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Life/Death
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E-book278 pagine3 ore

Life/Death

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Fantasy - romanzo (205 pagine) - Non tutti hanno un drago invisibile come copilota


Mikeal è uno studente della TechnoMedics High School di Urania con la passione per le gare di auto supersoniche, virtuali e non… e una misteriosa voce nella testa.

I suoi genitori sono preoccupati, la voce lo fa sentire diverso da tutti gli altri, ma come un copilota invisibile, lo rende anche un asso a bordo della sua auto-razzo e nelle interrogazioni. Almeno finché il Fàrmakon, l’ultima malattia mortale rimasta sul pianeta, non allunga i tentacoli sul ragazzo per trascinarlo in uno stato in bilico tra la vita e la morte.

È così che Mikeal finisce in un mondo oltre il mondo, e si ritrova di fronte un gigantesco drago piumato. Con l’aiuto di vecchi e nuovi amici, dovrà lottare per la propria anima e per la propria pelle. Ma nel viaggio a cavallo tra il mondo della vita e quello della morte, alle prese con prove, rivalità e primi amori, scoprirà che nulla è come appare.

E che anche la più grande paura può trasformarsi in un dono.


K.P. Twins è lo pseudonimo di due fratelli gemelli. Nati ad Arezzo, classe 1984, dopo il diploma classico hanno proseguito gli studi rispettivamente in lingue e letterature straniere e in filosofia e lavorano come traduttore e insegnante.

Autori all’esordio, hanno un cassetto pieno di concept da sviluppare e alcuni libri in uscita. Amano chiamare il loro genere “fantascienza evolutiva”: un mix di tematiche fantascientifiche e sciamaniche che affronta temi come i limiti della realtà oggettiva, l’esistenza dei mondi spirituali e la capacità che questi ultimi hanno di influenzare le nostre vite.

LinguaItaliano
Data di uscita18 gen 2022
ISBN9788825418859
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    Anteprima del libro

    Life/Death - K.P. Twins

    I Parte – Ombre e voci

    Capitolo 1

    L’infermiere si passò una mano tra i capelli brizzolati, squadrandolo dalla testa ai piedi. – Via tutto, ragazzino. Anche gli orecchini.

    – Sissignore – lo canzonò Mikael e si sfilò i due teschietti di metallo dai lobi delle orecchie, appoggiandoli sul tavolo accanto.

    L’infermiere sospirò. – Dannati marmocchi…

    Mikael finì di spogliarsi e buttò i vestiti su una sedia. Tremò un po’ mentre saliva la gelida scaletta di metallo appoggiata alla vasca cilindrica davanti a lui. Il liquido dentro ribolliva e girava, creando un piccolo vortice.

    Arricciò il naso. La puzza di zolfo gli provocò un colpo di tosse. Si immerse piano nel fluido, gelido nonostante il suo sobbollire. Si era sempre chiesto come fosse possibile; forse, se in classe fosse stato più attento, adesso l’avrebbe saputo.

    Dai, buttati fifone; lo sai che non succede niente. Datti una mossa.

    Mikael scosse la testa, dandosi un buffetto sulla tempia, e tossì ancora. Una piccola fitta gli attraversò il petto.

    L’infermiere batté sul vetro. – Ehi, tutto a posto ragazzino?

    Mikael tossì un’ultima volta e fece cenno di sì. S’immerse del tutto; trattenne il respiro finché poté, ma alla fine dovette per forza dare una boccata. Il liquido gli entrò in gola e nel naso, congelandogli le vie respiratorie. Mikael odiava quella parte. Il fluido scese sempre più giù, fin nei polmoni; adesso li riforniva direttamente d’ossigeno.

    Un infermiere più giovane, seduto a scrutare un tablet olografico dietro una scrivania, alzò il pollice. Si vede che era un pivellino, se doveva cercare i dati in quell’affare. La sua voce raggiunse ovattata l’interno della vasca. – Parametri nella norma.

