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Dovere o destino?: Harmony Collezione
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E-book169 pagine2 ore

Dovere o destino?: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Lui è il suo angelo custode. Lei la sua principessa.

Per riuscire davvero a proteggere Ava de Veers, James Wolfe deve restare concentrato sul proprio lavoro. Avendo trascorso un'incredibile notte di passione con lei, sa esattamente quanto testarda, indipendente - e sexy! - sia, e l'unica soluzione è reprimere ciò che prova per lei. O, almeno, provarci.

Wolfe è l'uomo più coraggioso che Ava abbia mai conosciuto, l'unica persona di cui può fidarsi e solo tra le sue braccia si sente al sicuro. Ava è pazza di lui, e ha sempre sognato di sposarsi per amore, ma nelle sue vene scorre sangue reale...
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517257
Dovere o destino?: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Dovere o destino? - Michelle Conder

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Duty at What Cost?

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Michelle Conder

    Traduzione di Sonia Indinimeo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-725-7

    1

    Ava guardò fuori dal finestrino dell’auto. Lo sfolgorante sole estivo risplendeva nella verdeggiante campagna francese e lei desiderò essere lontana un milione di miglia, su un altro pianeta magari, dove nessuno avrebbe riconosciuto il suo nome. Dove nessuno avrebbe saputo che l’uomo che suo padre aveva scelto per lei stava per sposare un’altra e dove nessuno l’avrebbe compatita per questo.

    «È tempo che tu la smetta di bighellonare a Parigi, e che torni a casa, ad Anders» le aveva detto suo padre quella mattina, con una certa condiscendenza.

    Ma Anders era l’ultimo posto dove voleva andare. La rabbia di suo padre non l’aveva sorpresa. Certamente era rimasto deluso sapendo che l’uomo a cui sua figlia era promessa fin da bambina, si era innamorato di un’altra. Ma in che modo glielo aveva detto! Una donna della tua età non ha tempo da perdere. Come se a trent’anni avesse imboccato già il viale del tramonto! L’aveva fatta sentire quasi in colpa.

    Ava voleva innamorarsi, voleva sposarsi! Solo che non aveva voluto sposare Gilles, un amico d’infanzia che considerava un fratello e neanche lui aveva voluto sposare lei. Il problema era che avevano finto di assecondare i propositi dei loro genitori troppo a lungo, arrivando anche a coprire spesso le rispettive scappatelle.

    Oh, come avrebbe voluto sbattere in faccia al padre la verità! Ma ormai, a quindici anni dalla morte di sua madre, avevano quasi smesso di parlarsi e di vedersi. Certo, se fosse stata un maschio sarebbe stato diverso.

    Avrebbe avuto altre possibilità. Essere il principe ereditario, per dirne una. Non che desiderasse governare la loro piccola nazione, ma avrebbe avuto il rispetto di suo padre. Il suo affetto, magari.

    Ava strinse il volante della sua berlina e svoltò in una stradina di campagna che correva a fianco di Château Verne, la proprietà di Gilles.

    Per otto anni era stata felice, a Parigi. Aveva finito l’università, si era costruita un’attività e aveva presenziato agli eventi regali quando suo fratello Frédéric era impegnato altrove. Ora che Gilles, Marquis de Bassonne, stava per sposare una sua amica, Ava temeva che tutto sarebbe cambiato.

    Era di pessimo umore, cosa insolita per lei. Gilles e Anne si erano innamorati a prima vista due mesi fa e insieme erano più felici di quanto li avesse mai visti prima. Era evidente che si completavano l’un l’altra ma Ava non ne era per niente gelosa.

    La sua vita stava procedendo bene. La sua galleria d’arte, la Gallery Nouveau, era stata recensita da una prestigiosa rivista d’arte e lei era impegnatissima. Era da tanto che non si sentiva innamorata ma tre anni prima, la sua rottura con Colyn, l’uomo che aveva pensato di sposare, l’aveva lasciata emotivamente svuotata e un po’ diffidente.

    A poco più di vent’anni, il suo insegnante le era sembrato la quintessenza dell’intellettualismo borghese, un uomo a cui non interessava il suo patrimonio e che la amava per ciò che era. Le ci erano voluti un paio di anni per capire che era egoista e desiderava governare la sua vita esattamente come suo padre. A ripensarci si sentiva davvero svuotata.

