La canzone di Sam
Di Hannah Howe
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Info su questo ebook
L'amore fa male. Per Derwena de Caro, cantante,
icona femminile, sogno di ogni adolescente, il successo ha portato droghe, alcol e un
fidanzato infedele. Ha anche portato ricchezza, fama e
uno stalker, o almeno così raccontava lei. Ed è qui che entrai in scena io, per
indagare sull'identità dello stalker, senza rendermi conto che
la pista mi avrebbe condotto a un omicidio e a uno scandalo che avrebbe riempito i titoli dei giornali per mesi.
L'amore fa male. Per me, Samantha Smith, investigatrice privata,
l'amore è arrivato alla fine di una lotta. Per prima cosa, ho dovuto combattere
con una madre alcolizzata, che mi ha riversato addosso le sue frustrazioni
per tutta l’infanzia, poi mio marito Dan,
che considerava la violenza domestica parte integrante del
matrimonio. Ma sono sopravvissuta. Ho ottenuto il divorzio, mantenuto il mio
senso dell'umorismo e conservato un'aria di ottimismo. Ho avviato la mia attività e mi sono guadagnata il rispetto dei colleghi. Tuttavia, non ero preparata al rientro di Dan nella mia vita, o all'affetto riversato su di me dal dottor Alan Storey, uno psicologo capace di grande empatia e piuttosto attraente.
La canzone di Sam. La storia di una settimana che mi ha cambiato la
vita per sempre.
Hannah Howe
Hannah Howe is the bestselling author of the Sam Smith Mystery Series (Sam's Song, book one in the series, has reached number one on the amazon.com private detective chart on seven separate occasions and the number one position in Australia). Hannah lives in the picturesque county of Glamorgan with her partner and their two children. She has a university degree and a background in psychology, which she uses as a basis for her novels.Hannah began her writing career at school when her teacher asked her to write the school play. She has been writing ever since. When not writing or researching Hannah enjoys reading, genealogy, music, chess and classic black and white movies. She has a deep knowledge of nineteenth and twentieth century popular culture and is a keen student of the private detective novel and its history.Hannah's books are available in print, as audio books and eBooks from all major retailers: Amazon, Barnes and Noble, Google Play, Kobo, iBooks, etc. For more details please visit https://hannah-howe.comThe Sam Smith Mystery Series in book order:Sam's SongLove and BulletsThe Big ChillRipperThe Hermit of HisaryaSecrets and LiesFamily HonourSins of the FatherSmoke and MirrorsStardustMind GamesDigging in the DirtA Parcel of RoguesBostonThe Devil and Ms DevlinSnow in AugustLooking for Rosanna MeeStormy WeatherDamagedEve’s War: Heroines of SOEOperation ZigzagOperation LocksmithOperation BroadswordOperation TreasureOperation SherlockOperation CameoOperation RoseOperation WatchmakerOperation OverlordOperation Jedburgh (to follow)Operation Butterfly (to follow)Operation Liberty (to follow)The Golden Age of HollywoodTula: A 1920s Novel (to follow)The Olive Tree: A Spanish Civil War SagaRootsBranchesLeavesFruitFlowersThe Ann's War Mystery Series in book order:BetrayalInvasionBlackmailEscapeVictoryStandalone NovelsSaving Grace: A Victorian MysteryColette: A Schoolteacher’s War (to follow)What readers have been saying about the Sam Smith Mystery Series and Hannah Howe..."Hannah Howe is a very talented writer.""A gem of a read.""Sam Smith is the most interesting female sleuth in detective fiction. She leaves all the others standing.""Hannah Howe's writing style reminds you of the Grandmasters of private detective fiction - Dashiell Hammett, Raymond Chandler and Robert B. Parker.""Sam is an endearing character. Her assessments of some of the people she encounters will make you laugh at her wicked mind. At other times, you'll cry at the pain she's suffered.""Sam is the kind of non-assuming heroine that I couldn't help but love.""Sam's Song was a wonderful find and a thoroughly engaging read. The first book in the Sam Smith mystery series, this book starts off as a winner!""Sam is an interesting and very believable character.""Gripping and believable at the same time, very well written.""Sam is a great heroine who challenges stereotypes.""Hannah Howe is a fabulous writer.""I can't wait to read the next in the series!""The Big Chill is light reading, but packs powerful messages.""This series just gets better and better.""What makes this book stand well above the rest of detective thrillers is the attention to the little details that makes everything so real.""Sam is a rounded and very real character.""Howe is an author to watch, able to change the tone from light hearted to more thoughtful, making this an easy and yet very rewarding read. Cracking!""Fabulous book by a fabulous author-I highly recommended this series!""Howe writes her characters with depth and makes them very engaging.""I loved the easy conversational style the author used throughout. Some of the colourful ways that the main character expressed herself actually made me laugh!""I loved Hannah Howe's writing style -- poignant one moment, terrifying the next, funny the next moment. I would be on the edge of my seat praying Sam wouldn't get hurt, and then she'd say a one-liner or think something funny, and I'd chuckle and catch my breath. Love it!""Sam's Song is no lightweight suspense book. Howe deals with drugs, spousal abuse, child abuse, and more. While the topics she writes about are heavy, Howe does a fantastic job of giving the reader the brutal truth while showing us there is still good in life and hope for better days to come."
