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Ci sarà un'altra storia
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E-book232 pagine3 ore

Ci sarà un'altra storia

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Info su questo ebook

Due adolescenti si incontrano il primo anno delle scuole medie e fra loro nasce un’amicizia che, supera il concetto stesso di amicizia fra due adolescenti. I due protagonisti avvertono dentro di loro, e fin da subito, di amarsi come fratelli, l’uno per l’altro. Se non fratelli di uno stesso nucleo familiare, ma fratelli di vero amore spirituale. Questa è la loro storia, di due giovani studenti che crescono insieme, giocano, vivono molte avventure ed esperienze, ai quali gli darà un senso di appagamento e gioia reciproca verso la vita e il loro mondo in generale. Si difendono dal bullismo, superano piccoli ostacoli quotidiani e soprattutto vivono intensamente i loro giorni cercando sempre l’avventura e nuove scoperte.
Fin quando, crescendo, i due giovani faranno strade diverse nell’ambito scolastico, ma senza staccare il loro legame fraterno. Piano piano la vita e il destino li divideranno. Rimarranno sempre con l’affetto reciproco ma alcune situazioni porteranno a qualcosa di drammatico.
Questa storia non è scontata come si potrebbe credere; al contrario, piano piano il racconto porterà il lettore a vivere delle emozioni sempre nuove, sempre inaspettate, con Daniela, la terza protagonista, che sarà concausa del cambiamento del destino dei due giovani amici. La poesia e il pensiero poetico-riflessivo, saranno presenti nella storia come parte intrinseca e naturale, ma mai invadenti, al contrario sembrerà accompagnare il lettore a più raffinate musiche del pensiero dei due amici. Come se con essa lo scrittore volesse inserire una cornice di emozioni che esaltano come un quadro d’autore la storia che si legge.

Armando Emanuele Irti è nato a Gela, in Sicilia, il 12 novembre del 1964. Sposato, ha tre figli, lavora come impiegato in un'ospedale privato e nel tempo libero si diverte a scrivere poesie e racconti.  Ogni tanto si diverte a giocare a pallacanestro, il suo sport preferito. Quello che più apprezza nella vita sono la buona compagnia e la tranquillità familiare. 
Grande appassionato di letture di tutti i genere anche se predilige l'avventura. Nelle sue molteplici passioni non manca quella della conoscenza della tecnologia tv satellitare dove si cimenta nella realizzazione o sistemazione di impianti tv sat. 
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita22 feb 2021
ISBN9791220268394
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    Ci sarà un'altra storia - Armando Emanuele Irti

    QUARANTADUESIMO

    CAPITOLO PRIMO

    I genitori di Esculapio gli avevano dato quel nome perché erano appassionati di mitologia greca. Secondo la mitologia, nell'antica Grecia, Esculapio guariva da tutte le malattie. I genitori speravano che il figlio avrebbe intrapreso la loro stessa professione, cioè, che un giorno sarebbe diventato un bravo medico. Non c’è da meravigliarsi nel desiderare per i figli un futuro sereno e felice.

    Esculapio era un bravo ragazzo, molto studioso e volenteroso, ma crescendo, capita di incontrare ostacoli, e per superarli a volte si percorrono sentieri diversi. Il percorso di vita di Esculapio merita di essere raccontato.

    Esculapio, aveva un amico al quale era molto affezionato, si chiamava Giovanni Soleri.

    I due ragazzi si conobbero a scuola, all’età di undici anni. Entrambi frequentavano la stessa classe e per caso si trovarono l'uno di fianco all'altro, compagni di banco. Fin dal primo giorno di scuola, ebbero la sensazione di stare bene insieme, era come conoscersi da sempre. Si sentivano attratti da una forza divina. Fra di loro nacque una sincera e spontanea simpatia, che si saldava con il passare del tempo come estremo bisogno d’amore e di comunione interiore che si manifestava nell’amicizia.

