Wolf's Attack - La lunga notte della paura
Di Manuel Mura
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Wolf's Attack - La lunga notte della paura - Manuel Mura
saporito.>>
Speranze d'amore
Il sole tramontava in un bagliore di luce dorata, accompagnato nel suo riposo quotidiano da un fresco zefiro che carezzava le spalle.
Il cielo era sereno; un'unica nuvola solitaria, giocava con la tavolozza celeste riversandosi di viola e porpora, mentre una coppia di rondini vi sfrecciava davanti rincasando dal nido.
E come la notte calò la vita si accese nelle vie di Nadél.
L'aria di festa riempiva le narici: l'atteso giorno era finalmente giunto.
Per quella sera regnava sovrana la parola divertimento serpeggiando con intensità tra le vie cittadine non facendo distinzioni tra giovani e vecchi.
Lunghi nastri addobbati con fiocchi colorati ricoprivano le strade in lungo e in largo dando vigore a borghi che perdevano il grigiore abituale, come se le costruzioni stesse assorbissero l'allegria che si diffondeva a macchia d'olio.
Il grido dei bambini, il vociare delle donne, lo scambio di battute degli uomini, lo starnazzare delle anatre unite all'abbaiare dei cani risuonavano come un'unica voce in tutto il villaggio mentre la gente correva verso il centro.
La grande piazza del mercato e le vie del centro erano diventate una girandola di colori, che esplodeva di voci, musica e profumi.
Tra l'erba e i numerosi alberi erano spuntate bancarelle che vendevano dolci e altre tipicità della zona, ma anche sculture, gioielli, oggetti che spacciavano per magici e un'infinita quantità di chincaglierie.
Una compagnia di saltimbanchi faceva il suo spettacolo mentre un mimo attirò l'attenzione dei giovani verso una banda di suonatori; lì accanto un giocoliere con la faccia colorata di verde e vestito da albero faceva rotolare cinque palline contemporaneamente.
C'era un uomo così piccolo che sembrava uno gnomo e anche stando in piedi su una panchina non superava l'altezza dei più giovani; un anziano alto e magro in veste da stregone coperto di lustrini faceva impazzire i bambini: con le mani proiettava illusioni, intesseva magici giochi di luce che prendevano l'aspetto di marionette e poi le faceva muovere narrando delle storie.
Seduto su una fontana, un giovane platinato incantava una piccola folla di donzelle giovani e meno giovani, con una romanza dei tempi antichi raccontata in versi sulle ali della sua cetra.
E su tutto troneggiava il carretto stracolmo di fuochi d'artificio, prudentemente sorvegliato da due armigeri che non avrebbero mollato l'osso fino a mezzanotte, quando finalmente lo spettacolo sarebbe iniziato.
Tutti erano in attesa di quella decantata novità che dal genio inventore appartenente a quel villaggio si sarebbe presto diffusa per tutto il mondo conosciuto.
Il numero delle persone sembrava aumentare a dismisura man mano che si avvicinava l'ora fatidica tanto che molti dovettero accontentarsi di un posto ai margini della grande piazza dove grandi alberi verdeggianti facevano da contorno.
C'era parecchia gente seduta sulle panchine e sdraiate sull'erba con degli asciugami; due marmocchi se ne stavano persino appollaiati su un ramo; la gente aspettava con ansia che si accendessero le luci in cielo come falene verso la fiamma.
Perse nel mucchio non facevano nemmeno troppo caso a chi avevano attorno torcendo il collo all'insù in attesa del fatidico momento sempre più vicino.
Ai margini della piazza seduti sull'erba e coperti dall'ombra di un grosso albero c'era una coppia inusuale che in occasioni diverse avrebbe attirato molti sguardi, soprattutto maschili.
La bellezza straordinaria della donna dalle forme stupende accentuate dalla lunga veste rossa chiaro - che molti avrebbero definito scandalosa per come lasciava intravedere l'ampio seno scollato e in certi momenti anche le lunghe gambe - era qualcosa che lasciava ammaliati.
Alta più di qualsiasi rappresentante del gentil sesso, con viso fine e delicato contornato dai folti capelli che alla luce della luna piena apparivano dorati e dagli occhi azzurri simili a zaffiri, possedeva curve perfette che sembravano modellate da un'artista.
La sua magnificenza avrebbe incantato il più disinteressato degli uomini e scatenato l'invidia della più attraente delle donne.
E come se non bastasse nell'aspetto, la sua grandezza continuava con la postura e la fierezza che si riflettevano nello sguardo imperioso per apparire come la più splendida delle regine, più simile a una dèa che a un essere umano.
Il giovane al suo fianco che le teneva la mano era incantato da tanto splendore considerandosi del tutto inadeguato per quella che credeva essere una dèa.
