di mezzo metro per la sorpresa. Il crotalo striscia via quando ha smesso di far vibrare il sonaglio.

    «Maledetto!» esclama. Ha sempre odiato i rettili, per lui servono soltanto per confezionare cinture e stivali.

    Aggiusta il cappello e torna alla macchina. Alza il capo e, benché indossi gli occhiali scuri, resta abbacinato dal bagliore del sole. Sopra di lui volteggia un rapace. L’uomo simula di estrarre una pistola, con pollice e indice tesi fa finta di prendere la mira e sparare al falco.

    «Meglio che chiami i nostri amici avvoltoi, bello!» E finge di riporre l’arma. Nel farlo solleva la camicia che porta fuori dai pantaloni: una rivoltella è infilata nei jeans proprio sul pube. Un secondo dopo un’automobile transita a tutta velocità.

    «Diamine!»

    Non si era accorto che qualcuno si stava avvicinando. Osserva la Roadmaster e per qualche attimo nota il fanciullo che lo scruta dal lunotto. Si ritrova a pensare a un episodio del passato: un incidente d’auto, una famiglia rimasta uccisa.

    Lui, come in precedenza, muove veloce il braccio e mira al veicolo. Vede il bambino che insiste a fissarlo finché il volto non sparisce dentro la macchina in allontanamento.

    Apre il portabagagli e poi spalanca lo sportello posteriore. Un paio di piedi si muovono, ma sono legati: qualcuno è sdraiato sul sedile, è imbavagliato e si divincola. L’uomo col cappello lo considera per qualche istante, mette le mani ai fianchi e infine gli afferra le gambe. Lo trascina per le caviglie fino a permettergli di posarsi sull’asfalto – anche i polsi sono incatenati dietro la schiena – dopodiché lo traina ancora, lasciandolo crollare a terra.

    Il prigioniero batte spalle e capo sul manto stradale; emette solo un vago lamento. Non perde conoscenza, geme e cerca di muoversi. Prova a rotolare, vuole nascondersi sotto il mezzo oppure alzarsi; sul viso ha delle lesioni, l’evidenza delle percosse subite. Nel frattempo l’altro si è acceso una nuova sigaretta e si dirige al bagagliaio, si china, vi rovista dentro ed estrae una vanga. Richiude lo sportello e si avvicina all’individuo che è riuscito a mettersi semiseduto con la schiena alla ruota posteriore.

    «Vediamo quanto sai resistere!» Il rapitore sogghigna e lascia cadere il mozzicone sulla strada.

    2 – La casa

    «È andato tutto bene?»

    «Certo.»

    «È venuto il signor Beck?»

    «Sì.»

    «Ha comprato l’attrezzatura?»

    «Huh.»

    La donna prende il piatto e lo porta al lavandino lasciando il marito a tavola. Ron è di poche parole, d’altronde anche lei non sa più cosa dirgli o chiedere.

    Gloria non ha altri argomenti se non parlare della casa o delle amiche, ma di tutto ciò al consorte non frega nulla. Per lui la solita giornata di lavoro al negozio di armi. Si ricorda di lei soltanto quando è il momento di mangiare oppure se, aprendo il frigo, si accorge che manca la scorta di birra.

    «Te ne sei dimenticata?!» avrebbe detto in quel caso.

    E lei come al solito avrebbe risposto che è lui a berne troppa.

    È solo un ubriacone!, pensa.

    Lo è sempre stato e non ha finto di essere altrimenti neanche quando erano fidanzati. Allora si divertivano, quantomeno scopavano. Lei desidera farlo di frequente, ma non più con il marito. Odora di alcool e di sporco. Si lava alla mattina e vuole fare sesso di sera, dopo una lunga giornata di lavoro.

    «Puzzi!» ha avuto il coraggio di dirgli una volta.

    Lui ci ha riprovato, ma non ha insistito.

    Non la picchia, ha tentato i primi mesi dopo il matrimonio – sono passati vent’anni dalla cerimonia – ma lei gli ha risposto mollandogli un ceffone e minacciando di lasciarlo. È un codardo, forse l’ha scelto per quello; meglio un uomo così di uno che mena.

