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La divisa sbagliata: Un indiano d'America tra le SS
La divisa sbagliata: Un indiano d'America tra le SS
La divisa sbagliata: Un indiano d'America tra le SS
E-book497 pagine7 ore

La divisa sbagliata: Un indiano d'America tra le SS

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Info su questo ebook

Un romanzo storico sorprendente e accurato, ambientato durante la Seconda guerra mondiale. La promessa di Hitler, propagandata negli Stati Uniti da Elwood A. Towner e altri, è quella  di dare la cittadinanza ariana ai Nativi Americani, di cui ammira la cultura, e di restituire loro le terre rubate. Il suo obiettivo è crearsi un alleato all’interno del paese nemico più odiato, gli Stati Uniti d’America. Saxton, un Cherokee che non si sente un patriota americano, poiché soffre per la storia di violenze e di soprusi subiti dal suo popolo, decide di credere alla parola di Hitler e di arruolarsi tra i nazisti per combattere il suo paese d’origine. Tormentato da dubbi sulla sua scelta, e pregando di non dover mai combattere contro i fratelli nativi americani reclutati nell’esercito statunitense, inizia una incredibile avventura tra le fila naziste, in Italia. Schierato sulla linea Gustav e poi sulla Linea Gotica, incontrerà il Papa, il Führer e tanti personaggi delle varie fazioni, mantenendo una condotta morale pacifista e antinazista che, più volte, gli fa rischiare la fucilazione.
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2021
ISBN9791280456038
La divisa sbagliata: Un indiano d'America tra le SS

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    Anteprima del libro

    La divisa sbagliata - Marco Folletti

    Capitolo 1

    Cassino, Linea Gustav, 6 gennaio 1944

    Giù la testa!.

    È solo un attimo, ma è già troppo tardi: con un raschio da belva la bomba è precipitata in mezzo al camminamento, deflagrando in mille schegge e devastando ogni cosa. Tra gli ultimi echi del rombo che sfuma, urla e richiami rimbalzano in volo su e giù per l’aria nera, come sassi tardivi dopo la caduta di una valanga. A gridare quell’avviso è stato Konrad, mio vicino di postazione qui al settore avanzato del fronte di Cassino; grido che mi ha salvato la vita, ma che non è servito a risparmiare la sua. Brancolando come un cieco tra il fumo che si dirada, cerco, tra terra e detriti, di recuperarne il corpo.

    Konrad?… , mi fa Hans: Hans è un bel tipo di biondino dall’aria sveglia e, nel pronunciare il nome del nostro compagno, mi guarda negli occhi e si soffia sulla mano. Gesto eloquente: il ragazzo si è vaporizzato nello scoppio. Hans sa che io non parlo il tedesco e, con quella sua mimica, mi ha reso l’idea.

    Niente di rotto?, mi apostrofa un barelliere, accorso al trambusto. Pare di no. Mentre faccio un rapido inventario di me stesso, mi rimetto in piedi, stordito ma intero.

    Hai sette vite come i gatti, indiano!, esclama il tipo, compiaciuto. Attento, però, questa è caduta davvero vicino; occhi aperti, o alla prossima bomba la fine di Konrad potresti farla tu!. E, detto ciò, se ne fila via, mentre la fascia bianca al braccio, male annodata, gli scivola giù fino al polso. C’è poco da stare attenti quando un grosso calibro ti piomba addosso, borbotto, e con l’ultima voce di Konrad che mi rimbalza nella testa vuota, mi massaggio le orecchie doloranti. Sembra che tutto, di me, sia in ordine, per fortuna; rassicurato, giro uno sguardo all’abbazia di Montecassino che, alta sul suo monte, spettacolare ci sovrasta. Sospiro: sono settimane, ormai, che quel colosso riempie di sé il nostro paesaggio militare e, come ogni giorno, anche oggi ne esploro con lo sguardo le mura vetuste, splendenti di bianco nel sole del pomeriggio. Chissà se anche Konrad si è mai perduto a fantasticare su questa piazzaforte dell’anima? E chissà se sarà stata cattolica, la sua religione? Domande che mai più avranno risposta. Raccolto da terra il suo fucile, pongo le mani davanti al viso e levo per lui la mia preghiera al Grande Spirito. Il caporale Klaus ha intanto riunito gli effetti personali di Konrad: il portafogli tornerà alla famiglia, mentre tutto il resto — tra cui indumenti, elmetto e gavette — sarà spartito tra i compagni.

    Coraggio, Toro Seduto!, mi grida Hans in un inglese da film. Le Giacche Azzurre non passeranno, vedrai!.

