Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Fòbia
Fòbia
Fòbia
E-book205 pagine3 ore

Fòbia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Fòbia è una città segnata da una maledizione: ogni quarant’anni un angelo cattura le anime di alcuni cittadini. 
La trama è incentrata sulle vicende di Noah, un falegname venuto dal Maine, Thomas, il commissario di polizia del borgo, e Marcel, un bambino di nove anni. I tre, una volta entrati in contatto l’uno con l’altro, perdono fisicità, divenendo invisibili. Scopriranno che ciò è legato alla maledizione che affligge il borgo e che solamente una volta che si troveranno tutti e tre nello stesso luogo potranno annullare tale maledizione e sconfiggere l’angelo.
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2022
ISBN9788869633010
Fòbia

Correlato a Fòbia

Ebook correlati

Narrativa horror per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Fòbia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Fòbia - Mattia Coda

    Mattia Coda

    FÒBIA

    Elison Publishing

    © 2022 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869633010

    Indice

    PROLOGO

    LA MALEDIZIONE DI NOAH

    IL CASO NICHOLAS

    IL SOGNO DI MARCEL

    L’OSPEDALE DI FÒBIA

    IL LUOGO DEL DELITTO

    DICEMBRE 1990

    FÒBIA: 1950

    FANTASMI

    INFERNO

    ADDIO

    SOLITUDINE

    MEZZANOTTE

    L’ANGELO

    ANIME

    ALBA

    EPILOGO

    PROLOGO

    La vita in paese scorre tranquilla. La monotonia non consente di scandire il tempo a dovere: niente di nuovo nemmeno oggi. La gente sa tutto di tutti, non si può nascondere ai propri compaesani neanche un pensiero. Basta un semplice movimento, un piccolo guizzo nello sguardo per far capire tutto di sé. Non si può nascondere l’esito di una visita medica troppe volte rimandata; non si può nascondere la perdita del lavoro tanto agognato per un semplice momento di follia o per una futile distrazione; non si può nascondere l’inizio di un nuovo amore, figuriamoci un tradimento. Ma oggi niente di tutto questo è accaduto: niente di nuovo. E tra le risate di una compagnia che si gode una birra fresca al tavolino di un bar dopo una faticosa giornata di lavoro e i soliti ripetuti pettegolezzi scambiati tra le donne del club di lettura può fare notizia anche una semplice piuma che cade leggiadra dal cielo, sconfitta dalla gravità. Può fare notizia: l’importante è trovarla. Fu proprio in questo modo che una bella giornata invernale si tramutò in un incubo per una comunità intera. La monotonia di un tranquillo borgo sito troppo lontano dal mare e ugualmente distante dalla montagna fu improvvisamente interrotta, mentre una piuma danzava fluttuando nell’aria troppo calda per essere una tranquilla giornata invernale.

    LA MALEDIZIONE DI NOAH

    I

    Noah frugò rapidamente nella tasca interna del giubbotto, in cerca del portafoglio. Lo estrasse e si rese conto per un attimo di quanto fosse malridotto. «Dicono che il portafoglio sia in grado di rappresentare la vita di ogni uomo. Se così fosse la sua è piuttosto malandata» disse in tono scherzoso il fioraio. Noah lo guardò senza proferire parola, sfilò una banconota in parte accartocciata, pagò il fioraio, gli rivolse un accenno di sorriso e riprese a camminare per la sua strada. Era il 16 dicembre 1990 ed era diretto al cimitero di Fòbia: i fiori erano destinati a colmare il vuoto creato nel suo cuore dalla morte della moglie Sarah, venuta a mancare solamente qualche mese prima. Oramai si recava di rado al cimitero, la sua attività richiedeva un tempo sempre maggiore e lui ne andava fiero, specialmente dopo aver sacrificato gran parte della sua salute a seguito del trasferimento in Italia dal Maine. Il lavoro gli consentiva di evitare lunghi viaggi mentali che lo inducessero alla disperazione prima e alla depressione poi. Pensava tanto anche mentre intagliava, piallava e levigava il legno, ma erano pensieri diversi. Erano pensieri normali. Nel silenzio assoluto della sua casa, invece, i pensieri si facevano pericolosi. Noah poteva giurare persino di aver sentito la voce di Sarah o di aver visto delle luci mentre si trovava disteso nel suo letto, sotto le coperte. Una voce femminile, una voce celestiale, ma pur sempre una voce paranormale, che non avrebbe mai dovuto sentire. Solo grazie al lavoro riusciva a mantenere quella che lui stesso considerava una regolare sanità mentale. Non era unicamente un mezzo di sostentamento, ma per Noah era soprattutto un mezzo per tornare alla normalità.

