Malvina la strega
Di Laila Cresta
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Romance - romanzo breve (81 pagine) - L’amore è sempre amore, non importa quando viene vissuto, e neanche il sesso degli amanti. Malvina e Jonas, poco più che ventenni, sono stati bambini insieme, e non riescono neanche a contemplare l’idea di non essere legati. Però non sempre è facile rendersi conto come si sia evoluta l’amicizia.
Dopo la laurea, Malvina Delfino e Jonas Mangini sono soci in uno studio di architettura, bloccati nel ruolo di “amici del cuore” anche dalla famiglia alto borghese di lui, specie dalla madre: figlia di un diplomatico, non ammette una storia d’amore che coinvolga il suo Jonas, figlio di un luminare della medicina, e la figlia di un camallo del porto di Genova. “Malvina la Strega”, diceva la maestra, quando doveva intervenire per dividerla da chi bullizzava il piccolo Jonas che, come spesso i bambini nati immaturi, era piccolo e minuto per la sua età. Con lo sviluppo, però, il ragazzo ha superato il proprio handicap di crescita, ed è diventato appetibile: cambia le ragazze come i calzini, dice Malvina, ed è evidente che non si tratti mai di storie impegnative: non si rendono ben conto, specie lei, dell’evoluzione dell’affetto di quando erano piccoli.
Laila Cresta ha trascorso quarantadue anni coi bambini, di cui la prima metà con gli handicappati psicofisici. Per anni ha scritto quasi solo per i suoi ragazzi: testi di storia, di grammatica, di geografia.
Fin da piccola amava inventare storie: per Delos Digital ha scritto i manuali bestseller La Grammatica Fondamentale, Verbi e punteggiatura, Scrivere poesia, Mondo Haiku. Sempre per Delos i racconti: Per amare Miranda, Amando s’impara, Riscatto d’amore, Il respiro del mondo, E di là il Paradiso, Give love a chance, Amore, di colpo, Amour fin de siècle, Il valore di una donna.
La poesia è stato il suo primo amore: la prima poesia l’ha scritta a dieci anni. Ha vinto diversi concorsi e pubblicato diverse sillogi (di cui due di haiku).
Ha un forte legame col territorio in cui è cresciuta: Genova, Sestri Levante, San Michele di Alessandria. Questi centri sono spesso protagonisti dei suoi romanzi.
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Anteprima del libro
Malvina la strega - Laila Cresta
Capitolo I
Si conoscevano fin da piccoli, quando Jonas, che era cresciuto tardi, era stato un bimbino minuscolo e timido che, quando erano ai giardinetti o all’asilo, si accodava in cerca di protezione alla streghetta che lei era. Gli adulti si meravigliavano.
− Uh! Guarda com’è alta Malvina! È più alta di Jonas! Mettetevi un po’ vicini, voi due! Fate un po’ vedere!
Naturalmente Jonas scappava e si avvicinava a lei solo quando erano soli, o se si trovavano in mezzo a un gruppo di bambini: piccolo e minuto com’era, si sentiva più sicuro, con quella bambina tremenda che non aveva paura di niente, anche se i commenti degli adulti più stupidi lo mettevano in imbarazzo. Malvina la Strega, come la chiamava sorridendo la maestra dell’asilo, una volta era stata perfino castigata per aver picchiato un bulletto che chiamava il suo amico gnomo perché era piccolo: ma lei lo aveva fatto pentire, di aver fatto piangere Jonas. La verità è che, prima dell’età della scuola, non c’è una gran differenza nello sviluppo fisico dei maschi e delle femmine, anzi, spesso le bambine sono più forti e sicure, rispetto ai maschietti: nessuno, fra i loro compagni, si era più permesso di farla arrabbiare.
No, a Malvina non piaceva chi picchiava i più piccoli, e soprattutto non le piaceva che picchiassero Jonas, che, dopo una nascita da immaturo, era proprio un frignetto, anzi un frignone, ma non avrebbe mai picchiato nessuno: era molto dolce, oltre che molto carino, con una pelle che sembrava velluto. A Malvina piaceva molto pizzicarlo, anche se presto lui si metteva a frignare. In realtà, loro due si volevano un gran bene.