    – Molto bene – rispose quello anziano. – Procediamo.

    Le bolle si fecero più grandi e numerose, e il fluido iniziò a turbinare, scaldandosi.

    – L’Ambrosia è stabile. – L’infermiere giovane si mise a smanettare al tablet. – Soggetto: Mikael Drovsky. Età: quindici anni. Altezza: un metro e settanta. Peso: sessantotto chili. Siamo dimagriti, eh?

    Mikael si sforzò di sorridere e alzò un pollice in risposta.

    – Hai sorelle o fratelli? – urlò l’infermiere giovane. Le sue dita sfioravano l’aria mentre immetteva le informazioni nel dispositivo olografico.

    Mikael fece di no con la testa. Le bolle gli solleticavano la pelle.

    L’infermiere si voltò verso il collega anziano. – OK, abbiamo finito. – Chiuse il file, si appoggiò allo schienale della sedia, indossò gli occhiali scuri e si stirò, portandosi le mani dietro alla nuca.

    Anche l’altro si schermò gli occhi e abbassò la leva posta sul lato esterno del grosso cilindro di vetro. Incrociò le braccia e aspettò.

    L’Ambrosia si agitò con forza, addensandosi e sollevando Mikael fino a farlo fluttuare a metà della vasca. Emise un fortissimo bagliore, si tinse del giallo e del verde acido dell’alba nucleare, infine virò verso il blu scuro.

    Mille punti luminosi si accesero, come un cielo stellato, e lo trafissero infinite volte da parte a parte. Mikael arcuò la schiena; era come se fosse attraversata da lame roventi. Era lì che succedeva la magia. Ormai lo sapeva bene, dopo tutte le procedure a cui si era sottoposto.

    Il fluido si placò e si schiarì, ribollendo piano. I piedi di Mikael tornarono a toccare il fondo della vasca. Si dette una spinta e raggiunse la superficie.

    Era fatta.

    Sputò anche i polmoni. L’infermiere anziano gli passò un telo. Mentre si asciugava buttò fuori gli ultimi residui di Ambrosia in una bacinella, tossendo.

    – I fotoni hanno finito. – L’infermiere giovane batté una mano sulla scrivania. – Adesso sei come nuovo, ragazzo! – Scorse una serie infinita di dati, fra cui Mikael riconobbe una struttura di Dna e una sfilza di numeri che dovevano essere dell’analisi del sangue e della composizione ossea. – Tutto regolare. Patologie pregresse: varicella, rosolia – continuò sfiorando l’ologramma. – Uh, e policondrite! Puoi ringraziare l’Ambrosia se sei vivo, ragazzo.

    Mikael recuperò i vestiti dalla sedia su cui li aveva abbandonati. Molti di loro potevano ringraziare l’Ambrosia, se erano vivi.

    Ambrosia, fotoni… Davvero pensate che sia tutto merito della vostra tecnologia?

    Mikael sospirò, infilando il piede nell’anfibio.

    L’infermiere anziano si accigliò. – E non ti scordare che domani hai il test diagnostico del Fàrmakon.

    – Sì, sì, il Fàrmakon… – borbottò lui, rinfilandosi gli orecchini. Ma figuriamoci! Era rarissimo e prendeva solo ai vecchi artritici.

    Mikael uscì dall’ambulatorio e percorse il corridoio che lo separava dall’uscita. I tubi al neon ronzavano sul soffitto, e il rumore dei suoi anfibi rimbombava tra le pareti. Estrasse il tablet olografico dalla tasca dei suoi jeans strappati e lo avvicinò alla bocca. – Chiama Devin!

    Nel giro di pochi secondi l’amico apparì davanti a lui sotto forma di una piccola proiezione azzurrina, emessa dai diodi olografici del suo device.

    – Pianeta Urania chiama Mikael! Ma che fine hai fatto? – Devin non gli diede tempo di aprire bocca. – Sei in ritardo! Io e Ralph ti stiamo aspettando… – si guardò attorno – dove sai tu!

