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Savate Girl vs Wolf lo Squartatore
Savate Girl vs Wolf lo Squartatore
Savate Girl vs Wolf lo Squartatore
E-book246 pagine3 ore

Savate Girl vs Wolf lo Squartatore

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Info su questo ebook

Tre brutali uccisioni sconvolgono una cittadina inglese degli anni trenta. Le vittime sono giovani prostitute a cui viene asportato un organo e inviato alla stampa da un misterioso individuo mascherato che si fa chiamare Wolf lo Squartatore. Chi si cela dietro la sua maschera? La giovane Marianne Savat è l'unica a poter far luce sul mistero. Riuscirà a scoprire la sua identità e fermarlo in tempo?
LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2020
ISBN9788831665834
Savate Girl vs Wolf lo Squartatore

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    Anteprima del libro

    Savate Girl vs Wolf lo Squartatore - Manuel Mura

    Ombre nella notte

    L'an­zia­na cop­pia tre­ma­va di pau­ra, an­che se a mi­nac­ciar­li era­no so­lo tre ra­gaz­zi­ni con po­chi strac­ci ad­dos­so. Non di me­no era­no tut­ti ar­ma­ti, uno di col­tel­lo gli al­tri di spran­ghe, e li ave­va­no chiu­si in un vi­co­lo cie­co.

    Ma­le­dis­se­ro il mo­men­to in cui ave­va­no de­ci­so di pas­sa­re per quei vi­co­li bui e spor­chi a quell'ora di not­te, pen­san­do d'ab­bre­via­re la stra­da di ca­sa, co­me il mo­men­to in cui la lo­ro au­to­mo­bi­le si era rot­ta. E ora non gli ri­ma­ne­va che strin­ger­si l'uno all'al­tra e spe­ra­re in be­ne.

    <> or­di­nò quel­lo con il col­tel­lo, di si­cu­ro il ca­po del grup­po. Già al­to per la sua età era di me­dia cor­po­ra­tu­ra, con vi­so ano­ni­mo, ca­pel­li ca­sta­ni fol­ti e oc­chi vi­spi del­lo stes­so co­lo­re, in cui si ve­de­va mag­gio­re de­ci­sio­ne ri­spet­to agli al­tri due più in­de­ci­si.

    So­prat­tut­to il più gio­va­ne di nem­me­no die­ci an­ni - bas­so, ma­gro, dai ca­pel­li scu­ri lun­ghi e scom­pi­glia­ti e gli oc­chi del­lo stes­so co­lo­re che ap­pa­ri­va­no vuo­ti e spen­ti - sem­bra­va del tut­to fuo­ri luo­go in quel con­te­sto e im­pu­gna­va ma­la­men­te la spran­ga, co­me fos­se un og­get­to alie­no.

    L'ul­ti­mo era al­to il giu­sto e più ro­bu­sto dei com­pa­ri. Da­gli oc­chi chia­ri su un vi­so pie­no e mal fat­to, con gros­so na­so a pa­ta­ta, ave­va ca­pel­li ros­sic­ci ta­glia­ti mol­to cor­ti e se­gui­va co­me un'om­bra il ra­gaz­zo con il col­tel­lo. Pro­prio que­st'ul­ti­mo ri­pe­té nuo­va­men­te agli an­zia­ni di dar­gli su­bi­to i sol­di met­ten­do be­ne in vi­sta l'ar­ma.

    <> im­plo­rò l'uo­mo - bas­so, cor­pu­len­to, dal vi­so pie­no ben fat­to con­tor­na­to da lun­ghi baf­fi bian­chi co­me del­lo stes­so co­lo­re era­no i po­chi ca­pel­li in te­sta, co­per­ti da un lun­go ber­ret­to scu­ro - spe­ran­do ba­stas­se­ro quel­le pa­ro­le a far­li de­si­ste­re dai lo­ro pro­po­si­ti.

    <> ri­bat­té il gio­va­ne.

    <> im­plo­rò la don­na - bas­sa, cor­pu­len­ta, dal na­so pro­nun­cia­to e ca­pel­li bian­chi ben te­nu­ti - il cui fa­sci­no non l'ave­va mai con­trad­di­stin­ta nem­me­no da gio­va­ne.

    <>

    <> chie­se quel­lo ro­bu­sto.

