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Mystery Time. Il mistero di Dark City
Mystery Time. Il mistero di Dark City
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E-book149 pagine1 ora

Mystery Time. Il mistero di Dark City

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Info su questo ebook

Cosa ci cela nella nebbia che intrappola la giovane Phage insieme agli abitanti della misteriosa città in cui si è ritrovata? Cosa sono realmente le oscure figure che si nascondono al suo interno assumendo la forma di spaventose creature? Quali oscuri misfatti nasconde quel mondo bianco? Riuscirà a svelare il mistero e fuggire da quell'incubo senza fine?
LinguaItaliano
Data di uscita13 gen 2020
ISBN9788831655989
Mystery Time. Il mistero di Dark City

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    Anteprima del libro

    Mystery Time. Il mistero di Dark City - Manuel Mura

    in­fo@you­can­print.it

    Percorso celato

    Al­la gio­va­ne Jen­ni­fer Pha­ge scap­pò uno sba­di­glio men­tre im­boc­ca­va l'en­ne­si­ma cur­va dell'au­to­stra­da, pres­so­ché de­ser­ta a quell'ora tar­da del­la se­ra.

    Die­de un'oc­chia­ta all'oro­lo­gio al pol­so che se­gna­va le ven­ti­tré e cin­quan­ta, un ora­rio a cui era abi­tua­ta ad an­da­re a let­to da un pez­zo.

    Era sem­pre sta­ta una che si co­ri­ca­va e al­za­va pre­sto, più per abi­tu­di­ne che ne­ces­si­tà.

    La sua vi­ta era sta­ta sem­pre agia­ta e tran­quil­la, gra­zie ai ge­ni­to­ri che non le ave­va­no mai fat­to man­ca­re nul­la, ma an­che mol­to piat­ta.

    C'era­no sta­ti mo­men­ti di de­pres­sio­ne to­ta­le in cui si sen­ti­va inu­ti­le a non fa­re nul­la, ol­tre che mol­to so­la.

    Era sem­pre sta­ta un'ani­ma so­li­ta­ria e par­ti­co­la­re, per non di­re stra­na co­me la de­fi­ni­va­no gli al­tri.

    Non che fa­ces­se co­se in­so­li­te o ve­stis­se in ma­nie­ra par­ti­co­la­re co­me mol­ti né le pia­ce­va­no anel­li al na­so o ta­tuag­gi tan­to in vo­ga tra i gio­va­ni, an­zi era una mol­to so­bria.

    Aste­mia, di buo­na fa­mi­glia, sen­za brut­ti vi­zi, non le man­ca­va nien­te ma il suo brut­to ca­rat­te­re, espli­ci­to nel di­re ciò che pen­sa­va sen­za mez­zi ter­mi­ni e al­lo stes­so tem­po chiu­so e sgra­zia­to, la met­te­va spes­so nei guai. O me­glio le ave­va pro­cu­ra­to tan­ti ne­mi­ci, an­che se non se ne pre­oc­cu­pa­va.

    C'era chi fa­ce­va co­se ben peg­gio­ri al mon­do che es­se­re sin­ce­ri.

    Mol­ti na­scon­de­va­no la lo­ro ve­ra in­do­le die­tro fal­si sor­ri­si ma lei non ne era ca­pa­ce, an­zi fa­ce­va l'esat­to con­tra­rio. Ma il suo ca­rat­te­re la por­ta­va so­ven­te a iso­lar­si ed ave­re po­chi ami­ci, or­mai pra­ti­ca­men­te nes­su­no.

    In fon­do le an­da­va be­ne co­sì: chi non la ri­spet­ta­va o con cui non po­te­va par­la­re fran­ca­men­te pre­fe­ri­va di gran lun­ga far­ne a me­no.

    Le era suc­ces­so co­sì con To­ny, un uo­mo co­no­sciu­to an­ni ad­die­tro con cui pen­sa­va di co­struir­si una fa­mi­glia in­sie­me, ri­ve­la­to­si un op­pres­so­re e un pre­sun­tuo­so.

    Le era ri­ma­sto un brut­to ri­cor­do di lui, so­prat­tut­to per­ché il tem­po pas­sa­to in­sie­me era sta­to un con­ti­nuo spe­ra­re an­das­se me­glio, ren­den­do­si con­to trop­po tar­di che era so­lo un'il­lu­sio­ne. Co­sì ave­va de­ci­so che sa­reb­be sta­to il pri­mo e l'ul­ti­mo.

    Nei me­si se­guen­ti era se­gui­ta una con­si­de­re­vo­le de­pres­sio­ne, co­sa non nuo­va nel­la sua vi­ta a cui man­ca­va uno sco­po.

