Il Violino noir
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CREMONA 1721: Antonio Stradivari, il più famoso liutaio del suo tempo, riceve la commissione per la realizzazione di un nuovo violino. Un violino speciale poiché destinato a un sommo maestro dell'archetto. La missiva che riceve è però anonima.
PARIGI 1748: Jean-Marie Leclair è uno dei più celebrati violinisti dell’epoca barocca. Grande virtuoso del suo strumento, è rinomato anche come uno dei più importanti compositori francesi. È uno dei primi a far conoscere lo stile italiano in Francia e la sua musica è richiesta in mezza Europa. Nel 1764 viene brutalmente assassinato e il suo prezioso strumento trafugato.
STATI UNITI 1789: Nella nuova nazione, guidata dal suo primo Presidente George Washington, c’è chi trama per assicurarsi alcuni splendidi violini Stradivari e per nascondere i preziosi strumenti verrà scomodato persino l’architetto cui è affidata la realizzazione della White House.
SAN FRANCISCO, CALIFORNIA 2013: Uno strano omicidio coinvolge il Teatro dell’Opera della città di San Francisco. In uno dei camerini viene ritrovata senza vita la violinista Elizabeth Chang. Il suo prezioso strumento, uno Stradivari del 1721, appartenuto al famoso Jean-Marie Leclair, viene rubato. Gli agenti speciali Michael Turner e Sharon Bliss sono incaricati delle indagini e dovranno risolvere questo strano caso dove protagonista è uno strumento musicale che nel corso dei secoli è stato testimone di più di un omicidio.
Attraverso piani temporali diversi, l’autore racconta la storia di un violino straordinario, lo Stradivari Leclair appartenuto al famoso compositore francese. Costruito nel 1721, il violino presenta persino oggi il segno del sangue versato dal compositore al momento della sua morte.
Leclair fu infatti brutalmente assassinato da una mano ignota e sul legno è ancora visibile l’impronta della sua mano.
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Anteprima del libro
Il Violino noir - Gabriele Formenti
Gabriele Formenti
Il violino noir
Thriller
© Bibliotheka Edizioni
Via Val d’Aosta 18, 00141 Roma
tel: +39 06.86390279
info@bibliotheka.it
www.bibliotheka.it
I edizione, Aprile 2017
Isbn 9788869342554
È vietata la copia e la pubblicazione, totale o parziale, del materiale se non a fronte di esplicita autorizzazione scritta dell’editore e con citazione esplicita della fonte.
Tutti i diritti sono riservati.
Foto di copertina:
dettaglio del violino Leclair
, A. Stradivari, 1721
Disegno di copertina:Eureka3 S.r.l.
www.eureka3.it
Gabriele Formenti
Nato a Milano nel 1978, è giornalista, musicologo e musicista.
Diplomato in flauto traverso e in flauto traversiere storico nei Conservatori Statali G. Verdi
di Milano e A. Pedrollo
di Vicenza, è laureato in storia della musica presso l’Università Statale di Milano.
Collabora con emittenti radiofoniche e quotidiani. Nel 2009 ha vinto la prima edizione del premio giornalistico "Benvenuto
Cellini", nella categoria miglior servizio radiofonico.
Il suo romanzo d’esordio Il fortepiano di Federico ha ricevuto unanimi consensi da parte di critica e pubblico
A Raffaella
La terra ha musica per coloro che ascoltano
(William Shakespeare)
i
Cremona, marzo 1721. Bottega del Maestro Stradivari
Antonio Stradivari arriva presto in bottega in quella giornata di primavera, con il sole che lotta per uscire dalle nuvole. L’aria della bella stagione è inebriante e Stradivari vorrebbe poter respirare a pieni polmoni l’aria della sua Cremona.
Vorrebbe affrontare la sua giornata lavorativa con tranquillità, facendo quello che gli riesce meglio: curare i minimi dettagli dei suoi strumenti, perfezionare ogni più piccolo elemento, in modo che anche la vista si possa appagare allo sguardo di quel legno pregiato, lavorato con infinita pazienza e maestria, giorno dopo giorno, mese dopo mese.
