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La casa di Legno
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E-book180 pagine2 ore

La casa di Legno

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Info su questo ebook

Un racconto a tinte scure, non adatto ai minori e ai soggetti particolarmente impressionabili. Una storia sospesa, con varie chiavi di lettura, in cui il confine tra il bene e il male è evanescente come il ricordo di un brutto sogno.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2021
ISBN9791220324373
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    Anteprima del libro

    La casa di Legno - A. Bagmar

    ...

    Paragrafo 1

    L'auto.

    Introdusse la banconota da venti nella colonnina del distributore automatico, selezionò la pompa numero tre e rabboccò di qualche litro il grosso serbatoio di quel vecchio fuoristrada. Mentre sentiva scorrere il carburante nella manichetta sotto la sua mano destra, si accorse che quattro balordi intenti a fare rifornimento alla pompa numero due stavano sicuramente ridendo di lui, forse per il cappuccio calato fino a coprirgli gli occhi ma non a sufficienza da nascondere la parte inferiore del viso completamente rovinata, o forse per quel suo fuoristrada così dannatamente vecchio, che sotto le luci al neon della stazione di servizio sembrava ancora più ridicolo rispetto alla loro auto lucida da figli di papà.

    Con il pollice e l'indice della mano libera si spostò leggermente la piega del cappuccio dall'occhio sinistro e guardandoli senza muovere la testa, spense in sequenza uno ad uno i loro sorrisi ebeti. In altre circostanze si sarebbe probabilmente avvicinato a loro dopo aver aperto il pesante portabagagli del suo veicolo, ma evidentemente non potè.

    E forse fu un bene.

    Si limitò a guardarli ripartire veloci ed in silenzio dall'altra parte della stazione di servizio e dopo essersi pulito sul giaccone di panno marrone il gasolio che gli era scivolato sulla mano, risalì pesantemente in auto e rimise in moto quel vecchio diesel anni novanta.

    Abbassò di due dita il finestrino per buttare fuori il mozzicone di sigaretta che aveva lasciato acceso, dopo averlo ridotto al minimo con un ultimo tiro e imboccò la statale N.163, sintonizzando la radio sulle frequenze della prima stazione dalla ricezione almeno decente.

    Suonava una canzone slow, quasi fuori luogo in quella notte gelida bagnata da una pioggerellina sottile. Senza distogliere lo sguardo dalla strada, cercò di spegnere la radio con un dito lanciato a caso tra i comandi sul ponte centrale dell'auto, ma sbagliò interruttore ed azionò i tergicristalli. Si accese un led arancione sul cruscotto accanto ai numeretti verdi dell'orologio a cristalli liquidi, che segnava lampeggiando le ore 00:53.

    Lasciò perdere la radio mentre le goccioline di ghiaccio sparirono dal parabrezza e per un bel po' continuò a risuonare senza senso il patetico ritornello di Dancing in the park.

    Dopo la prima rotonda della statale 163, nel tratto che segue a strapiombo la linea costiera, trovò davanti a sé di nuovo quella stupida auto rossa, con a bordo i quattro ragazzotti che poco prima stavano ridendo di lui alla stazione di servizio. Evidentemente pensavano che la notte per loro sarebbe stata ancora lunga. Si erano fermati in un bar a fare rifornimento di alcolici e lui li aveva raggiunti con il suo cassone lento e arrugginito.

    La spider rossa procedeva sbandando davanti a lui, sicuramente per l'alcol, con un'andatura intermittente ed incerta. Dai suoi finestrini usciva ancora una musica techno assordante quando il guidatore inchiodò, appena lo vide sopraggiungere a qualche decina di metri dallo specchietto retrovisore, accostando pericolosamente sul ciglio destro della carreggiata a picco sulla scogliera. Nell'abitacolo del vecchio fuoristrada si accese una fioca luce giallastra che illuminò la metà destra di un viso mostruosamente deforme. A questo punto il rumore del pesante motore aumentò improvvisamente insieme al brontolio delle grosse gomme calde sull'asfalto vibrante e scivoloso. Al sommesso vocalizzo del motore sportivo al minimo dei giri, faceva da contrappunto l'incedere furioso dell'altro lanciato al massimo che si avvicinava sempre di più.

    Poi, il paraurti in acciaio del veicolo anni novanta entrò per metà nella fiancata sinistra dell'elegante e delicata auto sportiva, facendole fare un volo di circa trenta metri verso il basso.

    La musica techno era sparita.

    Restavano soltanto i segni della frenata sull'asfalto ed il ritornello monotono di Dancing in the park nell'aria gelida di quella notte senza stelle.

    Paragrafo 2.

    La salita.