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Anteprima del libro
La canzone di Sam - Hannah Howe
Alla mia famiglia, con affetto
Capitolo primo
_______________________________________________
Ero seduta nel mio ufficio e tamburellavo con le dita sulla scrivania aspettando che il computer si avviasse. Come al solito avevo le unghie rosicchiate fino alla carne, un’abitudine seccante della quale stavo cercando di liberarmi, e come sempre il mio computer stava avendo uno dei suoi ‘momenti’. Come la maggior parte degli oggetti nel mio ufficio, il computer era un modello ricondizionato, il massimo che potessi permettermi. Quello era il mio giorno fortunato e il programma si aprì. Selezionai il file appropriato e stavo per mettermi a scrivere un rapporto investigativo quando entrò un uomo che teneva in una mano un bastone da passeggio con la punta d’argento e nell’altra un cappello fedora in feltro.
Samantha Smith, investigatrice privata?
chiese.
Alzai lo sguardo dalla tastiera e annuii. Vuole assumermi?
Era una domanda che facevo a tutti quelli che entravano nel mio ufficio. I soldi erano pochi e avevo bisogno di clienti. Nei primi anni la mia voce assumeva quasi una punta di disperazione quando ponevo quella domanda, un che di miserabile che ben si accordava al mio sguardo implorante. Di recente avevo modificato il tono e l’espressione, ma alle mie orecchie suonavo ancora tesa.
Prima posso entrare?
chiese pazientemente l’uomo con il fedora.
Feci cenno con la mano alla sedia destinata ai clienti e borbottai: Oh, mi scusi. Certo. Si accomodi.
L’uomo con il bastone e il cappello di feltro si guardò intorno nell’ufficio. Osservò le pareti color mela bianca, che avevo dipinto di recente, l’attaccapanni, il mio trench color crema, ci tengo a interpretare la mia parte, e la malconcia scrivania in rovere acquistata a buon prezzo a un mercatino dell’usato. In verità, a parte un paio di schedari di colore grigio ferro, non c’era altro da vedere, perciò i suoi occhi si posarono su di me.
Bell’ufficio
disse sorridendo educatamente.
Accennai di sì.
Lanciò un’occhiata alle mie spalle verso la finestra rigata di pioggia, l’unica fonte di luce naturale nel mio ufficio al primo piano. Probabilmente la vista non gli piacque perché il labbro superiore gli si deformò in un ringhio alla Elvis Presley. Quartiere schifoso.
Alzai le spalle. Il mio ufficio si trovava a Butetown, nella città di Cardiff, vicino al porto. Non era una zona salubre. In effetti, esercitavo la mia professione in una via decisamente squallida, ma era tutto ciò che potevo permettermi.
Si mosse qua e là sulla sedia, poi si illuminò in un sorriso che rivelava un’otturazione d’oro sul canino destro. Effettivamente, mia giovane donna, vorrei assumerla.
Quale sarebbe il suo nome?
chiesi io.
Milton,
il suo sorriso si intensificò. Milton Vaughan-Urquhart.
Si sporse in avanti e mi tese la mano destra, che strinsi. La sua stretta era un po’ floscia. Notai che aveva unghie ben curate e che la pelle delle mani era liscia come quella di un bambino.
D’accordo, Milton, quindi intende ingaggiarmi.
Per conto di Derwena de Caro.
Fece una pausa ad effetto drammatico.
Spinsi indietro i capelli sulla spalla. Presi una matita. Affondai la schiena nella sedia di finta pelle. Feci roteare la matita tra le dita e a Milton presentai un sorriso educato. Me la stavo giocando alla grande, come se dei manager di pop star multimilionarie entrassero nel mio ufficio ogni giorno della settimana.
Ha sentito parlare di Derwena de Caro?
domandò accigliato.
