Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Giorni verdi nel Brunei
Giorni verdi nel Brunei
Giorni verdi nel Brunei
E-book102 pagine1 ora

Giorni verdi nel Brunei

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo breve (73 pagine) - Un capolavoro del maestro del cyberpunk, tra amore per l’informatica dei primordi e contrapposizione di culture agli antipodi. ROMANZO BREVE FINALISTA PREMIO NEBULA


Ormai la tecnologia della comunicazione immadiata e pervasiva fa parte della nostra vita. Non è facile allora immaginare come possa essere trasferirsi in un paese dove l'informatica è ferma a decenni fa, dove un embargo impedisce la diffusione e l'uso di telefoni, telecomunicazioni, computer moderni. Turner Choi è un cittadino canadese che si trova in Brunei per motivi di lavoro. L'embargo non lo ferma e sfruttando le sue conoscenze informatiche riesce, con mezzi di fortuna, a mettere in piedi un modo per comunicare via rete, ma questo lo porta sulla strada di traffici loschi e pericolosi. Un'affascinante ambientazione retro-cyberpunk che è valsa a Bruce Sterling la finale al Premio Nebula 1985.


Bruce Sterling, texano nato nel 1954, è stato il fondatore del movimento Cyberpunk ed è una della figure più influenti della fantascienza. Curatore della leggendaria antologia Mirrorshades, autore di romanzi come Isole nella reteLa macchina della realtà (con William Gibson, uno dei primi romanzi steampunk), Caos USA, ma anche di saggi seminali come Giro di vite contro gli hacker. Da sempre interessato alla tecnologia e ai suoi effetti sulla società e sull'essere umano, collabora con WiredRepubblicaLa Stampa. insieme alla moglie Jasmina Tešanović. Da alcuni anni vive a Torino. Ha vinto il Premio John Wood Campbell Memorial nel 1989, due volte il Premio Hugo (1997 e 1999), il Premio Locus e il Premio Arthur C. Clarke.

LinguaItaliano
Data di uscita9 mar 2021
ISBN9788825415360
Giorni verdi nel Brunei

Correlato a Giorni verdi nel Brunei

Ebook correlati

Fantascienza per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Giorni verdi nel Brunei

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Giorni verdi nel Brunei - Bruce Sterling

    9788825410396

    1

    Due uomini erano intenti a pescare dall’orlo corroso di una piattaforma offshore per la trivellazione petrolifera. Dopo anni di incuria, i pilastri di cemento della piattaforma erano coperti di denti di cane e di alghe ondeggianti. L’aria era satura di odore di ruggine e di salmastro.

    – Mi spiace sconvolgere i tuoi piani – disse il ministro. – Però, no, non possiamo metterci a chiacchierare con gli Yankee a ogni piccolo contrattempo. – Riavvolse la lenza, vide che l’amo era stato ripulito e bestemmiò sottovoce nella sua lingua madre, il malese. – Passami un’altra esca. Qui sotto ce n’è uno sveglio.

    Turner Choi frugò nella scatola di legno per le esche e consegnò al ministro un grosso gambero morto. – Ma un collegamento telefonico sarebbe utilissimo, per il mio lavoro – disse. – Mi basterebbe anche solo qualche ora. Quel tanto che basta per accedere alla rete in America e downloadare un po’ di documentazione.

    – Che gergo orribile – disse il ministro, formalmente conosciuto come lo Yang Teramat Pehin Orang Kaya Amar Diraja Dato Seri Paduka Abdul Kahar. Era il ministro delle Politiche industriali del sultanato del Brunei Darussalam, una minuscola nazione sulla costa settentrionale dell’isola del Borneo, e i titoli dell’aristocrazia locale andavano in estensione inversa rispetto alle dimensioni del paese.

    – Risparmieremmo un mucchio di tempo, Tuan Ministro – disse Turner. – Quei robot sono programmati in un linguaggio obsoleto, vecchio di quarant’anni. Praticamente Neanderthal.

    Il ministro piazzò abilmente la sua esca sul piccolo amo e la scagliò con un lungo lancio a effetto. – Sapevi quali sono i rapporti del sultanato con l’ordine mondiale delle informazioni. Te l’hanno spiegato prima che arrivassi, vero? Riuscirai a risolvere il problema anche per conto tuo.

    – Ma così, un lavoro di tre ore potrebbe durare settimane… mesi, forse! – disse Turner.

    – Amico mio, questo è il Borneo – replicò benignamente il ministro. – Smettila di guardare l’orologio e concentrati sul problema di procurarci la cena.

    Turner sospirò e riavvolse la lenza. Alle sue spalle, sulla vecchia piazzola per elicotteri, era in piena attività la popolazione abusiva della piattaforma: pescatori daiachi, intenti a rammendare le reti e a masticare betel.

    Era un altro pigro venerdì del Brunei Darussalam. Sull’altro lato della piccola baia si stagliava nella luce tropicale la città di Bandar Seri Begawan, con i suoi torreggianti palazzoni pieni di pannelli solari improvvisati, mulini a vento e balconi trasformati in serre rigogliose. Sulla riva del mare, la moschea dalla cupola d’oro era circondata dall’imponente eredità del boom petrolifero del ventesimo secolo: palazzi per uffici simili a scatole, ora bizzarramente trasformati in fattorie urbane.