    Dopo pochi minuti ad andatura regolare e costante, arrivò al bivio da cui si poteva lasciare la statale per imboccare la strada secondaria in salita che si arrampicava fino alle vette della catena montuosa alle spalle della città, che in quel periodo dell'anno era inevitabilmente ricoperta di neve.

    Per i primi quindici chilometri circa, questa strada era asfaltata e abbastanza facilmente percorribile anche con una semplice utilitaria, poi iniziava a prendere le sembianze di uno sterrato, per terminare negli ultimi chilometri sotto forma di una mulattiera o poco più, da percorrere preferibilmente con auto 4x4 e soprattutto senza fretta. Emise un lamento gutturale, come faceva spesso passando in quel punto, quando fu costretto a rallentare l'andatura a causa delle condizioni pessime del manto stradale.

    Nel primo tratto il vecchio fuoristrada salì con regolarità, mostrando qualche incertezza solo sul ghiaccio lucido che iniziava a formarsi a bordo strada con l'aumentare dell'altitudine, poi quando l'asfalto lasciò il posto alle pietre e al fango, la trazione integrale sembrò voler chiedere uno sforzo in più alle gomme che però erano ormai lisce e senza tasselli a causa dell'età.

    Ad ogni sobbalzo il rumore nel portabagagli sembrava preoccuparlo sempre di più costringendolo diverse volte a passare la mano sulla parte interna della maniglia per assicurarsi che le sicure centralizzate fossero bloccate a dovere.

    Man mano che la strada saliva, le piantine e i cespugli ad altezza d'uomo lasciavano posto agli abeti e alle querce, fino ad arrivare all'ultimo tratto di strada, quasi in cima alla montagna, dov'era tutto un bosco di pini e aghifogli.

    Nonostante conoscesse a memoria ogni metro di quel percorso, si emozionava come un bambino ogni volta che le lampade potenti dei fari illuminavano il tratto buio di strada che compariva a sorpresa dietro una curva. Un ultimo rettilineo e una discesina, poi percorse il vialetto davanti casa con il motore al minimo, come per dargli un po' di tregua dopo quella salita estenuante prima di spegnerlo del tutto.

    Scese dal veicolo affondando gli stivali nella neve ancora soffice, si chiuse la cerniera del cappotto e scaricò il corpo dal portabagagli facendo cadere nella neve la coperta di lana e i sacchi di plastica nera con cui lo aveva nascosto durante il trasporto.

    Voleva portarlo dentro a spalla, ma alla vista del sangue pensò di trascinarlo in casa tirandolo per i piedi o quantomeno di prendere qualcosa per non macchiarsi i vestiti.

    Paragrafo 3.

    Gli stracci.

    Sei tu Stern?

    Sì mamma, torna pure a letto.

    Ti ho lasciato la stufa accesa e la cena sul tavolo. Quando hai finito ricordati di spegnere la stufa e prendere le gocce. Buonanotte.

    Sì ma', buonanotte.

    L'anziana signora Hutcher si era fermata sull'uscio della sua camera da letto, senza scendere al piano terra dove si trovavano il salone e la cucina. Probabilmente per il freddo, visto che all'esterno la temperatura sfiorava i meno dieci, o forse per evitarsi lo strazio di stare accanto al figlio nelle condizioni in cui solitamente era quando si ritirava a notte fonda. Lo aspettava tutte le volte sveglia, anche se lui non sempre se ne accorgeva.

    Stern aspettò di sentire il rumore della porta della camera da letto della madre che si chiudeva al piano di sopra, poi ritornò fuori sotto la tettoia in legno dove lo aveva lasciato e si caricò in spalla il corpo, dopo essersi coperto il cappotto con dei vecchi stracci presi in cucina.

    Durante tutta quell'operazione, un unico pensiero lo assillava e lo tormentava ...la mamma non si accorgerà di questi vecchi stracci... la mamma non si accorgerà di questi vecchi stracci... la mamma non si accorgerà di questi vecchi stracci...

    Una volta tornato dentro, salì al piano di sopra facendo scricchiolare le assi di legno della scalinata che già normalmente a stento sopportavano i suoi quasi centotrenta chili, (figurarsi ora che se ne sommavano almeno altri settanta di quello che aveva in spalla) e si diresse nella sua camera in fondo al corridoio dal lato opposto rispetto a quello dove si trovava la stanza da letto della madre in quella grande e solitaria casa di legno.

    Con un fare quasi distratto lo scaricò senza cura sulla moquette verde del pavimento e scese nuovamente in cucina.

    Prima di consumare la cena, sminuzzò in pezzi piccolissimi gli stracci sporchi di sangue che aveva usato per non macchiarsi il cappotto e li nascose sul fondo del secchio della spazzatura scavando con le mani tra avanzi di cibo e immondizia. Poi si lavò accuratamente le mani sotto il rubinetto della cucina ...mai sedersi a tavola con le mani sporche Stern... e stava per buttare giù la cena, ma il pensiero che gli stracci non fossero stati nascosti bene nel secchio lo fece rialzare per andare a rimettere le mani nella spazzatura. Sbuffò spazientito.

