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Vite al centro: Cronache dell'attesa
Vite al centro: Cronache dell'attesa
Vite al centro: Cronache dell'attesa
E-book271 pagine2 ore

Vite al centro: Cronache dell'attesa

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Info su questo ebook

"Tanto i richiedenti asilo non fanno rumore e se anche lo fanno nessuno li sente; e se qualcuno li sentirà diremo che è colpa loro."

Mahmoud è un nome di fantasia, la sua storia invece è reale come reali sono le esperienze che condivide con altri residenti di uno dei Centri di accoglienza per richiedenti asilo sparsi in tutta Europa. In 160 cronache brevi, Raffaella Greco Tonegutti tesse un racconto che suona familiare: ci sono l'incertezza del futuro, l’attesa, la burocrazia, le piccole e grandi ingiustizie, le aspettative, le delusioni, i sogni che tengono vivi e le paure che non osiamo nominare. Vite al Centro è una lente d’ingrandimento, protanigoniste sono le esistenze che si fanno pubbliche per non essere private del diritto più fondamentale: esistere.
LinguaItaliano
EditoreBlonk
Data di uscita27 mag 2021
ISBN9791220803328
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    Anteprima del libro

    Vite al centro - Raffaella Greco Tonegutti

    CENTRO

    Cronache dell'attesa

    Per Silvia e Silviolins,

    farfalle leonesse

    Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,

    non dimenticare il cibo delle colombe.

    Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

    non dimenticare coloro che chiedono la pace.

    Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,

    coloro che mungono le nuvole.

    Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,

    non dimenticare i popoli delle tende.

    Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,

    coloro che non trovano un posto dove dormire.

    Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,

    coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

    Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,

    e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio.

    Mahmoud Darwish

    GLOSSARIO

    Al Quds: nome arabo di Gerusalemme.

    Appello: ricorso in tribunale contro la decisione della Commissione Territoriale di diniegare la protezione internazionale ad un richiedente asilo.

    Asilato: che ha ricevuto la protezione internazionale (asilo).

    Baghdad: capitale dell’Iraq.

    Centro: centro di accoglienza per richiedenti asilo gestito da associazioni/cooperative/società private assegnatarie di fondi pubblici gestiti dal Ministero degli Affari Sociali.

    Checkpoint: posto di blocco. Postazione o luogo dove i passanti e i veicoli vengono fermati obbligatoriamente per verifiche e controlli.

    Città: capitale europea immaginaria in cui si svolge il racconto.

    Commissione Territoriale: la Commissione territoriale per il Riconoscimento della Protezione internazionale è l’organo che ha il compito di valutare e decidere in merito alla domanda di protezione internazionale, previa audizione del richiedente.

    Coordinatori: impiegati dell’Associazione assegnataria del bando di gestione del Centro. Sono tre e si alternano in turni da 12 ore l’uno.

    Diniegato: che ha ricevuto il diniego.

    Diniego: decisione della Commissione Territoriale di negare la protezione internazionale.

    Direttrice: impiegata dell’Associazione assegnataria del bando di gestione del Centro. Ha il compito di supervisionare i coordinatori.

    Eid Mubarak: augurio islamico. Nella cultura islamica, Eid al-fiṭr è la seconda festività religiosa più importante, segna la fine del periodo penitenziale e viene celebrata alla fine del mese lunare di digiuno di Ramadan.

    Ente gestore: associazione o ente privato, assegnatario di fondi pubblici nel quadro del sistema di accoglienza per i rifugiati e i richiedenti asilo.

    Erez: checkpoint (posto di blocco) tra la Striscia di Gaza e Israele.

    Fatah: partito politico palestinese oppositore di Hamas.

    Gaza: capitale della Striscia di Gaza.

    Gazawi: palestinese della Striscia di Gaza.

    Hamas: organizzazione palestinese di carattere politico e paramilitare attualmente al potere nella Striscia di Gaza dopo la vittoria delle elezioni amministrative nel 2006 e 2007.

    Husseiniya: luogo di culto utilizzato per le celebrazioni sciite.

    Iftar: pasto serale consumato dai musulmani per interrompere il loro digiuno quotidiano durante il mese islamico del Ramadan.

    Khalifa: sacerdote della comunità sciita.

    Kinshasa: capitale della Repubblica Democratica del Congo.