Tuttavia non può farlo. Antonio Stradivari, il più celebre liutaio del suo tempo, non ha tempo per rifinire i particolari. Deve completare al più presto uno strumento speciale, perché speciale è la commissione che gli è stata fatta.
Una lettera anonima, giunta sul finire dell’anno precedente, accompagnata da quindici Luigi d’oro in un sacchetto di morbida pelle di capretto, lo invita a realizzare uno strumento di colore rosso. Non è il colore l’unica bizzarria di quella missiva non firmata. È abituato infatti alle richieste più disparate da parte dei suoi clienti. No. Quello che lo incuriosisce da subito è ciò che è scritto dopo:
il violino dovrà possedere un suono magico, al fine di allietare il più sommo dei maestri dell’archetto. Dovrà avere suoni gravi profondi e pronunciati, risultare facile nell’intonazione, i suoni acuti dovranno essere di agevole esecuzione. Le proporzioni dello strumento corrisponderanno agli standard dei migliori strumenti di oggi sul mercato. Non possiamo dirle di più Mastro Antonio Stradivari, se non di realizzare il più bello degli strumenti da lei mai creato. Il nostro cliente non chiede altro che portare il suo nome alla più alta grandezza e fama
.
Non è sbagliato pensare al disappunto del Maestro nel leggere quella missiva. Non un nome, non una presentazione del supposto sommo maestro dell’archetto
. Perché tanto mistero? È risaputo che il lavoro risulterebbe migliore conoscendo il musicista che suonerà il suo strumento.
Le richieste, poi, sono davvero insolite.
Stradivari non sa se accettare quella commissione. Ha tanto lavoro in quel momento dell’anno. I soldi non sono un problema, ma il tutto ha quasi il sapore della sfida. Creare lo strumento più bello di sempre. Anzi, non solo bello, ma dal suono magico
. Quella è una tentazione non da poco per uno che costruisce violini fin dalla più tenera età e che non potrebbe fare altro mestiere nella vita.
Ora che ci pensa meglio, Stradivari è convinto non solo di poter soddisfare il proprio anonimo committente, ma anche di riuscire a realizzare quello che gli viene chiesto, punto per punto.
Forse gli si presenta l’occasione che da tempo aspettava: la possibilità di fare quegli esperimenti che i tanti anni di lavoro gli avevano suggerito e che non è stato in grado di fare fino a oggi.
Le sue teorie possono trovare una conferma, e se così fosse davvero, ebbene, tanto vale che sia l’anonimo committente a ricevere questo dono.
Antonio Stradivari apre la sua bottega e raggiunge i suoi strumenti. Lasciamo a lui la parola però.
«Ecco qua i miei strumenti, sono quasi tutti finiti, eccetto uno che deve ancora essere assemblato. Lo strumento è completo nelle sue parti principali, ma la tavola armonica deve essere incollata al suo fondo. Prima di fare questo metterò la mia firma, ossia una fascetta identificativa al suo interno, in modo che possa essere chiaramente leggibile attraverso le piccole aperture delle f. Infine, quando tutte le parti saranno incollate c’è un’ultima incombenza, la più importante e quella a me più gradita: la verniciatura dello strumento.»
ii
Parigi, settembre 1748
Jean-Marie Leclair è il più importante violinista del suo tempo. Lo sa lui e lo sanno i suoi colleghi, gli impresari come pure il suo affezionato pubblico.
Tuttavia Jean-Marie non è tipo superbo: la musica è la cosa più importante per lui. Tutto il resto, la fama e la ricchezza, sono solamente accessori che possono rendere più gradevole l’esistenza. Un’esistenza senza musica però è impensabile.