    – Sì, sì, scusatemi. Oggi avevo l’Ambrosia, ti ricordi? – Sospirò. – Me l’avevano spostata.

    – Dai, muoviti. Qua i motori fremono. Questi non aspettano mica te.

    – Arrivo! – Uscì dall’edificio e si diresse verso la fermata più vicina di bus a reazione. – Dì a Ralph di accendere la Matrix e di scaldarla, intanto. In dieci minuti sono là. Sono carico: stasera straccio tutti.

    – OK, campione. Com’è andata con l’Ambrosia?

    – Normale. – Mikael aumentò il passo. – Domani invece mi fanno il test per il Fàrmakon. Che palle! Non sono passati nemmeno tre mesi dall’ultimo! Ma non si faceva ogni sei?

    – Ma te a lezione dormi? Stanno intensificando i controlli. Ieri il professore di nanopatologia diceva che l’incidenza sui giovani è sempre più alta – recitò scimmiottando il tono serio del Professor Ekbert.

    Un rombo fece tremare la pensilina della fermata. Si aprirono le porte, e Mikael saltò sul bus a reazione che l’avrebbe portato dritto sul luogo della corsa. – Diciamo che ieri mattina mi ero un po’ perso in una videoreview di Add-On… – Ridacchiò e si mise a sedere.

    – Te non prendi la cosa sul serio perché non hai ancora perso qualcuno che conosci. Un’amica di mia mamma l’ha avuto e ti posso garantire che non è stata una cosa divertente.

    – No, certo che no. Il Fàrmakon non è divertente… – borbottò Mikael, mentre i grattacieli di vetro e metallo sfilavano fuori dal finestrino. Si portò una mano alla bocca, mordendosi l’unghia del pollice. Per prendere il Fàrmakon ci voleva una bella dose di sfiga.

    Capitolo 2

    Stanno per sorpassare il tuo amico. Attenzione alla destra.

    Mikael sbatté le palpebre e scosse la testa. Ancora quella voce. – Chiudi a destra! – urlò all’ologramma di Devin che fluttuava sul cruscotto.

    Scalò di colpo dalla settima alla quinta marcia e il motore dell’auto supersonica ringhiò, alzando i giri. La Matrix dette uno strappo indietro, sottolineato da un fischio delle piccole gomme laterali.

    – Bevi, bella. Bevi!

    Il propulsore detonò, emettendo una fiammata.

    La Matrix ripartì al galoppo. Mikael strinse lo sterzo, cercando di tenere a bada le oscillazioni della punta.

    – Dannata bagnarola a reazione, tieni la traiettoria!

    Lo specchietto retrovisore gli mostrò l’auto-razzo del suo migliore amico che sbandava a destra, sigillando la strada con il suo didietro infuocato. Molto bene, i concorrenti dietro di lui ora si potevano anche attaccare.

    Era il momento. O tutto o niente.

    Mikael schiacciò l’acceleratore a tavoletta, tirando al massimo il motore della Matrix. La carrozzeria di alluminio rattoppato vibrò, mentre lui guadagnava la prima posizione.

    Ce l’aveva fatta! Adesso mancava solo Devin.

    L’ologramma dell’amico vibrò sul cruscotto: un paio di occhialoni da aviatore sbucavano da un cespuglio di rasta ondeggianti. – Mi sa che a fine corsa Ralph mi dovrà riguardare le sospensioni!

    Mikael sistemò lo specchietto. Devin stava cercando di attaccare invano il fianco dell’auto supersonica in seconda posizione, mentre la sua sobbalzava, provocando una fontana di ghiaia.

    L’amico recuperò la direzione che i piccoli salti gli avevano fatto perdere. – Ascolta, ma come diavolo facevi a sapere che dovevo chiudere?