    Quando si sono sposati nel 1935 lo stipendio di Ron era di tutto rispetto malgrado lavorasse per conto di un altro. Le facevano i complimenti: «Ti sei presa uno degli uomini più attraenti di Abilene!» E poi: «È un buon partito, anche se non è ricco.»

    Lei invece si è permessa una vita discreta da subito e il bel Ron non l’ha mai sollecitata a mettersi a lavorare, non ce n’è mai stato bisogno.

    Due anni più tardi è arrivata la figlia Brittany e le cose sono cambiate. Lei non aveva preventivato che il marito si sarebbe lasciato andare. È ingrassato e ha iniziato a lavarsi meno.

    Dopo la nascita della pargoletta, Ron trascorreva sempre più tempo fuori casa, diceva che i pianti della bambina lo esasperavano.

    Quando è cominciata la guerra, il coniuge è dovuto partire. Ne è seguito un periodo in cui Gloria ha desiderato che non tornasse più; non gli è nemmeno rimasta fedele. È sempre stata una donna piacente e ha continuato a ricevere lusinghe dai pochi che non erano al fronte e dagli uomini troppo giovani per arruolarsi.

    Ron è rientrato sano e salvo. Tutto sommato è stata contenta di riaverlo, era tornato quello di prima, la lontananza forzata riaccese in ambedue la scintilla, almeno per qualche mese. Lui è stato entusiasta di riprendere a lavorare, anche troppo. Ha deciso di mettersi in proprio e traslocare in quel posto dimenticato da Dio.

    «È il paradiso terrestre» ha detto il marito e ha voluto comprare il terreno dove ha costruito la loro abitazione.

    È convinta che non avrebbe dovuto cedere a Ron e trasferirsi a Cody. Se fossero restati in città, le cose sarebbero andate diversamente. Ha pensato di andarsene, ma lui portava i soldi e lei non ha mai avuto voglia di darsi da fare. Avrebbe potuto trovarsi un uomo disposto a sposarla, i pretendenti non sarebbero mancati; era stato sempre così, ma con una bambina sarebbe stato problematico.

    Anni prima lei avrebbe dovuto cedere alle lusinghe del signor Chase, ma le faceva schifo: troppo vecchio e sbavava pure. Era pazzo di lei, le aveva comprato dei regali, fra i quali un braccialetto. Lo possiede tuttora, ma non lo indossa mai. Nessuna metterebbe un oggetto simile in quel posto sperduto.

    Gli uomini che le piacciono sono quelli più giovani e costoro non hanno intenzione di mantenere una donna matura. I coetanei, a suo parere, a letto non ci sanno fare, e trova ributtanti quelli più anziani. A ogni modo, nella cittadina è difficile trovare entrambi; ed è impossibile tener nascoste le proprie avventure.

    Alla fine ha deciso di rimanere insieme a Ron, forse soltanto per la figlia, ma anche perché non ha avuto l’ardire.

    Le pare di stare in gabbia a volte. Non quando però si ritrova con le amiche per giocare a carte o si reca nell’unica boutique di Germanville e acquista un vestito alla moda, quello da indossare il primo sabato del mese al ballo del Salone delle Feste in Main Street. Non ci sono occasioni per agghindarsi oltre alla messa della domenica.

    Vorrebbe fuggire da lì. Adesso potrebbe farlo, la figlia ha compiuto diciassette anni, ha interrotto gli studi e lavora nel negozio di alimentari. Loro stessi avrebbero avuto problemi a pagarle l’università.

    La notte quando Ron dorme e spesso russa al suo fianco, emanando quel classico odore, Gloria immagina come potrebbe essere la sua esistenza in una città più grande. In una dimora a due piani con un ampio giardino, e non in quella topaia alla periferia di un buco di paese dove non cresce un filo d’erba se non innaffi il campo ogni santo giorno, e d’estate neanche quando lasci scorrere l’acqua per ore. Dove la polvere e la sabbia entrano in casa perfino con porte e finestre chiuse, e alla sera gli unici esseri viventi in circolazione sono armadilli, lucertole e serpenti.

    Che razza di vita è questa?,

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