    Sorrido: nonostante la censura nazista abbia proibito la diffusione delle pellicole d’oltreoceano, Hans è un grande intenditore di film western, e pare divertito nell’avere a che fare con un autentico nativo americano. Ora, il mio nome non è Toro Seduto, ovviamente, bensì Asgichvvsga, che in lingua Cherokee, la tribù cui appartengo, significa Colui che sogna tante cose . Hans non riesce a memorizzarlo, né a pronunciare correttamente il mio nome inglese, Saxton; così, per rivolgersi a me si serve di quel nomignolo. Dovresti scrivere la tua storia, quando tornerai a casa! Non ne abbiamo molti, di indiani, nell’esercito del Reich!, esclama Hans. Chissà, potresti persino ricavarne un libro, aggiunge e, allentatami una pacca sulla schiena, se ne va fischiettando, lieto dell’elmetto di Konrad toccatogli in sorte. Un libro? E perché no? Ho forse qualcosa da perdere? E così, un po’ per tenermi attaccato alla vita e un po’ per esorcizzare la morte, ho iniziato ad annotare pensieri e parole su certi taccuini che scambio, quando possibile, con la mia razione di sigarette. Il seppellimento di Konrad è stato una faccenda spiccia. Nemmeno so se quei pochi stracci carbonizzati che io e i suoi compagni abbiamo gettato nella fossa comune, in un pallido tentativo di esequie, appartengano davvero a lui. Ora, chi non ha mai vissuto l’orrore delle fosse di guerra non può averne che un’idea molto vaga: nel nostro solo settore, qui a Cassino, se ne contano a decine, luoghi in cui le salme stazionano sepolte l’una sull’altra in attesa che arrivi il momento, se mai verrà, di assegnare a ognuna una lapide e un nome. Non esiste, nelle fosse, una vigilanza vera e propria. In mezzo a tumuli spogli, di giorno svolazzano i corvi e di notte i cinghiali scavano grufolando, mentre i gas di morte che sorgono dalla terra brillano in fiammelle azzurrognole e vaghe. Con tutto questo c’è sempre qualcuno dei nostri che, con l’animo del cacciatore, si avventura in quei luoghi di abbandono: la carne di cinghiale è, qui in prima linea, un bene prelibato, e pur se ci mancano tempo e ingredienti per cucinarla a dovere, è una gradita integrazione al nostro rancio difficile e scarso.

    Ma tu guarda la sfortuna: stamane Konrad doveva essere di riposo, poi ieri sera l’hanno costretto a prendere servizio, ed ecco il patatrac. Quando si dice il destino… , mormora Hans scuotendo la mantellina fradicia, lieto per la fine della pioggia. Intanto cerco con gli occhi Günther, mio camerata dal tempo dell’addestramento in Germania. Günther è a suo modo un tipo piacevole, ma non fa che scroccarmi una sigaretta dopo l’altra. Se voglio conquistarmi della carta da scrivere, il tabacco è una moneta di scambio di cui ho estremo bisogno.

    Conserva le tue sigarette, mi propone Hans, gentile, se ti servono altri taccuini, so che Konrad ne teneva qualcuno nel suo armadietto: te lo apro, così li prendi tu.

    Grazie, mormoro. Figurati: Konrad avrebbe fatto lo stesso. Povero Konrad, non teneva mai nulla per sé. Tutto quel che riceveva da casa, lo donava; così tutti gli regalavano di tutto, e lui regalava tutto di nuovo. Ehi, fermo! Tu chi sei? Chi ti ha autorizzato… grida Hans a una sagoma scura che, la testa cacciata nell’armadietto di Konrad, appare impegnata a frugare all’interno.

    Ma guarda te questo figlio di… brontola, ma ormai il tipo, sfangando nel pantano, se l’è già data a gambe. Non hai mica fatto in tempo a vedere che faccia aveva?.

    No, è successo tutto così in fretta. Credo avesse una cicatrice sul volto, rispondo, percependo uno strano odore dolciastro di mandorle amare nelle narici.

    Intanto raccatta i tuoi taccuini, prima che spariscano anche quelli. Guarda un po’, non sapevo che a Konrad piacesse la cioccolata, e ride, estraendone dall’armadietto alcune tavolette alle mandorle. Quando arrivava la razione, Konrad dava via la cioccolata subito, perché diceva di essere allergico. Ne vuoi un po’?.

    Declino l’offerta, sfogliando i taccuini nella speranza di trovarvi pagine vuote su cui scrivere. Ma ecco che, in fondo al camminamento, vedo farsi avanti la chioma pericolosa di Günther. Non ho nulla contro di lui, anzi la sua compagnia mi è gradita. Ogni volta che gli è possibile, fa carte false perché io lo accompagni nei suoi giri, convinto com’è che il sottoscritto gli porti fortuna. Ma oggi il mio tabacco mi serve per altri scopi, e così, zitto zitto, me ne scivolo nella mia buca.

    Mi attende una sorpresa.

    Un teschio umano è riemerso dal fango, spremuto fuori dal transito dei panzer che l'hanno espulso dal sottosuolo come una vescichetta di grasso. Si tratta di un teschio perfettamente integro, che farebbe la felicità di qualunque sala di anatomia. Decido di destinarlo, unico oggetto pulito nella mia buca lercia, a basamento per la mia gavetta dell’acqua.

    Ehilà, stiamo rinnovando l'arredamento, indiano?.

    La battuta è di uno dei ragazzi della sussistenza, che mi getta un pezzo di pane secco: il mio rancio di oggi. Il giovanotto si tiene prudentemente rasoterra, ma a quest'ora le artiglierie non tirano mai: anche gli americani pranzano e si godono, come noi, la tregua del mezzogiorno. La campagna laziale ride nel suo inverno fiabesco, rinfrescata da un'acqua scesa per giorni, e ora dispiega nel sole i suoi colori rinnovati, come un bucato steso ad asciugare: rivelati alla vista dal bel tempo che ritorna, da boschetti lontani sgusciano e si rimbucano i carri armati degli americani, enormi scarabei verdastri che lampeggiano sotto il sole.

    Loro sono gli scarabei stercorari, e noi le palle di merda, brontolo contrariato.