    La loro classe era mista, composta da ragazzi e ragazze in egual numero. Fin da subito, tra tutti si instaurò un rapporto cordiale e di solidarietà. Questo favorì l’inserimento e la socializzazione di un paio di ragazzi più turbolenti, che avrebbero voluto tiranneggiare sui loro coetanei. I due erano poco abituati alla tolleranza e al buon senso perché provenivano da ambienti, dove a farla da padrone era appunto la violenza. Purtroppo erano convinti, che mostrando la loro forza fisica, facendo i violenti, i prepotenti e incutendo paura, avrebbero meritato il rispetto dei loro compagni. Tale modo di vedere non si distaccava dal comportamento degli animali feroci, che si univano in branco, per scatenare furiose lotte, a volte anche mortali, per dimostrare chi era il più forte e diventare capo. Avevano la certezza che il comportamento da bullo meritasse il giusto rispetto.

    Nella classe, i due bulli però, non ebbero modo di realizzare le loro convinzioni. Appena pochi giorni dopo l’inizio dell’anno scolastico, i due facinorosi, volevano divertirsi a danno di un loro compagno, infatti si avvicinarono a lui, il quale, a loro modo di vedere, sembrava abbastanza debole e quindi meritevole di scherzi pesanti. Il ragazzo che avevano scelto come preda era Giovanni, più gracilino e più basso rispetto ai compagni, ma aveva un sorriso e una simpatia spiccata ed era molto gentile e scherzoso con tutti. Quel giorno, approfittando dell’assenza momentanea del professore, uno dei due ribelli, si nascose dietro la vittima mettendosi carponi; l’altro complice, con rapidità, spinse con forza la sfortunata vittima che inciampò sul ragazzo abbassato dietro di lui e stramazzò a terra. Non abbastanza soddisfatti, presero lo zaino della loro vittima per rubargli alcune cose. La scena fu vista da tutti i ragazzi della classe, i quali, ammutolirono di colpo, ma ebbero la forza all’unisono di intervenire. Il primo fra tutti fu Esculapio, seguito dagli altri, riuscirono a bloccare i due violenti compagni. Una Gragnola di colpì partì sui due malcapitati, costringendoli a chiedere scusa a Giovanni. Fu una scena incredibile: venti alunni tra ragazzi e ragazze circondarono i due balordi e con forza li fecero sedere obbligandoli ad ascoltare. Parlò per tutti Esculapio, il quale disse che le iniziative di violenza in quella classe non sarebbero state tollerate, e se fosse successo, anche solo un'altra volta, sarebbero stati puniti severamente. In questo modo furono eliminate fin dal nascere tali comportamenti iniqui. Le due teste calde dovettero accettare che era meglio non comportarsi come avrebbero voluto. I due sentendosi sconfitti, arrabbiati e umiliati si isolarono, mettendosi negli ultimi banchi, in fondo alla classe, lontani il più possibile dai loro compagni. L'unione di tutti aveva sconfitto le azioni di vessazione di pochi. La risolutezza, il coraggio e la compattezza della maggioranza, aveva, di fatto, conquistato la loro vera prima libertà.

    In altre classi della stessa scuola invece, si erano formati dei gruppetti di bulli più numerosi, che con la violenza incutevano paura a chi non aveva o non poteva difendersi dalle loro angherie. Per alcuni ragazzi la vita scolastica era vista come un inferno a causa di questi incoscienti malfattori. Altri ragazzi invece, pur di non subire angherie diventavano come gli altri, e si univano al gruppo dei violenti, ma era la paura a farli comportare da vigliacchi. Così, chi subiva erano i più deboli e non avevano la forza di ribellarsi.

    Spesso i soprusi del branco, venivano tollerati o non capiti dai docenti, perché tali azioni, non erano considerate troppo fastidiose. Capitava pure che fra gli alunni a scuola nascessero dei nomignoli offensivi, si storpiavano i nomi o i cognomi, oppure chiamavano le vittime con nomi di animali. Questi soprannomi, di natura sicuramente ingiuriosa e ridicolizzante, venivano ripetuti alle vittime con insistenza. Molte volte il dispregiativo si diffondeva ovunque, anche nei quartieri dove abitavano i ragazzi. Alcune delle vittime purtroppo rimanevano traumatizzate, al punto, che per tutto il percorso scolastico si isolavano per non sentire le ingiurie nei loro confronti. Quelle ferite rimanevano aperte per anni. C’'era anche chi in classe dava improvvisi scappellotti, così potenti da fare male, ma non quanto il dolore che da l’umiliazione nel dovere subire.

