Intanto, a Stoccolma…
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Un romanzo brillante che, stante la polifonia narrativa e un certo gusto per l’ironia, fotografa impietosamente la quotidianità.
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Anteprima del libro
Intanto, a Stoccolma… - Nicola Pierini
Introduzione
Questo che avete in mano è un romanzo suddiviso in capitoli. E fin qui niente di strano.
Ogni capitolo del romanzo è un racconto che narra la storia di una persona. Essendo questo romanzo composto da ventidue capitoli, leggerete ventidue racconti relativi a (circa) ventidue persone diverse. Trattandosi di racconti indipendenti l’uno dall’altro, potete scegliere voi se cominciare a leggere il romanzo dal primo, dall’ultimo o da un qualsiasi capitolo a caso, ma non vi nascondo che ci sono precisi motivi per cui ho scelto di presentarveli in questo esatto ordine.
Nella vita di tutti i giorni le storie nostre, dei nostri conoscenti e di tutti gli sconosciuti che vediamo intorno a noi sono intrecciate da incontri più o meno casuali, frasi, pensieri, eventi. Anche in questo romanzo le diverse vicende si intersecano tra loro, ma secondo una struttura ben precisa. Quale struttura? Semplice, l’immagine che tutti gli stoccolmesi e i turisti hanno visto in città aspettando l’arrivo di un qualsiasi mezzo pubblico su rotaia: la mappa delle linee urbane della metro, dei tram, dei treni pendolini e dei treni locali. L’avete appena vista, da me ridisegnata, nella pagina precedente. Ogni capitolo/racconto è una linea urbana, il cui percorso è indicato all’inizio del rispettivo capitolo.
Finora vi ho scritto solo poche righe e già può sembrare confuso. Spero comunque che riusciate a seguirmi: ogni capitolo è un racconto indipendente dagli altri, ogni capitolo/racconto è una linea dei mezzi pubblici.
Così come ogni linea urbana è composta da stazioni, allo stesso modo ogni capitolo/racconto è suddiviso in miniracconti. Ogni miniracconto/stazione descrive una frase, un’azione, un evento, un istante o un periodo più ampio relativo a quella persona, ma allo stesso tempo può essere anche un crocevia di storie che si intersecano proprio in quel punto e in quel momento.
Se ad esempio due ipotetiche linee della metropolitana (chiamiamole A e B) si incrociano nella stazione C e poi continuano in direzioni diverse, allo stesso modo il personaggio A e il personaggio B si incontrano nel punto C (comune a entrambe le vicende) per poi continuare le loro vite senza più interazione reciproca.
Vorrei chiarire ulteriormente che non si deve pensare a C come a una stazione vera e propria. C non è necessariamente un luogo fisico o geografico: A e B potrebbero ad esempio nello stesso istante pensare la stessa cosa, o vedere lo stesso aereo che passa, o entrare nella stessa libreria, etc.
Lascio quindi a voi la curiosità e (spero) il divertimento di ricercare gli elementi o i personaggi comuni alle diverse storie che si incontrano in determinate stazioni, ma allo stesso tempo avere anche la libertà di fantasticare sulle mille altre storie/linee immaginarie che da qui potrebbero diramarsi.
Capirete di essere arrivati a una nuova stazione/miniracconto non appena vedrete il seguente simbolo:
immagine 1che non è altro che una S che vuole richiamare la forma di un’onda (l’acqua è un elemento caratterizzante di Stoccolma).
Per rendere ancor più l’idea di eterogeneità di personaggi e di vicende, ho cercato di caratterizzare ogni capitolo/racconto con stili diversi. Questo romanzo vuole consapevolmente essere un pot-pourri di generi, dal monologo al musical, dal diario alla conversazione telefonica, dai pensieri di un gabbiano grezzo e volgare a quelli di un antieroe pirandelliano.
Vi ritroverete dunque in un viavai di persone e di avvenimenti che hanno sullo sfondo Stoccolma, con tutta la sua bellezza, le sue miserie, i suoi misteri, le sue abitudini, i suoi disagi, la sua normalità, la sua continua capacità di stupire chi è qui per la prima volta, o chi qui c’è nato, o chi qui come me ci si è trasferito quattordici anni fa.
