Evoluzione dell’informazione cattolica: Lezioni inedite di giornalismo e non solo
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Anteprima del libro
Evoluzione dell’informazione cattolica - Paolo Ruffini
Cielo.
Prefazione
+ Claudio Maria Celli
Arcivescovo titolare di Civitanova. Presidente emerito del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano
Queste mie parole vogliono essere semplicemente un’attestazione di stima e di riconoscenza che, in quanto operatore dell’informazione, sento di esprimere a Matteo Cantori, curatore di questo volume che, finalmente, in una sorta di ipotetica conferenza di settore o di scuola di giornalismo cattolico
in formato tascabile ha realizzato per il grande pubblico.
Otto anni fa, il 12 dicembre 2012, ho avuto il piacere e l’onore di assistere al primo cinguettio mediatico di Benedetto XVI: una data memorabile, i tweet ed i follower di @Pontifex. Tutti noi sapevamo che qualcosa stava cambiando e che la Chiesa, forte della Fede ed attenta al mutare dei tempi, viveva in prima linea. Mi piace ricordare un passo del Vangelo di San Matteo: «Quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze» (Mt 10,27). Questa frase matteana, in un certo qual modo, è il fil rouge che collega tra loro gli interventi dei vari autori-relatori di questo volume. Ciascuno con la propria diversità, ma uniti dal medesimo compito, quello dell’annuncio. Ogni mezzo è valido per arrivare all’uomo e toccare le corde più profonde del suo cuore. Non è importante solamente la preparazione tecnica, ma, soprattutto, occorre trasmettere un’emozione che, in maniera sinuosa, entra nello spirito e nella psiche tanto del credente quanto soprattutto di quei fratelli che non credono e che sono ancora alla ricerca. Qui risiede la specialità, l’abilità di chi fa informazione religiosa: un’informazione che si evolve, che segue il tempo dell’umanità e, magari indirettamente, lo segna, entrando negli schermi, passando per i giornali, le riviste specialistiche, l’etere o, perché no, attraverso le immagini. Non vi è, infatti, specie per i diversamente abili che hanno difficoltà espressive, nulla di più eloquente di un’immagine, di un’istantanea. La fortuna non è soltanto quella del lettore o dell’ascoltatore, ma è anche di chi vede. E tutto ciò si traduce nell’implorazione: «Signore, fa’ che io veda!» (cfr. Mc 10,51).
Vi saranno di certo critiche: qualcuno vedrà quest’opera – perché di opera si tratta (!) – come un’accozzaglia di scritti, conditi di tecnicismi o espressioni, in alcuni casi, analoghe. Lo smentisco a priori, fin d’ora: la sana curiositas del curatore deve lasciare prendere quanti avranno tra le mani il testo. Le cosiddette 5 W
, abbiccì del giornalismo, acquisiscono un quid introvabile altrove. Almeno per il momento. Il testo nasce nella periferia: la cornice è la Chiesa che è in Fabriano-Matelica, fucina di giornalismo cattolico da oltre un secolo, ove L’Azione
, settimanale diocesano guidato dal dottor Carlo Cammoranesi, è un’autentica quanto nascosta scuola di giornalismo cattolico. Ed il nostro Matteo Cantori ne è un allievo!
Vedo tanto bene in queste pagine. Leggo l’approvazione degli altri Autori, professionisti di grido di questo ambito, che hanno accolto, come me l’invito di Matteo Cantori. Segno che, in quest’invito, anch’essi hanno sentito il profumo di un evolversi che va al di là dei rispettivi centri di azione: redazioni, siti internet, sale stampa… San Francesco di Sales, il Vescovo-giornalista e nostro Patrono, ci benedica e sia sempre più il celeste intercessore per invocare quello Spirito di sapienza e di intelletto senza il quale ogni nostra produzione perderebbe di sapidità!
Premessa introduttiva
Il presente testo muove da un perché e da una necessità. Non vi è null’altro dietro, se non il desiderio di creare uno spazio di studio e di erudizione per un pubblico il più vasto possibile. Leggendo il titolo, si potrebbe supporre che si tratti di un lavoro per i soli giornalisti ed operatori dell’informazione cattolica, ma non lo è affatto. Dapprima, sia pur quasi egoisticamente – si direbbe –, ho pensato a me stesso. Oltre all’attività di avvocato e di docente universitario, il giornalismo è una passione che ho iniziato a coltivare dai tempi del liceo, nonostante qualche mia insegnante non apprezzasse granché il mio stile di scrittura… In fin dei conti, il ritornello è sempre il medesimo: de gustibus…
Tralasciando questa breve digressione, ho avvertito l’esigenza di formarmi meglio nell’ambito dell’informazione cattolica, cercando di comprendere l’evolversi delle sue modalità di comunicazione alle masse, tenendo conto inderogabilmente delle angolature storiche e di qualche particolare che negli ultimi tempi ha segnato l’operatività nel settore. Perciò, chi meglio di illustri penne, volti e voci possono essere formatori miei e di chiunque decida di accostarsi al settore in analisi? Li ho voluti raggruppare, chiedendo di tenere idealmente una lezione messa per iscritto, senza porre loro dei limiti circa la lunghezza o la tematica da affrontare, favorendo in questo modo un’ideale Cattedra di Tecniche di Comunicazione cattolica a portata di mano.