    Li recuperò di nuovo e per prudenza li infilò dentro un barattolo di fagioli vuoto che stava già nella busta per nasconderli meglio, dopodichè avvolse il tutto in una confezione vuota di cartone di gamberi surgelati e questa volta schiacciò bene verso il fondo del secchio.

    Fu soddisfatto e finalmente potè sedersi a tavola.

    Dopo aver mangiato svogliatamente le uova e quella specie di cavolo bollito che erano sul tavolo, spense la stufa a gas in cucina e si spostò nel salone portandosi appresso il contenitore delle gocce che la madre gli aveva premurosamente lasciato sul tavolo, accanto al bicchiere d'acqua già pieno a metà.

    Una volta nel salone, si lasciò cadere sul vecchio divano in stoffa dalla tappezzeria consunta a quadroni verdi e rossi, poggiò i piedi sul tavolinetto in legno con sopra un centrino inamidato ricamato all'uncinetto, sicuramente da sua madre quando ancora aveva la vista buona, prese le gocce (...ricorda Stern... cinque e mai più di cinque... ripeti Stern... cinque e mai più di cinque...) e si addormentò con lo sguardo fisso sui boccoli rossi di sua moglie nella foto incorniciata sul camino in mezzo ai due lumini artificiali alimentati a batteria.

    Paragrafo 4.

    La musica.

    Quando riaprì gli occhi, era quasi ora di pranzo.

    Se non fosse stato per quel fastidioso rumore di fondo, avrebbe probabilmente dormito fino a sera. Cercò inizialmente di riaddormentarsi, tirandosi la coperta fin sopra la testa, ma il suo cervello ormai si era messo in moto e sembrava viaggiare in discesa, su fondo ghiacciato e senza freni.

    Buongiorno Stern, perdonami, ma non ho potuto fare a meno di usare il tritatutto. Visto il tempo, per pranzo ho pensato di fare un passato di verdure e del brodo vegetale. Che dici? Ti va? La radio ha detto che nevicherà per almeno altri due giorni.

    Sì mà, va bene il brodo, ma che ore sono?

    Quasi l'una Stern, tra un po' si mangia.

    L'una... ripetè quasi assente, poi in rapida sequenza gli apparvero delle immagini come dei flash in un tunnel buio: gli stracci della cucina, le gocce della sera prima, i boccoli rossi nella foto di Margareth e la moquette verde della sua camera da letto.

    Fece uno scatto improvviso per quanto gli fosse consentito dalla sua mole ingombrante, urtò il tavolino del salone con un ginocchio, rovesciandolo insieme al flacone delle medicine e ad un posacenere vuoto di metallo e corse di sopra in camera sua con una violenza tale che quasi sradicò dai suoi attacchi la balaustra in legno di castano accanto alle scale. Percorse il corridoio scalzo, con passi pesanti ma veloci facendo rimbombare nella cucina sottostante dei tonfi cupi e furiosi dal ritmo ossessivo.

    La signora Hutcher ascoltò con nervosismo crescente quei rumori che non presagivano niente di buono, rimpianse di aver sviluppato un udito così sensibile dopo l'incidente domestico che le era costato la vista e per attutire un po' l'angoscia di quei suoni, riaccese il tritatutto tenendo il pollice premuto sull'interruttore così forte da farselo diventare prima rosso e poi completamente bianco.

    Quando intuì una parvenza di silenzio, prese il suo bastone guida e si spostò nel salone dove, come faceva sempre quando tutto intorno a lei stava per diventare insopportabile per i suoi fragili nervi, si sedette sulla sedia a dondolo di vimini e si lasciò andare con un vecchio disco di un'opera lirica italiana.

    In tutta la stanza vibrarono potenti, attraverso le casse amplificate, le parole ormai dimenticate di un tenore d’altri tempi:

    "Tutto quello che ci resta

    è un ricordo di gran festa.

    Nella stanza triste e sola

    il mio cuore già si invola.

    Se tu vuoi andare via

    porta teco l’alma mia."

    Paragrafo 5.

    Il benvenuto.

    Intanto di sopra Stern stava aiutando, alla sua maniera, il suo ospite a smaltire gli effetti del sedativo con cui lo aveva imbottito la sera precedente. Non gli era stato difficile iniettare i cinquanta ml di medicinale in quel corpo inerte che giaceva tramortito, tra le carte gettate all'aria e le sbavature di sangue, sull'elegante parquet del suo studio. La colluttazione era stata più che altro una formalità, come tutti i tentativi di difesa di quell'esile uomo con gli occhiali

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