Il lago
Di Alfonso Dama
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Weird - romanzo breve (85 pagine) - Vicende scaturite dalla sua paranoia schizofrenica, o un’esperienza vissuta con qualcosa che il personaggio principale definisce un essere misterioso?
Due ragazze italiane vengono invitate da una loro amica americana a passare un week-end in un bosco del Kentucky, nei pressi della cascata di un fiume. Raggiungono un luogo paradisiaco, con un lago stupendo circondato da foreste fiabesche, con tanto di spiaggia e un vecchio hotel anni venti abbandonato, all’interno del quale si organizzano per passare la notte. Un po’ prese da alcol e cannabis, un po’ dalla magia del luogo, avvertono una sorta di aura che le unisce e capiscono di costituire un club speciale. Si confidano segreti inconfessati e paure, fino a quando qualcosa di misterioso cercherà di spingerle al largo del lago, dove il paradiso da sogno si rivelerà un incubo spaventoso.
Alfonso Dama è nato a New York (USA) il 7 maggio 1961 e dal 1965 vive alle falde del Vesuvio. Ha iniziato a scrivere a quindici anni con un gotico, Il fantasma di Candemburg, e una lunga serie di soggetti per comics. Negli anni ottanta ha collaborato come sceneggiatore di fumetti a varie collane, fra cui quelle della Internazionale Ediperiodici, Tirammolla, Topolino, L’Intrepido e il Corriere dei piccoli. Nello stesso periodo ha scritto Delitto in ascensore, giallo mai pubblicato che si è classificato settimo all’Alberto Tedeschi della Mondadori. Subito dopo ha vinto il premio Dominium per la letteratura internazionale non di genere con il romanzo Le folli notti del camionista poeta, cui è seguito il romanzo breve Il canto delle lucciole da cui è stato liberamente tratto un musical arrivato anche in RAI. Sempre negli anni ottanta ha pubblicato due racconti horror sulla rivista americana Creepy, e nei novanta è passato alla fantascienza. Nel 2012 sono usciti il romanzo Le realtà oscure (Edizioni della Vigna) e l’antologia horror Rantoli dal buio. Nel 2018 è finalista al Premio Urania col romanzo edito da Delos Digital Titano: fuga dal limbo.
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Anteprima del libro
Il lago - Alfonso Dama
Si. Ho avuto un sogno, Charlie. Ma ora sono sveglia e lo odio quel sogno.
Brian De Palma, 1993
Prologo
Registrazione CM 1/11
13 giugno 20…
Professor Johnatan Hartmam, docente di psichiatria consultivo-relazionale presso la University of Southern California, Los Angeles (California, USA).
Trascrizione della registrazione da .mp3 effettuata da Mrs Sally Morton, capo segreteria dell’istituto ricerche psichiatriche presso la suddetta USC, Los Angeles, California.
Soggetto: Miss Sarah Brannon, nata ad Albany il 15 marzo 1968 e residente a Los Angeles in Colorado Ave, 119, Santa Monica.
Mi trovo presso la residenza della paziente in qualità di consulente del dott. Fabio Moriñas.
Sono di fronte a una donna dall’aspetto gradevole, sui cinquant’anni d’età. L’ambiente è confortevole e tranquillo, a parte un’aria un po’ viziata, forse.
Inizio registrazione alle ore 15,30.
Prof. Hartmam: – Allora, signorina Brannon. Il dottor Moriñas mi ha messo al corrente del suo personale percorso.
Miss Brannon: – Sì, certo.
Prof. Hartmam: – Lei, pare, dopo parecchio tempo si sia rivolta a lui…
Miss Brannon: – Oh, professore, mi scusi. Non vorrei… ecco… come dire, non vorrei creare un malinteso. Il dottor Moriñas è stato un fraterno amico per me in tutti questi anni…
Prof. Hartmam: – Lo so, Miss Brannon.
Miss Brannon: – Veda, ci terrei a precisare che è stato lui a insistere di rivolgersi a un consulente. Io… beh, non è mia intenzione offenderla naturalmente, ma…
Prof. Hartmam: – Si rilassi, Miss Brannon. Capisco cosa vuol esprimere e non penso ci sia alcun motivo per offendersi. Mi creda.