Un testo ambizioso? In parte, certamente, sì. Risposta superba? Forse! La pretesa, come già affermato al principio, è quella di riunire i grandi del giornalismo cattolico a seconda dei ruoli di ciascuno nel settore dell’informazione, offrendo ai lettori panoramiche ed approfondimenti di spessore e meritevoli di considerazione e studio. Man mano che si andavano contattando i vari membri di questo corpo docente per questa singolare Cattedra, realizzavo alcuni passaggi storici e pratici nella veste di profano. Ho pensato al beato Pio IX che volle fondare L’Osservatore Romano e chiese alla Compagnia di Gesù di dirigere una rivista periodica di informazione culturale, La Civiltà Cattolica. Dopo di lui, inevitabilmente, mi è passata dinanzi l’immagine di un altro Pio, l’undecimo, benedicente la Radio Vaticana. E da quest’ultimo tutti i vari Successori di Pietro che hanno attirato le grandi masse, servendosi degli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, televisione e social compresi. Epocale il collegamento di san Paolo VI con i primi uomini approdati sulla crosta della Luna.
Impossibile, poi, per me in quanto suo devoto, non riflettere sul significato delle parole che il grande Giovanni Paolo I rivolse ai rappresentanti della stampa internazionale, il 1° settembre 1978. Ve le voglio riproporre: «[…] Non Ci nascondiamo i rischi di massificazione e di livellamento, che tali mezzi portano con sé, con le conseguenti minacce per l’interiorità dell’individuo, per la sua capacità di riflessione personale, per la sua obiettività di giudizio. Ma sappiamo anche quali nuove e felici possibilità essi offrano all’uomo d’oggi, di meglio conoscere ed avvicinare i propri simili, di percepirne più da vicino l’ansia di giustizia, di pace, di fraternità, di instaurare con essi vincoli più profondi di partecipazione, di intesa, di solidarietà in vista di un mondo più giusto ed umano. Conosciamo, in una parola, la mèta ideale verso la quale ognuno di voi, nonostante difficoltà e delusioni, orienta il proprio sforzo, quella cioè di arrivare, attraverso la comunicazione
, ad una più vera ed appagante comunione
[…]». È un passaggio del discorso che, a mio modesto avviso, risulta a tutt’oggi di un’attualità straordinaria e senza pari: la comunicazione come via per raggiungere la comunione, gli strumenti dell’informazione necessari per unire e condurre alla Verità delle verità. E subito dopo il discorso cosiddetto ‘ufficiale’, un ‘fuori programma’ di Papa Luciani giornalista, simpatico ed accattivante per ragionare con maggiore slancio: «C’è stato il Cardinal Mercier1, che diceva: Se venisse San Paolo, farebbe il giornalista
. Pierre l’Ermite2, della ‘Croix’ di Parigi, gli ha risposto: "Eh no, Eminenza, se venisse San Paolo, non farebbe soltanto il giornalista; farebbe il direttore della Reuters". Ma io aggiungo oggi: non solo direttore della Reuters: oggi San Paolo andrebbe forse da Paolo Grassi3 a domandargli un po’ di spazio alla televisione, oppure alla N.B.C.».
Queste riflessioni che vi ho offerto sono state le stesse che ho voluto proporre a Carlo Cammoranesi, direttore del giornale diocesano di Fabriano-Matelica, L’Azione, presso il quale collaboro. L’occasione propizia è stato il suo venticinquesimo di direzione: Carlo avrebbe voluto tacere; chi scrive, di converso, prendendosi una piccola libertà, si è sentito quasi in dovere di riconoscere un merito a chi come il dottor Cammoranesi investe sull’informazione a partire dalle Chiese locali fino a raggiungere il maggior numero possibile di persone. Perché, in fin dei conti, l’evoluzione dell’informazione cattolica si gioca su tre parole, due delle quali ce le ha già indicate Albino Luciani nel discorso alla stampa di tutto il mondo: comunicazione, comunione ed inclusione. Quest’ultimo è un termine adoperato in contesti assai differenti tra loro: in questo nostro settore d’analisi pare forse sintetizzare i primi due sostantivi. Includere
– da cui deriva il sostantivo inclusione
–, dunque, significherebbe raggiungere
, non escludere nessuno dalla comunicazione, rendendolo partecipe di una completa comunione attraverso la comunicazione e i suoi mezzi aggiornati.
Quindi, l’organizzazione del manuale che avete tra le mani e che state leggendo. Qualcuno potrebbe insinuare che si tratti soltanto di un contenitore di scritti di personaggi illustri del giornalismo cattolico. Tuttavia, lo debbo smentire. Il testo è organizzato per aree tematiche: carta stampata, radio, televisione, immagini, comunicazione della Santa Sede, teorie e stampa estera.
