Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Cuori in attesa
Cuori in attesa
Cuori in attesa
E-book162 pagine2 ore

Cuori in attesa

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Quante parole appena dette e poi spente, quanti sogni che ancora dovevano arrivare nella mia immaginazione, e non sono mai arrivati: dopo che li ho adottati, cercati, sperati, tutti se ne sono andati, come sorpresi dal vento in un freddo inverno di pioggia.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2012
ISBN9788862596596
Cuori in attesa

Correlato a Cuori in attesa

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Cuori in attesa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Cuori in attesa - Letizia Parigi

    CUORI IN ATTESA

    LETIZIA PARIGI

    EDIZIONI SIMPLE

    Via Weiden, 27

    62100, Macerata

    info@edizionisimple.it / www.edizionisimple.it

    ISBN edizione digitale: 978-88-6259-659-6

    ISBN edizione cartacea: 978-88-6259-165-2

    Stampato da: WWW.STAMPALIBRI.IT - Book on Demand

    Via Weiden, 27 - 62100 Macerata

    Tutti i diritti sui testi presentati sono e restano dell’autore.

    Ogni riproduzione anche parziale non preventivamente autorizzata costituisce violazione del diritto d’autore.

    Prima edizione cartacea novembre 2009

    Prima edizione digitale novembre 2012

    Copyright © Letizia Parigi

    Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale

    o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati per tutti i paesi.

    La rinascita

    sta tutta nell’Amore

    A mio marito Alessandro

    Alle mie figlie Elena e Ilaria

    Alla mia cara amica Luciana

    che mi hanno incoraggiato ad andare avanti

    Prima Parte

    CAPITOLO 1

    L’albero spoglio in fondo al giardino mi dava, come sempre durante l’inverno, un senso di solitudine e di tristezza. Era il terzo inverno che vivevo da solo dopo la morte di mia moglie Cherie.

    Il vento aveva spazzato via le ultime foglie: un brivido di freddo percorreva la montagna e grosse nubi cariche di pioggia, stazionavano ormai da giorni su gran parte del territorio.

    Era una tempesta annunciata: il tg aggiornava costantemente lo stato del tempo, ma la velocità con cui si spostavano le perturbazioni atlantiche, non dava un attimo di respiro, né una pausa per poter agire in caso di necessità.

    La grondaia del tetto ingoiava senza sosta l’acqua che scendeva a catinelle e il vento sbatteva sui vetri mille goccioline che scorrevano come impazzite, fino a sgorgare all’esterno del davanzale.

    Non era mai piovuto così da tanti anni e quella vigilia di Natale me la ricorderò: fu l’ inverno che cambiò la mia vita.

    Stare a guardare la pioggia nel tepore della casa mi dava un senso di protezione e il caminetto acceso un po’ di compagnia.

    Avrei voluto vendere quella casa e comprare un piccolo appartamento in città:

    Certo, pensai. Sarebbe la cosa migliore da fare, perché rimanere lì, in solitudine, non avrebbe avuto più senso senza Cherie.

    Man mano che il tempo passava mi ritornavano alla memoria i ricordi, frutto della nostalgia di noi due insieme e l’illusione di una immagine sempre presente che mi sorrideva, come solo lei sapeva fare, con la sua spensieratezza, con il suo buon umore, e le sue prorompenti risate.

    Mi era diventato difficile sopportare il silenzio: la immaginavo spesso, al rientro da lavoro, mentre mi gettava le braccia al collo e mi sussurrava:

    Ti amo.

    Pulii il vetro, che col calore del mio respiro si era appannato e per un attimo mi vidi riflesso come in uno specchio. Il tempo e il dolore mi avevano cambiato, invecchiato. Alcuni capelli bianchi attorno alle tempie mi davano un’aria più matura, gli occhi un po’ gonfi mi caratterizzavano la faccia e il profilo, le spalle ricurve addolcivano il mio fisico da atleta.

    Il mio nome? Giovanni.

