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A taste of death: Assaggio di morte
A taste of death: Assaggio di morte
A taste of death: Assaggio di morte
E-book157 pagine2 ore

A taste of death: Assaggio di morte

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Info su questo ebook

Questo romanzo ha avuto origine da un casuale contatto con un signore dall’aspetto giovanile, bello, distinto, sempre accompagnato da un cane. Entrati in confidenza, mi raccontò di essere francese, da ragazzino mandato al riformatorio dove subì violenze sessuali da parte di un istruttore il che lo portò a odiare l’essere umano e ad amare in modo ossessivo gli animali.
Ho scritto il romanzo partendo da specifici riferimenti psicologici e neuro-chirurgici. Ho trasformato questo mio contatto in un professore che cerca persone super ricche disponibili a sperimentare, in attività, le forti sensazioni che possono scaturire da una morte violenta. Studia come estrarre tessuti da cadaveri legati a diverse tipologie di decessi traumatici trapiantandoli su persone vive. L’obiettivo è certificare e verificare, in modo che si possano poi raccontare le sensazioni e le emozioni provate in occasione di queste morti simulate. Chi è rimasto ucciso a causa un trauma violento, non è mai riuscito a svelare gli ultimi secondi della sua sofferenza.
Le storie “distopiche” sono sicuramente scomode se aiutano a riflettere perché ci spingono a uscire dalla nostra comfort zone.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2021
ISBN9788869632891
A taste of death: Assaggio di morte

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    Anteprima del libro

    A taste of death - Daniele Ossola

    Daniele Ossola

    A TASTE OF DEATH

    Assaggio di morte

    Elison Publishing

    Copertina realizzata da Valentina Martinoli.

    © 2021 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869632891

    "Sapremo ben sopportare ciò che decine e decine di migliaia hanno sopportato prima di noi.

    Credo che per noi non si tratti più della vita,

    ma dell’atteggiamento da tenere

    nei confronti della nostra fine."

    Hetty Hillesum, Lettere (1942-1943)

    "Sarebbe dovuta morire, prima o poi:

    sarebbe venuto il momento per una parola siffatta.

    Domani, e domani, e domani, striscia a piccoli passi da un giorno all’altro, fino all’ultima sillaba del tempo prescritto;

    e tutti i nostri ieri hanno illuminato a degli stolti la via che conduce alla morte polverosa."

    Wilbur Smith, dal libro Vendetta di Sangue

    I

    Da oggi in Louisiana, si tiene l’annuale edizione dell’American Academy of Forensic Science (AAFS) ovvero l’appuntamento più importante al mondo per la medicina legale, le discipline scientifiche e le professioni ad essa direttamente collegate. I maggiori esperti del settore (scienziati, ricercatori, investigatori premiati da CIA, FBI e Interpol, ma anche e soprattutto medici legali provenienti da ogni parte del mondo) si danno appuntamento all’AAFS, un congresso itinerante organizzato ogni anno sempre in città diverse e a tutt’oggi vetrina di assoluto prestigio nel settore.

    Presso l’Università della Louisiana, (Louisiana State University) o LSU situata a Baton Rouge, si stanno tenendo interessanti convegni tra i quali quello presieduto dal Professor Matthew Sean Doherty, rivolto agli studenti della Facoltà di Neuropsichiatria e Medicina del Lavoro della Tulane University School of Medicine.

    Qualcuno di voi… ruotando lentamente il capo da un lato all’altro tra le file dei banchi, ha mai provato una piccola sensazione di morte o non l’ha mai solo sfiorata per un istante? Forse è il ricordo più indelebile, seppur poco lucido, che fa parte integrante della vostra vita…

    Gli studenti della neo-costituita facoltà di Neuropsichiatria, presenti nella Main Hall, hanno un attimo di perplessità.

    Avete mai pensato, per qualche istante, cosa si prova prima di morire o mentre sapete che state per esalare l’ultimo respiro?

    Dopo un attimo di pausa, rivolto a Brandon: Ti è mai successo di chiederti cosa stanno pensando le persone che sanno di essere uccise o le persone che stanno per abbandonare questa valle di lacrime?

    Brandon rimane un po’ frastornato perché, proprio in quel momento, era concentrato su come trascorrere la serata col suo compagno Willy.

    Brandon è un ragazzo gay che suona l’armonica a bocca. Scrive sul giornale studentesco «The Daily Reveille», tenendo informati gli studenti sulle novità della musica country.

    Per festeggiare l’accesso alla Facoltà di Medicina, aveva detto ai suoi genitori che sarebbe andato in gita con alcuni suoi amici alla Mountain Valley a fare rafting.