    Ma ne­gli ul­ti­mi due an­ni qual­co­sa era cam­bia­to: ave­va co­min­cia­to a scri­ve­re li­bri. Era una pas­sio­ne col­ti­va­ta da sem­pre ma mai con­cre­tiz­za­ta.

    Ri­cor­da­va la sua fan­ta­sia da bam­bi­na che tra­sfor­ma­va ce­sti­ni del­la me­ren­da in astro­na­vi alie­ne, una por­ta ro­vi­na­ta in un pas­sag­gio per al­tri mon­di o una sca­la stor­ta nel più in­tri­ga­to dei gial­li. Fan­ta­sti­che­rie che l'ave­va­no tra­sfor­ma­ta nel­lo zim­bel­lo dei coe­ta­nei che l'apo­stro­fa­va­no co­me mat­ta per­ché ave­va trop­pa fan­ta­sia. E col tem­po ave­va fi­ni­to per trat­te­ner­la den­tro di sé, trop­po pre­oc­cu­pa­ta di quel­lo che pen­sa­va­no o di­ce­va­no gli al­tri o fi­ni­to per dar ret­ta a per­so­ne co­me To­ny che le ri­mar­ca­va ogni gior­no quan­to non va­les­se nien­te e quan­to gli al­tri fos­se­ro me­glio.

    Ora, a qua­si trent'an­ni, non in­ten­de­va più dar ret­ta a nes­su­no ma so­lo se­gui­re il suo istin­to ed es­se­re sé stes­sa e chi non l'ac­cet­ta­va per co­me era po­te­va an­dar­se­ne in quel po­sto.

    E an­che se i suoi ro­man­zi non ave­va­no ri­scos­so un gran suc­ces­so, an­zi pres­so­ché mi­ni­mo, non le im­por­ta­va, lo fa­ce­va per­ché le pia­ce­va, per­ché la fa­ce­va sen­ti­re vi­va e per­ché da­va un sen­so al­la sua esi­sten­za. Se ciò la por­ta­va al­la so­li­tu­di­ne po­co ma­le, la pre­fe­ri­va al­le cat­ti­ve com­pa­gnie.

    Non in­ten­de­va se­gui­re più nes­su­no né al­cu­na mo­da e quan­do le di­ce­va­no qual­co­sa ri­ba­di­va una fra­se sen­ti­ta da bam­bi­na se tut­ti si but­ta­no da un pre­ci­pi­zio non per que­sto de­vo far­lo an­ch'io, fra­se che de­scri­ve­va al­la per­fe­zio­ne il suo pen­sie­ro.

    E non era nem­me­no una brut­ta ra­gaz­za, an­che se nien­te di ec­ce­zio­na­le. Piut­to­sto al­ta, ma­gra, ca­pel­li bion­di cor­ti a ca­schet­to, oc­chi ca­sta­ni e trat­ti del vi­so sot­ti­li e ben fat­ti, di si­cu­ro il suo pun­to mi­glio­re. Nel fi­si­co non spic­ca­va nel se­no, re­la­ti­va­men­te pic­co­lo, e nem­me­no nel fon­do­schie­na, non brut­to ma nean­che ec­ce­zio­na­le, so­lo le gam­be lun­ghe e sot­ti­li ave­va­no una par­ven­za di sen­sua­li­tà. E non era nem­me­no una atle­ti­ca in quan­to gli sport e l'at­ti­vi­tà fi­si­ca in ge­ne­ra­le non le era mai pia­ciu­ta.

    Pro­ba­bil­men­te un po' ab­bel­li­ta e truc­ca­ta sa­reb­be ri­sul­ta­ta me­glio ma non le pia­ce­va con­ciar­si co­me fa­ce­va­no le al­tre don­ne: truc­co, orec­chi­ni, smal­ti per le un­ghie, tin­tu­re per ca­pel­li non le si ad­di­ce­va­no pro­prio, tan­to me­no ta­tuag­gi o pier­cing.

    Ama­va in­ve­ce la sem­pli­ci­tà e la na­tu­ra­lez­za: se­con­do lei ognu­no an­da­va be­ne co­sì com'era sen­za bi­so­gno d'ag­giun­te ester­ne.

    La­sciò per­de­re i suoi pen­sie­ri per con­cen­trar­si sul­la gui­da e sul­la stra­da da per­cor­re­re.

    An­co­ra una vol­ta si pen­tì d'es­ser­si mes­sa in viag­gio per an­da­re a tro­va­re sua zia, un pa­ren­te che non ve­de­va da più di vent'an­ni e con cui non avreb­be più vo­lu­to ave­re nien­te a che fa­re.