Passeggiando dalla Foce verso l’ampio e assolato Corso Italia, Jonas chiacchierava con la sua amica, tenendole cameratescamente un braccio sulle spalle: erano contenti per la divertente giornata che li aspettava. A Genova, gli studenti avevano sollecitato a lungo il Comune, affinché ripristinasse la vecchia usanza del Carrossezzo, la sfilata carnevalesca che, dall’alto di piazza Corvetto a Boccadasse, si sarebbe snodata lungo la passeggiata a mare. La città aveva abbandonato l’usanza anni prima, addirittura quando le nonne di quei ragazzi erano ancora piccole, all’inizio degli anni ’60, per rispettare le dittatoriali esigenze del traffico automobilistico sempre in crescita. Adesso, le sollecitazioni e le proteste degli studenti avevano finalmente fatto sì che essa fosse ripresa.
Jonas sorrise all’amica:
− Ci sei al Carrossezzo domani, vero?
Malvina ricambiò il sorriso, e rispose, in tono enfatico:
− Eccome! Vedrai che bei vestiti, noi ragazze! Sai che alla Duchessa di Galliera, la scuola, sono bravissimi a fare queste cose.
− Io mi divertivo all’idea di fare a mamma do gatto, ma preferiscono un bestione, per questa parte!
Malvina rise: certo, doveva essere il meno femminea possibile, quella mamma, e Jonas, alto ed elegante com’era diventato, non era molto adatto: a mamma do gatto doveva essere una caricatura, una specie di camallo grosso e baffuto, vestito da balia, con due enormi mammelle finte che, una volta, erano simulate da due grosse pagnotte sotto il vestito. Portava un gatto in un cesto, anche se non si capiva come potessero convincerlo a starci: nei vecchi tempi era stato un gatto vero, non un peluche come oggi, quando la sensibilità moderna verso gli animali non avrebbe più permesso di bloccarlo con una specie di guinzaglio. Secondo Jonas, comunque, questo gatto con la balia umana probabilmente rappresentava le miagolanti e morbide creature che difendevano dai topi i prodotti delle botteghe di cibi pronti dell’angiporto: erano nutrite e coccolate dalle donne che le gestivano. C’erano state anche le bestie più selvatiche che navigavano coi loro uomini sulle galere della Repubblica, con lo stesso compito, e probabilmente con le stesse cure da parte dei marinai: i Liberi Gatti Genovesi.
Il giorno dopo, tutto il gruppo mascherato s’incontrò in piazza Corvetto, e, sotto lo sguardo di Mazzini e di Vittorio Emanuele (l’uno paziente e sereno, l’altro, irritato che nessuno lo considerasse fra quei ragazzi maleducati) i partecipanti presero posto nel corteo, guidati e disciplinati dagli universitari affiliati al redivivo (dopo la scorpacciata rivoluzionaria del ’68) Dogatum Genuense Supremus Ordo Goliardicus Liguriae, che portavano la feluca in testa e lunghe e svolazzanti toghe. Certo, non era più la goliardia di una volta, ed era diventata più un fatto di folklore: giusto adatto al Carnevale. A Jonas suo padre aveva raccontato che, quando lui era un ragazzino, gli studenti avessero addirittura rapito il gonfalone della città, ignari di commettere un vero e proprio reato penalmente perseguibile: come riscatto, volevano il reggiseno delle prof. Le autorità cittadine avevano fatto salti mortali per aggiustare la cosa in modo che i ragazzi non pagassero caro quello che era stato solo un gioco.