    Ho quasi 45 anni, un buon lavoro di impiegato in un magazzino edile giù nella valle e non ho mai pensato che un giorno la mia vita sarebbe cambiata. E’ andata proprio così: grazie ad una gatta bianca che ho chiamato Cherie, anche se non ho mai creduto alle coincidenze e nemmeno al destino.

    Questa storia cominciò nel giorno in cui fui chiamato giù nella valle, quando quella bufera di acqua e vento fece alzare il corso d’acqua di diversi centimetri e il livello del lago sfondò il limite di guardia.

    Erano appena le otto, quando i miei colleghi mi pregarono di scendere a dare un’occhiata ai magazzini, perché il fiume stava tracimando in diversi punti della zona, inondando parte dei sotterranei.

    Lasciai la mia colazione a metà, mi infilai l’ impermeabile, scesi rapidamente in garage, saltai a bordo del mio SUV.

    Era inquietante uscire con quella tempesta: i fulmini si abbattevano all’improvviso con raffiche di vento impetuose che piegavano gli alberi come fili di erba.

    Mi allacciai bene la cintura, accesi i fari abbaglianti, ma non riuscivo a distinguere chiaramente la strada. Ormai conoscevo, dopo tanti anni, ogni curva, ma avanzavo lentamente e con molta prudenza.

    Guardai nello specchietto retrovisore se qualcuno si fosse messo in cammino dietro a me nella bufera: nessuno.

    Io, invece, ero lì: quei pochi centimetri di specchio erano come una telecamera che ripercorreva a ritroso quello che ero in realtà. Il mio passato mi stava inseguendo, attraverso quella immagine di un uomo solo, consapevole di affrontare l’incognito, davanti al suo stesso destino e che cercava di dare una risposta plausibile alla domanda che lo tormentava da tempo: veramente quell’uomo, in quel piccolo spazio di cielo, aveva perso il contatto con la realtà, o erano solo gli eventi a contrastarlo?

    Fu in quel momento che rallentai ancora un po’ perché le ondate di pioggia, sbattendo sul parabrezza limitavano a pochi metri la visibilità.

    La protezione civile aveva dato l’allerta meteo per quel giorno e anche per i due tre giorni successivi, ma nessuno si sarebbe mai aspettato una inondazione così consistente.

    Ad un tratto, a poche centinaia di metri dal paese, mi si parò davanti un ostacolo. Frenai all’improvviso, ma la macchina slittò di fianco per la strada viscida di fango e detriti. Afferrai più stretto possibile lo sterzo per cercare di tenere l’auto diritta, ma le ruote posteriori non aderirono più al manto stradale.

    Come risucchiato all’interno di un vortice e con le mani rigide sullo sterzo, mi sentii un naufrago in balia delle onde, senza poter fare niente. Cercai di inserire la prima integrale per non frenare all’improvviso, ma fu tutto inutile.

    Quello che riuscii a vedere fu solo la massa di acqua che inondò il parabrezza e gli alberi che si avvicinavano sempre di più.

    Mi assalì una strana sensazione di impotenza davanti a quell’esito, ormai scontato, di non riuscire a fermare la macchina prima dell’impatto laterale. Chiusi gli occhi come per proteggergli da un fragore di vetri rotti, sbriciolati; lasciai lo sterzo e mi coprii il volto con le mani, quando mi resi conto che la macchina non rispondeva più ai miei comandi.

    CAPITOLO 2

    Un tronco d’abete di dimensioni notevoli era caduto, col vento forte, proprio dietro alla curva: la macchina uscì di lato alla strada, sbatté con forza la fiancata nel guardrail e si fermò.

    L’urto improvviso mi fece sobbalzare sul sedile e sbattere la testa contro il vetro del finestrino. Mi portai una mano alla fronte e mi accorsi che sanguinava.

    In vita mia non mi era mai capitato di ferirmi in un incidente: si, forse, una sola volta, ma lievemente, quando tornavo da lavoro una sera, con la strada ghiacciata. Mi ero sposato da poco con Cherie e fu fantastico quando lei si prese cura di me per tutta la settimana.