Certo
. Avevo sentito parlare di Derwena. Avevo sentito dire che era capace di essere una rompiballe a cinque stelle, una diva del pop che spingeva all’esasperazione colleghi musicisti e accoliti. Che avessi bisogno di soldi era dolorosamente vero. Ma avevo bisogno di tutto il bagaglio emotivo che si accompagnava a Derwena de Caro? Pensavo di no.
Non ha avuto successo con una canzone qualche anno fa?
Cercavo nella mia mente il nome della canzone. "Non era Love Bullet?"
"Come up to me, baby, hold me real close, you know I’m the one who loves you the most, and I wanna shoot all my love bullets into you," intonò Milton. Aveva una voce terribile, come quando si graffia con il gesso sulla lavagna.
Non ne scrivono più di canzoni così,
sospirai.
In realtà, lo fanno,
mi corresse Milton. "Woody, il chitarrista e ragazzo di Derwena, era l’autore di quel testo e ha messo insieme per lei una serie di canzoni classiche per il prossimo album, Midas Melange. Ok, Derwena ha attraversato un periodo di crisi creativa. Adesso è tutta una questione di hip-hop e rap, battute al minuto, è difficile per una cantante più melodica come Derwena sfondare, ma tornerà alla grande con Midas Melange."
Milton si appoggiò allo schienale della sedia dei clienti. Piantò la punta d’argento del bastone sul pavimento dell’ufficio. Il pavimento era di assi nude, stavo risparmiando per comprare un tappeto. Faceva girare il pomo bulboso in cima al bastone tra le sue dita flaccide. Mi guardò con dolci occhi castani, pieni di attesa. A quel punto un gatto saltò dentro attraverso un’apertura nella finestra laterale e atterrò sulla mia scrivania.
Merda!
Milton si portò una mano alla gola, sistemandosi il fazzoletto da collo nello sforzo di ricomporsi. Che diavolo è?
Accarezzai il gatto e lui fece le fusa, strofinando la testa umida contro il dorso della mia mano. Questo è Marlowe. E non gridi in quel modo, si innervosisce.
Marlowe, un gatto randagio dall’aspetto malconcio e segnato dalle battaglie, mi aveva adottato. Una mattina ero entrata nell’ufficio e me l’ero trovato lì. Era saltato dentro dalla finestra laterale, che era aperta, attraverso il tetto di una rimessa al piano terra. Gli diedi un piattino di latte e il giorno dopo era tornato chiedendo cibo, miagolando come un violino mal accordato. Tre mesi dopo, eravamo ancora insieme, il che era un record per me in quanto a recenti relazioni maschili.
Marlowe si sedette sul bordo della mia scrivania. Aprì le gambe, si sporse in avanti e cominciò a leccarsi i genitali. Non farlo, Marlowe, gemevo interiormente, almeno non di fronte a potenziali clienti. Ma Marlowe andava di lingua. Suppongo che un gatto debba fare quello che deve fare un gatto.
Lanciai un’occhiata a Milton e notai che aveva alzato il sopracciglio destro in segno di curiosità. Annuì con approvazione. Se solo fossi così agile.
Arrossii. Divento rossa facilmente. È tipico di chi ha le lentiggini e i capelli ramati.
Marlowe continuò a leccarsi le parti intime. Poi gironzolò sulla mia scrivania, trovò uno spazio sufficientemente libero e si raggomitolò a palla, facendo le fusa fino ad appisolarsi.
Derwena pensa di essere vittima di stalking.
Milton aveva ripreso il filo del discorso, proteso in avanti, appoggiando le braccia al bastone, che era piantato tra le sue gambe.
E lo è?
domandai.
Milton si strinse nelle spalle grassocce. Sulla quarantina, era flaccido intorno alla vita con le gambe corte. Ben rasato, aveva un abbondante doppio mento e guance morbide. I capelli castani ondulati arrivavano fino al collo e pettinati con la scriminatura a destra rivelavano una fronte alta. Si scostò i capelli dal colletto in modo vanesio, poi esibì un sorriso sottile. Derwena è un’artista,
spiegò, è soggetta a voli di fantasia.
Quindi lo stalker è tutto nella sua mente.
Scrollò di nuovo le spalle, offrendomi un sorriso teso, educato, ma doloroso. Oppure potrebbe essere reale. L’industria della musica attrae un sacco di svitati.
Come Derwena de Caro, pensai, ma ero maligna. Dopotutto, se la mia vita apparisse sui giornali domenicali, la gente difficilmente mi vedrebbe come la Casalinga dell’anno.
Perché ingaggiare me?
chiesi, sinceramente curiosa.
Milton Vaughan-Urquhart si guardava le unghie. Ci soffiò sopra e poi le lucidò sul panciotto di tweed. Non ci sono così tante investigatrici private in giro.
Grazie per il voto di fiducia.