Non è stato il primo, Leclair lo sa bene, a introdurre lo stile italiano in Francia. Ciò nonostante nessuno ha composto musica nello stile italiano come lui. Lui che in Italia ha vissuto, studiato. Ha assaporato la lingua, il cibo, le donne, il sole, il suo mare, e i suoi strumenti musicali.
Ah, gli Italiani! Maestri in tante cose, eppure così effimeri a volte! Così diversi dai francesi. Non migliori, semplicemente diversi.
Il suo violino è italiano e non lo scambierebbe con nulla al mondo. Ricorda bene il primo giorno che mise le mani sul nuovo strumento. L’emozione era indescrivibile. Lo strumento, bellissimo di colore rosso, presentava proporzioni perfette e inconfondibilmente di fattura italiana.
La fascetta all’interno dello strumento rivelava la nobile origine cremonese di questo stupendo manufatto e lui era orgoglioso di possederlo.
Con questo strumento Leclair compose alcuni concerti per violino e orchestra unici nel loro genere, come anche delle Sonata a Tre che potrebbero apparire bizzarre e che invece lui reputava essere le cose migliori mai scritte dal suo ingegno.
Naturalmente il Maestro possiede moltissimi altri strumenti, creati dai più importanti liutai del periodo. Alcuni di questi sono francesi, altri tedeschi, un paio persino inglesi. Nessuno però regge il confronto con il suono magico del violino italiano.
Ora, Leclair non sa bene descrivere cos’abbia di così speciale questo strumento. Apparentemente l’unica cosa strana è il suo colore rossiccio. Le proporzioni, infatti, sono quelle standard, le riconosce subito. Non ha bisogno di alcuna misurazione.
Eppure appena l’archetto viene a contatto con le corde di budello una magia si impadronisce dell’ambiente, come delle sue dita che non sembrano provare alcun tipo di fatica. I passi più difficili divengono banali, l’intonazione non è più un problema perché la perfezione raggiunta non ha eguali. Le più piccole sfumature risultano talmente definite da caratterizzare subito l’interpretazione.
Come per cercare ancora una volta conferma a queste riflessioni, Leclair prende uno dei suoi concerti per violino. È un secondo movimento, un adagio in Re minore. Le prime note utilizzano le corde doppie. Si tratta di un passo piuttosto malinconico. Leclair è convinto che le cose più belle risiedano negli abissi dell’animo umano, dove la tristezza a volte è l’unica padrona di casa.
Apre lo spartito e comincia a suonare quella melodia malinconica. Non c’è orchestra che lo accompagni, ma lui ha tutto in mente e l’immaginario accompagnamento lo conduce fino alle ultime note del ritornello. Appagato da quella esecuzione solitaria posa lo strumento sulle ginocchia e commosso guarda quel miracolo della liuteria.
Andrebbe avanti per ore a fissare il suo violino preferito, non fosse che viene interrotto improvvisamente dal suo paggio.
«Signore la stanno cercando.» Dice entrando timidamente nello studiolo della musica.
«Chi mi sta cercando?» Chiede Leclair incuriosito. Non ama stare troppo in mezzo alla gente e non è abituato alle attenzioni delle persone.
«Non lo so di preciso, mio signore. Hanno bussato alla porta e hanno lasciato questa missiva per lei.»
Leclair ringrazia il solerte paggio, lo congeda e apre la busta. Incomincia a leggere:
"Mio gentilissimo Maestro Leclair, sono lieto di informarla che la nostra società vorrebbe dedicare una delle sue serate alla musica francese di più squisita fattura, quella da lei professata in questi ultimi anni con i risultati che tutti conosciamo. Qualora fosse interessato a fare un viaggio a Lione, abbia la cortesia di confermarmi la sua presenza per una delle nostre serate musicali.
Vostro Duca di Gramont".
Il duca di Gramont in persona si degna di scrivermi per propormi una serata musicale? La cosa è davvero inaspettata ma assai gradita, pensa Leclair.