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <>

    <> sbrai­tò un uo­mo al­to e ro­bu­sto dal cra­nio ra­sa­to che agli oc­chi de­gli an­zia­ni sem­bra­va com­par­so dal nul­la. In real­tà era sbu­ca­to da un vi­co­lo la­te­ra­le in cui la lu­ce dei lam­pio­ni non giun­ge­va e di con­se­guen­za non po­te­va­no ve­der­lo. Non di me­no era un ti­po dav­ve­ro mi­nac­cio­so e di si­cu­ro cru­de­le. Lo ca­pi­ro­no co­me vi­de­ro i suoi oc­chi chia­ri fol­li: era­no fi­ni­ti dal­la pa­del­la al­la bra­ce.

    <> sup­pli­cò la don­na.

    L'omo­ne ri­se. <> ri­se av­vi­ci­nan­do­si al­la don­na e pog­gian­do­le la ma­no gros­sa e cal­lo­sa sot­to il men­to, <>

    An­che i tre ra­gaz­zi im­pal­li­di­ro­no a quel­le pa­ro­le, fi­gu­ria­mo­ci i due an­zia­ni co­niu­gi. L'uo­mo sup­pli­cò an­co­ra pie­tà ri­ma­nen­do ina­scol­ta­to men­tre la don­na era co­sì bian­ca in vol­to da sem­bra­re già mor­ta.

    <>

    Quel­la vo­ce for­te e ina­spet­ta­ta col­se tut­ti al­la sprov­vi­sta: ap­par­te­ne­va a una don­na. Si guar­da­ro­no at­tor­no sen­za scor­ger­la.

    <> gri­dò il ra­gaz­zo al co­man­do.

    <> stril­lò l'omo­ne.

    <>

    Sbu­cò co­me dal nul­la una ra­gaz­za al­ta e com­pat­ta dai lun­ghi ca­pel­li ros­si li­sci, oc­chi ver­di chia­ri su un vi­so mol­to ben fat­to, spal­le lar­ghe, un se­no pro­por­zio­na­to e del­le splen­di­de cur­ve che il man­tel­lo scu­ro non riu­sci­va del tut­to a na­scon­de­re. Lo stes­so si ve­de­va­no per­fet­ta­men­te le lun­ghe gam­be so­de e atle­ti­che men­tre so­lo una fa­scia­tu­ra ros­so scu­ro era a pro­te­zio­ne del se­no e cor­ti pan­ta­lo­ni del­lo stes­so co­lo­re co­pri­va­no la vi­ta. Guan­ti scu­ri che la­scia­va­no sco­per­te le di­ta era­no a pro­te­zio­ne del­le ma­ni men­tre co­mo­de scar­pe da gin­na­sti­ca del­lo stes­so co­lo­re co­pri­va­no i pie­di. L'ab­bi­glia­men­to sem­bra­va quel­lo di un pu­gi­le che sta per di­spu­ta­re il mat­ch e co­me al­zò le brac­cia a pro­te­zio­ne del vi­so, pron­ta al­la lot­ta, a tut­ti ap­par­ve co­me ta­le, con l'uni­ca dif­fe­ren­za che si trat­ta­va di una don­na, una splen­di­da don­na.

    I tre ra­gaz­zi ri­ma­se­ro per­ples­si men­tre l'uo­mo ri­se.

    <>

    <>

    L'at­teg­gia­men­to pro­vo­ca­to­rio co­me lo sguar­do di sfi­da man­da­va in be­stia l'uo­mo, ma per una don­na ba­sta­va­no i suoi sca­gnoz­zi.

    <>

    <>

    <>

    A que­sta se­con­da esor­ta­zio­ne i tre ra­gaz­zi ub­bi­di­ro­no.

    Quel­lo con il col­tel­lo ca­ri­cò a te­sta bas­sa fi­nen­do con­tro un cas­so­net­to dell'im­mon­di­zia ri­ma­nen­do ri­co­per­to di ri­fiu­ti. Nem­me­no si era ac­cor­to del mo­vi­men­to del­la ra­gaz­za e lo stes­so gli al­tri due. Non ci fos­se sta­to l'omo­ne a in­ti­mar­gli d'at­tac­ca­re se ne sa­reb­be­ro guar­da­ti be­ne dal far­lo. Ma lui era il lo­ro si­gno­re e pa­dro­ne e do­ve­va­no ub­bi­dir­gli se vo­le­va­no so­prav­vi­ve­re, co­sì si av­vi­ci­na­ro­no ri­ma­nen­do cau­ti. Com­pren­den­do che era inu­ti­le un at­tac­co fron­ta­le pen­sa­ro­no be­ne di met­ter­si ai la­ti.