    E piantala, guerriero del cielo, ribatte Günther, spuntatomi a sorpresa alle spalle. Ma lo sai, dove poggiano, ora, i tuoi stivali luridi? Sulla Linea Gustav, la più potente opera di difesa mai esistita dai tempi di Roma!. Così dicendo, mi scivola accanto, gli occhi compiaciuti dietro il carosello di trincee, bunker e piazzeforti che, all’ombra dell’abbazia, si snoda a perdita d’occhio. "Hic manebimus optime: qui abbiamo piantato le nostre insegne e qui resteremo! Comunque, rassicurati, oggi Günther non è qui per scroccarti sigarette, bensì per farti un regalo!". Lasciato dileguare il tizio del rancio oltre il dedalo dei fossati, si cava dalla sacca un grosso formaggio e, tagliatolo a larghi tranci, lo divide con me.

    E quello chi è?, mastica a bocca piena, puntando il coltello verso il mio nuovo compagno fatto di ossa.

    Sospiro: anche il padrone del teschio, in fondo, è rimasto piantato qui. L'ho battezzato Lucky, Fortunato , deve essere uno dei primi morti della linea, e del resto, in questa terra grassa e umida, i cadaveri si spolpano in un tempo sorprendentemente breve.

    I nostri ufficiali pretendono che teniamo in piedi, a pane raffermo, una linea lunga cinquecento chilometri. Si può essere più idioti? Qui, se non ci si arrangia, ci mangiamo persino gli stivali, borbotta Günther. Stai attento, quelli della sussistenza sono brutta gente: se trovano in postazione uno che è morto, lo contano per vivo e la sua razione la rivendono a qualcun altro. Spiegalo anche a Fortunato, così non si fa fregare… . Sogghigna: Ora vado; se hai bisogno di me, sai dove trovarmi. E fatti annunciare, quando arrivi: sai com’è, il mio maggiordomo è molto pignolo, e ci tiene all’etichetta.

    Sorrido: ho fatto bene a fare coppia con Günther. Se si eccettua la sua fame cronica di tabacco e superalcolici, la sua è una buona compagnia. Metto al sicuro il mio formaggio dalla cupidigia dei topi, e torno con la mente agli eventi che ci hanno fatto incontrare, io e lui: eventi nei quali racconti, passioni e vicende si sono incastrati come i pezzi di un puzzle, andando a comporre la mia incredibile avventura di guerra. Getto uno sguardo a Fortunato che, scosso dal suo sonno nel ventre della terra, mi ha custodito la gavetta da buon camerata. Un resticciolo di acqua fangosa gli brilla in fondo alle occhiaie vuote; su di essa si riflette, come su una lacrima, il lampo vivido del cielo azzurro.

    Capitolo 2

    Augusta, caserma addestramento SS, 1 aprile 1943

    Dimmi la verità, scotennapolli: li avete anche voi in America, alberi come questi?.

    Ad apostrofarmi con tanta ironia è il camerata Günther della Prima Compagnia SS, mio compagno di addestramento e vicino di letto. Oggi, disteso sulla branda alla sua solita maniera (piedi sul cuscino e testa al posto dei piedi), mi addita la massa dei pini che, come una possente cintura verde, circonda la nostra caserma nel cuore della Baviera.

    È un personaggio curioso, cui la ferrea disciplina SS non ha impedito di impiantare un florido giro di scommesse abusive e di traffici illegali, abilità alla quale affianca una profonda passione per la storia e per la cultura in generale. Questa è la Selva Nera, ispido villano, il paradiso terrestre che tutta Europa ci invidia!, esclama ispirato, intanto che si accende una sigaretta.

    Se proprio vuoi saperlo, anche da noi esistono foreste così, e persino più estese, rispondo.

    " Non fingere di non capire, indiano, questi non sono semplici alberi: sono il baluardo contro di cui Roma si è spezzata le corna, il ritiro filosofico di Heidegger e l’ispirazione di Wagner per il suo Sigfrido! Ah, Wagner… non senti anche tu i violini e i tromboni che si alternano nel Canto della Foresta ? ". La mano elegante mossa a dirigere un’immaginaria orchestra, accenna a fior di labbra quel celebre motivo. Borbotto tra me e me:

    Proprio il camerata filosofo mi doveva capitare. Sapendo quanto i tedeschi siano rigorosi riguardo a quella dottrina, cerco di allontanare il discorso da quei pericolosi pantani culturali.

    Nemmeno i nostri sono semplici alberi, ribatto, per i Cherokee ben sette tipi di alberi sono sacri: il faggio, la betulla, il noce americano, la robinia, l’acero, la quercia e l’ossidendro.

    Ossidendro?, fa G ünther. Mai sentito: che razza di pianta è?.

    È una pianta molto comune dalle nostre parti: noi la chiamiamo anche legno acido. Masticarne le foglie e la corteccia è un ottimo rimedio contro l’ulcera, sai. Allora potevi anche portarmene un po’, già che c’eri sbotta lui. Non è mica facile discutere con te e riuscire a mantenere lo stomaco sano! Roba da matti: chi l’avrebbe detto che un giorno mi sarei trovato a ragionare con un Cherokee?, brontola; e, per nulla risentito di essere stato assegnato a una compagnia mista a dispetto dei suoi limpidi natali, dispensa ai quattro venti il suo incrollabile buonumore da primo della classe. Come poi io sia finito in forza a questa eterogenea unità è un mistero: qui alla Prima Compagnia SS la maggioranza degli effettivi sono polacchi, e il nostro stesso comandante, il capitano Wolzach, ha nelle vene sangue polacco, molti sussurrano ebreo. Anche costui è persona colta ma, al contrario del mio camerata, non ama mettere in piazza il proprio sapere. Manifestazione di garbato distacco verso la quale Günther fa spallucce e ride:

    Meglio così. Mai discutere con i superiori: se in un confronto dai loro ragione, sono convinti che li stai prendendo in giro; se dai loro torto, Dio solo sa come può andare a finire!.