È un’occasione che non può lasciarsi sfuggire.
iii
San Mateo, California, giugno 2013
Il detective Michael Turner si sveglia presto. Si infila le scarpe da corsa e si dedica al suo jogging mattutino per circa un’ora. Non sono ancora le 7:00, L’aria è frizzante ma il cielo è già azzurro, senza una nuvola.
Rientrato in casa si fa una doccia calda e una colazione a base di cereali, latte e uova. A casa non c’è nessun altro. Vive da solo da quando ha rotto con la sua storica fidanzata e sebbene sia nel fiore degli anni, non ancora quarantenne, dubita fortemente di riuscire a trovare una nuova ragazza in breve tempo. Tuttavia forse è meglio così e dopo tanti anni di fidanzamento la vita da single comincia a piacergli sul serio. Forse perfino troppo.
È pronto per una nuova giornata di lavoro a Frisco. È sicuro che ci sarà nebbia oggi sulla baia, quindi con un po’ di disappunto guarda il cielo azzurro che lascia dietro di sé mentre si avvia con la macchina sulla statale che lo porterà in circa 25 minuti a San Francisco, al suo distretto.
Ama il suo lavoro e non potrebbe fare altro. Ha tante passioni, ma nessuna riesce a coinvolgerlo come dare la caccia al lato oscuro dell’umanità, che proprio a Frisco sembra avere trovato un terreno fertile per propagarsi, come i virus.
«Ciao Sharon, come stai?» Dice Turner appena entrato al distretto.
Sharon si ferma un attimo a guardarlo e, senza rispondere alla sua domanda, nota i capelli bruni ancora bagnati: «Fatto jogging anche questa mattina?» Regala un sorriso, mentre sorseggia una grande tazza di caffè nero.
Sharon è una bellissima donna dagli occhi azzurri e dai capelli biondi. È nuova ed è arrivata alla omicidi dopo alcuni anni alla narcotici. Turner non pensa che ci abbia guadagnato poi tanto nel cambio, ma tant’è. Fino a qualche mese fa pensava di provare qualcosa per la giovane detective, ma poi ha capito che è meglio non mischiare il lavoro con il piacere, non ora almeno.
«Senti Turner hanno appena chiamato dalla centrale. C’è stato un omicidio, brutta storia davvero.» Dice Sharon in tono apprensivo. Il sorriso di poco prima è completamente scomparso dal suo volto.
Turner rimane per qualche istante senza parole e osserva la sua collega. Il suo disappunto non è dato tanto dal fatto di trovarsi di fronte a un nuovo omicidio, ma perché è solo lunedì mattina, è giugno, e si dovrebbe in teoria respirare un’aria di vacanza. Almeno questo è quello che si aspettava. Evidentemente il crimine non va mai in ferie e non segue i ritmi della vita degli onesti.
«Dove di preciso?» Chiede Turner senza riuscire a reprimere uno sbadiglio.
«All’Opera.» Gli risponde prontamente l’avvenente detective.
«All’Opera.» Mormora fra sé Turner. No, decisamente non è un Lunedì mattina come tutti gli altri.
iv
San Francisco, 301 Van Ness Avenue, 2013
Il palazzo dell’Opera si trova a due passi da City Hall ed è il più importante teatro d’opera del paese dopo il Metropolitan di New York. Il cartellone è ricco, propone spesso titoli di richiamo e i solisti che si esibiscono sono tutti di prima grandezza.
Turner scende dalla sua Chevrolet nera con lampeggiante accesso. Guarda prima il cielo, cercando quell’azzurro spesso oscurato dalle nebbie della baia.
Non è lì però per ammirare le belle architetture del cuore pulsante di Frisco.
Accanto a lui Sharon, che scesa dalla macchina si avvicina con passo veloce verso una pattuglia della polizia.
La radio comincia a gracchiare in maniera preoccupante: a tutte le pattuglie. Dirigersi sulla Van Ness, Teatro dell’Opera. Codice 187
.