    Passammo la maggior parte del tempo fra le lenzuola, senza curarci delle ore che passavano e il caminetto acceso scaldava i nostri corpi nudi, mentre la neve cadeva fitta fitta.

    Il cellulare della macchina mi fece sobbalzare all’improvviso dai miei pensieri: cercai di raggiungerlo allungando il più possibile la mano, ma un forte dolore alla schiena mi impedì di fare altri movimenti. Con l’urto era caduto sotto il sedile, in un punto che non riuscivo a raggiungerlo.

    Strinsi i denti dal dolore e: Accidenti! La schiena, pensai.

    Mi appoggiai al sedile e mi distesi fino a quando non sentii più dolore; reclinai la testa all’indietro, mi girò tutto e la vista si annebbiò…

    Non so per quanto tempo il telefono squillò, né per quanto tempo rimasi stordito: riaprii gli occhi solo quando la tempesta si fu attenuata e senza quel frastuono udivo i vari cigolii dei rami strapazzati dal vento, il gorgoglio del torrente in piena, il ticchettio di gocce d’acqua sulla macchina. In lontananza, poi, delle voci. Parole che mi giungevano sempre più dirette e chiare.

    Accesi i tergicristalli in modo da poter vedere meglio: d’improvviso fui illuminato dal fascio di luce di una torcia e finalmente il sangue cominciò a scorrere di nuovo nelle vene.

    Fui preso da una voglia matta di gridare aiuto: cominciai a muovermi cercando di mettere una mano fuori dal finestrino, ma ancora erano troppo lontani per vedermi. Comunque fu questione di pochi attimi.

    Quando iniziai a vedere tra le fronde degli alberi il pesante mezzo che si avvicinava, provai un grande sollievo.

    Tutto bene? sentii gridare, mentre il vento spazzava via mezze parole.

    Risposi con un cenno della mano che era tutto ok.

    Si, pensai. Eccetto la tempia e la schiena.

    Ma che voleva dire, i soccorsi erano già lì e mi avrebbero liberato presto.

    Pochi minuti più tardi la squadra dei volontari era già in azione: il terreno circostante non dava nessuna stabilità, era scivoloso, in discesa e il fango si appiccicava agli stivali dei soccorritori ostacolandone le operazioni di salvataggio.

    Dovevano tutti usare la massima cautela in ogni minima azione: intanto la pioggia aveva ripreso a cadere. Il capo squadra dei soccorsi si avvicinò:

    Sei stato fortunato, mi disse. Pochi attimi prima e…

    Poi scrollò la testa:

    Un brutto affare. Continuò: Siamo stati avvertiti pochi minuti fa da una sconosciuta che ti precedeva solo di pochi metri. Fortunata anche lei che è riuscita a passare in tempo! Stavamo controllando il livello del lago quando ci ha fatto un cenno e si è avvicinata: ha riferito di un boato e di uno schianto alle sue spalle. Ci siamo spaventati non vedendoti arrivare: ti abbiamo cercato diverse volte al cellulare.

    Tutti i soccorritori ormai furono davanti a me in pochi secondi, lottando contro il vento e la pioggia. Iniziarono a togliere i rami spezzati che ostruivano il passaggio per farsi spazio verso di me.

    Fu un’impresa uscire dall’abitacolo della macchina: me lo ricordo ancora. Mi allacciarono il collare cervicale, poi, con molta delicatezza, mi aiutarono a girarmi e a distendermi su una barella rigida.

    A quel punto il dolore si fece più intenso; mi portai la mano sugli occhi e trattenni il respiro:

    Santo cielo! riuscii a balbettare. Chi si occuperà di me adesso?

    La sagoma nera dell’albero che giaceva sulla statale mi tornava in mente di continuo e il presentimento che lo scampato pericolo non l’avrei dimenticato tanto facilmente, si faceva spazio dentro di me come un’ombra.

    Passò un tempo che mi sembrò interminabile: avevano immortalato tutte le mie ossa, suturato la ferita alla testa e adesso non rimaneva che aspettare.

    Raccolsi i miei pensieri prima di riaprire gli occhi: "Signore fa

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1