Il monaco e la figlia del boia
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Info su questo ebook
Ambrosius prova subito una forte simpatia per lei, simpatia che prima lo mette in cattiva luce verso i superiori, e poi lo porta a una pericolosa rivalità con il bello e potente figlio di Mastro Saliere.
Ispirandosi a una leggenda germanica, Bierce intreccia una storia di perdizione, amore e morte.
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Anteprima del libro
Il monaco e la figlia del boia - Adolphe Danziger
46
Ambrose Bierce, G.A. Danzinger, Il monaco e la figlia del boia
1a edizione Landscape Books, dicembre 2019
Collana Aurora n° 46
© Landscape Books 2019
Titolo originale: The Monk and the Hangman's Daughter
L'editore ha cercato con ogni mezzo i titolari dei diritti di traduzione senza riuscire a reperirli. Resta ovviamente a loro disposizione per l'assolvimento di quanto dovuto.
www.landscape-books.com
ISBN 978-88-99403-84-3
Realizzazione a cura di WAY TO ePUB
www.waytoepub.com
Ambrose Bierce
con G. A. Danzinger
Il monaco
e la figlia del boia
Presentazione dell'opera
The Monk and the Hangman's Daughter
è un romanzo breve dalle caratteristiche piuttosto singolari nella produzione di Bierce, anche a causa di una genesi particolare.
Pubblicato in forma seriale sul San Francisco Examiner nel 1891, venne poi raccolto in volume l'anno successivo affiancando alla firma di Bierce quella dello scrittore e biblista di origine mitteleuropea Gustav Adolphe Danzinger, noto anche con lo pseudonimo di Adolphe Danzinger De Castro. La storia riprendeva diversi elementi di un racconto tedesco di Richard Voss, il quale a sua volta dichiarò di averla tratta da un manoscritto perduto.
Danzinger dichiarò poi di aver curato una traduzione del racconto e di averlo sottoposto successivamente a Bierce, il quale aveva cambiato il finale e aggiunto altri elementi alla storia. Negli anni successivi, con il successo letterario dell'autore americano, The Monk
venne incluso nelle sue raccolte, spesso senza citare il contributo di Danzinger.
Negli anni '10 del XX secolo, dopo la misteriosa scomparsa di Bierce in Messico, Danzinger rivendicò la paternità dell'opera, dichiarando che il contributo di Bierce si limitava al finale e che all'amico aveva affidato il compito di piazzare l'opera presso un editore. Editore che aveva ritenuto commercialmente più redditizio spingere il nome di Bierce rispetto al semi sconosciuto Danzinger. Anche nell'opera omnia di Bierce, pubblicata dopo la sua scomparsa, The Monk
è attribuito a lui.
È quindi difficile risalire a una paternità certa del romanzo che segue: è probabile che la base sia effettivamente la traduzione effettuata da Danzinger del racconto di Voss, ma i critici sono unanimi nel riconoscere la mano di Bierce nell'opera, ben oltre il finale. Seguendo la consuetudine ormai consolidata, pubblichiamo The Monk and The Hangman's Daughter
attribuendola ad Ambrose Bierce, con la collaborazione di Adolphe Danzinger.
I.
Nell’anno di Nostro Signore 1680, il primo maggio, noi, Aegidius, Romanus e Ambrosius, monaci francescani della cristianissima città di Passau, fummo inviati dal Padre Superiore al monastero di Berchtesgaden, nei pressi di Salisburgo. Non avendo ancora compiuto ventidue anni, io, Ambrosius, ero il più giovane dei tre.
Il monastero di Berchtesgaden si trovava, come sapevamo, in una contrada selvaggia e montuosa, coperta da lugubri foreste infestate da orsi e spiriti maligni e i nostri cuori erano pieni di tristezza all’idea di che cosa sarebbe potuto accadere di noi in un paese così terrificante. Obbedire ai comandamenti della Chiesa è tuttavia il dovere di ogni cristiano e pertanto senza alcuna recriminazione, anzi, addirittura con gioia, ci siamo inchinati dinnanzi alla volontà del nostro beneamato e riverito Superiore.
Dopo aver ricevuto la sua benedizione e pregato un’ultima volta nella navata consacrata al Santo Patrono, abbiamo alzato i cappucci, infilato dei sandali nuovi e ci siano messi in cammino, accompagnati dagli auguri dei confratelli. Nonostante prevedessimo un viaggio lungo e pericoloso, eravamo animati da un’incrollabile speranza, essendo tale virtù non soltanto l’alfa e l’omega di ogni fede, ma anche la forza della giovinezza e la consolazione della vecchiaia. Ecco perché, in breve tempo, i nostri cuori dimenticarono la tristezza del commiato per rallegrarsi dinnanzi allo spettacolo dei paesaggi nuovi e variati che ci procuravano la prima vera conoscenza della bellezza del mondo come Dio l’ha creato. L’aria, scintillante e luminosa, assomigliava al mantello della Santa Vergine, il sole brillava come il Sacro Cuore del Nostro Salvatore, da cui emana ogni luce e ogni vita; la volta celeste, sopra le nostre teste, formava un immenso e magnifico oratorio sotto il quale ogni filo d’erba, ogni fiore, ogni creatura vivente, celebrava la gloria di Dio.