    – Sai benissimo come facevo a saperlo! Piuttosto apri bene le orecchie, che tra poco arriva la tua occasione! – Mikael, aggrappato al volante, stava tenendo a distanza l’auto supersonica che lo seguiva. Se lo poteva sognare di sorpassarlo.

    – Ti dirà cosa devo fare anche stavolta?

    – Certo. Me lo dice sempre. Non mi pare che te ne sei mai lamentato, finora.

    – Oh, no, davvero! – ridacchiò Devin, e chiuse il volante a destra per eseguire un tornante molto stretto. – Almeno c’è qualche vantaggio nell’avere un amico fuori di testa…

    – Ne vorresti uno normale?

    – Mai detta una cosa del genere. – Devin aprì la traiettoria dopo il tornante e si piazzò a centro pista.

    Mikael vacillò. La testa si fece pesante e, per un attimo, la vista gli si annebbiò.

    Deve passare all’interno. Deve dare il massimo.

    La voce. Ci aveva sperato. Sbatté la mano sul volante. – Ci siamo quasi. Sei pronto?

    – Sono nato pronto, amico! Dimmi tutto.

    – Molto semplice: prendi velocità in scia…

    Devin lo interruppe con una risata. – Non serve sentire le voci come te per capirlo! – E accorciò la distanza che lo separava dal secondo posto.

    Mikael strinse i pugni attorno al volante – È una voce sola, sempre la stessa. Sta zitto e ascolta! – Si stava facendo più flebile. Rischiava di perderla. – Alla prossima curva a destra, il furbone in seconda posizione penserà che vuoi sorpassarlo dall’esterno e allora allargherà a sinistra. Hai una possibilità di sorpassarlo nella traiettoria interna, ma solo se spingi il motore al massimo. – Gettò un’occhiata allo specchietto retrovisore; l’auto-razzo dietro di lui stava già iniziando ad aprirsi. – Devi spremere la tua Trinity, perché per riprenderti lui sterzerà a destra, e non sarà gentile. Se ti ci trova ti prende in pieno e fate un bell’incidente. Se non ti ci trova, invece, sbatte sul guardrail e finisce fuori strada. Chiaro?

    Devin alzò i giri del motore. – Limpido come un sole nucleare, capo!

    L’auto-razzo al secondo posto aprì a sinistra. Devin spinse il gas al massimo e la Trinity schizzò all’interno della curva. L’altro se ne accorse e tentò di chiudergli il sorpasso, ma Devin era già avanti. Come risultato, l’avversario finì dritto nelle fiamme del propulsore della Trinity, prendendo fuoco e sbandando con un testacoda. Il pilota saltò fuori appena prima che la vettura esplodesse. Devin aveva guadagnato il secondo posto.

    Il suo ologramma esultante tremolò. – Ha fatto i fuochi artificiali! Questo te l’avevano detto?

    Mikael gli rivolse un mezzo sorriso. – Diciamo… che non ne ero sicuro. – Tagliò il traguardo con Devin alle spalle, e, in una nuvola di polvere, raggiunse il piazzaletto che era stato eletto a loro box. Parcheggiò con cura la Matrix, e Devin gli mise accanto la Trinity.

    Ralph sbucò da dietro un muretto e aiutò Devin a slacciare l’imbragatura che lo teneva ancorato al seggiolino. – Bella mossa, prima! Dove hai imparato certi trucchetti?

    – Be’, non è tutta farina del mio sacco – gli rispose l’amico, strizzando l’occhio a Mikael.

    Ralph fece un sorrisetto e andò ad aiutare anche lui, che scese dal posto di guida e si voltò di scatto. Qualcuno, dietro di lui, stava sbraitando.

    – Ehi, cretino, mi hai tagliato la strada! – Il pilota della macchina esplosa spintonò Devin.

    Ralph prese una grossa chiave inglese e dalla cassetta degli attrezzi e andò incontro al pilota appiedato brandendola in aria. – Se le corse vere ti fanno paura, vai a giocare con quelle virtuali! – esclamò, roteando l’utensile.