Tutti coloro che hanno accettato di scrivere una lezione lo hanno fatto liberamente, senza imposizioni tematiche o di lunghezza del rispettivo elaborato da parte dello scrivente, il quale si considera alunno di queste singolari lezioni rivolte non solo agli specialisti ed operatori del settore, ma ad un uditorio generale. Il corpo docente – cui va la mia stima e gratitudine – è più che qualificato e rappresenta l’anima e la vita dell’informazione cattolica in attività al momento. Ciò che ha destato piacere e soddisfazione allo scrivente curatore ed al dottor Cammoranesi – anche questi docente (!) – è stata l’accettazione senza riserve da parte di ciascun maestro, come si accennava in precedenza. Ognuno ha dato totale disponibilità, esprimendo la volontà di realizzare qualcosa che non vada a finire dimenticato tra la polvere in uno scaffale o funga da ‘palco per prime donne’, in cui la scena di uno vada a prevalere su quella degli altri. Tutt’altro! Mentre redigo queste righe, penso alla generosità, per esempio, dimostrata da alcuni nel consegnare la lezione a tempo di record, sebbene fosse nel pieno del meritato riposo o con servizi improcrastinabili.
L’augurio che ci rivolgiamo, quindi, è che questo lavoro possa essere letto, sottolineato e studiato. Si è dato spettacolo di unità: la famiglia dell’informazione cattolica si è ritrovata idealmente al medesimo tavolo, un po’ come il nonno sta con il nipote ed il figlio. E ciascuno porta elementi che vanno a completare quelli che ha portato l’altro, e viceversa. Il lettore non trova dei compartimenti stagni, o dei ‘vuoti d’aria’ – mi si conceda l’espressione – tra una lezione e l’altra, bensì – questo l’auspicio – potrà effettuare un volo ad alta quota per atterrare felicemente, arricchito da nuove esperienze, come al termine di un bel viaggio.
Ecco, pertanto, con tale slancio, animati da sana curiositas, iniziamo una nuova avventura, in cui il buon Dio, per intercessione di San Francesco di Sales, sia glorificato!
Fabriano, 24 gennaio 2021 – S. Francesco di Sales
Matteo Cantori
1 Il Cardinale belga Desiré-Félicien-François-Joseph Mercier (1851-1926), Primate del Belgio, è stato tra i maggiori esponenti della neotomistica e, al tempo stesso, va annoverato tra i porporati della prima metà del Novecento promotori del dialogo ecumenico.
2 Pseudonimo di Edmond Loutil (1863-1959), fu un Monsignore e giornalista francese, autore di romanzi popolari e grande collaboratore della rivista cattolica d’Oltralpe Croix
.
3 Presidente della RAI per il triennio 1977-1980.
DALLA SANTA SEDE
La voce di Pietro attraverso un laboratorio ecclesiale e culturale
Paolo Ruffini
Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede
Portare nel mondo la voce del Successore di Pietro, far ascoltare al Successore di Pietro il respiro della Chiesa nel mondo.
Alla fin fine è tutto qui il servizio che è chiesto al Dicastero per la Comunicazione: parlare quanti più linguaggi possibili, ascoltare quante più voci possibili per testimoniare ciò che ci unisce in un solo Corpo, in una stessa vita partecipata, nella diversità delle membra; comunicare la Chiesa ed essere manifestazione visibile di ciò che rende il nostro comunicare diverso da quello del mondo.
In questa diversità, che è testimonianza, c’è anche – credo – il fondamento teologico del nostro agire.
È in ragione di questa diversità che possiamo essere riconosciuti.
È in ragione di questa diversità (che va sempre e solo offerta, mai imposta) che, del nostro essere comunicatori, speriamo si possa dire: «sono nel mondo, ma non sono del mondo» (cfr. Gv 17,15-19).
È in ragione di questa diversità che nel nostro non sempre così facile cammino possiamo (dobbiamo) trovare strade sempre nuove senza perdere la strada; usare mezzi sempre più efficaci senza scambiare il mezzo con il fine; incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo, e parlare i linguaggi che essi parlano, rimanendo fedeli alla missione di annunciare la bellezza del Vangelo incarnato.
Comunicare la Santa Sede, comunicare il magistero del Papa, comunicare la Chiesa ha a che fare più con la comunione che con la comunicazione.
Comunicare la bellezza della Chiesa non significa infatti (solo) informare, ma testimoniare questa unità con coloro ai quali si comunica. È questa la lezione di san Paolo quando dice: «Mi sono fatto Giudeo con i Giudei … mi sono fatto debole con i deboli … mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro» (cfr. 1Cor 9,20-23).
Quando la comunicazione è una partecipazione del vissuto, quando acquista la forza della testimonianza; è allora che diviene un generare mediante il Vangelo
, è allora che diventa evangelizzazione.
«Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (cfr. 1Cor 4,15).
Questo è lo spirito che ci anima.
Servire la Chiesa come battezzati, mettendo a disposizione del Papa, della Santa Sede, della Chiesa, tutto quello che siamo e che sappiamo.
Uomini e donne del Dicastero, tutti, ogni giorno ci interroghiamo dunque su come essere fedeli a questo