    La città era la capitale del sultanato e aveva circa centomila abitanti: malesi, cinesi, iban, daiachi e una spruzzatina di europei. Ciononostante, era una città silenziosa. Niente auto. Niente aeroporto. Niente televisione. Da una certa distanza, faceva venire in mente a Turner una vecchia favola occidentale, la storia della Bella Addormentata. I palazzoni rabberciati artigianalmente, con le loro cascate di verde, erano simili a un esercito di castelli circondati di rovi. E gli abitanti del Brunei sembravano sonnambuli abbandonati dal mondo, avvolti nell’incantesimo della loro ideologia.

    Turner rimise di nuovo l’esca sull’amo, infastidito dalla propria lontananza dalla catena di montaggio. Il ministro sembrava più interessato a convertirlo che a lasciarlo lavorare. Per gli abitanti del Brunei, d’altra parte, i robot erano solo una delle tante inutili testimonianze di un’infatuazione per l’Occidente che si era dissolta da molto tempo. La vecchia catena di montaggio robotizzata non era stata usata per vent’anni, cioè dall’inizio del secolo.

    Da poco, però, i funzionari del sultanato avevano deciso di riadattare l’impianto a un nuovo progetto. Per il supporto tecnico si erano quindi rivolti alla Kyocera, una multinazionale giapponese. E la Kyocera aveva inviato Turner Choi, una delle sue nuove reclute, un sinocanadese ventiseienne di Vancouver specializzato in CAD-CAM.

    Il lavoro in sé non era gran cosa – una specie di esperimento di archeologia industriale condotto con reti metalliche e martelli – ma era il primo incarico di Turner, e lui aveva tutte le intenzioni di portarlo a termine. I cittadini del Brunei potevano anche essere rilassati fino al coma, ma Turner Choi pensava molto alla prospettiva di un futuro con la Kyocera. In fin dei conti, sarebbe stata la Kyocera a giudicare il lavoro fatto lì. E lui stava esaurendo il tempo a disposizione.

    Con un’esclamazione di trionfo, il ministro diede uno strattone alla lenza. Un pesce grasso e screziato schizzò sopra la superficie, dibattendosi all’amo. Turner decise che avrebbe violato le regole, e al diavolo tutto il resto.

    L’organizzazione locale del quartiere, il kampong, proiettava un film gratuito nel piccolo parco collocato quattordici piani sotto la finestra di Turner. Immagini luminose si stagliavano contro lo spoglio muro bianco in stile Bauhaus di uno dei palazzoni adiacenti.

    Turner si sporse a guardare fuori dalle tapparelle. Aveva sbirciato lo spettacolo per tutta la notte, durante le pause del suo lavoro illegale.

    I cittadini del Brunei, come tutti i malesi, adoravano le storie di fantasmi. Il protagonista del film, o il mostro principale (Turner non era sicuro del ruolo esatto), era un acrobatico demone-scimmia, con gli avambracci taglienti come rasoi, che adesso aveva fatto irruzione in uno spaccio clandestino di alcoolici e stava massacrando depravati ubriaconi con una tremenda serie di pugni, calci e grida. Spaventosi suoni di carne percossa fluttuavano debolmente verso l’alto, simili al rumore che avrebbe prodotto lo scontro di due treni merci stracarichi di manzi macellati.

    Turner si sedette davanti alla sua tastiera illegale e sospirò. Aveva saputo che le cose sarebbero finite così fin da quando le autorità del Brunei gli avevano confiscato il telefono alla dogana. Per cinque mesi aveva tentato di aggirare gli ostacoli con mezzi leciti. Adesso gli rimanevano solo tre mesi e aveva finito sia il tempo sia la pazienza.

    I robot, sotto strati sovrapposti di grasso ingiallito, erano in ordine: erano stati coperti per anni con teloni impermeabili. Ma i manuali del software erano ridotti a coriandoli.

    Il solo pensarci dava a Turner la ge­lida sensazione di affogare, un terrore speciale e privato che l’aveva perseguitato fin da bambino. Era la paura che provava quando doveva confrontarsi con il nonno.

    Pensò agli occhi gelidi e spietati di suo nonno quando lo fissava con il suo sguardo da Poliziotto Cattivo di Hong Kong. Nei primi anni Settanta il nonno era stato uno dei famigerati sergenti milionari della polizia di Hong Kong, che si erano arricchiti grazie al commercio di eroina birmana. Nonno Choi era emigrato nel 1973, durante gli scandali di corruzione collegati alla Triade. Però, anche dopo quarantasette anni di vestiti di seta e voli in prima classe tra la villa di Taipei e quella di Vancouver, aveva conservato uno sguardo gelido e severo che metteva in soggezione. Per Turner non era un bel ricordo, quello di essere sottoposto a valutazione e giudicato indegno.

    Comunque: la documentazione della catena di montaggio era inutilizzabile. Era ridotta a pezzi, ammuffita e piena di pesciolini d’argento. Gli inconsapevoli indigeni non avevano capito che le informazioni che conteneva erano essenziali all’impresa. Il sultanato aveva comprato la fabbrica molto tempo prima, con gli ultimi soldi del petrolio, come una manifestazione elegante e maledetta di chic industriale occidentale. Per qualche insondabile motivo, però, i robot non erano mai diventati molto popolari nel Borneo.

    Ma

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1