    Si era sentita così miserabile solo durante le passeggiate lungo la Senna, quando guardava con invidia le coppie innamorate che non riuscivano a fare due passi senza fermarsi per un altro bacio. Per lei non era mai stato così e cominciava a chiedersi se mai sarebbe accaduto.

    Dopo Colyn, aveva deciso di uscire solo con uomini che non le ispiravano altro che amicizia. Per fortuna era stata troppo assorbita dal lavoro per pensare a quello che le mancava o al fatto che stava invecchiando.

    Mah!

    Alzò il volume della radio per scacciare quei pensieri angoscianti e una curva insidiosa la trovò impreparata. Premette di colpo sul freno ma non accadde nulla, l’auto era finita su una striscia di ghiaia e cominciò a slittare. In preda al panico, cercò di raddrizzare la rotta, ma l’auto aveva preso slancio e prima che potesse fare qualunque cosa, sbandò, andando a sbattere contro un albero.

    Con un gemito, Ava si toccò la testa nel punto in cui aveva sbattuto sul volante.

    Rimase immobile per un istante, poi spense il motore. Le orecchie le rimbombarono nel silenzio improvviso, rotto solo dal suono di un pneumatico che girava a vuoto a mezz’aria. Guardò fuori dal parabrezza e vide che l’auto era sospesa su un cumulo di sassi.

    Così imparava a distrarsi!

    Ansimò e mosse con cautela gli arti, uno alla volta. Per fortuna andava troppo piano per creare grossi danni, anche se ebbe la visione di suo padre fermo davanti al finestrino, che scuoteva la testa. Le aveva sempre detto di usare una macchina con autista, ma non l’aveva ascoltato. Le discussioni con suo padre erano sempre state all’ordine del giorno e lei ne era sempre uscita sconfitta. Per questo se n’era andata a studiare Belle Arti alla Sorbona. Se fosse rimasta ad Anders, sarebbe stato impossibile mantenere la promessa fatta a sua madre morente, di provare a volergli bene e ad andare d’accordo con lui.

    Pensò a ciò che le aveva detto l’ultima volta che si erano parlati. Non voleva tornare ad Anders. A far che, poi? A perdere tempo con serate di gala, mentre suo padre le cercava un nuovo marito? Il pensiero la faceva tremare.

    Cercò di allontanare dalla sua mente queste preoccupazioni, aprì con attenzione la portiera dell’auto e scese tra l’erba alta. I tacchi dei suoi stivaletti affondarono nel terriccio morbido.

    Fantastico! Ci si aspettava che fosse sempre impeccabile e ora aveva appena rovinato le sue scarpe di Prada! Una doppia tragedia perché, avendo deciso di non prendere neanche un centesimo da suo padre, non disponeva di risorse illimitate per poterne comprare altre.

    Rimase in piedi sulle punte e tentò di recuperare la borsetta. Il telefono era caduto e quando lo raccolse vide che aveva lo schermo rotto. Incapace di ricordare il numero di Gilles, ritornò in auto soffocando qualche imprecazione. Poteva fare le chiamate d’emergenza, ma il suo piccolo incidente sarebbe finito sui giornali e il pensiero dei riflettori addosso alla povera principessa abbandonata le fece digrignare i denti.

    No. La sola cosa da fare era camminare, ma, da dove si trovava lei, l’ingresso principale era ancora molto distante. A parte il fatto che avrebbe dato il colpo di grazia agli stivaletti, per di più sarebbe arrivata a destinazione tutta sudata e trasandata. E lei che aveva immaginato un suo ingresso in grande stile! E se l’autista di uno di quei camioncini che aveva visto gironzolare nei paraggi l’avesse notata...

    Ebbe un colpo di genio! Un po’ folle, magari. Fortunatamente, se così poteva dire, era andata a sbattere vicino a un punto del muro di cinta, dove da bambina aveva giocato spesso con suo fratello Frédéric, suo cugino Baden e Gilles. Scalare il muro come spie rivoluzionarie, era da sempre stato il loro gioco preferito.

    Le sfuggì il primo sorriso della giornata. Doveva ammettere che era un po’ disperata come soluzione, ma col matrimonio di Gilles alle porte, non aveva scelta. Comunque aveva sempre amato arrampicarsi come un maschiaccio e sicuramente sarebbe stato più facile ora che era grande, no?

    «Capo, c’è una donna bloccata sul muro sud. Cosa ne facciamo di lei?»

    Wolfe si fermò nel mezzo di un corridoio ad arco dello Château Verne e premette il telefono contro l’orecchio. «Sul muro?»