Se sono sembrata sarcastica è perché ultimamente stavo attraversando un periodo difficile. In effetti, erano trentadue anni che avevo un periodo difficile, ma si cerca di cavarsela, non è vero, sperando che splenda il sole, prima o poi.
E Derwena ha insistito perché assumessimo un agente investigativo donna,
continuò Milton. Così ho indagato presso i suoi coetanei maschi che hanno detto che lei è la migliore.
Quello sarà stato Mickey Anthony, anche lui segugio. Era sempre pronto con una parola gentile su di me, ma era un donnaiolo e sospettavo un secondo fine. Accetta il complimento, diceva l’angioletto dentro la mia testa, lavori dannatamente duro, sei coscienziosa e non molli mai finché il cliente non è soddisfatto. Ma non gradivo l’apprezzamento. Ho sempre trovato difficile ricevere degli elogi.
Il mio campo sono più i divorzi.
Eccomi di nuovo sulla difensiva. Era una strategia per trovare il modo di affrontare la situazione e, essendo una donna sola in questo gioco, ne avevo bisogno in abbondanza.
Vuole rimanere in questa topaia per sempre?
Milton si guardò intorno nell’ufficio. Mi guardò di traverso. Il suo tono era sorprendentemente duro. Da quello che ho sentito lei ha una buona reputazione tra i suoi colleghi. È affidabile, meticolosa e piena di risorse. Ma una buona reputazione da sola non basta a mettere i tappeti sui pavimenti o le tende alle finestre. Quindi le chiedo di nuovo, vuole restare in questa topaia per sempre?
Era una topaia. Ma mi piaceva il mio ufficio. Mi piacevano le persone del quartiere. Tuttavia, ero leggermente ambiziosa e sapevo che dovevo mettermi alla prova e progredire. Inoltre, avevo una sfilza di conti da pagare entro la fine della settimana. Avevo bisogno di quei soldi. I mendicanti non possono fare troppo i difficili, quindi scrollai le spalle, la mia tariffa è venticinque sterline l’ora, più le spese.
Sapevo che mi stavo sottovalutando. In effetti, se avessi una sorella gemella, probabilmente metterei un annuncio del tipo assumetene una e l’altra lavora gratis
.
Milton si guardò fissamente gli anelli e l’orologio da polso d’oro che adornavano la mano sinistra e il braccialetto con piastrina ID sempre d’oro che pendeva dal polso destro. Sorrise. Penso che possiamo arrivare fino a venticinque sterline l’ora. Siamo sistemati a Castle Gwyn. Viviamo e registriamo lì. Lei conosce il castello?
Annuii.
Venga da noi a mezzogiorno. Derwena dovrebbe essere in piedi a quell’ora.
Le piace dormire.
Le sessioni di registrazione magari vanno avanti fino alle prime ore del mattino. La sua voce è spesso al meglio dopo il tramonto.
Milton Vaughan-Urquhart si alzò. Si sistemò in testa il cappello di feltro e poi si raddrizzò le cuciture dei pantaloni marroni con gessato fulvo. Portava anche le ghette, notai, color cuoio e bianche. Controllò l’orologio da tasca, poi si rimise l’orologio nel panciotto. Un orologio da tasca e un orologio da polso. O quest’uomo aveva origini svizzere o era ossessionato dal tempo. Ci vediamo a mezzogiorno.
Lanciai un’occhiata a Marlowe. Stava ancora dormendo, senza dubbio sognava i topi. Forse nella prossima vita potrei essere un gatto. Feci un cenno di assenso con la testa. A mezzogiorno.
Milton uscì dall’ufficio. Mi misi a fissare la scrivania. C’erano due cassetti. Uno conteneva una bottiglia di whisky, l’altro una pistola. Avevo una regola ferrea: il whisky era puramente per scopi terapeutici e, come per tutti i medicinali, non bisogna mai superare la dose indicata. La mia dose raccomandata era di due dita al giorno, al massimo. Avevo visto mia madre bere gin come se fosse acqua. In effetti, il mio primo ricordo di mia madre è di lei ubriaca stravaccata su una sedia, una bottiglia vuota di gin nella mano floscia. Dovevo avere tre o quattro anni all’epoca. Ero stata in luoghi oscuri, ma non avevo alcun desiderio di finirci di nuovo. Due dita, massimo. Era la mia dose consigliata. Il secondo cassetto della scrivania conteneva una Smith and Wesson .32. Con quella avevo sparato per rabbia, anche se non avevo ucciso nessuno. Pensai alla pistola. A un potenziale stalker. Aprii il cassetto e infilai l’arma nella borsetta a tracolla. D’accordo, quindi si frammischiava con trucchi, fazzoletti, assorbenti, ma che diavolo, prevenire è meglio che curare. Avevo un’ora da ammazzare. Abbastanza tempo per completare il rapporto e consegnarlo al cliente. Così mi incurvai sulla tastiera e con Marlowe disteso sulla scrivania, mi guadagnai il pane.