    Quanto a me, gli unici libri che ho letto, a parte quei pochi che la scuola della riserva ci passava, li ho rinvenuti in casa del nostro vecchio sciamano, testi obsoleti e maltenuti di biblioteche fallite; tutta merce in mezzo alla quale, però, qualche buon libro c’era. Se oggi possiedo una minima capacità di controbattere alle tesi del mio vicino di letto, lo devo in larga misura a quel polveroso materiale.

    Io non so molto di Heidegger, cerco di obiettare, ma se si tratta di fare il filosofo solitario nel cuore della selva, come lui, ne sono capace pure io!.

    Ma come si fa a discutere con te?, sbotta Günther, cui quello strano filosofo nazistoide va, evidentemente, parecchio a genio. Heidegger ha raccolto l’eredità di tutti i grandi pensatori del passato, da Kierkegaard a Leopardi, e ne ha fatto un pensiero nuovo e potente! Un pensiero di cui la nuova Germania va fiera come di una conquista sulla terra: l’esistenzialismo!. Prosegue, ispirato: "Possibile che non capisci che è proprio nell’isolamento che l’esistenzialismo trova la sua ragione? Apri il vocabolario, caprone, se già non te l’hanno mangiato le galline! Ex-sistere significa proprio questo: stare al di fuori! Si esiste davvero solo in quanto fuori da tutto, perfino dal nulla, tanto è vero che l’atto stesso del nascere altro non è che l’uscita dal nulla!". Non so cosa opporre a simili astruserie. Elucubrazioni che incontrano, però, il più ampio favore del Führer, lieto che qualcuno abbia così ben compreso il senso profondo della rinascita della Germania.

    È meglio che ti levi alla svelta la polvere dal cervello, testone! Lo sai, dove verremo inviati a breve? In Italia, e precisamente nel cuore della Città Eterna, che ci attende con i suoi marmi e i suoi fantasmi! Te la saresti mai aspettata, una fortuna del genere?.

    La… città eterna? farfuglio.

    " Certo! L’Urbe dei Cesari e dei Papi, la città dei vagabondi e dei nababbi, dei senzatetto e dei padroni di mille palazzi! In una parola: Roma! Non vorrai mica arrivarci da ignorante lunare quale sei? A ogni modo sei fortunato, perché il vecchio Günther ti farà un corso accelerato di storia antica, e poi lo sai come si dice, no? Sine doctrina, vita est quasi mortis imago. Senza la scienza, la vita è quasi l’immagine della morte, diceva Dionisio Catone ".

    Ma… , tento di oppormi.

    Niente ma, topo di prateria!, ride Günther, lieto di essersi accollato questo incarico di precettore non richiesto. Mi ripagherai con un po’ di sigarette; e poi, già che ci siamo, non pensi sia buona cosa, per te, imparare qualche parola di tedesco?. Ora, non che qui alla Prima Compagnia il tedesco sia la lingua principale, giacché su quasi duecento uomini i tre quarti sono polacchi, ma secondo Günther è bene che io impari, se non il significato, almeno il suono dei comandi, e in fretta. Durante i lunghi mesi di addestramento una parola, però, l'ho imparata, e molto bene, tanto da farmi passare in secondo piano l'importanza di impararne delle altre: credo sia una parola dotata di magia perché ha il potere di levarmi d'impaccio in un attimo. Basta pronunciarla davanti a un superiore in posizione di attenti: jawohl!, e generalmente mi lasciano in pace. A ogni modo, torneremo sull’argomento, conclude lui. Intanto scuci una sigaretta, zingaro, che la prima lezione l’abbiamo già fatta, non te ne sei accorto?.

    Capitolo 3

    Roma, 15 settembre 1943

    Che caratteraccio!, sbotta Günther dopo che, a causa del suo ennesimo scippo di tabacco, l’ho pesantemente insultato. Eppure, è solo grazie al sottoscritto se oggi puoi goderti un incarico di tutto riposo.

    Non rispondo, lo sguardo alla lunga bara lucida che, nella penombra di questa elegante chiesetta di Roma, attende senza fretta il funerale militare. Dentro di essa, la salma rappezzata di un colonnello. Nostro compito di oggi, è quello di montar la guardia al feretro durante le esequie.

    E poi, scusa, tu non fumi: prelevandoti dal taschino qualche sigaretta, ti sto forse recando qualche danno?.

    Voi visi pallidi avete tutti lo stesso vizio, ribatto, rubate, rubate, e poi quando non c’è più nulla da portar via, ve la prendete con il cielo e con la terra. Non mi avevi detto che avresti limitato le richieste al tuo compenso di maestro?. A troncare il nostro battibecco ci pensa un sergente in alta uniforme arrivato in anticipo. Non sapendo come riempire il tempo, scoccia me e il mio camerata con domande di rara cretineria: Un agguato, eh?, fa costui, E come mai hanno chiamato voi SS per il picchetto d’onore?.

    Probabilmente perché sanno che voi dell’esercito avete cose più importanti da fare, mastica Günther in risposta. In verità credo che, oggi, la presenza mia e di G ü nther sia di pura rappresentanza: un drappello di soldati di fanteria, guanti bianchi ed elmetto lustro, è, infatti, schierato poco distante, arma a braccio e colpo in canna, pronto per la salva di fuoco cui il defunto colonnello ha imprescrittibile diritto.