Miss Brannon: – Presumo che lei sia qui per conto dell’università, vero?
Prof. Hartmam: – Che intende, di preciso?
Miss Brannon: – Beh, voglio dire che… sono una specie di cavia?
Prof. Hartmam: – Certo che no. Tutte le sperimentazioni le svolgiamo in ambienti specifici, non a casa delle… ehm… cavie, Miss Brannon. E comunque richiedono l’autorizzazione scritta e firmata dai pazienti volontari, o dai loro tutori se si tratta di soggetti dichiarati incapaci.
Miss Brannon: – Capisco.
Prof. Hartmam: – Bene. La prego ancora di rilassarsi. Vogliamo cominciare?
Miss Brannon: – Oh sì, certo.
Prof. Hartmam: – Perfetto. Mi parli delle anfetamine.
Miss Brannon: – Cominciai a farne uso a quindici anni. A causa di una dieta.
Prof. Hartmam: – Una dieta.
Miss Brannon: – Sì, esatto. Una dieta. Mi fu detto che rischiavo la bulimia, in quanto non riuscivo a contenere la fame. Così un dietologo, un certo dottor Sullivan, mi diede queste pillole.
Prof. Hartmam: – Mmm… e questo dottor Sullivan disse, a lei o ai suoi genitori, cosa contenessero?
Miss Brannon: – Sì, ma non quando me le prescrisse. Lo fece dopo.
Prof. Hartmam: – Ho capito. E quando le durò la dipendenza?
Miss Brannon: – Alcuni anni. Poco più di due, credo. Smisi di certo dopo… dopo…
Prof. Hartmam: – Capisco. Continui pure.
Miss Brannon: – Oh, accidenti, non c’è molto da aggiungere. Il dottor Moriñas ha sempre sostenuto che tutto quello che accadde, compresi i miei vuoti di memoria, fosse conseguenza delle anfetamine. Ma io… beh, io adesso non lo credo.
Prof. Hartmam: – Cioè? Cosa intende dire?
Miss Brannon: – Intendo che qualsiasi cosa sia successa lassù… non penso c’entrino le mie anfetamine o le canne che ci facemmo o le birre o qualsiasi altra roba del genere. Perché vede, ora so ciò che avvenne. Adesso ricordo tutto, ed è per questo che ho chiamato Faby… voglio dire il dottor Moriñas, dopo tutto questo tempo.
Prof. Hartmam: – E io è per questo che sono qui, Miss Brannon. Però si renda conto che ho il dovere di analizzare tutti gli elementi possibili che potrebbero in qualche modo entrare o meno in questa storia. Spero che lo comprenda questo.
Miss Brannon: – Oh, certo. Penso sia giusto.
Prof. Hartmam: – Perfetto, Miss. Sono molto felice che lei concordi con me su questo punto. Ora, tiri un bel respiro e mi racconti cosa pen… ehm, insomma cosa ricorda di ciò che accadde davvero nel Kentucky, in quel lontano 1985.
Miss Brannon: – Sì, non vedo l’ora. Ma prima posso chiederle una cosa?
Prof. Hartmam: – Ma certo, signorina.
Miss Brannon: – Posso chiamarla col suo nome di battesimo?
Prof. Hartmam: – Se vuole… Non vedo perché no. Mi chiami pure Johnny.
Miss Brannon: – Oh! Hai uno splendido sorriso, Johnny. Ora che l’ho visto posso dire che è sul serio stupendo. Io adoro i sorrisi, perciò me ne intendo.
Prof. Hartmam: – La… la ringrazio, miss. Iniziamo.
Miss Brannon: – Certo, Johnny. Scusami. Ah, tu puoi chiamarmi Sarah se ti va.
1
Partenza
La giornata sulle prime non aveva promesso nulla di buono. Ma poi, quasi a esaudire le suppliche di Sarah, i nuvoloni che avevano fatto capolino a ovest sparirono di colpo lasciando il posto a una luce dorata e all’aria limpida di una magnifica mattina di giugno.
