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Chi dorme prende pesci: Memoria: meccanismi e manuale per l'uso
Chi dorme prende pesci: Memoria: meccanismi e manuale per l'uso
Chi dorme prende pesci: Memoria: meccanismi e manuale per l'uso
E-book150 pagine1 ora

Chi dorme prende pesci: Memoria: meccanismi e manuale per l'uso

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Info su questo ebook

La memoria nasce insieme al sistema nervoso e rappresenta una sua caratteristica fondamentale: la capacità di modificare la propria struttura intima in risposta alle esperienze che viviamo. Dal mollusco, ai mammiferi, ai primati e agli esseri umani la memoria evolve dalla semplice «abitudine» fino a sottendere i più delicati ricordi della nostra vita. Chi dorme prende pesci può essere letto da tre punti di vista: un esempio della metodologia con cui le neuroscienze affrontano i fenomeni mentali, una storia delle acquisizioni scientifiche dei meccanismi che regolano il funzionamento della memoria, un manuale per curare e sviluppare le nostre capacità di apprendimento.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2020
ISBN9788895187990
Chi dorme prende pesci: Memoria: meccanismi e manuale per l'uso

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    Anteprima del libro

    Chi dorme prende pesci - Francesco Orzi

    I.

    Introduzione

    Alle lezioni di scienza del liceo, il nostro professore di scienza insegnava trucchi per ricordare le formule chimiche. Oppure ci diceva che gli elettroni sono come i figli: più lontani dal nucleo, più indipendenti. E così la struttura dell’atomo sarebbe rimasta chiara. Il nostro professore pensava di saper insegnare, di essere «moderno», di uscire dai canoni delle lezioni classiche, faceva esempi che rendevano facili concetti difficili.

    Così lui pensava. Ma confondeva la divulgazione, o didattica, con la banalità.

    A noi sarebbe bastato (ma lo capimmo anni dopo) «conoscere» solo la formula dell’acqua. Sapere perché la formula è quella che è, come è stata scoperta, perché l’acqua è una sorta di diluente universale, perché è essenziale per la vita. Oppure avremmo voluto sapere come è stata scoperta la struttura dell’atomo, o come hanno fatto i classici greci a intuire la natura atomica della materia. E magari avremmo così anche apprezzato l’insegnamento della lingua greca.

    Ma non è stato così.

    Per capire un fenomeno bisogna capire come si fa a riprodurlo, a farne un modello sperimentale, a misurarlo. Bisogna scoprire come il fenomeno è stato scoperto. Solo così si può conoscere.

    Noi cercheremo di presentare la memoria spiegando come si studia, quale sono le basi sperimentali o cliniche delle affermazioni riportate. Cercheremo anche di indicare le modalità per conservare e incrementare aspetti della memoria. Soprattutto, cercheremo di non ripetere l’errore del professore di «scienza» del liceo. E cercheremo di essere sintetici, come in questa introduzione.

    II.

    Fallacia della memoria

    Non c’è da fidarsi. La nostra memoria non solo svanisce nel tempo, è ingannevole. Stimoli esterni apparentemente irrilevanti possono deviare le nostre memorie fino al punto di distorcerle completamente e creare false convinzioni di esperienze passate. Accettiamo che una memoria venga perduta. Ma come può succedere che sia distorta? Se c’è una falsa ricostruzione di un evento vuol dire che il segno lasciato dall’evento è contaminato da altre tracce, forse lasciate da esperienze precedenti o susseguenti.

    Come un segno lasciato sulla spiaggia. Quel segno avrà una sua forma, determinata dalla conformazione della sabbia. Altri eventi durante la giornata potranno modificare o cancellare quel segno. Durante la quiete della notte la traccia potrà consolidarsi. In ogni caso la mattina successiva quel segno sarà diverso o scomparso. Di certo non sarà esattamente fedele al segno originario.

    Come può succedere questo nel nostro cervello? Quale è la natura neurobiologica di questi «segni» lasciati dall’esperienza. In che modo le memorie possono essere così malleabili?

    Negli anni Settanta e Ottanta, la consapevolezza emergente del fenomeno degli abusi sessuali ha alimentato due epidemie, con immense sofferenze per tante persone innocenti. In un caso fu narrata un’alta incidenza di abusi sessuali subiti da bambini. I ricordi dei presunti abusi emersero attraverso tecniche terapeutiche basate su «ricostruzione delle memorie». Le tecniche erano operate da psicoterapeuti cui le donne si erano rivolte per altre ragioni. Gli psicoterapeuti, come risultato del loro intervento «terapeutico», nello sforzo di recuperare dalla loro memoria esperienze che fossero potenziali cause del loro disagio, ebbero il risultato di inculcare nelle pazienti ricordi di ripetuti abusi sessuali. La seconda epidemia fu una sorta di conseguenza della prima. Nel 1983 in California insegnanti di scuole materne furono accusati di abusi dei bambini, e perfino di averli sottoposti a riti satanici. Persone furono imprigionate per questi reati immaginari, altre hanno sofferto immensamente. In molti casi di questo genere, le vittime confessano il loro immaginario crimine. Sono indotte a farlo senza estorsione ma come conseguenza di manipolazioni da parte di altri.