    Dal can­to suo la ra­gaz­za ap­pa­ri­va tran­quil­la, era­no lo­ro ad es­se­re agi­ta­ti. Quel­lo più ro­bu­sto si fe­ce co­rag­gio e at­tac­cò da un la­to men­tre il suo com­pa­re fa­ce­va lo stes­so dall'al­tro.

    La ra­gaz­za com­pre­se su­bi­to che que­st'ul­ti­mo era più len­to, lo igno­rò lan­cian­do il man­tel­lo con­tro l'al­tro ac­ce­can­do­lo. In quel­le con­di­zio­ni non po­té fa­re al­tro che bar­col­la­re ri­tro­van­do­si a ter­ra in men che non si di­ca. E pri­ma che po­tes­se rial­zar­si e li­be­rar­si ave­va già di­sar­ma­to l'ul­ti­mo at­tac­can­te con un ra­pi­do cal­cio e pre­so al vo­lo la spran­ga. La lan­ciò con­tro il ca­po del ter­zet­to che ten­ta­va di ri­pren­de­re la sua ar­ma: una bot­ta for­te al­la ma­no lo dis­sua­se dal far­lo. E co­me quel­lo ro­bu­sto vi­de la sce­na si guar­dò be­ne dal fa­re qual­sia­si mos­sa: era sì stu­pi­do ma non co­sì tan­to da met­ter­si con­tro qual­cu­no co­sì for­te. Tut­ti e tre guar­da­ro­no il lo­ro aguz­zi­no che si vi­de co­stret­to ad agi­re di per­so­na.

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    <>

    La pro­vo­ca­zio­ne eb­be ef­fet­to sull'uo­mo che ca­ri­cò a te­sta bas­sa ri­tro­van­do­si a ter­ra a se­gui­to di uno sgam­bet­to. Ma mal­gra­do la mo­le fu le­sto a ti­rar­si su e sfer­ra­re un pu­gno die­tro l'al­tro, tut­ti col­pi che ven­ne­ro evi­ta­ti con gran­de abi­li­tà.

    La gio­va­ne sem­bra­va sem­pre un pas­so avan­ti a lui, riu­scen­do an­che a piaz­za­re di­ver­si pu­gni al­lo sto­ma­co e uno in fac­cia che non ri­schia­va di peg­gio­rar­ne l'aspet­to.

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    <>

    <>

    Gri­dan­do di rab­bia at­tac­cò con rin­no­va­to vi­go­re sca­glian­do pu­gni a ri­pe­ti­zio­ne: al­la ra­gaz­za sem­bra­va di es­se­re nel bel mez­zo di una tem­pe­sta. Ma mai per un istan­te per­se la cal­ma e il sor­ri­so, nem­me­no quan­do al­cu­ni col­pi an­da­ro­no a se­gno, di cui uno vio­len­to al vi­so che le fe­ce usci­re un ri­vo­lo di san­gue dal na­so.

    Si­cu­ro d'aver­la in pu­gno il bru­to con­ti­nuò l'at­tac­co ve­nen­do sor­pre­so da un cal­cio al­la boc­ca del­lo sto­ma­co che lo la­sciò sen­za fia­to e pie­ga­to in due. La fac­cia be­ne espo­sta ven­ne cen­tra­ta al­la per­fe­zio­ne da un cal­cio sal­ta­to e ruo­ta­to a cui ne se­guì im­me­dia­to un se­con­do. La se­quen­za di col­pi ben piaz­za­ti man­dò al tap­pe­to il be­stio­ne che si ri­tro­vò a ba­cia­re il pa­vi­men­to con man­di­bo­la e den­ti rot­ti.

    Sod­di­sfat­ta, la gio­va­ne guer­rie­ra si ri­vol­se ai ra­gaz­zi con uno sguar­do du­ro e pe­ne­tran­te che li la­sciò im­pie­tri­ti sul po­sto.

    <>

    <> ri­ba­dì il ca­po del grup­po do­po un at­ti­mo di esi­ta­zio­ne.

    <>

    <> ri­ba­dì il com­pa­gno ro­bu­sto.