    Il povero ufficiale, si dice, è stato vittima di un agguato di partigiani ( banditen, come li chiamiamo noi SS), gruppi armati composti di disertori e dissidenti vari che, in questi giorni seguiti alla dichiarazione dell’armistizio, si sono messi in testa di liberare l’Italia, compiendo ai nostri danni ogni sorta di attentati. Sono impressionato dal modo in cui queste formazioni combattono la loro guerra, in modo così simile agli attacchi che noi indiani lanciavamo dalle cime dei canyon contro le Giacche Azzurre. Ma a causare la morte del colonnello non era stato l’agguato, bensì un treno merci che, lanciato in corsa nella campagna romana, si era trovato di fronte la sua auto in fuga e ne aveva fatto briciole. Caso ha voluto che, proprio in quelle ore, io e Günther ci trovassimo in ricognizione lungo quel tratto di binari, e così senza tanti complimenti ci avevano precettato e, cacciati in mano alcuni fogli, una penna e un po’ di sacchi impermeabili, ci avevano appioppato il compito del recupero.

    Ferrovia Roma-Cassino, 12 settembre 1943

    Per come puzzano questi sacchi, ci deve essere ancora dentro il morto di prima! aveva esclamato Günther storcendo il naso, per niente lieto di quel servizio. Infilati con sforzo certi guanti lerci da chirurgo, avevamo iniziato a raccogliere carte, oggetti e pezzi di cadavere.

    Ma in quanti erano, su questa cavolo di macchina?, borbottava, non sapendo a chi attribuire un certo numero di gambe e braccia.

    Per come la vedo io, dovevano essere in tre: un colonnello, l’autista e un altro ragazzo, forse un’ordinanza, avevo risposto, indicandogli una mano giovanile che giaceva tra i sassi, tranciata all’altezza del polso con curiosa precisione.

    Taglio un po’ troppo pulito. Strano, molto strano, avevo commentato.

    Già, dimenticavo che voi pellerossa siete tutti mezzi stregoni. Si può sapere cosa ci trovi di strano in una mano tranciata da un treno?.

    Che non è stata tranciata dal treno, avevo risposto, con gli occhi fissi su quella mano a pancia all’aria, legata con una catenella d’acciaio a una cartella di cuoio chiusa con i sigilli del segreto militare. Un arto troncato da un treno si presenta mezzo maciullato; qui invece hanno usato un grosso coltello da caccia, mio caro.

    Ne sei sicuro?. Altroché, se sono sicuro. Molte volte, giù alla riserva, mi è capitato di recuperare cadaveri di nostri ragazzi gettatisi per disperazione sotto le ruote dei treni, suicidi innescati da un pesante senso di inutilità e di abbandono. Un fenomeno sconvolgente, che investe la gioventù nativa di tutta l’America. E poi il taglio ha sanguinato pochissimo, lo vedi, e questo cosa significa, secondo te?.

    Che il ragazzo era già morto?, aveva esclamato Günther, esterrefatto. Che ci faceva già morto nell'auto? E chi gli ha tagliato la mano, allora? Forse i partigiani?.

    Non sono un mezzo stregone né uno stregone e mezzo ma, per come la vedo io, a spedirlo nelle celesti praterie sono stati i suoi stessi camerati, avevo concluso, ripulendomi faccia e mani da sangue e materia cerebrale.

    Bene, bene: a sentir te, siamo di fronte a un giallo in piena regola; quindi lo sai che ti dico, Sherlock Holmes? Che questa cartella ce la portiamo via noi; probabilmente ci sarà un premio per chi la ritrova, non credi?.

    Come no: un bel premio a base di piombo, avevo risposto, preoccupato che, con un simile ritrovamento, non ci stessimo infilando dritti dritti in un mare di guai.

    Dammi retta, facciamo come dico io. Teniamocela noi, la gallinella: vedrai che ne ricaveremo delle belle uova d’oro, senza fatica e senza rischi. Cos’hai notato ancora, detective dei miei stivali?, aveva grugnito Günther, impaziente di levarsi da quel carnaio.

    Qualcosa che avresti dovuto notare anche tu, occhio di falco avevo risposto e, senza dargli il tempo di capire, gli ero scivolato alle spalle. Bloccandogli in un colpo solo spalla e braccio, estrassi il coltello e glielo accostai alla mano rimasta libera.

    Ehi, pazzo, cosa stai cercando di fare?, aveva farfugliato lui, terrificato.

    Solo dimostrarti che, se io volessi tagliare la mano a qualcuno seduto di fianco a me, il taglio andrebbe nella direzione opposta: tagli come questi li fanno solo i mancini. Ma che cavolo ti hanno insegnato, alla scuola di guerra?. Ti venga un colpo, hai deciso di slogarmi una spalla, per caso?. Quella era una presa di lotta indiana, nibelungo, risi, laggiù da noi la praticano anche i bambini: certo che, per essere un cavaliere teutonico, non mi sembri in gran forma. Lasciamo perdere. Io ho trovato questa: cosa sarà, secondo te?. Massaggiandosi il braccio indolenzito, Günther aveva raccattato da terra una lunga striscia di stoffa nera. Pare una di quelle bende che mettono ai condannati a morte. Che ci fa, qui?.

    Troppi misteri per i miei gusti. Mentre cercavo di concentrarmi su altro, Günther si era dedicato a recuperare il tabacco delle sigarette sparse in giro, comprese quelle imbevute di sangue:

    Nella pipa va tutto bene aveva concluso e, dopo aver pressato quel ciarpame nel fornello, gli aveva dato fuoco e iniziato a fumare beatamente.