    The Innocence Project

    La memoria quindi rimescola episodi e costruisce falsi ricordi. Spesso è ovviamente difficile stabilire se una memoria sia falsa o veritiera. Anche per questo gli studi in questo settore sono difficili da condurre. Un supporto indiretto, ma comunque sostanziale, alla nozione che la memoria sia fallace viene da studi sulla verifica della validità di testimonianze in ambito penale, basate su test del DNA. Si tratta di persone condannate sulla base di testimonianze poi riconosciute come non veritiere. Non ci riferiamo a testimonianze volutamente false, dolose, ma a ricordi inconsciamente ricostruiti e riferiti in buona fede da testimoni. The Innocence Project (www.innocenceproject.org) è un’organizzazione non-profit americana che reclama l’uso sistematico del test al DNA per verificare la colpevolezza di persone condannate sulla base di testimonianze. L’organizzazione ha scagionato fino a oggi trecentocinquanta individui. Alcune di queste persone sono state in prigione per oltre venti anni, prima di essere liberate. Si ritiene che rappresentino solo una frazione del numero totale di erronee condanne, poiché il DNA è disponibile solo in alcuni casi. E le condanne sono spesso il risultato di testimonianze erronee, fornite in modo non intenzionale, a seguito di esperienze successive all’evento da ricordare. Altre variabili, o semplicemente piccole variazioni nella formulazione della domanda, possono modificare la sostanza della risposta.

    Impiantare memorie

    Il fenomeno, generalmente noto come «misinformation effect» è stato studiato da oltre quarant’anni e confermato in varie modalità. Ci sono condizioni che aumentano la suscettibilità al fenomeno, e altre che inducono al contrario resistenza. In generale, per informazioni ottenute dopo l’evento da ricordare, il passare del tempo aumenta la probabilità di avere ricordi ricostruiti al punto da scostarsi sostanzialmente dall’evento. La nostra memoria interpola informazioni aggiuntive a quelle associate all’evento originale. Ricordiamo eventi passati arricchendoli di falsi dettagli, soltanto perché tali dettagli sono stati suggeriti durante un colloquio o un’intervista. Si può arrivare al punto di «creare» memorie che sono completamente false. Una volta fatte proprie, possiamo riferire queste memorie con sicurezza e dovizia di dettagli. Il fenomeno è presente a tutte le età, e amplificato da condizioni in cui l’attenzione è ridotta (Rovee-Collier et al. 1993).

    In studi sul misinformation effect si usano tipicamente procedure basate su tre fasi: a) si mostra a un soggetto un evento relativamente complicato, per esempio uno scippo; b) si forniscono con diverse modalità, più o meno esplicite, informazioni false, per esempio dettagli che di fatto non hanno avuto luogo; c) si chiede al soggetto di ricordare quello cui ha assistito. L’informazione falsa viene ricordata e associata all’evento con una frequenza che può raggiungere oltre il 40% dei casi (Loftus e Palmer 1974).

    Negli anni Novanta ricercatori hanno sviluppato tecniche per «impiantare» memorie false, come, per esempio, memorie di essere stati perduti da bambini in un supermercato (Loftus 1993), di essere stati vittima di attacchi da animali (Porter, Yuille, e Lehman 1999), o di essere stati salvati durante rischio di annegamento (Heaps e Nash 2001). Esempi di questo genere sono numerosi.

    La tecnica per impiantare false memorie si basa su un insieme di modalità di approccio con la «vittima». Presentare storie che includano dettagli veri e significativi aumenta la probabilità di avere successo nell’indurre memorie erronee. Presentare semplicemente una storia falsa non basta. È necessario che ci sia una combinazione di verità e autorevolezza da parte dell’intervistatore. La tecnica di inculcare memorie false richiede inoltre tempo. Bisogna ripetutamente suggerire dettagli falsi, associati a dettagli veri.

    Memoria e pre-giudizi

    All’imperfezione delle nostre ricostruzioni mnesiche contribuiscono precedenti acquisizioni, convinzioni, o pregiudizi. Un fenomeno ben documentato, per esempio, è il cross-race bias, una riduzione dell’accuratezza nel riconoscere volti che appartengono a etnie diverse dalla propria (Kassin et al. 2001). Il fenomeno probabilmente dipende da una minore familiarità con le sembianze di altre etnie rispetto alla propria, e sembra quindi riflettere un peso esercitato da nostre precedenti esperienze o conoscenze. Le implicazioni sono sostanziali e forse non sono sufficientemente conosciute. Da considerare, per esempio, il ruolo che questi errori possono avere in ambito giudiziario, dove possono pesare pregiudizi etnici di cui un individuo non è neanche completamente consapevole. Da considerare quindi il peso dato da molti sistemi alle dichiarazioni di testimoni oculari (Lacy e Stark 2013). Dichiarazioni che risultano spesso inevitabilmente, e non intenzionalmente, errate.

    Questi e molti altri esempi suggeriscono che il processo mnemonico è mediato da una ricostruzione dell’esperienza percepita. La ricostruzione è influenzata da informazioni preesistenti o acquisite dopo l’esperienza. Il ricordo quindi raramente può essere considerato completamente fedele, nel senso di rappresentare una copia esatta dell’informazione immagazzinata.

    La consapevolezza di questa «debolezza» della memoria è molto scarsa tra i non addetti ai lavori. Esiste infatti una considerevole discrepanza tra il «senso comune» e l’opinione degli esperti sull’accuratezza della memoria, sulla sua stabilità, o sul peso da dare a testimoni oculari (Lacy e Stark 2013). La consapevolezza della fallacia della

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