    «In cima» ripeté Eric, uno dei più giovani membri del suo staff.

    Wolfe si irrigidì. Perfetto. Ecco un’altra giornalista impicciona che cercava di fare uno scoop sullo stravagante matrimonio del suo amico Gilles, con la figlia di un controverso politico americano. Non gli avevano dato tregua tutto il giorno, aggirandosi nei dintorni come falchi affamati. Nessuno aveva ancora osato scavalcare il muro, ma la sua squadra era pronta per l’evenienza e infatti avevano beccato l’intrusa.

    «Nome?»

    «Dice di essere Ava de Veers, Principessa di Anders.»

    Una principessa che scala un muro di dieci metri? Wolfe non ci credeva. «Documenti?»

    «Non ce n’erano nella borsetta. Dice di aver avuto un incidente d’auto e che devono esserle caduti.»

    Furba...

    «Macchina fotografica?»

    «Controllo.»

    Wolfe rifletté. Anche dentro le spesse mura del castello poteva sentire il fastidioso ronzio degli elicotteri spia che svolazzavano appena fuori della nofly zone. Mancavano tre ore al matrimonio e avrebbe fatto meglio ad ampliare il perimetro di sicurezza all’esterno, per evitare che qualcun altro riuscisse a farvi breccia.

    «Vuole che la porti alla base, capo?»

    «No.» Wolfe si passò la mano tra i capelli. Piuttosto che darle la soddisfazione di avere accesso alla proprietà, nel cottage che i suoi uomini stavano usando come base, l’avrebbe buttata giù dal muro. E l’avrebbe fatto, dopo aver accertato la sua identità. «Lasciala dov’è.» Stava per mettere giù quando ebbe un’altra idea. «E... Eric, tieni la pistola puntata su di lei finché non arrivo.» Così avrebbe imparato a intrufolarsi in una proprietà privata senza invito.

    «Ah... intendi tenerla sul muro?»

    Quando Eric esitò, Wolfe intuì che la donna era attraente. «Sì, è esattamente quello che intendo fare.» Per quel che ne sapeva, poteva essere un’esaltata e non una giornalista troppo zelante. «E non fare conversazione!»

    Wolfe si fidava di tutti i suoi uomini, ma l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che qualche tenebrosa Mata Hari mandasse in pappa il loro cervello.

    «Sì, signore.»

    Wolfe ripose il cellulare. Questo significava che non sarebbe riuscito a dare il via alla partita di polo che stava per iniziare. Era infastidito, ma non poteva farci nulla. Si era offerto di curare la sicurezza al matrimonio del suo amico, perché quello era il suo lavoro. E il lavoro veniva prima di tutto.

    Wolfe trovò Gilles e la sua allegra banda che lo aspettavano al maneggio con i cavalli sellati, pronti a muoversi. Guardò l’arabo focoso che Gilles gli aveva riservato e soffocò un sospiro. Era stato impaziente di mettere alla prova quel magnifico animale.

    Dannazione, poteva ancora farlo! Strappò le redini allo stalliere e saltò agilmente in groppa a quel gigante d’un cavallo, che oscillò agitato sotto il suo peso. Wolfe gli accarezzò il collo e intanto chiese: «Come si chiama?».

    «Achilles.»

    Fece una smorfia e Gilles si strinse nelle spalle. «Apollo era stato già preso, ma è un animale molto più impetuoso e merita questo nome!»

    Wolfe sorrise all’amico. Anni fa avevano sostenuto insieme le selezioni per una squadra speciale e tra loro si era creato un legame indissolubile. C’erano stati sempre l’uno per l’altro, sostenendosi nei momenti difficili e celebrando i momenti felici. Durante gli interminabili appostamenti notturni, Gilles aveva recitato a memoria fiumi e fiumi di poesie e di miti greci, per rimanere sveglio. Al contrario Wolfe, un ragazzone australiano, aveva usato un metodo più semplice, grinta pura e determinazione ostinata. Un tratto che gli era tornato utile quando, abbandonate le missioni speciali per sviluppare software, aveva creato il più sofisticato computer spia del pianeta.

    La Wolfe Inc era nata intorno a quell’attività e quando suo fratello si era unito a lui, si era espansa in ogni settore della sicurezza. Suo fratello si trovava a suo agio in azienda, mentre lui continuava a preferire le azioni sul campo. Si occupava di pericolose operazioni sotto copertura, per le quali alcuni governi incaricavano consulenti esterni. Per mantenere alta l’adrenalina, non gli bastava

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