    Kisangani: capitale della Provincia Tshopo, Repubblica Democratica del Congo.

    Kuala Lumpur: capitale della Malesia, unico paese a riconoscere il passaporto Gazawi rilasciato dall’UNRWA.

    Kunafa: dolce mediorientale tipico del Ramadan.

    LGBTQI: Sigla che definisce la comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer e intersessuale.

    Mabrouk: augurio tradizionale musulmano.

    Machete: grosso coltello con una lama appuntita, liscia e tagliente da un solo lato.

    Maqluba: zuppa di verdure mediorientale.

    Ministero: ente pubblico che gestisce l’accoglienza e l’assistenza dei richiedenti asilo.

    Mosul: città dell’Iraq (anticamente nota come Ninive).

    Nara: lingua parlata in Eritrea.

    Negativo: richiedente asilo cui sia stata diniegata la protezione internazionale dalla Commissione Territoriale.

    Paese: luogo immaginario in cui si svolge il racconto.

    Passaterra: colui che accompagna nel viaggio attraverso la frontiera montagnosa tra Italia e Francia migranti senza documenti.

    Positivo: richiedente asilo cui sia stata concessa la protezione internazionale dalla Commissione Territoriale.

    Protezione internazionale (asilo): la protezione internazionale viene riconosciuta a coloro che sono costretti a fuggire dal paese di origine per il fondato timore di essere perseguitati o di subire un danno grave.

    Protezione sussidiaria: la protezione sussidiaria viene riconosciuta al cittadino di un paese terzo che non possiede i requisiti per essere riconosciuto rifugiato ma nei cui confronti esistono fondati motivi di ritenere che, se tornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.

    Rafah: campo di rifugiati palestinesi situato a Gaza. I palestinesi che vi risiedono sono gli sfollati delle zone palestinesi che Israele ha occupato dal 1948 in avanti.

    Rafah Port: Valico di Rafah. Frontiera internazionale tra l’Egitto e la Striscia di Gaza costruita dai governi israeliano ed egiziano dopo il Trattato di pace israelo-egiziano del 1979 e confermato dal ritiro israeliano dalla Penisola del Sinai nel 1982.

    Ramadan: nono mese del calendario islamico della durata di 29 o 30 giorni. Mese nel quale si pratica il digiuno in commemorazione della prima rivelazione del Corano a Maometto.

    Residenti: richiedenti asilo residenti in un centro di accoglienza.

    Richiedente asilo: richiedente protezione internazionale è la persona che, fuori dal proprio Paese d’origine, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale.

    Shisha: narghilè. Strumento per il fumo composto di un contenitore d’acqua, spesso profumata, al cui interno è fatta passare una spirale che consente al fumo di raffreddarsi prima di giungere alla bocca del fumatore attraverso un tubicino flessibile.

    Shwaya: parola araba che significa lentamente, piano, poco.

    Striscia di Gaza: regione palestinese compresa tra Egitto, Israele e il mar Mediterraneo.

    UNRWA: Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente. È un’agenzia di soccorso, sviluppo, istruzione, assistenza sanitaria, servizi sociali e aiuti umanitari.