Stoccolma è in realtà un pretesto che per me è stato fonte di ispirazione per la struttura, per l’ambientazione e anche per i protagonisti. Ma più mi confrontavo con i vari personaggi che avevo in mente e più mi ritrovavo invece a scavare dentro me stesso, come in un viaggio in cui ho esplorato i miei valori, le mie esperienze e le mie aspirazioni. È per questo che la città di Stoccolma rimane sullo sfondo, usata più come pre-testo in modo da concentrarmi invece sul gioco narrativo.
Gioco narrativo che casualmente potrebbe ricordare il Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, e cioè un romanzo di un tale calibro e un autore di una tale levatura a cui non oso nemmeno immaginare di avvicinarmi. Ho usato la parola casualmente perché io quel romanzo l’ho letto per la prima volta (che ci crediate o no) dopo aver inviato questo mio manoscritto alla casa editrice, ma la cui lettura, che comunque mi avrebbe entusiasmato per il suo intreccio, per il suo linguaggio e per lo svisceramento del concetto di romanzo, mi ha stimolato su più livelli o, per dirla con una parola più attinente a questo testo, in più direzioni. La citazione riportata all’inizio di questo mio libro è solo una (la più breve e dunque più sintetizzante) delle decine che galvanizzato mi sono appuntato mentre leggevo di linee che s’allacciano
, di linee che s’intersecano
, di un accumulare storie su storie
che crescono come una pianta
, dell’attingere a un deposito praticamente illimitato di sostanza raccontabile
e concedersi il lusso di dilungarsi in episodi secondari e dettagli insignificanti
invece di concentrarsi su una sola storia che comunque sarebbe una storia in mezzo a tutte le altre
.
Tornando al mio romanzo (e lasciando quindi perdere involontarie analogie e impossibili similitudini con un’opera che ritengo ineguagliabile sotto ogni punto di vista), vorrei far notare che al due maggio 2018, data in cui si svolgono più o meno tutti i racconti, le linee urbane della società SL (Storstockholms Lokaltrafik), che gestisce i trasporti pubblici di Stoccolma, erano pressappoco così come ve le ho disegnate io. Ho preferito ridisegnarle perché ho adattato qualche linea alle mie esigenze narrative. Un esempio è la linea 40, che ho diviso in due linee separate (40a e 40b), così da avere due storie diverse. Un altro esempio è Farsta Strand, quartiere che ha due stazioni con lo stesso nome (una sulla linea della metro 18 e l’altra sulla linea del treno pendolino 43b) ma che in realtà non collegano le due linee allo stesso modo di altri nodi ferroviari (come, ad esempio, succede a T-Centralen). Ci sono sicuramente altri esempi come questi, ma tenete presente che d’altronde questo è un romanzo, non una guida ufficiale della città.
Le linee SL continueranno inevitabilmente a cambiare in futuro, così come le storie e le persone di Stoccolma muteranno, si evolveranno e si intrecceranno in maniera diversa. Ogni giorno. Sta a ognuno di noi decidere quanto interagire con gli altri, più o meno volutamente, più o meno per caso, sapendo che ognuno di noi ha e avrà sempre una storia da raccontare e qualche altra da portare con sé, non importa quanto importante o banale sia.
Nicola Pierini
Linea 13
Norsborg - Ropsten. Il ragazzo ovvero Il mio scrivere
immagine 1immagine 2immagine 3Circa un anno e mezzo prima, precisamente l’otto dicembre 2016, mentre stava guardando la televisione, a William venne l’ispirazione. Quella sera si commemorava l’anniversario della morte di John Lennon su un qualche telegiornale nazionale. Al ragazzo balenò improvvisamente l’idea di scrivere un romanzo ispirato al testo della canzone più famosa di John Lennon: Imagine . William cominciò a pensare al soggetto del romanzo, all’ambientazione, ai personaggi. In poche parole, cominciò ad affrontare tutti quegli aspetti che a uno scrittore alle prime armi come lui si presentano come problemi tanto affascinanti quanto insormontabili. Eppure William si rese ben presto conto che lo scalino più duro da superare non aveva niente a che fare col suo romanzo. Non gli ci volle infatti molto per capire che per scrivere un romanzo gli mancava una cosa fondamentale: il tempo.
immagine 4Durante tutto l’anno successivo, l’intero 2017, William aveva meticolosamente annotato la sua vita su un foglio excel; alla fine dell’anno aveva dunque potuto trarre le seguenti conclusioni, basate su semplici calcoli statistici.