    Roma, Chiesa, 15 settembre 1943

    Sveglia, indiano, scendi dalle tue nuvole e smettila di sognare: abbiamo del lavoro da fare!. Con una manata sull’elmetto, il mio camerata mi richiama al presente: un gruppo di alti ufficiali, scesi da grosse auto nere e scintillanti, si è già radunato presso la chiesetta. Tra uno sbatter di tacchi e un brillar di risvolti, la celebrazione sta per avere inizio.

    " Va bene che il tuo nome significa Colui che sogna dei cavoli propri , ma cerca di far mente locale, ogni tanto, sibila lui mentre prendiamo posto accanto al feretro del colonnello, altrimenti tre giorni di cella, qui, non ce li leva nessuno!".

    Capitolo 4

    Cassino, linea Gustav, 8 gennaio 1944

    Hai saputo di Hans?… , mi fa Günther.

    No, è da un po’ che non lo vedo: che gli è successo?, domando, con un filo di apprensione.

    L’ha trovato ieri in postazione il caporale Klaus, piegato in due sulla mitragliatrice: pensava fosse addormentato, e così ha cominciato a fargli uno dei suoi cicchetti. Poi, visto che non si muoveva, gli ha mollato un calcio nel sedere. Quello è rovinato a terra, e si è accorto che era morto.

    Povero Hans, sospiro, gli hanno sparato in testa?.

    Macché testa, lo strano è proprio questo, ride sarcastico. Pare stesse mangiando della cioccolata alle mandorle che, però, doveva essere avvelenata. Era tutto blu in faccia e con la bava alla bocca. Ehi, che ti prende?, esclama, vedendomi diventare livido come un cadavere.

    Günther, io so da dove arriva quella cioccolata!, farfuglio. L’avevamo trovata Hans ed io nell’armadietto di Konrad. A Hans sembrò strano che ci fosse.

    E chi ce l’ha messa, se non era di Konrad?, fa il mio camerata.

    Ti dico io chi ce l’ha messa!, esclamo, collegando l’odore di mandorle al veleno che ha ucciso Hans. È stato un tizio che, appena ci ha visto arrivare, se l’è data a gambe! Deve essere stato lui, non c’è altra spiegazione.

    Odor di mandorle, eh? Cianuro, ecco cos’era, fa Günther. Ma perché uccidere Hans?.

    Io non credo che fosse Hans l’obiettivo, rispondo, chi ha messo la cioccolata nell’armadietto di Konrad doveva sapere che lui non l’avrebbe mangiata, che l’avrebbe distribuita ai compagni… ma Konrad nel frattempo era morto, e così Hans la cioccolata se l’è tenuta; pensa che me ne aveva anche offerta.

    Mica male come regalo, fa lui senza scomporsi, se il piano fosse riuscito, il tuo Mister X avrebbe sterminato in un attimo mezza Compagnia: ma perché mettere in atto un simile massacro?. Ti chiedi il perché?, sibilo. Non sai fare due più due? Chi è che ha ritrovato, lungo una certa ferrovia, una cartella in cuoio con i sigilli del segreto? Tu ed io! E chi ha fatto finta di niente, e anziché riconsegnarla a chi di dovere, se l’è tenuta? Tu ed io! Dovresti esserti abituato a questi tentativi di farci fuori. Prima o poi ci riusciranno, maledetto pasticcione!.

    Non ho elementi certi per ritenere che la morte di Hans sia collegata a quel nostro lontano ritrovamento ma, dal momento in cui raccattammo quella cartella abbandonata, io e il mio camerata stiamo stati oggetto di un crescendo di incidenti, uno più sospetto dell’altro; quello della cioccolata è, appunto, l’ultimo in ordine di tempo. Vedo Günther grattarsi la testa, vagamente preoccupato di essere andato a infilarsi in qualcosa di troppo grande per lui. Comunque, topo delle sabbie, gustati questa cioccolata: è fondente tedesco che non ha mai fatto male a nessuno!, esclama, estraendo da sotto la giubba una grossa barra di cioccolato militare.

    Eccoli, sono loro!, risuona una voce alle nostre spalle, e l’attimo dopo si materializza, davanti ai nostri occhi, la scomoda figura del tenente Krebs.

    Riposo, riposo, mugugna questi, mal tollerando il nostro impacciato saluto, la nostra divisa slacciata e le bocche piene di cioccolata.

    Spero per voi che la cioccolata che state gustando sia quella della razione d’ordinanza; a quanto si dice, presso la vostra squadra ne sta circolando una varietà talmente buona da restarci secchi di colpo… niente in contrario a raccontarmi con le buone quel che sapete sull’argomento? Prima che ve lo faccia fare la polizia militare con le cattive, s’intende.

    Con ammirevole sangue freddo, Günther inghiottisce la sua cioccolata e mi traduce la richiesta del tenente, alla quale, però, non sappiamo dare alcuna risposta.

    Lo sospettavo, conclude l’ufficiale. Sappiate che il capitano Wolzach è già informato di questi strani avvelenamenti, e poiché qui in linea non vedo aggirarsi fantasmi come Lucrezia Borgia, sappiate che da questo momento tutto il plotone è da ritenersi consegnato e tutti gli alloggiamenti saranno perquisiti a fondo. Il rinvenimento di un singolo atomo di materiale compromettente sarà ritenuto bastevole per farne immediatamente fucilare il possessore. Con ciò, ritengo di avervi sufficientemente informati. Toccandosi la visiera con la punta del frustino, il tenente se ne va com’era venuto.

    Al diavolo: dopo essere arrivati a un passo dal rimetterci la pelle, dobbiamo anche rischiare di essere fucilati?, mugugno.