    Nella classe di Esculapio, per tutti i tre anni della scuola media, egli fu il portavoce di tutti, eletto a larghissima maggioranza dai suoi compagni come rappresentante di classe. Il ragazzo aveva un carisma eccezionale e nessuno si permetteva di offenderlo. A tale proposito giocava un ruolo importante il suo fisico: alto e forte, e, la sua eloquenza. I ragazzi si sentivano sicuri e protetti con lui, ma Esculapio fece capire ad essi, che non era la sua presenza a tenere lontano i teppistelli e la malvagità in generale, ma l'unione e la solidarietà. Veniva chiamato da tutti Lapio per abbreviare il nome lungo.

    Nei tre anni trascorsi in quella scuola, Giovanni ed Esculapio, saldarono sempre più la loro amicizia. Studiavano, uscivano e si divertivano insieme, insomma si vedevano spesso. La loro era un'amicizia spontanea e fraterna. Una volta, al cinema, guardando la scena di un film western, restarono piacevolmente impressionati di un episodio, dove un cowboy e un indiano, con un coltello si ferirono il palmo della mano destra, poi si strinsero la mano insanguinata e promisero di essere fratelli di sangue.

    Anch’essi emularono quel gesto, giurandosi fratellanza.

    La loro amicizia era più di una fratellanza era la comunanza di due anime attratte da infinito amore spirituale.

    CAPITOLO SECONDO

    Durante le vacanze estive, negli anni della scuola media, Esculapio e Giovanni vissero il miglior periodo della loro giovinezza, in totale spensieratezza e felicità. Si incontravano tutti i giorni, giocavano e uscivano sempre insieme, questo servì a rafforzare sempre più il loro legame.

    Ai due piaceva molto uscire, come tutti i ragazzi della loro età avevano una spiccata voglia di scoprire sempre cose nuove, una continua ricerca di avventure. Al contrario di molti adolescenti che preferivano giocare con i videogiochi, piuttosto che uscire e passeggiare. I due amici amavano esplorare la vita. Per loro, era importante conoscere nuove strade, camminare per tutta la città, o andare con la bici e ammirare le campagne coltivate, oppure andare sempre per i boschi e tra gli spazi vuoti di una natura selvaggia. A volte, con la bici si recavano anche nei paesi vicini.

    Certe mattine si svegliavano presto e andavano a pescare al porticciolo della città, sedendosi sull'orlo del molo, con i piedi che ondeggiavano nel vuoto, poi, quando il sole cominciava a picchiare sulle loro teste, i due ragazzi ritiravano gli attrezzi da pesca e si recavano su una spiaggia vicina a fare il bagno. Quando partivano con la bici, si organizzavano con un pranzo al sacco. Lo zaino che prima avevano utilizzato per i libri di scuola, veniva riempito di cibo e bevande… e partenza per una nuova avventura. Quando era mezzogiorno, si fermavano in qualche piazzale, o sotto un albero, o all'ombra di un muro dietro una casa a pranzare. Avevano molta libertà, forse più dei loro coetanei e godevano intensamente di quei momenti. La sera ritornavano stanchi a casa, raccontavano ai loro genitori di essere andati con altri amici a fare due passi in giro per la città e che poi si erano fermati al bar a mangiare un panino.

    Sia i genitori di Esculapio che quelli di Giovanni lavoravano tutto il giorno, questo rendeva i due ragazzi più liberi di muoversi durante il pomeriggio. Almeno per il triennio delle scuole medie.

    L'ultima estate di quel triennio, il padre di Giovanni andò a lavorare in un’altra città, e tornava a casa solo il fine settimana, Sua madre, invece, lavorava in un negozio di articoli sportivi. Entrambi i genitori avevano poco tempo da dedicare al figlio. Anche Giovanni in realtà, soprattutto in estate non stava molto a casa, in compenso, la sera si ritrovavano e recuperavano il tempo per stare insieme. A Giovanni piaceva raccontare le sue scoperte, omettendo però, particolari che avrebbero preoccupato sua madre. Giovanni, ed Esculapio, sapevano quando fermarsi nel raccontare le loro avventure, preferivano nascondere i momenti più rischiosi per non preoccupare i genitori, i quali dal canto loro ritenevano giusto che i figli crescessero condividendo i loro piccoli traguardi anche con gli amici.