    Peccato che l’auto a noleggio avesse proseguito verso San Francisco, in occasione dell’annuale Gay Pride, dandogli modo di incontrare il suo attuale compagno Willy e conoscere vagabondi, delinquenti e prostitute. Alcool, droghe, bordelli e locali di pessima reputazione erano alla base del tessuto sociale di Mission, il quartiere latino-americano di San Francisco famoso anche per i murales; lì avevano trovato alloggio per pochi dollari.

    Quella notte, Brandon e i suoi amici imbarcarono in auto anche Willy che li aveva convinti a partecipare a un rave party in una villa abbandonata a Coyote, sulla Highway 101 conosciuta anche come «el camino real» (la strada reale). Quando arrivarono, Brandon notò che si trattava di un edificio privato, isolato dalle case vicine mediante un muro dall’aspetto impenetrabile e che c’erano decine di auto e motociclette parcheggiate lungo la strada.

    All’interno della casa c’era una folla di ragazzi, alcuni che si agitavano al suono di una musica stridente, altri che bevevano e altri ancora sdraiati sulle scale, tra lattine di birra e bottiglie che rotolavano per terra.

    Nessun raggio laser, né colori psichedelici, solo una casa nuda, senza mobili di alcun tipo con qualche cassa da imballaggio e pallet nella sala. L’aria era densa come tapioca, irrespirabile per il fumo e fluttuava un odore ripugnante, un misto tra vernice, marijuana e spazzatura. Qualcuno gli passò un bicchiere di carta con una bibita a base di birra e super analcolico che Brandon, con la bocca secca, ingollò in tre rapidi sorsi.

    Iniziò a mancargli l’aria per la paura e la claustrofobia, come gli capitava durante l’infanzia, quando si nascondeva nella tenda improvvisata sotto l’acero rosso in cortile per fuggire dagli immensi pericoli del mondo, dagli odori oppressivi e dai rumori assordanti.

    Brandon si fermò, alquanto imbarazzato, ma Willy lo strinse contro il suo corpo iniziando a scuotersi al ritmo frenetico della musica, trascinandolo verso la sala, dove ognuno ballava per conto suo, perso nel proprio mondo.

    Willy lo baciò sul collo, cercandogli poi la bocca. Le due lingue s’incrociarono.

    Dopo una profonda tirata alla sigaretta elettronica, controbilanciando la momentanea apatia del suo interlocutore, il Professore prosegue: Vi siete mai chiesti se è più grande il dolore o se a prevalere sono gli ultimi pensieri che vi assillano prima di morire?

    Gli studenti non si aspettavano un simile tenore, una lezione così bruscamente cruda ma altrettanto reale. La maggior parte di loro non si era mai posto il problema della morte. Se proprio volevano filosofeggiare sull’argomento, potevano parlare eventualmente con i nonni, visto che questi avevano un’aspettativa di vita diversa dalla loro.

    Il Professore incalza, rivolto a Evelyn: Ti sei mai chiesta che dolore potresti provare quando vedi della sofferenza che anticipa una morte cruenta? E se fossi tu il soggetto in questione?

    Il Professore prosegue: Consumiamo molte delle nostre energie per cercare di allontanarne il più possibile il pensiero, ma mi dispiace dirvelo: stiamo disquisendo su un tema inevitabile. E nonostante si possa verificare, intenzionalmente o accidentalmente, fin dai tempi in cui gli umani non erano ancora umani, non c’è un’opinione condivisa nel mondo scientifico su quale modo di finire la vita sia il peggiore, quello che più di tutti dovremmo cercare di evitare.

    Jeremy alza la mano per prendere la parola e gli viene concessa. Scusi Professore, vorrei parlare a titolo personale.

    Continua pure.

    Chi di noi ha il gusto del macabro, probabilmente ha già riflettuto su tale questione. Per quanto mi riguarda, il pensiero dell’annegamento è quello che mi da i brividi più di tutti, o forse anche quello di bruciare vivo. Penso a queste evenienze sostanzialmente in modo impersonale, come se nella realtà potessero accadere solo in particolari e strane circostanze.

    Il Professor Doherty, di rimando: I modi di morire che invadono i nostri incubi hanno alcune caratteristiche in comune: anche se non c’è un consenso scientifico condiviso, possiamo considerare alcune prospettive differenti, leggere tra le righe e trovare una risposta alla domanda su quale sia «il peggior modo per morire». La risposta che ho trovato non è esattamente leggera e rassicurante, credo che non piacerà a nessuno di voi.

    Mi scusi Professore, cosa intende per peggior modo di morire? Incalza Evelyn con voce rotta dall’emozione.

    Prima di entrare nel vivo è utile chiarire cosa s’intende con questo termine. Quando una persona se ne va all’altro mondo, un medico o chi per lui compila un certificato di morte che indica tre fattori, in base a quanto sostiene Kevin Henderson, coroner della Ontario County, nello stato di New York: la causa, le dinamiche e il tipo di morte. Tutti questi elementi possono far rabbrividire, ma mi concentrerò sostanzialmente sul primo, la causa della morte. Qualcuno di voi ha studiato Henderson?