    L'ave­va fat­to per fa­re un fa­vo­re a suo pa­dre ma pen­sa­va a un sog­gior­no di bre­ve du­ra­ta per non di­re im­me­dia­to. Do­ve­va re­cu­pe­ra­re un og­get­to ap­par­te­nen­te al­la sua fa­mi­glia e poi tan­ti sa­lu­ti.

    Al­me­no que­sta era l'idea ma du­ran­te il viag­gio si era im­bat­tu­ta in un gros­so in­gor­go in cen­tro, se­gui­to da un in­ci­den­te fuo­ri cit­tà che l'ave­va te­nu­ta in­chio­da­ta per ore.

    Co­sì ora era in for­te ri­tar­do e ave­va fat­to not­te sen­za es­se­re an­co­ra giun­ta a de­sti­na­zio­ne.

    Sua zia vi­ve­va in un pae­si­no di mon­ta­gna nean­che trop­po di­stan­te in li­nea d'aria dal­la cit­tà ma dif­fi­cil­men­te rag­giun­gi­bi­le se non tra sen­tie­ri im­per­vi e stra­de sco­sce­se.

    Lei ave­va pre­so l'au­to­stra­da che al­lun­ga­va un po' il gi­ro ma al­me­no era più si­cu­ra e me­no traf­fi­ca­ta.

    Giu­sto nel­la cor­sia op­po­sta era pas­sa­ta qual­che mac­chi­na ogni tan­to ma nell'ul­ti­ma ora non ave­va vi­sto ani­ma vi­va.

    A di­re il ve­ro pen­sa­va d'aver sba­glia­to stra­da ma ri­cor­da­va be­ne che sul­la de­stra, fi­ni­te le gal­le­rie, c'era uno svin­co­lo da pren­de­re per rag­giun­ge­re il pae­se di sua zia. Tut­ta­via le gal­le­rie le ave­va pas­sa­te da un pez­zo sen­za scor­ge­re lo svin­co­lo; for­se l'ave­va su­pe­ra­to sen­za ac­cor­ger­se­ne.

    Un im­prov­vi­so sfrec­cia­re da­van­ti a lei la col­se al­la sprov­vi­sta fa­cen­do­la fre­na­re di col­po, stri­den­do le ruo­te sull'asfal­to.

    Guar­dò avan­ti ma la lu­ce dei fa­ri pro­iet­ta­va so­lo la stra­da men­tre in­tor­no c'era­no due co­sto­ni roc­cio­si a ri­dos­so del­la zo­na mon­ta­gno­sa che sta­va at­tra­ver­san­do.

    Le pa­re­va im­pos­si­bi­le qual­cu­no fos­se in un po­sto co­sì de­so­la­to a quell'ora del­la not­te.

    Le ven­ne da pen­sa­re a qual­che ubria­co o dro­ga­to ma in quel­lo spa­zio co­sì ri­stret­to l'avreb­be scor­to di cer­to, al­me­no di gior­no.

    Die­tro e di la­to ve­de­va po­chis­si­mo e pur aguz­zan­do la vi­sta non no­tò nul­la di stra­no.

    Po­te­va scen­de­re e con­trol­la­re me­glio ma non ave­va al­cu­na in­ten­zio­ne di far­lo, ol­tre che inu­ti­le po­te­va es­se­re pe­ri­co­lo­so.

    Una stra­na sen­sa­zio­ne la pre­se di col­po: mi­se in mo­to ac­ce­le­ran­do ra­pi­da­men­te, to­glien­do­si dal pun­to in cui si era fer­ma­ta.

    Do­po un po' si cal­mò, chie­den­do­si co­sa le fos­se pre­so e se non era so­lo la stan­chez­za a far­le qual­che brut­to scher­zo.

    Di­mi­nuì l'an­da­tu­ra guar­dan­do sul­la de­stra per ve­de­re se c'era quel bea­to svin­co­lo che sem­bra­va scom­par­so dal­la fac­cia del­la Ter­ra.

    Guar­dò an­che dal­lo spec­chiet­to re­tro­vi­so­re per scor­ge­re qual­co­sa che le po­te­va es­se­re sfug­gi­to ma non vi­de nien­te.

    Fe­ce un so­spi­ro di sol­lie­vo aven­do per un at­ti­mo cre­du­to ci fos­se dav­ve­ro qual­cu­no in quei luo­ghi che una don­na so­la non ave­va di cer­to pia­ce­re d'in­con­tra­re.

    Non ci pen­sò più e si ac­co­stò il più pos­si­bi­le al bor­do del­la stra­da cer­can­do di scor­ge­re qual­che se­gno del pun­to che cer­ca­va o ca­pi­re se per sba­glio l'ave­va su­pe­ra­to.