    <>

    <>

    <> chie­se quel­lo gio­va­ne.

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    In­di­cò il lo­ro aguz­zi­no che non sem­bra­va in con­di­zio­ni di fa­re nien­te ma una vol­ta ri­pre­so di si­cu­ro avreb­be sfo­ga­to la rab­bia su di lo­ro. Que­sto la gio­va­ne lo com­pre­se be­ne, co­sì pen­sò  d'au­men­ta­re la do­se.

    <>

    Un cal­cio ben piaz­za­to al gi­noc­chio gli spez­zò la gam­ba: l'uo­mo ur­lò per poi per­de­re nuo­va­men­te i sen­si.

    <>

    I tre si guar­da­ro­no e an­nui­ro­no. <> chie­se il più gio­va­ne.

    <> chie­se Ber­nard. <>

    <> Il ra­gaz­zo an­nuì. <>

    <> escla­mò quel­lo gio­va­ne.

    <>

    I tre spa­ri­ro­no al­la sua vi­sta, al lo­ro po­sto com­par­ve la cop­pia d'an­zia­ni che si fe­ce co­rag­gio spe­ran­do il pe­ri­co­lo fos­se pas­sa­to.

    <> esor­dì la don­na con vo­ce an­co­ra tre­man­te.

    <>

    <> in­di­cò lo stes­so vi­co­lo do­ve si era­no di­ret­ti i tre gio­va­ni <>

    <> az­zar­dò l'uo­mo.

    Un ur­lo di don­na rie­cheg­giò tutt'in­tor­no, ed era co­sì for­te e stra­zian­te da ge­la­re il san­gue nel­le ve­ne: i due co­niu­gi si strin­se­ro l'uno all'al­tra.

    <>

    All'or­di­ne pe­ren­to­rio cor­se­ro via non fer­man­do­si un istan­te, de­si­de­ro­si so­lo che quel­la not­te ma­le­det­ta fi­nis­se. Ma­rian­ne in­ve­ce re­cu­pe­rò svel­ta il man­tel­lo e cor­se in di­re­zio­ne dell'ur­lo. Per­cor­se più ra­pi­da­men­te che po­té vi­co­li bui e spor­chi e sal­tò con agi­li­tà mu­ri di­vi­so­ri ri­tro­van­do­si in uno stret­to pas­sag­gio la cui il­lu­mi­na­zio­ne era pres­so­ché nul­la. Ma an­che se non ve­de­va nien­te ri­co­nob­be di­stin­ta­men­te l'odo­re del san­gue. Si mos­se ra­pi­da in quel­la di­re­zio­ne, fer­man­do­si co­me il suo pie­de pog­giò su qual­co­sa di sci­vo­lo­so che era cer­ta fos­se il li­qui­do ros­so.

    Pre­se dal man­tel­lo una mi­nu­sco­la tor­cia che emet­te­va una pic­co­la lu­ce, suf­fi­cien­te a ve­de­re la ra­gaz­za or­ren­da­men­te strap­pa­ta al­la vi­ta: era sta­ta squar­ta­ta all'al­tez­za dell'ad­do­me. For­se an­che mu­ti­la­ta co­me nei ca­si pre­ce­den­ti ma non po­té ap­pu­rar­lo che un ru­mo­re di pas­si e di vo­ci la co­strin­se ad al­lon­ta­nar­si in fret­ta.

    La po­li­zia giun­se so­lo a con­ti fat­ti men­tre lei era già lon­ta­na, in cer­ca di ri­spo­ste e so­prat­tut­to del col­pe­vo­le. Era cer­ta fos­se lo stes­so che ave­va uc­ci­so la sua ami­ca An­net­te due set­ti­ma­ne fa e l'al­tra ra­gaz­za una set­ti­ma­na pri­ma: il mo­dus ope­ran­di era il me­de­si­mo. Ma chi fos­se ri­ma­ne­va un mi­ste­ro.

    Lui stes­so man­da­va un mes­sag­gio ai gior­na­li il gior­no do­po i de­lit­ti in cui si fir­ma­va Wolf, a cui ag­giun­ge­va un ma­ca­bro tro­feo del­le sue bat­tu­te di cac­cia. E da lì, vi­sta l'ef­fe­ra­tez­za con cui uc­ci­de­va e il ti­po di vit­ti­me, era sta­to ri­bat­tez­za­to Wolf lo Squar­ta­to­re, in ri­fe­ri­men­to al fa­mi­ge­ra­to Jack che qua­rant'an­ni pri­ma ave­va in­san­gui­na­to le stra­de di Lon­dra.