    L’aggressore alzò le mani, arretrando. – OK, calmati, amico… È solo che non è stato proprio correttissimo, però… – Si voltò e se la dette a gambe.

    – Bravo, vai a casa! – gli urlò dietro Devin. – Se non hai la macchina te ne prestiamo una!

    Mikael scoppiò a ridere. – Vado a prendere il premio. Sbrighiamoci prima che arrivino gli sbirri! – disse voltandosi. – Intanto accendete quelle bellezze, devono tornare in garage.

    – Ah, Ralph – gridò Devin alle sue spalle, mentre camminava verso gli organizzatori della gara – mi devi rifare…

    – Sì, sì gli ammortizzatori! – rispose l’amico. Il rombo del reattore seguì il crepitio dei cavi scoperti sotto il cruscotto. – Non ce li dimentichiamo al prossimo giro!

    Mikael attraversò la pista e raggiunse un banchetto di assi di legno sbilenche con un tetto di lamiera. Sotto, un tipo in evidente sovrappeso si sventolava con un pezzo di cartone.

    – Salve, devo ritirare il premio per la mia squadra.

    Senza scomporsi, l’uomo gli allungò una carta olografica contenente il montepremi di quella sera.

    Mikael estrasse di tasca il suo tablet e ce la inserì. – Solo 100 v-coin? – si lamentò. – Andiamo, c’era un sacco di gente a bordo strada a guardarci!

    Il tizio sudaticcio scosse piano il capo e appoggiò una mano sotto al banco. Attraverso le assi sconnesse del tavolino, impugnava una pistola a impulsi.

    – OK, è stato un piacere correre alla vostra gara… alla prossima! – Mikael forzò un sorriso e camminò all’indietro per qualche passo, poi si voltò e si allontanò a passo svelto.

    Scosse la testa, mentre tornava dal suo team. Che Bastardi! Era sempre la solita storia: centinaia di spettatori paganti, e a loro che rischiavano la pelle andavano le briciole.

    Estrasse la carta olografica e se la rigirò un po’ tra le dita, mentre percorreva a ritroso il tratto che lo separava dagli amici e dai bolidi. Accelerò il passo quando fiancheggiò la vettura esplosa, ancora fumante. I componenti della squadra avversaria si voltarono a guardarlo.

    – Ehi, ragazzi! – urlò Mikael, sovrastando il rombo dei motori. – Indovinate quanto abbiamo qua? – Lanciò per aria la carta olografica.

    Devin si allacciò il casco. – Almeno trecento. Cento a testa, no?

    – Magari… – Ralph alzò gli occhi, agganciando il seggiolino di fortuna che lo avrebbe riportato al garage.

    – Già – disse Mikael annuendo. – Cento. Tolti il carburante e le gomme, diviso tre… rimane una miseria.

    – Dannazione! – Devin diede un calcio alla terra, sollevando uno sbuffo di polvere. – Queste stupide gare clandestine non pagano abbastanza! Avessimo dei bolidi così anche in V-Race, stracceremmo perfino Brad.

    – E forse la smetterebbe di tormentarci – aggiunse Ralph.

    Devin agitò i pugni in aria. – Gli farei vedere io a quel coglione!

    Mikael roteò gli occhi. – Sì, come no! Saresti un vero campione. – Gli indicò il sedile. – Dai, salta sulla Trinity e vediamo di sparire di qua prima che arrivi la Guardia Planetaria.

    Capitolo 3

    Sua madre si versò del tè sintetico. Aveva le occhiaie più marcate del solito. – Hai fatto tardi stanotte.

    Suo padre alzò un sopracciglio e scostò il tablet olografico con le news apposta per guardarlo. Si schiarì la voce. – Quando ti tornano normali, quelli? – domandò. Diede un tiro alla pseudosigaretta, che baluginò, e si rimise il tablet davanti.