Il messaggio, scandito più volte in maniera chiara dall’operatrice della centrale, giunge alle orecchie di Turner, a conferma di quanto appreso poco prima da Sharon.
I due si dirigono verso l’edificio.
Salgono veloci la gradinata e si ritrovano nell’atrio.
«Detective Turner e questa è la detective Bliss.» Dice Turner mostrando il distintivo.
«Prego passate.» Dice l’usciere con fare preoccupato ma al tempo stesso rincuorato dalla visione di questi giovani detective così sicuri nei loro modi.
«Dove dobbiamo andare?» Chiede Turner al primo poliziotto che incontra.
«Seguitemi, vi faccio strada.» Replica in tono deciso un giovane poliziotto in divisa.
Si forma presto una cordata così composta: il giovane poliziotto, Turner, Sharon e, subito dietro di loro, il sovrintendente dell’Opera, un tipo basso e sovrappeso con occhialetti tondi, vestito elegantemente con un papillon rosso.
«Camerino 32b. Ecco, questa è la scena del crimine.»
Il Sig. Hubert, il sovrintendente, fa da cicerone, ma l’occasione non è delle migliori.
«Eccoci qui, sono stato chiamato questa mattina presto. L’usciere, aperto il teatro come ogni mattina, ha trovato la porta di questo camerino socchiusa e, una volta aperta, ha trovato quello che vedete voi ora.» Si affretta a raccontare il Sig. Hubert, rivelando una vocina stridula che stona alquanto con il resto della sua figura.
La scena che si presenta ai loro occhi non li impressiona. O almeno impressionerebbe chiunque, ma non chi vive giorno e notte a contatto con il crimine.
Questo è quello che vedono: riversa sul pavimento una bella donna dai tratti orientali, sulla trentina, vestita di rosso, giace immobile con gli occhi spalancati.
«Di chi si tratta?» Chiede Turner aprendo un taccuino per gli appunti (il taccuino non può mai mancare su una scena del crimine e lui ha visto forse troppi film polizieschi).
«Il suo nome è Elizabeth Chang.» Risponde prontamente il Sovrintendente.
«Ieri sera si sono svolte le prove generali del concerto che avrebbe dovuto tenera questa sera nel nostro Teatro. Pensavamo fosse uscita come tutti gli altri musicisti, invece…»
«Invece non è mai uscita da qui.» Replica immediatamente Sharon Bliss.
«È cinese?» Chiede Turner, squadrando il volto di quella donna ancora giovane e molto bella.
«Di origine cinese, ma nata in America. Si tratta di una delle più importanti violiniste americane oggi in attività.» Replica prontamente Hubert, quasi sorpreso dall’assoluta mancanza di conoscenze musicali dei due detective.
«Cause della morte?» Chiede Turner, quasi infastidito dal commento di Hubert.
«Non ci sono segni visibili, non c’è sangue.» Si affretta a rispondere Parker, il coroner, subito chino sul cadavere. Solleva la testa di quella che fino a ieri era una violinista: «Bisognerà procedere all’autopsia per chiarire meglio le cause della morte. Comunque posso affermare che è morta da circa 12-15 ore, non di più.»
Turner guarda tutta la scena, la giovane cino-americana, il suo bellissimo vestito che avrebbe certamente sfoggiato con grazia e successo durante il concerto della sera.
«Eccoci qui detective Bliss.» Dice sospirando Turner: «Cosa ne pensi?»
«Il tutto è alquanto ambiguo.» Risponde Sharon: «Forse è morta di cause naturali? Un ictus, o un infarto?»
Possibile ma poco probabile, pensa Turner, senza rendere però partecipe il resto del gruppo dei suoi pensieri.
«Però noi siamo stati chiamati qui per un omicidio? Chi ha parlato di omicidio?» Dice Sharon guardando gli altri membri del gruppo.
A rompere il silenzio l’usciere, quasi a doversi scusare.
«Come dicevo