    E ora, in quell'an­go­lo sper­du­to dell'In­ghil­ter­ra, era tor­na­to l'in­cu­bo del kil­ler se­ria­le che uc­ci­de­va e squar­ta­va le pro­sti­tu­te, an­che se la sua ami­ca non fa­ce­va più quel­la vi­ta.

    <> gri­dò al ven­to.

    Le ven­ne qua­si da ri­de­re a pen­sa­re a quel no­mi­gno­lo con cui quel ra­gaz­zi­no l'ave­va apo­stro­fa­ta, ma do­vet­te am­met­te­re che le pia­ce­va. Quel­la sfi­da sa­reb­be sta­ta tra Sa­va­te Girl e Wolf lo Squar­ta­to­re e la cit­tà in­te­ra il lo­ro cam­po di bat­ta­glia.

    Impossibili sospetti

    Quel­la mat­ti­na di so­le tut­te le per­so­na­li­tà più il­lu­stri del­la cit­tà era­no ra­du­na­te da­van­ti al nuo­vo, gran­de, par­co dei di­ver­ti­men­ti che avreb­be rap­pre­sen­ta­to non so­lo la gio­ia dei più pic­co­li ma so­prat­tut­to por­ta­to in­gen­te pro­ven­ti nel­le ta­sche di mol­ti di lo­ro.

    E lì c'era­no tut­ti, dal sin­da­co Gior­ge Brol, al pro­cu­ra­to­re ca­po Stuart Gar­ri­son, al com­mis­sa­rio di po­li­zia Gior­dan Jack­son, in­sie­me al suo sot­to­po­sto ser­gen­te Ma­stin Mogg, all'ec­cen­tri­co e il­lu­stre me­di­co chi­rur­go e psi­chia­tra Mi­cheal Sto­ne, al ric­co e fi­lan­tro­po in­du­stria­le Dad­die Jhon­son, fi­nan­zia­to­re del pro­get­to. Con lo­ro una doz­zi­na di rap­pre­sen­tan­ti del­la no­bil­tà lo­ca­le: uo­mi­ni e don­ne ben ve­sti­ti e in­gio­iel­la­ti che guar­da­va­no con di­sap­pun­to le due fi­gu­re che chiu­de­va­no la cer­chia. E in ef­fet­ti sia l'an­zia­na suor Bea­tri­ce che la gio­va­ne Ma­rian­ne era­no pe­sci fuo­ri d'ac­qua in mez­zo al­la no­bles­se obli­ge di quel­la cit­ta­di­na in­gle­se, di­ven­ta­ta fa­mo­sa a cau­sa dei tri­sti av­ve­ni­men­ti del­le ul­ti­me tre set­ti­ma­ne.

    Per quan­to il com­mis­sa­rio ave­va cer­ca­to in tut­ti i mo­di di non far di­vul­ga­re la no­ti­zia o mi­ni­miz­za­re le pa­ro­le dei gior­na­li­sti, con ben tre omi­ci­di e nes­sun in­di­zio sull'iden­ti­tà dell'as­sas­si­no, il no­me Wolf lo Squar­ta­to­re era or­mai sul­la boc­ca di tut­ti. E an­che se fi­no­ra ave­va col­pi­to so­lo nei bas­si­fon­di e uni­ca­men­te pro­sti­tu­te nes­su­no si sen­ti­va più al si­cu­ro: tut­ti ave­va­no pau­ra ad usci­re so­li la not­te.

    E tut­to ciò era de­le­te­rio per gli af­fa­ri del­la cit­tà, co­sì il gio­va­ne Dad­die ave­va pen­sa­to di ce­le­bra­re pro­prio quel gior­no(in an­ti­ci­po di due set­ti­ma­ne) l'inau­gu­ra­zio­ne del par­co gio­chi, da lui vo­lu­to e fi­nan­zia­to, spo­stan­do l'at­ten­zio­ne dei me­dia.