    PERSONAGGI

    Abdulkareem: ragazzo palestinese residente al Centro

    Ahlam: amica palestinese di Maha, proprietaria del ristorante Piccolo Principe

    Ahmed: amico di Mahmoud ancora a Gaza

    Aisha: donna giordana, madre di Lama e Antoine

    Akrem: ragazzo iracheno residente al Centro

    Alì: iracheno, diniegato, in attesa di appello

    Anvar: figlio di Fariba

    Antoine: figlio di Aisha

    Bibi: ragazza afghana residente al Centro

    Carolina: infermiera del Centro

    Daoud: ragazzo palestinese cresciuto in un campo profughi in Libano

    Dareje: ragazzo eritreo residente al Centro

    Eleni: estetista di origine congolese

    Eveline: assistente sociale del Centro

    Fadhil: ragazzo iracheno residente al Centro

    Fadil: padre di Ahlam

    Fariba: donna iraniana residente al Centro. Mamma di Anvar

    Georgios: nonno di Eleni, estetista di origine congolese

    Ghassan: amico con cui Mahmoud ha fatto la traversata in barca

    Hakeem: uomo iracheno residente al Centro

    Hicham: ragazzo marocchino residente al Centro

    Kendal: ragazzo curdo residente al Centro

    Khalid: uomo iracheno residente al Centro

    Leila Khaled: attivista palestinese, eroina nazionale

    Lama: figlia maggiore di Aisha

    Maha: interprete palestinese

    Mahmoud: giovane Gazawy residente al Centro, protagonista del racconto Mahmoud

    Marie: assistente sociale del Centro

    Mustafa: ragazzo iracheno residente al Centro, campione di karate

    Mutaz: uomo iracheno di origine palestinese residente al Centro

    Myron: ragazzo iracheno residente al Centro

    Nasser: ragazzo palestinese di Gaza residente al Centro

    Noor: bambina pakistana, residente al Centro

    Oday: marito di Ahlam, gestore del ristorante Piccolo Principe

    Omar: ragazzo palestinese di Gaza residente al Centro

    Rose: ragazza pachistana residente al Centro

    Sami: uomo iracheno, diniegato dalla Commissione Territoriale

    Sabrina: coordinatrice dei coordinatori del Centro

    Samia: ragazza irachena residente al Centro (detta il Taxi)

    Sara: coordinatrice del Centro

    Shady: amico di Mahmoud che impartisce corsi di integrazione

    Thanaa: signora palestinese di Gaza residente al Centro

    Usama: amico di Mahmoud, palestinese di Gaza rifugiato nel Paese da sei anni

    Youssef: ragazzo marocchino residente al Centro

    1. La libertà

    La strada per arrivare fin qui è stata molto lunga. Il viaggio era il prezzo per la libertà e l’hai pagato senza discutere. Ce l’hai fatta. Ora devi solo entrare, lasciare il documento e l’identità sulla soglia, poi prendere posto in una delle camerate dei piani superiori, infilando ciabatte e pantaloni comodi. Prenditi il tuo tempo, ne avrai bisogno. Ci sarà da aspettare. Non chiedere quanto, nessuno saprà dirlo. Abbi pazienza, tutta quella che ti è avanzata nel tragitto. Se sei arrivato fin qui pensando che finalmente fosse finita e che avresti potuto alleggerire testa e cuore, ti sbagliavi. Sei solo all’inizio.

    Nel seminterrato ci sono bagni, refettorio, stanza lavatrici, saletta fumatori e la porta antincendio che dà sul cortile. Nel cortile ci sono i secchi della spazzatura, quattro alberi sottili piantati in un’aiuola d’angolo di terra brulla e sterpaglia dove da tempo non crescono fiori. Sulla terra sono parcheggiati i pulmini dell’associazione che ha in gestione quello spazio che diventerà la tua casa, il tuo mondo, tutto l’universo: il Centro. Al Centro ci sono regole, orari, divieti. E va bene così, perché ci dovete vivere in 250: patti chiari e amicizia lunga. Lunghissima, per quelli che sono arrivati da due anni e sono ancora qui ad aspettare. Al Centro ci sono anche regole e divieti che non sono scritti da nessuna parte e di cui nessuno ti parlerà all’arrivo. Se sei sveglio e rapido, li capirai da te, e capirai anche la loro natura cangiante e soggetta agli umori e ai caratteri dei tre coordinatori che ruotano di settimana in settimana; alle abitudini degli operatori; alle fisime degli addetti al controllo della porta d’ingresso. Se sei sveglio, imparerai a sorridere e ringraziare quando prendi e restituisci la tessera segnaletica che tutti i residenti devono portare con sé quando sono nella struttura e consegnare quando varcano la soglia. La soglia è lo spazio sorvegliato da quattro telecamere e tre uscieri che separa il Centro dal mondo reale. Nessuna barriera, non c’è filo spinato. Eppure...

    Fuori ti chiami Mahmoud, circa trent’anni, sorriso ed occhi intensi, una laurea in tasca, famiglia di stanza a Gaza. Dentro sei soltanto il numero 226. Mettiti comodo, ingoia l’orgoglio e le aspettative. Cerca di diventare invisibile e tutto sarà più facile. Corpo muto. A noi non interessa sapere cosa ti abbia spinto fin qui. Se stai buono e non fai rumore, ti tollereremo.

    E la chiamano libertà.