    Anche Esculapio era figlio unico. I genitori del ragazzo, entrambi medici, lavoravano nello stesso ospedale. Erano molto impegnati, anche perché il padre lavorava anche in uno studio privato. La madre invece, finito il turno dell'ospedale rientrava subito a casa, e si occupava dell’organizzazione familiare, dell’educazione e della formazione del figlio. Succedeva un paio di giorni la settimana in cui i turni di lavoro coincidevano, ciò sconvolgeva la routine domestica, ed Esculapio veniva affidato alla nonna, la quale, voleva bene suo nipote come un figlio. La nonna era una donna molto intelligente e colta; fin dalla prima infanzia, il piccolo Esculapio trascorreva i pomeriggi ad ascoltare favole e storie appassionanti, che la nonna gli raccontava. Fu lei per prima a trasmettergli il piacere di sognare mondi sconosciuti popolati di personaggi magici. Con il passare degli anni quelle avventure Esculapio preferiva viverle di persona, invece di stare fermo ad ascoltarle.

    Finito il triennio della scuola media, Esculapio, ottenne il permesso dei genitori di poter uscire con gli amici in loro assenza, ma non mancava di andare a trovare la nonna almeno una volta la settimana. Sia il padre che la madre di Esculapio erano orgogliosi del loro figlio, perché non aveva mai tradito la loro fiducia, e poi, Esculapio aveva dimostrato di essere uno studente diligente, serio e ordinato, infatti, aveva buoni voti. Ciò li aveva convinti che la fiducia fosse ripagata a dovere.

    CAPITOLO TERZO

    In quell’ultima estate che chiudeva il ciclo delle scuole medie, i due amici, per caso, scoprirono un posto che negli anni a venire utilizzarono come loro rifugio dove isolarsi dal resto del mondo. Un luogo molto alto. Lassù si potevano contemplare dei bellissimi tramonti, perché si vedeva il sole scendere, fino a spegnersi, sul mare splendente e libero all’orizzonte. Anche per questo continuarono in seguito ad andarci, per ammirare quei bei tramonti che si vedevano da lassù, e stare a parlare fino a che le ombre della sera avvertivano che era l'ora di rientrare. Ecco come lo trovarono.

    Un pomeriggio di quell'estate Esculapio si reco a casa del suo amico Giovanni. Suonò il campanello dello stabile dove abitava l’amico, il quale lo invitò a salire. Era un condominio di otto piani dotato di ascensore. L’appartamento di Giovanni stava al settimo piano. Esculapio era appena arrivato sul pianerottolo davanti la porta del suo amico e suonato il campanello, quando in quell’istante si aprì l’altra porta dell’appartamento di fronte. A quel punto, un cane di grosse dimensioni, come un fulmine si precipitò fuori. All’inizio il cane non si accorse del ragazzo che stava di fronte a lui, tanta era stata la foga di uscire dalla porta. Esculapio per un istante rimase bloccato dalla paura, ma riavutosi subito dalla sorpresa, si precipitò a salire le scale per scappare lontano dalla bestia. La paura gli aveva messo le ali ai piedi, al punto da riuscire a salire i gradini saltandoli quattro a quattro. Il cane, nel frattempo si era messo all'inseguimento del ragazzo, abbaiando con una voce da baritono, così amplificata da far tremare i vetri delle finestre. il ragazzo, in poco tempo arrivò fino all’ultimo piano, inseguito sempre dal grosso alano. Alla fine della scala, c’era un corridoio e, a pochi metri, il corridoio finiva con una porta di fronte. Esculapio, prima che il cane arrivasse, riuscì ad aprire la porta, ma non fece in tempo ad uscire, perché il cane gli fu addosso. Il ragazzo non ebbe nemmeno il tempo di gridare che già il cane gli leccava il viso contento, perché quella corsa per la bestia era stata un gioco divertente. La bestia continuava ad azzuffarsi col ragazzo ma senza far del male. Esculapio, superata l’emozione iniziale, stette col cane a giocare e azzuffarsi, divertendosi e scaricando lo stress della paura. Dopo pochi secondi, ecco arrivare il proprietario del cane, un giovane di qualche anno più grande dei ragazzi, seguito poco distante da Giovanni, il quale, sentito il trambusto e l’abbaiare del cane, si era preoccupato per il suo amico. Naturalmente intervennero anche i genitori di entrambi le famiglie. Il proprietario del cane domandò le più sentite scuse verso Esculapio e verso la famiglia di Giovanni, risentita per l'episodio accaduto al ragazzo, ma Esculapio riuscì subito a calmare tutti gli animi, ridendo insieme a Giovanni e accarezzando il grosso cane e continuando ad azzuffarsi con allegria, come se lo conoscesse da tempo.