    Mikael sbadigliò e si passò una mano tra i capelli arruffati, ma erano così stopposi che rimase incastrata. Si riferiva al colore verde lime o alla cresta? Bah, poco importava. Lo ignorò e si mise a sedere al tavolo della cucina.

    – Mi sono attardato con Devin… in un locale dove suonava… – si strinse nelle spalle.

    Il reattore del vecchio drone domestico sputazzò, emettendo un filo di fumo. Il robot provò a portargli la vaschetta contenente la colazione preconfezionata, ma si bloccò a metà strada.

    – Dannato barattolo cingolato… – sussurrò Mikael. Si alzò, gli andò incontro e gli assestò un pugno, spegnendolo del tutto; prese la sua vaschetta e si rimise a sedere.

    – Certo, se fai così non migliora – gli fece notare la madre.

    – Quando lo cambiamo? – Mikael tirò via la pellicola dalla vaschetta. – È da mesi che arriva a stento al tavolo.

    Il padre sbuffò una voluta di fumo entottico che ricordava la vaniglia. – Dobbiamo prima finire di pagare la riparazione del reattore dell’auto al padre di Ralph.

    Mikael annuì e mandò giù un boccone di uova sintetiche. Quel catorcio! La schedina con i v-coin che aveva in tasca gli parve di colpo pesantissima. Doveva dare la sua parte della vincita a Ralph, per abbassare il debito con suo padre? Non era molto, ma avrebbe dato una mano. La bocca gli divenne secca. E anche per quel mese addio texture per la povera Rat! Magari la prossima volta poteva chiedere a Ralph qualche lavoretto sottobanco a costo zero. La macchina a reazione dei suoi era un vero ferrovecchio!

    – Ancora con queste gare clandestine! – esclamò il padre.

    Mikael sussultò e sputò un pezzo di uovo. Come cavolo aveva fatto a scoprirlo?

    – Ce n’è stata un’altra stanotte, nella periferia della città – continuò il padre, scorrendo lo schermo olografico col dito.

    Mikael riprese fiato. Stava parlando delle news!

    – Io non capisco una cosa. – La madre alzò la testa dal pannello di controllo del drone domestico. – Com’è che la Guardia Planetaria non li prende mai quei teppistelli?

    A Mikael scappò un sorriso mentre sorseggiava il suo caffè destrutturato. Perché scappiamo prima, avrebbe voluto dirle. E poi acciuffare quei bolidi non era mica semplice. Chissà che faccia avrebbero fatto i suoi se avessero visto la Matrix. Se li immaginò ad andarci al lavoro, con un bel seggiolino magnetico per il passeggero agganciato dietro al sedile del pilota. Sghignazzò.

    Il padre gli lanciò un’occhiataccia, e la risata gli morì sulle labbra.

    Mikael si alzò da tavola e gettò la vaschetta della colazione nel compattatore automatico. Fantasticò ancora un po’ su suo padre alla guida del razzo da corsa, ma si fermò quando lo immaginò spalmato contro il primo lampione. No, non era proprio la macchina adatta a lui. E poi la Guardia Planetaria li avrebbe fermati subito, se avessero girato per le strade con le auto supersoniche: di omologato, come dicevano gli adulti, non avevano neppure il volante. La Matrix stava bene dov’era, nel suo garage, in compagnia della Trinity.

    Intanto la discussione sulle corse clandestine aveva continuato e si stava accendendo.

    – È ovvio, gli organizzatori hanno conoscenze in alto – esclamò il padre, infervorato – altrimenti non si spiega perché li lascino andarsene impuniti! – Appoggiò il tablet sul tavolo e aspirò un tiro di pseudosigaretta.

    – Be’, mi pare evidente – gli dette spago la madre, riuscendo, dopo svariati tentativi, a riavviare il drone. – Quello che non capisco è perché qualcuno vorrebbe rischiare una Morte Traumatica in maniera intenzionale. Ci sono le gare virtuali per divertirsi. Sono legali e sicure! Perché a certi non bastano? Devono rendere

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