    Giu­sto in quel mo­men­to una doz­zi­na di gior­na­li­sti pre­sen­ti si pro­di­ga­ro­no di fa­re fo­to al sin­da­co, im­mor­ta­lan­do­lo nell'at­to di ta­glia­re il na­stro. Con gio­ia l'omet­to - bas­so, paf­fu­tel­lo, dal pe­ren­ne cap­pel­lo scu­ro a ci­lin­dro per co­pri­re la man­can­za di ca­pel­li e gli oc­chi chia­ri vi­spi e au­da­ci - an­nun­cia­va uf­fi­cial­men­te l'aper­tu­ra del par­co, an­che se di fat­to ci sa­reb­be­ro vo­lu­te due set­ti­ma­ne pri­ma che la gen­te po­tes­se vi­si­tar­lo.

    Ma que­sto non im­por­ta­va a nes­su­no e la tro­va­ta di Dad­die nel far­lo sor­vo­la­re da un di­ri­gi­bi­le sta­va dan­do i suoi frut­ti, di­sto­glien­do an­co­ra una vol­ta l'at­ten­zio­ne sul ma­nia­co e dan­do mag­gior lu­stro al­la cit­tà.

    E non ba­stas­se­ro le lo­di del sin­da­co, sem­pre pro­lis­so di bel­le pa­ro­le, ci pen­sò il gio­va­ne fi­lan­tro­po a fa­re un di­scor­so al­tret­tan­to av­vin­cen­te, in cui so­stan­zial­men­te elo­gia­va i be­ne­fi­ci che la sua ope­ra avreb­be por­ta­to al­la cit­tà e al­lo stes­so tem­po pub­bli­ciz­za­va la sua azien­da all'avan­guar­dia.

    Al­la fi­ne del di­scor­so si pre­se mol­ti ap­plau­si e le lo­di di tut­ti i pre­sen­ti, ma non ci ba­dò più di tan­to. Tut­te le sue at­ten­zio­ni era­no ri­vol­te al­la ra­gaz­za dai ca­pel­li ros­si, co­me del­lo stes­so co­lo­re era l'abi­to dall'am­pia scol­la­tu­ra con an­nes­sa gon­na che le al­tre don­ne de­fi­ni­va­no scan­da­lo­sa, in quan­to spac­ca­ta nel mez­zo la­scian­do ben ve­de­re le lun­ghe gam­be atle­ti­che.

    Si di­res­se ver­so di lei a pas­so svel­to, in­ten­zio­na­to a co­no­scer­la me­glio.

    Ma­rian­ne nem­me­no ci pre­stò at­ten­zio­ne, trop­po in­ten­ta a pun­ta­re lo sguar­do acu­to e pe­ne­tran­te sul­le per­so­na­li­tà più il­lu­stri del­la cit­tà, chie­den­do­si se tra lo­ro si na­scon­de­va l'as­sas­si­no che cer­ca­va.

    In ef­fet­ti l'an­zia­no e gras­soc­cio sin­da­co ce lo ve­de­va po­co in quel ruo­lo, si­cu­ra­men­te più adat­to al bo­rio­so pro­cu­ra­to­re che le but­ta­va oc­chia­te con­ti­nue. Era un uo­mo sul­la qua­ran­ti­na, al­to e pro­por­zio­na­to, di bell'aspet­to, con ca­pel­li ne­ri cor­ti, oc­chi in­fi­di del­lo stes­so co­lo­re e due baf­fet­ti ben cu­ra­ti. Ve­sti­va im­pec­ca­bi­le e ap­pa­ri­va pro­prio un da­me­ri­no dal­la gran­de ar­ro­gan­za, na­sco­sta die­tro mo­di gar­ba­ti che non la in­can­ta­va­no.

    Lo ve­de­va co­me un ser­pen­te del­la peg­gior spe­cie, pron­to a mor­de­re la pre­da al pri­mo se­gno di de­bo­lez­za, per poi ab­ban­do­nar­la una vol­ta spol­pa­ta fi­no all'os­so. Ed era co­sì che fa­ce­va sia in au­la che con le don­ne, non per nien­te ave­va fa­ma di don­na­io­lo e di gran­de av­vo­ca­to.

    Di tutt'al­tra pa­sta era il com­mis­sa­rio Gior­dan. Al­to e com­pat­to dai ca­pel­li bian­chi ra­di e gli oc­chi ca­sta­ni, non si po­te­va de­fi­ni­re né bel­lo né brut­to. Dal vi­so squa­dra­to ma non mal fat­to, se non giu­sto con il na­so schiac­cia­to, era un ti­po for­te

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