    Mentre tutti, distratti, scendevano parlando e portando via la grossa e vivace bestiola, i due ragazzi temporeggiavano e curiosi uscirono fuori da quella porta che era rimasta mezza aperta. Erano sul tetto dell’immobile e incamminandosi tra le tegole rosse dell’edificio, si accorsero che poco lontano c’era un grosso tubo ancorato al muro della tromba della scala ma piegato in orizzontale. Quel palo precedentemente era servito per agganciare l’antenna del palazzo, ma una ditta che qualche mese prima aveva fatto dei lavori per la sistemazione delle tegole, con la gru aveva colpito incidentalmente il tubo e l’aveva piegato. Poiché quel tubo non era più utilizzato da nessuno, dato che l'antenna era stata installata in un altro lato del muro, la ditta che provocò il danno lasciò tutto così com'era per risparmiare tempo e costi sui lavori.

    Camminando con cautela tra le tegole, i due ragazzini arrivarono vicino al tubo piegato, almeno una metà dello stesso finiva fuori dal perimetro dell’edificio. Senza pensarci, Esculapio e Giovanni, si arrampicarono fino ad appendersi come salami, lasciando che il corpo stesse in bilico, fuori dall’edificio. I due giovanissimi stavano rischiando la vita, perché tenendosi al tubo solo con la forza delle mani, se fossero caduti, si sarebbero sfracellati giù nel cortile davanti il palazzo. La loro bravata durò pochi secondi, perché allarmati dalla voce della madre di Giovanni che li cercava e li chiamava per farli scendere, prima che qualcuno potesse accorgersi del loro gesto incosciente, rientrarono. Nessuno si accorse di nulla, nemmeno loro capivano perché l’avevano fatto, era stata come una sfida, un richiamo verso un imprudente gioco, che istintivamente li attirava, perché si sentivano pieni di coraggio, e perché nel pericolo, l’adrenalina, gli faceva provare una strana sensazione di piacere mista a paura. Quella fu la prima, ma non l’ultima volta che si arrampicarono su quel tubo. Poiché in seguito, più volte rischiarono la loro vita, inerpicandosi e aggrappandosi su quel tubo pericolosamente e di nascosto, ad affrontare per un’istintiva mania, la morte. Ma nelle loro giovanissime menti non c’era ancora la coscienza del pericolo che affrontavano. Per loro era solo una sfida e un modo per allenarsi. Si aggrappavano stringendo il tubo con le mani, oltre il bordo del palazzo e aspettavano che le forze diminuissero e quando sentivano di essere quasi allo stremo, ritornavano indietro, dentro il perimetro del tetto e si lasciavano cadere stanchi e felici. All'inizio sostavano in quella posizione azzardata, solo per pochi secondi, ma più passavano i giorni, più prendevano coraggio, e più cercavano di resistere a lungo per sfidarsi a chi era più forte.

    Quell'estate, quasi tutte le sere, al tramonto, prima che facesse buio, i due amici salivano di nascosto sul tetto dell'edificio e seduti sul cornicione del palazzo, aggrappati alla ringhiera di tubi che c'era attorno il perimetro del tetto guardavano calare il sole, fino a che il rosso della sua sfera non spariva in fondo al mare oltre l’orizzonte. Spesso, prima di sedersi ad ammirare quel meraviglioso spettacolo della natura, i due giovani imberbi, si sfidavano a stare aggrappati al tubo che oscillava pericolosamente verso l'esterno, e ancor più nel precipizio. Era incredibile come riuscissero a tenersi e con grande sforzo a rientrare dal baratro.

    Nei mesi e negli anni successivi capitava che ogni tanto, quando sentivano il bisogno di stare tranquilli in un posto solitario e segreto, si recavano su quel tetto, anche a studiare, dove li sopra i rumori della città arrivavano molto attutiti.

    CAPITOLO QUARTO

    L'estate finì e

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