Lavorava come elettricista e questo gli rubava (sì, letteralmente rubava) circa cinque ore al giorno; in realtà William lavorava le classiche otto ore ogni giorno feriale, ma considerando i weekend e le vacanze, la media giornaliera nell’arco dell’intero anno si riduceva a cinque ore. Era una persona abbastanza sociale e aveva calcolato che incontrare altre persone, come ad esempio gli amici, la mamma e i colleghi, gli portava via altre quattro ore al giorno (qui i weekend pesavano invece di più rispetto ai giorni feriali). Non che non gli piacesse incontrare altra gente, sia chiaro, ciò lo rendeva sempre di buon umore; ma era comunque qualcosa a cui doveva dedicare del tempo. Così come era importante dedicare tempo ad attività culturali, grazie alle quali riusciva a riflettere anche su domande alquanto complesse o comunque ricevere emozioni che solo, ad esempio, la musica poteva dargli. Ma anche andare a teatro o a un concerto o guardare un film richiede tempo, circa un’ora al giorno in media. Molto meno tempo (circa quindici minuti al giorno, calcolati nell’arco dell’intero anno) richiedeva invece l’allenamento in palestra, cosa assolutamente salutare che lo faceva stare in forma sia fisicamente che mentalmente. Se poi consideriamo le otto ore giornaliere di sonno, i trasporti e i normali lavori domestici, ecco che improvvisamente il tempo libero (veramente libero) che William poteva dedicare alla scrittura si riduceva drasticamente a circa dieci minuti al giorno. Questi dieci minuti al giorno erano una media spalmata nell’arco di un anno e c’erano giorni in cui poteva addirittura disporre di un’ora di tempo per il suo romanzo, ma in tali situazioni non riusciva a scrivere per un’ora intera, vuoi per mancanza di energie (che scarseggiavano alcuni giorni subito dopo il lavoro), vuoi per mancanza di voglia, di concentrazione, di ispirazione o per motivi legati all’umore. I suoi puramente matematici dieci minuti giornalieri da dedicare alla scrittura, quindi, diventavano in realtà meno di cinque minuti effettivi. Ma poniamo per semplicità che William avesse esattamente cinque minuti ogni giorno dell’anno per lavorare efficientemente alla sua opera.
Quanto tempo avrebbe impiegato per completare il suo romanzo?
immagine 5Nel giro di un anno e mezzo, cioè dal giorno in cui vide quel telegiornale con la commemorazione della morte di John Lennon, la constatazione di avere una limitazione temporale portò William non tanto a cambiare l’idea di base (gli piaceva avere Imagine come ispirazione), quanto a ripensare la struttura della sua opera: invece di un romanzo avrebbe scritto racconti. Sì, racconti. Questo avrebbe alleggerito la richiesta di tempo, di energie, di voglia e di concentrazione che l’idea iniziale di un romanzo gli aveva imposto in un primo momento.
Ma non solo. Nella sua mente si era ormai fatta spazio un’idea di struttura che si adattava benissimo all’uso di più racconti invece che di un continuum narrativo.
immagine 6William aveva ascoltato Imagine più volte e ne aveva analizzato il testo. Più la ascoltava e più non riusciva a capire come si potesse vietare, politicizzare o comunque mettere in discussione una canzone del genere; ancora aveva in mente una notizia proveniente dagli USA, letta o solo sentita tanti anni prima, ma chissà se poi fosse vera. Il suo lavoro di analisi del testo aveva però ben altro fine che studiarne il contesto politico in altri paesi.