    Bisogna distinguere, fa Günther, neutro. Una cosa è morire in un contesto d’illegalità; ben altra è finire al muro con tutte le regole. Avresti mai creduto, arruolandoti con noi, di cadere in un tale nido di serpi?, continua Günther, che pur non essendo uno stinco di santo, mai avrebbe sospettato di finire con tutte le scarpe in un simile piano criminale.

    Quello che non avrei mai creduto era di incontrare un imbecille come te!, recrimino. È solo colpa della tua dabbenaggine se adesso siamo pieni di gente, anche tra i nostri, che ci vuole morti! Avessi sospettato di finire in un pasticcio del genere, col cavolo che avrei rotto l’anima allo sciamano perché trovasse il modo di farmi arruolare con voialtri!. Torno con la mente a un recente passato in cui, convinto come un bambino che anche la guerra fosse, come tutte le cose, una questione di cuore, cercavo in tutti i modi di arruolarmi con i tedeschi.

    Capitolo 5

    Augusta, caserma addestramento SS, 20 aprile 1943

    È giunta l’ora di raccontarmi un po’ di te, mi apostrofa Günther, seduto cavalcioni sulla sedia, con la sigaretta all’angolo della bocca. Si può sapere cos’è che ti ha spinto ad arruolarti con noi? I tuoi ti pagavano poco? Ti hanno fatto gola le nostre ausiliarie bionde? Ti rendi conto che di te non so nulla, a parte quel tuo nome Cherokee strampalato? Guarda che, una volta a Roma, tu ed io potremmo benissimo rimetterci la pelle, sai, e con che faccia mi presenterò a Odino senza nemmeno saper pronunciare il nome del mio compagno d’armi?.

    Rassicurati: per i poveri di spirito come te, noi Cherokee abbiamo anche un nome occidentale, e se pensi che al tuo Odino possa piacere di più, chiamami pure Saxton.

    Vada per Saxton, allora ride G ü nther. Che significa?.

    Rispondo: Era il nome di un viso pallido, un famoso medico texano: Saxton Pope. Era ancora vivo quando mio padre mise il suo nome accanto al mio. Saxton era un arciere inimitabile, e oltre a saper cacciare con l’arco come un vero nativo, fu sempre un sincero amico degli indiani.

    E tuo padre lo conobbe, questo Saxton?, domanda G ü nther.

    Non lo so, ma al tempo in cui nacqui, il nome di Saxton era già entrato nel cuore degli indiani, così come il ricordo della sua profonda amicizia con Ishi, l’ultimo superstite degli indiani Yahi.

    Gli Yahi? Mai sentiti, fa G ü nther. Riuscivate a capirvi, fra tribù, con tutte le lingue e i dialetti?.

    Non sempre, rispondo. Ishi parlava solo la lingua del suo popolo, ma essendo lui l’unico vivente della sua tribù, nessuno al mondo poteva più capirlo. Ma se gli uomini vogliono, riescono a comprendersi comunque, e in poco tempo Ishi e Saxton impararono a leggere l’uno nel cuore dell’altro come figli della stessa madre. Fu proprio grazie a quell’amicizia impossibile, che Saxton divenne popolare presso molte tribù, G ü nther, e ancora oggi il suo nome è venerato e rispettato. Continuo: Molti miei amici d’infanzia sono partiti per questa guerra, e su questo suolo ora essi sono miei nemici. Ogni giorno prego il Grande Spirito che mai io sia costretto a puntare la mia arma contro di loro, né loro contro di me. Ma come avrei potuto vestire la divisa degli Stati Uniti? La divisa di coloro che hanno fatto di tutto per cancellare la mia gente dalla faccia della terra?.

    A me sembra che questo scrupolo te lo stia facendo soltanto tu, obietta Günther. Tutti gli indiani d’America stanno combattendo ora sotto la bandiera dello Zio Sam, mi pare… .

    Molte volte gli indiani sono scesi sul sentiero di guerra, a volte al fianco delle Giacche Azzurre e a volte contro. Ma oggi vedo indiani e bianchi combattere insieme sotto un’unica bandiera, e questa fratellanza tra vecchi nemici, raggiunta dopo secoli di sangue versato, mi convince meno del sole sotto la pioggia. Inizio a raccontare.

    Oklahoma, Territori Indiani, 22 febbraio 1943

    Molte volte ero rimasto a pensare, nel buio delle mie notti, a quale sarebbe stata la scelta più giusta per me, prima di arruolarmi. Finché una sera, a sorpresa, il mio sogno di guerra non divenne realtà. Mi trovavo in casa da solo e, trangugiata senza voglia una cena frugale, mi vidi piombare tra capo e collo il vecchio sciamano che, con una certa aria strana negli occhi e nelle movenze, si sedette sul tavolo e si accese la pipa.

    Un soldato con la divisa sbagliata è un cattivo soldato, esordì il vecchio in tono enigmatico, tra nuvolette di fumo azzurro, e in guerra un cattivo soldato è, per i suoi compagni, un pericolo mortale. Non approvo questa tua scelta di guerra, ma la comprendo, e chissà che, aiutandoti ad arruolarti con i nemici, io non stia facendo un favore a te, ma anche all’esercito americano.

    E così dicendo, si frugò in petto e mi cacciò in mano alcuni fogli, tra i quali il mio permesso di espatrio e un biglietto di sola andata via nave. Ora sei libero di andare a morire per il tuo Hitler, soldato, ma ricordati sempre che decidere dove e con chi versare il proprio sangue è un privilegio riservato a pochi. Da dove vengono queste carte?, domandai, sospettoso della loro autenticità. Tranquillo, sono vere com’è vero che sei il più colossale imbecille della tribù, rise lui, e impara a non sottovalutare gli uomini di medicina: anche senza telefono, essi sanno sempre come trovare le persone di cui hanno bisogno.