Attraversammo innumerevoli paesi, villaggi e città lungo il nostro cammino, tutti popolati da migliaia di uomini che si affaccendavano nelle loro mansioni il che, per noi poveri monaci, costituiva uno spettacolo strano che ci riempiva di stupore e di meraviglia. Davanti a tante chiese che sorgevano dinnanzi a noi, davanti all’ardore e alla devozione di così innumerevoli individui che ci acclamavano e si prodigavano per venir incontro a tutte le nostre necessità, i nostri cuori traboccavano di gioia e gratitudine. Tutte le istituzioni della Chiesa erano prospere e potevano contare su cospicui sussidi, il che stava a dimostrare che il favore dell’Onnipotente, nostro Signore e Padrone, aveva steso la mano su di esse. I giardini e gli orti dei monasteri erano ben tenuti, a testimonianza delle cure assidue dei pii paesani e dei santi compagni dei chiostri. Era meraviglioso sentire le campane suonare a distesa per scandire le ore della giornata; proprio come respirare la stessa musica dell’aria mentre la freschezza cristallina della loro canzone si poteva paragonare a un coro di cherubini che innalza le lodi al Signore.
Ovunque andassimo, ci rivolgevamo al popolo nel nome del nostro Santo Patrono. Da ogni parte ci accoglievano con rispettosa gioia. Donne e bambini si accalcavano ai bordi delle strade, si spintonavano attorno a noi per baciarci le mani. Si sarebbe detto che non fossimo più semplici servitori di Dio e degli uomini, bensì signori e padroni di tutta quella magnifica contrada. Non permettevamo, tuttavia, che il nostro spirito si inorgoglisse e molto spesso ci impegnavamo in un severo esame di coscienza allo scopo di non allontanarci dalle regole del nostro Santo Ordine e di peccare in tal modo contro l’insegnamento del nostro sublime Patrono.
Io, Fratello Ambrosius, devo a questo punto rivelare, con vergogna e pentimento, che la mia anima si è lasciata andare a pensieri estremamente mondani e peccaminosi. In effetti, ebbi l’impressione che alcune donne cercassero di baciarmi le mani con più ardore di quanto non prodigassero nel baciare quelle dei miei compagni, il che non era possibile, non essendo io più santo di loro. Ovviamente sono ancora giovane e poco esperto delle cose del mondo, e non ancora sufficientemente penetrato dalla paura e dai comandamenti del Signore. Quando notai l’errore commesso da quelle donne e quando vidi il modo in cui lo sguardo delle ragazze indugiava sulla mia persona, venni colto da grande paura e interrogai me stesso al fine di appurare se sarei stato capace di resistere alla tentazione, qualora mi si fosse presentata. Spesso pensavo, tremando di paura, che i voti, le preghiere e la penitenza non bastano a fare un santo. Occorre possedere un cuore così puro da ignorare il minimo accenno di tentazione. Povero me!
Di notte alloggiavamo presso qualche monastero dove, invariabilmente, ricevevamo un’accoglienza impeccabile. Ogni volta ci venivano offerte grandi quantità di cibo e grandi quantità di bevande e, non appena prendevamo posto alla tavolata degli ospiti, i monaci ci si accalcavano attorno per chiederci notizie del vasto mondo dove, poiché tale era il privilegio che ci era stato accordato, avevamo avuto la fantastica opportunità di vedere e conoscere innumerevoli cose. Quando apprendevano la nostra meta, di solito ci compativano per essere costretti ad andare a vivere in mezzo a montagne tanto selvagge. Ci parlavano di ghiacciai sterminati, di montagne coronate di neve, di giganteschi speroni di roccia, di torrenti gorgoglianti, di grotte e foreste tenebrose. Accennavano anche a un lago, così terribile e misterioso che non esisteva da nessun’altra parte del mondo. Che il Buon Dio ci venga in aiuto!
Il quinto giorno del nostro viaggio, dopo aver lasciato la città di Salisburgo, avemmo modo di contemplare un paesaggio strano e inquietante. Proprio davanti a noi si stendeva un mare di nuvole enormi, basse, grigie e nere. Fra tali nuvole e l’azzurro del cielo si scorgeva un secondo firmamento, di un bianco totale. Tale spettacolo ci stupì non poco e non mancò di allarmarci. Le nuvole erano perfettamente immobili e, benché avessimo continuato a fissarle per diverse ore, non riuscimmo a