    In quel ca­so era un bel pro­ble­ma e do­ve­va fa­re una gros­sa de­via­zio­ne che le avreb­be fat­to per­de­re mol­to tem­po.

    Guar­dò con at­ten­zio­ne ma lo svin­co­lo non si ve­de­va e la stra­da di­scen­de­va leg­ger­men­te fa­cen­do­le ca­pi­re che do­ve­va aver su­pe­ra­to da un pez­zo il pun­to che cer­ca­va.

    Re­pres­se la pa­ro­lac­cia che le ven­ne spon­ta­nea e pen­sò ra­pi­da al da far­si.

    Non c'era mol­ta al­ter­na­ti­va, do­ve­va svol­ta­re più avan­ti a si­ni­stra e poi gi­ra­re nuo­va­men­te a de­stra e da lì pun­ta­re al pae­se di sua zia.

    Tan­to per non por­re li­mi­ti al tar­di e al­la stan­chez­za, pen­sò. Tut­ta­via era inu­ti­le pian­ge­re sul lat­te ver­sa­to, si pro­di­gò piut­to­sto di ve­de­re il pun­to do­ve sa­reb­be do­vu­ta gi­ra­re cer­can­do sta­vol­ta di non sba­gliar­si.

    Fi­nal­men­te lo vi­de e lo im­boc­cò, co­min­cian­do con le cur­ve che se­gui­va­no una die­tro l'al­tra, dall'al­to ver­so il bas­so in un cir­co­lo che le fa­ce­va ve­ni­re in men­te i gi­ro­ni in­fer­na­li.

    So­lo do­po un tem­po che le sem­brò in­fi­ni­to fi­ni­ro­no e la stra­da si fe­ce ret­ti­li­nea: non do­ve­va es­se­re di­stan­te dall'al­tro pun­to che l'avreb­be por­ta­ta fi­no al pae­se di sua zia.

    Vi­de in­fat­ti un al­tro svin­co­lo che al buio e sen­za un car­tel­lo non era cer­ta fos­se quel­lo giu­sto.

    Ral­len­tò fi­no qua­si a fer­mar­si, pen­san­do ve­lo­ce­men­te se era pro­prio quel­la la stra­da che do­ve­va im­boc­ca­re.

    Co­sì a oc­chio le pa­re­va di si, pe­rò non ne era si­cu­ra e se sba­glia­va ri­schia­va di per­der­si o al­la me­glio per­de­re al­tro tem­po.

    Era stan­ca e vo­le­va so­lo ar­ri­va­re a de­sti­na­zio­ne, co­sì pre­se quel­lo svin­co­lo e pro­se­guì per un po' lun­go una stra­da che la por­tò pre­sto in aper­ta cam­pa­gna.

    Si ri­cor­da­va che pri­ma di giun­ge­re in pae­se c'era una zo­na di cam­pa­gna da at­tra­ver­sa­re e quel­lo la mi­se sull'av­vi­so che fos­se sul­la stra­da giu­sta.

    <>

    Quel pen­sie­ro le det­te la for­za di con­ti­nua­re tra uno sba­di­glio e l'al­tro. Guar­dò l'oro­lo­gio e man­ca­va po­co all'una me­no ven­ti, un ora­rio in­con­ce­pi­bi­le per lei.

    Si sfor­zò di re­si­ste­re al son­no e pro­se­gui­re. Era in una stra­da lar­ga ma to­tal­men­te de­ser­ta e in­tor­no c'era ter­re­no agri­co­lo in gran par­te la­scia­to an­da­re do­ve qua e là spun­ta­va qual­che al­be­ro.

    Non ve­de­va il pae­se ma po­te­va an­che es­se­re vi­ci­no e ri­tro­var­ci­si in un at­ti­mo, vi­sto che a quell'ora tut­ti era­no a dor­mi­re e le lu­ci spen­te.

    Pro­se­guì en­tu­sia­sta pen­san­do di es­se­re al­la fi­ne del viag­gio ma ciò che vi­de da­van­ti a sé la la­sciò spiaz­za­ta e scon­cer­ta­ta: un man­to bian­co co­pri­va tut­to.

    Si ri­cor­dò so­lo in quel mo­men­to che in quel­le zo­ne la neb­bia era sem­pre pre­sen­te, so­prat­tut­to al­la se­ra e al­la mat­ti­na.

    Ri­cor­da­va da bam­bi­na l'aver vi­sto quel man­to bian­co per la pri­ma vol­ta che ri­co­pri­va ogni co­sa: era cor­sa dal­la zia spa­ven­ta­ta chie­den­do­le co­sa fos­se.

    Ora le ve­ni­va da ri­de­re a quel pen­sie­ro ma la

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