Quando, due notti prima, l'aveva vista scendere dalla carrozza ne era rimasto così abbagliato da non riuscire più a muovere un muscolo e respirare.
E quando la splendida donna si era girata verso di lui sorridendo amabilmente e rivolgendogli uno sguardo d'intesa aveva creduto che il cielo e la terra potessero spaccarsi in due.
Non era riuscito a dirle una parola rimanendo immobile a fissarla come uno stupido, non potendo credere che quell'essere superiore potesse provare un minimo interesse per un misero stalliere come lui.
Il rumore della tempesta che imperversava non l'aveva destato dallo stato catatonico in cui era caduto: quando la donna si era avvicinata sfiorandogli le labbra aveva accennato una reazione naturale per un uomo come metterle le mani dovunque.
Colto dalla frenesia che non riusciva a spiegarsi e non credeva potesse appartenergli si era comportato come chiunque altro essere maschile avrebbe fatto.
La dèa non si era opposta a una simile sfrontatezza, consentita solo con donne di basso lignaggio ma considerata inconcepibile a una grande dama del suo rango.
A dire il vero, non portava gioielli né preziosi ma l'abito di ottima sartoria che aveva indosso e il suo portamento regale bastava per capire che non era una qualunque.
Le loro labbra si erano sfiorate e sono in quell'istante la donna aveva allontanato con garbo il giovane.
Lo stalliere era convinto d'aver osato troppo e che forse il suo gesto gli sarebbe costato la vita.
Ma non si era allontanato né aveva tentato di fuggire: era rimasto immobile a mirarla, conscio che se doveva morire almeno avrebbe potuto gustarsi quella visione fino all'ultimo.
Dalla stessa carrozza vide scendere un uomo gigantesco dai muscoli possenti che sembrava impossibile potessero essere contenuti nella maglia scura: aveva un cappuccio da boia in testa e una grossa ascia in mano pronta all'uso e credeva che la sua ora fosse arrivata.
Anche la ragazza mora che era al suo fianco sembrava sapesse il fatto suo. Atletica con i capelli neri a caschetto e gli occhi scuri era attraente ma nulla di paragonabile alla dèa che era davanti a lui. L'arco che portava a tracolla, le spade corte legate alla cintura e lo sguardo sicuro che lo trafiggeva avevano avvalorato ulteriormente la sua tragica tesi.
L'ultima componente del quartetto, una ragazza alta e magra dai capelli castani e la carnagione olivastra, non spiccava di certo per bellezza ma si faceva notare per l'abito variopinto come per i vari gioielli sulle esili mani o addobbati al lungo collo.
Aveva anche uno strano bracciale verde scuro attorcigliato al braccio sinistro mentre su quello destro, dopo qualche istante, si posò a sorpresa un falco che evidentemente stava appollaiato in un angolo della carrozza invisibile ai più.
La ragazza non lo degnò di uno sguardo considerandolo un fastidio da eliminare: era stata la prima a parlare facendo capire subito di essere la più loquace del gruppo. Solo dopo comprese che il gigante era muto e la ragazza mora di poche parole.
Aveva presentato la signora come Valeria Augusta, senza aggiungere titoli ma facendo comprendere che solo quel nome così altisonante dava potere di vita e morte su tutti.
Fu la stessa Valeria a prendere la parola: aveva la voce profonda e armoniosa ma allo stesso tempo autoritaria. Era una abituata a dominare.
Si era avvicinata ancora accarezzandogli la guancia in un gesto affettuoso e l'aveva guardato in una maniera che gli aveva fatto venire voglia di stringerla nuovamente a sé.
Ma si era contenuto: la donna aveva presentato i suoi amici. C'era Boia De guardia del corpo e guidatore della carrozza.
Nashara Nash, la ragazza mora fu presentata come un'esploratrice per non dire un'assassina.
Zingaria Zegana presentata come nobildonna anche se tale non sembrava.
Era come riuscisse a leggere attraverso le parole che la dea proferiva e, dopo qualche esitazione riuscì a dire il suo nome, si chiamava Gabriel Gerk.
Dopo aver chiesto dove alloggiasse, Valeria era sparita insieme al suo gruppo raccomandandosi di controllare i cavalli e il giovane si era ritrovato per terra convinto di essersi addormentato e aver sognato l'incontro.
Del resto, quella carrozza poteva appartenere a chiunque ma sogni o no non aveva smesso un attimo di pensarci.
La notte successiva aveva visto la donna meravigliosa affacciarsi alla finestra del suo alloggio.
