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L'imbalsamatore
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E-book137 pagine1 ora

L'imbalsamatore

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Info su questo ebook

Enrique, un adolescente inquieto, conosce José, un anziano imbalsamatore che vive isolato e ritirato da ogni attività. Tra i due a poco a poco si instaurerà una solida amicizia. L'imbalsamatore insegna al giovane l’arte della tassidermia, ma anche altri aspetti non meno importanti della vita.

Ma presto questa relazione amichevole troverà un ostacolo: Enrique è sul punto di scoprire un oscuro segreto che José mantiene gelosamente da anni.

Un romanzo breve ma molto intenso, che lascia un sedimento difficile da dimenticare. Un’atmosfera che ti catturerà e due personaggi che seducono adolescenti e adulti. La passione per l’arte, la devozione per il maestro e gli intricati segreti della mente sono saggiamente uniti in una storia che ha già catturato migliaia di lettori in tutto il mondo.

Mistero, amore, arte, crescita personale e profonde riflessioni…

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita29 dic 2016
ISBN9781633394476
L'imbalsamatore

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    Anteprima del libro

    L'imbalsamatore - Enrique Laso

    Non ho la minima idea di che cosa possa spingere un ragazzo di oggi a desiderare di diventare un imbalsamatore. L’unica cosa certa è che io, fin dall’infanzia, avevo manifestato una passione travolgente per la conservazione dei corpi degli insetti più comuni. Immagino che una spiegazione poetica potrebbe essere quella che una volta mi diede la persona a cui è dedicato questo racconto: noi siamo semplicemente anime destinate a preservare la bellezza di questo mondo, inevitabilmente condannato alla decadenza e, infine, allo squallore. Può essere una spiegazione, indubbiamente, anche se la mia interpretazione antepone, come vera motivazione, una curiosità irrefrenabile di conoscere a fondo la parte interiore dei corpi e, oltre a questo, la sensazione un po’ infantile di immenso potere, di dominio quasi divino, che ti conferisce il poter fermare il processo di putrefazione che la natura riserva a tutti gli esseri viventi.

    L’origine di questa vocazione inizia quando avevo appena cinque o sei anni, a quando mi dedicavo con coraggiosa devozione alla caccia alle libellule che, allegramente e innocentemente, si posavano sulla sponda del fiume dove ero solito bagnarmi ogni estate per le vacanze. Mi ricordo di una retina per farfalle fatta a mano, mentre aspettavo, senza il minimo accenno di compassione, che uno di quei poveri insetti avesse la sfortuna di cadere vicino al mio piccolo spazio di manovra. Dopo, ritornavo orgoglioso con i miei tesori, tre o quattro libellule, e trascorrevo il resto del pomeriggio, fino a sera, ad analizzarli con pazienza, a classificarli e, infine, a ficcare loro un ago nel torace per fissarli saldamente in un grande asse di sughero bianco.

    Ma non sono io il soggetto di questa narrazione. In realtà, desidero parlare del mio mentore, maestro, precettore o come si voglia chiamarlo. È solo ora ci ha lasciato che posso parlarne di lui, che mi vedo costretto a parlarne. Avrei potuto farlo in un modo semplice e breve, ma sarebbe assolutamente ingiusto nei confronti di una persona che mi ha dato tanto e che ha sicuramente forgiato in modo definitivo il mio spirito per il resto della mia vita. Ed è necessario che tu, lettore, legga queste pagine prima di conoscere la vera ragione che mi ha indotto a scriverle, perché altrimenti potresti farti un’idea del tutto sbagliata circa l’uomo più affascinante che abbia mai incontrato e probabilmente conosciuto.

    I

    ––––––––

    La prima volta che arrivai a casa sua avevo sedici o diciassette anni e lui doveva averne sui settanta. Per me era un vero onore che un uomo del suo prestigio avesse accettato la mia proposta di fargli una breve intervista che mi serviva per completare un lavoro al liceo, incentrata intenzionalmente sulla tassidermia. Gli avevo telefonato una settimana prima e lui, in breve, mi aveva convocato il sabato seguente a mezzogiorno, mostrando un certo interesse. Immagino che non doveva nemmeno essere comune che dei ragazzi lo chiamassero per sapere qualcosa sul suo lavoro, e forse questo suscitò  la sua curiosità.

    Ricordo che erano i primi di novembre e, anche se la settimana precedente aveva piovuto quasi ogni giorno, quel sabato il mattino era splendente, con un sole caldo e brillante, di quelli che tanto si apprezzano in autunno. Dovetti prendere un autobus, dato che la sua casa era situata a circa dieci chilometri dalla città. Quando arrivai all’ultima fermata, l’autista mi indicò che dovevo salire il ripido pendio che conduceva al cimitero, dove avevano origine le montagne, e che la casa che cercavo era la penultima contando dal cimitero. Salii la rampa a piedi, con fatica, cercando di scegliere le prime parole da dire per suscitare una buona impressione e sbirciando dentro le case, sparse su entrambi i lati della strada asfaltata male. Rimasi sorpreso di non vedere nessuno e, per alcuni istanti, ebbi la sensazione di addentrarmi in un terreno abbandonato, dove gli uomini avevano smesso di esistere. A poco a poco l’agitazione mi invase e solo la vista di una targa lucida, con delle belle lettere incise, fece dissolvere le mie paure in un istante.

    José Vaquerizo Yepes

    Imbalsamatore

    La targa era fermamente saldata a una recinzione dipinta di verde che circondava la casa: una costruzione solida, probabilmente vecchia di una quarantina di anni, le cui pareti spesse mostravano una certa trascuratezza, ad esempio la calce che le intonacava si era screpolata in alcune aree, per via dell’umidità. Non trovai il campanello per suonare e così passai un po’ di tempo davanti alla porta recintata fino a quando scoprii che non era chiusa a chiave, né vi era posto alcun lucchetto.