Trovò le ragazze fuori casa sua alle sette in punto. A Sarah avevano sempre raccontato la storiella che gli italiani fossero poco precisi agli appuntamenti. Beh, di certo non era il caso di Linda e Susanna. Si presentarono entrambe in perfetta tenuta da escursione, con zainetti, scarpe da ginnastica, maglioncini lunghi fino al bacino e shorts ultracorti e attillati che mostravano gambe già arrossate dal sole.
– Abbiamo preso la corriera – esordì Sue con la sua voce squillante. A quell’ora sembrava imitare una sirena d’ambulanza.
– Che spasso – aggiunse Linda, in un sussurro ironico.
Erano molto diverse tra loro. Linda alta, coi capelli castano chiaro sciolti sulle spalle e occhi scuri, vispi e profondi, a rimarcare lineamenti spigolosi.
L’amica esile, piuttosto bassa. Capelli nero-pece, con sfumature blu cobalto che qualche parrucchiere da strapazzo le aveva spruzzato sopra, corti ma folti, e con una frangia che crollava fino a uno zigomo. Il viso dolce era disturbato da un piercing al naso e da stranianti occhi verdi, da gatto. La prima timida ma sorniona, acuta. L’altra casinista e un po’ ochetta, anche se a volte a Sarah sorgeva il dubbio che ci marciasse, e non poco.
– Allora, first lady. Ci hai promesso una sorpresa, o sbaglio? – fece Sue col tipico fare sospettoso che pareva moltiplicarle le vaghe lentiggini sul naso.
Erano davanti alla staccionata di Sarah, sul lato esterno del giardino. Lei se ne stava appoggiata alle assi con le braccia conserte e fissava le due amiche con un vago sorriso. – Eh, sì… – rispose in modo misterioso.
– Avanti allora, muovi il culo da quella vernice puzzolente e stecchiscici! – ululò Susanna, facendo partire di nuovo la sirena d’emergenza.
Sarah annuì e si mosse languida, quindi le guidò verso il lato sud, sul retro della casa, ancheggiando in modo vistoso come a imitare una opulente star di Hollywood.
La casa era uno di quei villini in stile coloniale, tipici della periferia, con mezzo tetto spiovente, intonaco grigio chiaro e lunghe finestre a ghigliottina. Di fianco c’era il garage, un baraccone con soffitto in lamiera, situato a pochi metri dall’abitazione. In quel momento esibiva all’ingresso una spider rosso fuoco, con le fiancate dipinte da cornici e disegni a spray. Il volante bianco latte le donava un aspetto vintage, anni cinquanta.
– Beh? Che ne dite? – fece Sarah.
– Oh, mio Dio! – esclamò Linda, elargendo un sorriso lieve ma compiaciuto.
– Caazzooo! – Sue fu più esplicita, sgranando gli occhi ed esibendo quanti più denti poteva in un autentico delirio. – Non ho mai fatto un viaggio in spider! Intendo un vero viaggio. Capite? Questa poi è da salone dell’auto di Torino. Giuro!
– È stato un regalo di Frankie Tudd – fece Sarah. – Oh… – mosse una mano come a scacciare una mosca – non la macchina. Questa era di mio padre. Il restauro, voglio dire. Lui è molto bravo in queste cose. Un vero mago.
Linda aggrottò la fronte. – Sì, ma l’ha rovinata con quei graffiti – disse.
Sue la guardò di sbieco. – Ma no. Danno un tocco artistico, diciamo. Da LSD.
Scoppiarono a ridere tutt’e tre.
– Mmm… – Susanna fissò Sarah dritto negli occhi cerulei. – Frankie Tudd, l’artista tenebroso… mmm…
– Ma smettila! – l’amica tentò di tornare seria senza riuscirci.
– È carino, dai, su!
– Sai che c’è? Non riesco a vederlo sotto quell’aspetto. Siamo amici da quando frequentavo le elementari. È… beh, è gentile.
– Voi americane.