Avevano parlato molto: a dire il vero era stato lui a farlo raccontando alla donna di sé. Era un trovatello allevato da una famiglia di pastori molto numerosa e povera che aveva lasciato una volta raggiunti i quindici anni in cerca di lavoro. Dopo tanto peregrinare in preda a diversi mestieri era giunto a Nadél dove aveva lavorato in un'osteria, in un'armeria e solo alla fine come stalliere, mestiere che faceva tutt'ora. A dire il vero era un tutto fare ma non si lamentava: aveva da mangiare e un tetto sulla testa, anche se non lussuoso.
Era ormai da diversi anni in quella città e si trovava bene: la gente era brava e si era integrato con gli abitanti senza nessun problema. Inoltre, lì i pericoli erano minimi.
Continuò parlando dello spettacolo che ci sarebbe stato la sera seguente, spettacolo che tutti aspettavano con ansia da molto tempo.
Valeria gli aveva detto di essere diretta a nord, verso il cuore del Sacro Romano Impero e aveva deviato fino a Nadél per via dei fuochi: li aveva visti esplodere in cielo rimanendo colpita da quello strano fenomeno e ancora di più i suoi amici esclusa Zingaria, l'unica ad aver visto una cosa simile ma molto lontano dall'Impero.
Avevano raggiunto il punto da cui provenivano e saputo dall'ometto intento a provarli che la loro origine risiedeva a Nadél grazie alla mente di un geniale inventore di nome Fulgenzio.
Così erano giunti in quella cittadina e avevano incontrato lo strano inventore: sembrava il classico ometto avanti di secoli rispetto agli altri e non era dotato di ospitalità.
Era stata Zingaria a conquistarsi la sua fiducia, l'unica del gruppo che si intendeva di processi chimici e scoperte scientifiche e che comprendeva le strane parole proferite dall'inventore.
Era rimasta con lui la notte precedente per apprendere quante più informazioni possibili e ci sarebbe tornata quella seguente prendendosi una meritata pausa solo la sera dello spettacolo.
Così Valeria e Gabriel si erano dati appuntamento per la magica notte e ora erano seduti vicino, persi uno nello sguardo dell'altra.
Lo stalliere di per sé non era un brutto ragazzo: alto e ben proporzionato aveva capelli castano corti, gli occhi verdi molto chiari e un naso un po' marcato e nel complesso poteva definirsi attraente. Nulla a che vedere con la bellezza della donna seduta al suo fianco che gli rivolgeva sguardi d'amore e pareva estraniata dalla realtà e presa in un amore che probabilmente nemmeno lei sapeva spiegarsi.
Si strinsero le mani sempre più vicino, in attesa delle luci nel cielo.
<<È quasi mezzanotte, amore. Resisti ancora un po'.>>
<
La strinse forte e lei non oppose resistenza, contenta di quel contatto così pieno di calore.
<
Malgrado le innumerevoli persone che affollavano il parco nessuno guardava nella loro direzione: erano i più lontani, seduti nel punto più isolato ed era certo che Valeria non l'avesse portato lì a caso. Voleva rimanere sola con lui e c'era riuscita.
Nashara, nascosta dietro il grosso albero invisibile a tutti, guardava con gioia e preoccupazione la sua signora e quel giovane di cui si era follemente innamorata tanto da non rendersi più conto di nulla.
Per quanto attirasse molti uomini era sua consuetudine non concedersi a loro, e semmai lo faceva per una sola notte che subito dimenticava. Tuttavia, quelle rare volte che prendeva una cotta per qualcuno cambiava, tanto che non era più la stessa.
Valeria era una donna dura e determinata ma bisognosa di un amore che non aveva mai potuto avere e che desiderava sopra ogni altra cosa anche se sapeva che non l'avrebbe mai potuto concretizzare.
Nashara al contrario era stata addestrata all'arte della sopravvivenza e dell'omicidio: prima scout, poi assassina e infine mercenaria, e solo quando aveva conosciuto la sua signora aveva smesso il suo vagabondare giurandole fedeltà e dedicandosi alla sua protezione.
Anche in questo momento stava facendo lo stesso: l'arco era teso e la freccia già incoccata mentre i sensi erano all'erta e lo sguardo volgeva in tutte le direzioni.
Era di sicuro l'unica tesa in quella notte di festa e una delle poche a guardare dovunque tranne che in cielo. E si sentiva ridicola in quel comportamento che appariva così assurdo in quel clima di festa ma c'era qualcosa che l'agitava, sentiva una sorta di pericolo imminente e non sapeva cosa fare.
Tutti festeggiavano, la città era fiorente e sotto la protezione dell'Impero ma qualcosa l'allarmava.
Forse era semplicemente diventata paranoica nel corso degli anni: si preoccupava eccessivamente senza pericoli imminenti. Ma una cosa era certa: aveva i nervi a fiori di pelle e la freccia pronta al