    Pare che il nostro sciamano fosse molto conosciuto anche oltre i confini dello Stato, e che quei documenti gli fossero arrivati da un avvocato di Siletz, in Oregon: un certo Elwood Towner.

    Towner è egli stesso un indiano Siletz, e nutre grande simpatia verso colui che sarà il tuo prossimo capo, il signor Adolf Hitler. Per riuscire a procurarti questi documenti in così poco tempo, il personaggio ha appoggi molto, molto in alto.

    Lo conosci?.

    No. So che di professione fa l’avvocato e di vocazione l’agitatore, tutte categorie di persone che in passato ci hanno sempre procurato dei guai. A quanto ne so, il tipo è un convinto antisemita, e si sta dando da fare per costituire, qui negli Stati Uniti, una forza militare di stampo nazista. Comunque, oggi lui ci fa comodo, o per meglio dire fa comodo a te, quindi imboscati le tue carte e smettila di far domande che non portano a nulla. Lo stesso Towner non vede l’ora di partire per l’Europa, ridacchiò lo sciamano, pare che il tuo Hitler gli abbia promesso il comando di un reparto di nativi americani, se mai riuscirà a metterlo insieme. Chissà che non te lo ritrovi laggiù come diretto superiore?.

    Sospirò infine il vecchio, balzando giù dal tavolo e congedandosi: Ora hai le carte e puoi coronare il tuo sogno. Fammi una promessa, però: quando tornerai a casa, indossa la tua uniforme di guerra; sarà per me un premio impagabile vederti vestito con la divisa del nemico!.

    Divisa del nemico?, esclamai. E perché mai Hitler sarebbe mio nemico? Ha mai minacciato di portarmi via la terra? Di bruciarmi la casa? Di rubarmi i cavalli? Tutte cose che quell’America, che oggi reclama il mio sangue, ha fatto tranquillamente per quattrocento anni!.

    Sei un cittadino americano: questo non conta niente, per te?, rilanciò lui, le braccia conserte e l’espressione divertita di chi sappia ogni cosa e faccia finta, per burla, di non saperne nulla. Conta moltissimo, rispondo. Semmai, è per l’America che io e la mia razza non contiamo niente: Hitler, invece, ha dichiarato tutti i nativi americani ariani onorari, e senza nemmeno averci mai visti in faccia! Lo sapevi?.

    Se è per questo, Hitler ha promesso tante cose.

    Sì, e le ha mantenute tutte!.

    Lo sai cosa penso?, sbottò il vecchio. Che dietro queste tue chiacchiere ci sia un orgoglio pari solo alla tua arroganza. Molto egoismo si nasconde dietro una guerra personale e, spesso, poco coraggio. Pensi davvero che ci sia bisogno di te per chiudere i conti con la storia? Ti credi diventato un liberatore di popoli? Un nuovo Geronimo?.

    Già, Geronimo: anche presso di noi Cherokee la vicenda del bellicoso capo Apache era molto ammirata, e il pensiero di lui, impegnato nella sua vendetta contro i visi pallidi che gli sterminarono la famiglia, infiammò per lungo tempo le nostre fantasie.

    Per molte lune Geronimo combatté da solo, ma il suo esempio fu contagioso come le febbri di primavera: in poco tempo il suo dolore divenne il dolore di tutti, e la sua guerra, la guerra di tutti. Presto i suoi guerrieri furono più numerosi dei granelli di sabbia in una tempesta. Anche tu, tra qualche giorno, partirai da solo; ma ti senti pronto a combattere per tutti?.

    Anche Geronimo partì da solo, azzardai, lui l’ha fatto cent'anni fa, io lo faccio oggi, cosa cambia?.

    Non è una questione di epoche, ma di carattere, recise lui, le epoche si dissolvono nel tempo, ma il carattere si educa nel nostro cuore, e lasciati dire che tu, il cuore come il cervello, non li hai mai usati un granché.

    Oklahoma, Territori Indiani, 25 febbraio 1943

    E arrivò il momento di partire: arrivò come il lampo, rapido come la sua frusta ed eterno come il ricordo che la sua luce lascia negli occhi. Fermo in piedi nella notte che moriva, in attesa della prima corriera del mattino, lasciavo che il vento dell’ovest mi schiaffeggiasse per l’ultima volta il viso e le spalle. L’antico vento che, in primavera, porta alle nostre latitudini la sabbia nera delle steppe russe. Alla luce dei fanali seguivo il volo dei granelli che si posavano sulle mie scarpe come neve, stanchi del loro viaggio di migliaia di miglia nei cieli sopra l'oceano. Sarei mai tornato, da quel mio viaggio? Da quel mio sogno di guerra, figlio dell’orgoglio e dell’improvvisazione? Con l’anima pesante e il cuore carico di dubbi, lasciavo che gli occhi mi si riempissero di ricordi, e di nuovo mi rividi bambino, seduto come tante volte, in passato, a giocare su quello stesso piazzale con quei granelli scuri piovuti nella notte.

    Questa sabbia parla di libertà: di libertà vera, quella che nasce dal cuore del popolo!, esclamava mio padre quando queste strane ricadute si verificavano. Con me bambino al fianco, si raccoglieva in palmo di mano quei granelli scuri, polvere di quel suolo sul quale si svolse, un tempo, la più grande

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