––––––––
Capitolo secondo
_______________________________________________
Viaggiavo in direzione nord-est, verso la periferia di Cardiff. Guidavo una Mini moderna. È vero, l’auto mi aveva indebitata fino al collo, ma avevo bisogno di qualcosa di affidabile nel caso dovessi dare la caccia ai ‘cattivi’. Più che altro, avevo bisogno di qualcosa su cui poter contare nel caso in cui i ‘cattivi’ decidessero di dare la caccia a me.
Era una giornata cupa, umida e piovigginosa, in cui l’autunno scivolava nell’inverno. In quel momento ero in campagna e cercavo di adocchiare attraverso i tergicristalli il cartello che diceva ‘Castle Gwyn, in quella direzione’. Trovai il segnale a una svolta che portava al castello. La strada era stretta, con una sola corsia, ma liscia, appena riasfaltata. Percorsi mezzo miglio lungo quella via, finché il castello apparve davanti a me, ergendosi maestoso tra alberi.
Castle Gwyn era un capriccio architettonico vittoriano, un castello con un ponte levatoio, un fossato asciutto e torri che evocavano cavalieri senza macchia, principesse e favole. Le torrette rotonde erano state imbiancate, gwyn significa bianco in gallese, e brillavano come fari luminosi sullo sfondo dei boschi scuri. Attualmente, il castello veniva impiegato come set cinematografico, location per ricevimenti e feste nuziali, oltre che come studio di registrazione. Il pensiero dei ricevimenti di nozze mi fece venire in mente il mio ‘giorno speciale’ e la luna di miele trascorsa al pronto soccorso, ma questa è un’altra storia.
Parcheggiai la Mini e scesi dalla macchina. Mi stavo ancora guardando intorno quando Milton attraversò il ponte levatoio, portava un ombrello al posto del bastone. Aveva qualcosa nella mano sinistra, un badge per ‘accesso a tutte le aree’.
Le conviene indossarlo.
Milton mi diede il tesserino di riconoscimento. Lo appesi al collo facendomi passare il cordino sopra la testa. Il castello ha degli agenti di sicurezza che pattugliano di tanto in tanto e non vogliamo che le saltino addosso, vero?
Mentre attraversavamo il ponte levatoio ed entravamo nel cortile, osservavo il badge, fissando la mia foto. Dove ha preso questa fotografia?
chiesi.
Internet. Ricorda il caso Beatrice Black?
Annuii. Lo ricordavo. Beatrice era una prostituta di Cardiff. Era stata assassinata e dopo sei mesi di indagini la polizia brancolava nel buio. Fui contattata dalla famiglia che mi chiese se potessi essere d’aiuto. Ficcanasai qua e là, fui fortunata e, per farla breve, riuscii ad assicurare una condanna. Per un paio di giorni la mia faccia venne sbattuta su tutti i giornali locali e su internet. Ero contenta per la soddisfazione di aver risolto il caso, ma odiavo la pubblicità. Fin da bambina ho sempre detestato farmi fotografare.
Camminammo sulla ghiaia del cortile producendo un lieve acciottolio ed entrammo nell’edificio. L’interno era strabiliante, con decorazioni che coprivano ogni centimetro di spazio sulle pareti e sul soffitto. Scene tratte dalla letteratura arturiana correvano lungo le pareti: Artù sul suo cavallo, Lancillotto che bacia Ginevra, Bedivere che lancia Excalibur nel lago. Al di sopra api, uccelli e farfalle piombavano da tutte le parti, coprendo il soffitto in uno spettacolo di energia e colore che mi faceva girare la testa. In verità, era troppo. Troppo appariscente, troppo esagerato. Ma tenete presente che questo commento viene da una che vive in un’abitazione modesta con vista sulle officine del gas.
Milton posò il suo ombrello in un supporto di ottone mentre io appesi il mio trench in un armadio grande quanto il mio appartamento. Poi entrammo nella sala principale.
Trovammo Derwena nel salone, di nuovo una stanza sgargiante, che però offriva il sollievo di piastrelle delicatamente decorate che andavano dalla boiserie al soffitto. Derwena era sdraiata su una chaise longue e guardava i soliti programmi televisivi pomeridiani. Era vicina ai trent’anni con i capelli biondi ossigenati, lunghi e crespi.