    Provai ad aprirla con la massima attenzione, ma i cardini erano un po’ arrugginiti e la porta non si muoveva se non con spintoni in avanti o strattoni all’indietro. Fu allora che potei verificare il precario meccanismo che era stato progettato per avvisare della presenza di un estraneo: un filo spesso e lungo collegava la porta a una campanella nella parte superiore, che cominciava a suonare, costretta dai movimenti improvvisi che qualcuno doveva fare per passare la parte recintata. Spaventato dallo stridore di quel segnalatore rudimentale, rimasi pietrificato, con un solo piede dentro a quella proprietà estranea che avevo invaso senza autorizzazione. Non tardò ad apparire una donna di statura media, grossa, dai movimenti un po’ goffi e meccanici, la quale, un po’ infastidita, scattò dalle scale che conducevano all’appartamento:

    -Che cosa vuoi? Sei venuto a dare fastidio?

    Tardai a rispondere, ammutolito dalla sorpresa e dispiaciuto che la prima impressione che stavo dando fosse quella. Ero tentato di scappare via correndo per la discesa e di non tornare mai più, inventando una serie di risposte per il questionario che dovevo presentare la settimana seguente, ma poi, quella grande donna, che inizialmente mi era sembrata severa e rude, mi lanciò un sorriso caloroso.

    -Avevo dimenticato! Tu devi essere il giovane studente che aspetta il signor José, giusto? –mi disse ammorbidendo notevolmente il tono della sua voce.

    -Sì, sono io... –dissi balbettando.

    -Allora entra e non stare lì come un idiota.

    Seguii la donna, la quale che fiancheggiò la casa seguendo un percorso di ciottoli affiancato alla destra da una parete della casa e alla sinistra da un giardino piuttosto selvatico nel quale crescevano alberi da frutta come arance, limoni, cachi e anche un alto fico che adagiava la sua generosa ombra su una piccola piscina di acqua verdastra in cui galleggiavano innumerevoli foglie secche.

    -La piscina la puliamo solo in estate. Io vorrei svuotarla, ma il signor José dice che la preferisce così... –commentò la donna che aveva soddisfatto le mie richieste.

    Raggiungemmo la parte estrema della casa e poi girammo leggermente a destra, sempre costeggiandola. Rimasi sorpreso perché il lotto si apriva in uno spazio di circa mille metri quadrati, nascosto dietro la casa, in cui diversi piccoli sentieri di ciottoli si addentravano nel terreno, fino al fondo della recinzione, circondando arbusti e pini torreggianti. Sembrava come se avessero desiderato portare un pezzo del monte, che nasceva pochi metri sopra o, al contrario, come se avessero sollevato la casa dentro di lui, essendo l’unico elemento discordante tra la natura selvaggia.

    -Che bello! –dissi  quasi senza pensare.

    La donna mi lanciò uno sguardo inclassificabile, come se fosse sorpresa dal mio commento, e continuò a camminare con quell’andatura meccanica che dava l’impressione che non fosse capace di piegare correttamente le ginocchia. Potei vedere allora che gli alberi circondavano una zona aperta, pavimentata con piastrelle in ceramica e nel cui centro avevano ubicato una bella fontana di marmo dalla quale scorreva un discreto getto di acqua. Accanto ad essa, c’erano ammucchiate alcune sedie a sdraio e un paio di tavolini in ferro battuto. Su una di quelle sedie sedeva un uomo che, anche se teneva un giornale davanti ai suoi occhi, sembrava sonnecchiare. Ci fermammo a circa cinque metri da lui.

    -Signor José, signor José, è arrivato il giovane che aspettava.

    L’uomo alzò la testa, coperta da un semplice cappello di velluto a coste marrone chiaro, che a malapena lasciava intravedere i capelli grigi e in disordine, folti nonostante la sua età. Appoggiò lentamente il giornale su uno dei tavolini e mi rivolse uno sguardo cordiale e pieno di curiosità. Aveva gli occhi piccoli, ma di un blu così intenso che sembravano inondare il resto del suo viso, rugoso e abbronzato.

    -Sei Enrique?

    -Sì, signore – annuii laconico e nervoso.

    -Va bene, siediti, per favore. Avevo voglia di conoscerti. –disse facendo una lunga pausa. Poi guardò il cielo, come se stesse cercando di ricordare qualcosa.– Di sicuro vuoi qualcosa da bere? Caffè, tè, limonata?

    -Non vorrei disturbare... –risposi mentre mi accomodavo.

    -Oh no, ti prego, nessun disturbo.

    -Allora una limonata andrà bene.

    -Adela, ti prego preparaci una buona limonata e portaci anche alcune paste.

    Adela si ritirò, non senza prima strizzarmi un occhio in un gesto amichevole di fiducia che, anche se non seppi interpretare, riconosco che mi diede conforto. 

    -È curioso vero? -disse il signor Josè, quando già Adela era scomparsa all’interno della casa.

    -Mi scusi, che cosa è curioso?

    -Che ti interessi la tassidermia. Avevo la sensazione che non interessasse a nessuno, figuriamoci a una persona così giovane come te.

    -Beh, signore, ad essere onesti...

    -No, no, no. –mi interruppe, agitando le mani in aria. –Per favore, nessuna formalità. Chiamami José, lo preferisco. Io ti chiamerò Enrique. Penso che sarà più comodo per entrambi.

    José aveva una voce leggermente cavernosa e vocalizzava perfettamente, come se si trattasse

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