    Rocky alza la mano: Lui afferma che la causa del decesso è la malattia o la ferita che provoca una perturbazione fisiologica all’interno del corpo che porta poi alla morte: ad esempio una ferita da arma da fuoco al petto.

    Ottimo! Replica Doherty Queste cause sono quelle che popolano le nostre paure più recondite. È la paura del soffocamento, dell’acqua che viene inghiottita, della circolazione contratta che può arrivare a uccidervi. Spesso siamo angosciati al pensiero di dover morire a causa del dolore che avvertiremmo prima dell’ultimo respiro. La sofferenza è scientificamente descritta come una «sensazione non piacevole» nel corpo, ma è soggettiva, e può aumentare o essere meno intensa in funzione   del contesto.

    Suona la campanella e il Professor Doherty: Riprendiamo la discussione domani alla stessa ora.

    II

    La LSU (Louisiana State University) fu fondata nel 1853 in quella che ora si chiama Pineville, con il nome di Louisiana State Seminary of Learning & Military Academy. L’attuale campus della LSU fu inaugurato nel 1926 e consiste di oltre 250 edifici costruiti nello stile rinascimentale di Andrea Palladio, sulle rive del Mississippi.

    La LSU è la struttura ammiraglia del sistema universitario statale della Louisiana e usufruisce di sponsorizzazioni da agenzie come la National Institute of Health.

    Da ricordare che l’ateneo non ammise neri fino agli anni cinquanta.

    Dopo il passaggio dell’uragano Katrina, l’università accettò altri 2.300 studenti sfollati dall’area di New Orleans, tra cui quelli della Tulane University. Da qui lo stretto collegamento culturale con la condivisione dei docenti più qualificati come ad esempio il Professor Matthew Doherty e l’uso comune dei campus tra cui emergono il Pennington Biomedical Research Center e il Louisiana State University Health Sciences Center.

    Un ex-studente di punta è Rocky Myers, uno dei fidati assistenti del Professor Doherty, che nel tempo libero gestisce le mandrie di vitelli degli zii in Texas. Gioca ancora nella squadra di baseball che ha vinto sei titoli NCAA College World Series, il più recente dei quali cinque anni orsono, proprio contro il Texas. I suoi più acerrimi rivali sono gli Ole Miss Rebels, i Mississippi State Bulldogs, gli Auburn Tigers e gli Alabama Crimson Tide.

    III

    Matthew Sean Doherty, figlio di Luke, ingegnere chimico che si era occupato di biotecnologie alla H.M. di Saint Louis nel Missouri, è laureato in psichiatria ed è considerato un genio, estroverso all’occorrenza, nell’ambito della medicina applicata. Nonostante sia considerato da più parti un misantropo, riesce ad avere, soprattutto con i suoi assistenti, un intenso e cordiale rapporto professionale.

    È comunque apprezzato nel mondo della medicina grazie ai suoi studi sui visori VR che permettono di effettuare alcune diagnosi direttamente da remoto. Questi visori cominciano a essere utilizzati in camera operatoria per interventi alle vertebre, in quanto aiutano i chirurghi a non commettere errori.

    Ben conosciuto sia in ambito lavorativo sia al di fuori dello stesso, è considerato come una persona rispettata e importante, amante degli animali, apparentemente amico di tanti ma con un odio viscerale verso l’uomo.

    Non sopporta ciò che è capace di fare il suo simile, il quale tradisce la terra e uccide gli animali. Cova un odio spropositato nei confronti dell’essere umano, ma non appartiene ad alcun gruppo di animalisti o ambientalisti.

    Prova più compassione per gli animali maltrattati e uccisi che per le persone vittime di qualsiasi tipo di violenza. Odia, senza alcuna giustificazione politica o religiosa, gli individui capaci di sgozzare il nemico, lapidare adultere durante l’intervallo di una partita di calcio, condurre carri armati che schiacciano donne e bambini, che si fanno esplodere nei centri commerciali o nei mercati affollati.

    Ama in modo viscerale gli animali indifesi e prova quasi piacere per gli esseri umani che vengono uccisi.

    In Europa, aveva visitato numerosi musei delle torture a Triora, a Castel Taufers e San Marino in Italia, ad Amsterdam, Parigi e Londra, studiando i banchi di stiramento, le sedie inquisitorie, le cinture di castità, le «maschere della vergogna» che i peccatori dovevano indossare in pubblico, le forcelle dell’eretico e i ragni spagnoli.

    Rimase folgorato da una citazione di Pietro Verri in «Osservazioni sulla tortura» del 1776: "La tortura non è un mezzo per iscoprire la verità, ma è un invito ad accusarsi reo egualmente il

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