    2. La prima volta

    La prima volta non si scorda mai. Occhi rossi da notte completamente insonne, aria stravolta dalla novità, ascelle sudate. La prima volta non è mai come ce la si era immaginata e generalmente è meno bella, meno intensa, più faticosa, certamente meno romantica. A te della prima volta restano in mente l’odore di piedi e di doccia non fatta, il rumore fastidioso di una respirazione pesante, l’ordine disorganizzato degli elementi nella stanza, l’armadio troppo piccolo, il materasso scomodo, la coperta che pizzica la pelle.  

    La mattina seguente ti tieni in piedi a fatica e abbozzi un sorriso cui credere il tempo sufficiente a sentire la tua voce che arriva da lontanissimo. Signorina prima volta, dopo la prima volta, la prima volta non è più. Il Centro, da domani, diventerà la tua casa per un tempo indipendente dai tuoi sogni e dai tuoi piani.

    La prima notte è andata. In bianco.

    3. Temporali estivi

    Ci sono Centri e Centri. Quelli chiusi, per l’identificazione e l’espulsione di chi arriva irregolarmente e non fa nemmeno in tempo a presentare domanda per la protezione internazionale che si trova già dietro pesanti portoni di metallo senza sapere che ne sarà del suo destino; e quelli aperti, che non sono prigioni, nonostante il tuo si trovi di fronte a una grande stazione di polizia e sia controllato dentro e fuori da videosorveglianza garantita con telecamere piazzate in ogni ambiente. Nei centri come il tuo ci arriva chi ha qualche speranza di restare in Europa, biglietto di quarta classe, ricerca lavoro, Stato sociale, sicurezza, ospedali, pensione, donne nude in vetrina, donne in minigonna per la strada, sussidio di disoccupazione, una scuola, un parco, un amore. Nei centri come il tuo ci vive chi pensava di arrivare e trovarsi a casa, a proprio agio, accolto e benvenuto.

    Al Centro, chi ci arriva, si mette in attesa lungo un corridoio dove il tempo resta fermo, nella speranza che - fuori - succeda qualcosa che permetta alla vita di riprendere il suo corso. Al Centro i residenti aspettano i giorni passare mentre qualcun altro prende decisioni: la Commissione Territoriale, il giudice, la coordinatrice, un operatore. Al Centro si sta immobili come l’aria d’estate nelle città del sud, che poi arriva il temporale e il vento cambia. Ma qui non siamo al sud e l’estate è ancora lontana. Quando passa il temporale, se si è fortunati, si esce dal palazzo in mattoncini rossi con un permesso di residenza infilato in tasca e il diritto ad un alloggio sociale. Altre volte, si esce e basta. Dal Centro, dal mondo, dal mucchio di quelli che aspettano. Si diventa ancora più invisibili, puntini sulla mappa dell’irregolarità.

    Al Centro i residenti aspettano che il tempo passi, che arrivi la pioggia, l’acqua che porta via la polvere dal tetto delle automobili in sosta, che porta via i cattivi pensieri e pulisce l’anima. I residenti aspettano e maledicono, maledicono e aspettano. E quando arriva il temporale non hanno l’ombrello.

    4. Positivo, Negativo

    Impari presto che i residenti non sono tutti uguali. C’è l’afghano che non sa una parola d’inglese ma saluta sempre con un gran sorriso. Quale? Quello che ha passato l’intervista davanti alla Commissione Territoriale due settimane fa. Poi c’è l’iracheno che fuma shisha alla menta e si sveglia sempre alle due del pomeriggio perché passa la notte a guardare serie TV americane sul computer portatile che nasconde nel suo armadietto. Chi? Quello che ha avuto il negativo all’inizio del mese e prepara il ricorso in tribunale. C’è il palestinese che ha fallito anche l’appello in tribunale e sta pensando di tornare a casa con il ritorno volontario assistito. Come lui ce n’è una serie, di tutte le nazionalità, i nervi perennemente a fior di pelle, i mattoncini di carbone sempre caldi sulla shisha, il telefonino tra le mani e uno zio da qualche parte del mondo che intima di resistere e soprattutto di non tornare indietro. Al ritorno volontario sta pensando anche Khalid che ha aspettato un anno e mezzo la decisione della Commissione Territoriale e adesso è in ospedale con un tumore al rene destro. Da solo. Senza una

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