immagine 7Era infatti sempre più affascinato dall’idea di scrivere racconti per costruire un romanzo . Come una canzone è composta da strofe e ritornelli, così il suo romanzo sarebbe stato scritto attraverso racconti. Imagine è composta da tre strofe e due ritornelli; quindi William avrebbe scritto cinque racconti, ognuno ispirato alla rispettiva parte della canzone. Pensava di scrivere i cinque racconti adottando generi e stili diversi tra loro, proprio per dare l’idea che una variazione può portare solo a un risultato migliore e più completo, in armonia con il testo della canzone. Non lo spaventava il fatto di dover scrivere due racconti diversi ispirandosi ai due ritornelli identici. Anzi, vedeva ciò come una sfida e si sentiva perciò ancora più attratto da questa sua nuova idea.
immagine 8Una volta risolto il problema della struttura, William cominciò a pensare anche al contenuto dei suoi racconti. Non aveva ancora trovato una storia connessa alla prima strofa di Imagine, ma sapeva che prima o poi un’ispirazione sarebbe arrivata.
immagine 9L’ispirazione invece arrivò in un attimo appena lesse il testo della seconda strofa.
Imagine there’s no countries
it isn’t hard to do
nothing to kill or die for
and no religion too.
Imagine all the people living life in peace, you [1]
immagine 10Il testo della seconda strofa della canzone portò William a pensare di scrivere un racconto su un probabile viaggio del dittatore nordcoreano verso la Corea del Sud, dove avrebbe incontrato il presidente sudcoreano per un accordo di pace. Quasi un racconto di fantascienza, pensò William. O meglio, di fantapolitica. Una speranza di pace e felicità in una zona in cui invece c’è solo oppressione, terrore e morte.
immagine 11Oggi, 2 maggio 2018, dopo circa un anno e mezzo da quando vide il telegiornale ricordare John Lennon, William aveva finalmente avuto l’ispirazione per un racconto relativo al primo verso di Imagine. Sapeva che sarebbe arrivata, prima o poi, e giunse in quel momento, a Arlanda, il principale aeroporto di Stoccolma. Il testo della canzone diceva così:
Imagine there’s no heaven
it’s easy if you try
no hell below us
above us only sky.
Imagine all the people living for today
immagine 12Sul display sopra il nastro trasportatore era visualizzato: Volo proveniente da Parigi: Bagaglio in arrivo tra 5 min
E vista l’inevitabile attesa, William decise di andare in bagno.
immagine 13Che strano . William cominciò a pensare che se alla sua fidanzata, anche lei a Arlanda in quel momento ma ovviamente non con lui nel bagno degli uomini, fosse venuto un infarto (proprio così pensò William) o se un pazzo l’avesse uccisa in quel preciso istante (proprio così continuò a pensare William), l’ultima cosa che le avrebbe detto mentre lei era ancora in vita sarebbe stato Vado a fare la pipì . A volte William si ritrovava a meditare su tali considerazioni, a come la vita fosse piena di banalità, piena di frasi dette tanto per dire, di azioni compiute solo per abitudine, che di fronte a una catastrofe gli avrebbero fatto pensare Ma perché non le ho detto qualcos’altro? Poi continuò la sua riflessione in maniera logica e sensata. Certo, non è che posso dirle che la amo solo per la possibilità remota... oddio, possibilità, meglio dire rischio... non è che posso dirle che la amo solo per il rischio che un minuto dopo uno di noi due possa morire. Non è che posso dirle Alice sei splendida q uando in realtà mi scappa solo un po’ di pipì.
William pensò tutto questo in una frazione di secondo, come capita spesso, quando non si sviluppa un concetto con l’aiuto della parola. Che pensieri stupidi, si disse mentre entrava in un bagno e chiudeva la porta.
immagine 14My memory is full.
William ancora si ricordava di quello che un suo collega una volta gli disse. Al collega mancava poco più di un anno alla pensione e si rifiutava di imparare cose nuove al lavoro. Non ne sentiva il bisogno. E così, per scherzare, diceva: My memory is full
. A William quell’espressione fece ridere dalla prima volta che la sentì pronunciare dal collega e gli rimase impressa. Cominciava quasi a riconoscercisi, visto che William la memoria cercava di usarla per altre cose. Sarà che oggi non siamo più abituati a memorizzare niente, sarà che i dispositivi elettronici ci aiutano a salvare i numeri di telefono in rubrica e gli eventi nel calendario, sarà che anche se William non era vecchio