Il corteo era aperto da otto ragazze, in doppia fila, che erano abbigliate con vestiti dorati semitrasparenti, stile impero, dall’ampia scollatura quadrata, e maniche bellamente intagliate (v. Shakespeare, La Bisbetica Domata), attraverso le quali fuoriusciva la camicia rosso Doge. Tutte portavano anche sottabiti variamente colorati, con maniche a guanto, che le proteggevano dal fresco della stagione, e che davano ai vestiti, tutti uguali, sfumature diverse di colore. Se avevano i capelli lunghi, le ragazze li avevano raccolti in trecce sottili attorno alla testa, altrimenti si erano accontentate di una parrucca. Ispirandosi alle ninfe della Grecia classica, portavano, al collo e alle braccia, ghirlande di fiori di carta velina.
Jonas le guardava, sorridendo. Com’erano belle! Gli piacevano davvero tanto, tutte: certo, pensava, avevano un’eleganza e una femminilità che stuzzicavano non poco i ragazzi moderni che, come lui, non erano più abituati a tanta leggiadria.
Forse però, quelle che lo affascinavano di più erano probabilmente le streghe di Triora, cioè le compagne di Malvina: e strie. Nei loro abiti, uguali a quelli delle ninfe, erano belle e inquietanti: il sottabito scuro incupiva il colore delle loro vesti e, appuntati fra i capelli, si nascondevano impertinenti ragnetti di carta velina, e spesso le strie avevano altri insetti, o verdi ramarri, appuntati sul vestito. Nell’aria sempre vivace della città, gli animaletti di carta leggera vibravano, dando un tocco di magia al look delle fanciulle.
Jonas era inguainato nella calzamaglia a strisce oblique di Capitan Spaventa, un personaggio che dava la baia al tipico soldato fanfarone spagnolo, e aveva al fianco uno schidione arrugginito, debitamente finto. Gli piaceva soprattutto il gioco dell’incanto, durante il quale i predatori come lui potevano baciare quelle streghette e quelle ninfe, che cercavano di fuggire con urletti teatrali e divertiti, e dare loro un succoso bacetto quando riuscivano a catturarle: solo, a volte, quando li colpiva la magia dei coriandoli lanciati dalle fanciulle, i predatori restavano bloccati un momento, consentendo loro di fuggire. Dopo quei predatori (cavalieri, pirati, pellerossa, guerrieri barbari e altri personaggi poco raccomandabili), venivano Barudda e Pipìa, i due marinai che erano degli Stanlio e Ollio ante litteram, e divertivano la folla con allegre gags. Mentre il corteo mascherato si avviava verso Corso Italia, ninfe e streghette improvvisavano allegre carole: era uno spettacolo piacevolissimo, di bellezza e di giovinezza.
− A me piacciono più le ninfe! Io preferisco le streghette! − dicevano i ragazzi.
– Guarda quella, che espressione intrigante! E che tettine! Ah, so io cosa le farei!
Jonas si accigliò: si riferiva a Malvina, quello!
− È una mia amica d’infanzia – esclamò in tono di avvertimento.
− Davvero? La conosci? – fece l’altro, contento. – Allora cosa aspetti a presentarmela? O è caccia riservata?
Jonas si morse le labbra. Va be’, lui adesso era fidanzato, ma non c’entrava con la sua amicizia con Malvina: doveva proteggerla dall’invadenza di quegli incoscienti.
− È una specie di cuginetta, e siamo sempre stati insieme, fin da piccoli! Lasciala perdere.
− Ah, sì? Giuro, amico, che io non ho mai maltrattato una ragazza: tranquillo! Io voglio farle godere, non certo farle soffrire.
Gian, il suo ex compagno di banco, rise dandogli di gomito, e Jonas si disse che doveva proteggerla davvero, la sua amica. Non c’era alternativa.
Quando il corteo si fu snodato per corso Italia, si coagulò sulla piazza della Chiesa di Boccadasse: all’interno vi erano diversi ex voto che erano modellini di nave appesi alle volte, e gli appassionati di modellismo navale e i turisti entravano nella chiesa apposta per vederli.
I ragazzi impazzarono ancora qualche tempo, poi piano piano il corteo si sciolse, frantumandosi in coppie e in piccoli gruppi che si sparsero per la città.
Jonas era già vicino a