    Anche Sarah era originaria del Maine, ma per uno strano gioco del destino i due si conobbero solamente durante il viaggio che dall’aeroporto di Londra portava al terminal di Milano. Nessun intermediario, nessun amico in comune: il loro agente sentimentale era stato semplicemente il check-in. Una coincidenza che i due avevano sempre definito meravigliosa. Avevano vissuto in Italia per circa dodici anni, sempre insieme, sempre amandosi, sempre rispettandosi. L’anno prima erano giunti a Fòbia e, nonostante l’ottimismo della moglie, Noah si accorse che il destino aveva deciso di voltare loro le spalle. Il destino o il check-in. Nonostante le rassicurazioni di Sarah, lui si convinse sempre più che la casa che avevano deciso di acquistare come emblema dei sacrifici del passato e come simbolo materiale del loro amore fosse maledetta. Non una di quelle maledizioni lanciata dagli indiani americani e rivolta contro i futuri popoli che avrebbero conquistato e abitato le loro terre. Piuttosto una maledizione personale, come se qualcuno avesse scelto le loro vite per divertirsi con i loro destini, come se fossero il centro rosso di un bersaglio mobile, come se effettivamente la loro permanenza sulla Terra avesse una scadenza ben precisa, marchiata sui loro corpi da chissà quale dio. E ogni giorno che passava Noah ne sentiva il peso sulle spalle. Talvolta ne percepiva persino l’odore. Gli affari nella sua falegnameria andavano piuttosto male. Concorrere contro gli artigiani residenti era un’idea folle, specialmente nei piccoli borghi legati alla tradizione popolare. Sarah invece era riuscita a trovare un lavoro come cuoca in una piccola trattoria, il cui proprietario aveva avuto l’idea di amalgamare le ricette culinarie tipiche con quelle americane. Anche questa un’idea folle, ma che a quanto pare funzionava. Naturalmente il piatto che maggiormente suscitava la curiosità gastronomica degli abitanti di Fòbia era la rivisitazione del Lobster roll, che in realtà ricordava solo in maniera vaga i sapori tipici delle coste americane.

    Gli affari per Noah iniziarono ad andare davvero bene solamente dopo che il destino avesse terminato la manovra di girata delle spalle, ossia soltanto dopo che Sarah fu ritrovata misteriosamente senza vita nelle scale della loro casa, completamente nuda e con un taglio sotto il seno, talmente profondo da mostrare il colore bianco della costola. Quando Noah trovò il corpo inerme della moglie sentì la terra sbriciolarsi sotto ai piedi e nell’oblio mentale che accompagna i momenti successivi ad un dramma come questo, il falegname ricorda di aver cercato la data di scadenza impressa sul corpo di sua moglie. Ma se realmente lo ha fatto Noah, per vergogna o ripudio verso se stesso, non lo ha mai riferito a nessuno. Per quanto gli abitanti del piccolo borgo avessero aiutato il falegname venuto dal Maine nei giorni successivi alla morte di Sarah, né i vestiti della donna né l’arma del delitto furono mai ritrovati. Da quel giorno Noah aveva imparato a convivere con il compimento della sua maledizione e con l’odore della stessa. Noah lo definiva un odore di bruciato e presto ne avrebbe potuto dare conferma.

    Arrivò alle porte del cimitero, caratterizzate da un arco in granito sovrastato dalla statua di un grande angelo, soprappensiero e non si accorse del cane pezzato bianco e marrone che lo seguiva fiutando il profumo di vernice che lasciava dietro di sé. Gli piaceva ascoltare i suoni della natura che lo circondavano, le voci pacate degli abitanti del piccolo borgo che lo aveva accolto, ospitato e sostenuto. Era dovuto passare in falegnameria per lavorare ad un grosso portone destinato alla Chiesa di Fòbia nonostante fosse domenica e l’odore di legno, di coloranti e addensanti chimici gli era rimasto addosso. Naturalmente lui non faceva più caso a tutti quegli odori e profumi, gradevoli o meno, dato che il suo olfatto negli anni ne era divenuto completamente assuefatto. Per quanto fosse umile, Noah era orgoglioso dei suoi lavori. Non si trattava di vanità, ma semplice constatazione del fatto che nel suo campo era un ottimo artigiano. La morte di Sarah aveva perlomeno permesso agli abitanti del paese di osservare le sue realizzazioni, senza quel velo di pregiudizio che altera tutte le visioni umane e che la maggior parte delle persone rivolge verso un nuovo arrivato. Un misto di invidia e diffidenza che stava letteralmente affossando il falegname. Ma da quel momento tutti avevano visto e riconosciuto la reale abilità di Noah.

    L’aria era umida, il sole si nascondeva dietro grosse nubi e di tanto in tanto una pioggia leggera bagnava il capo rado dell’uomo. Pensò che i fiori non sarebbero durati a lungo senza uno sprazzo di luce che donasse loro un po’ di energia vitale. La lapide di Sarah era semplice: una croce di legno che lui stesso aveva realizzato sulla quale erano incise le date che mostravano a tutti quanto fosse durata troppo poco la sua vita. Era la sua unica opera di cui non andava fiero, l’unico lavoro che non avrebbe mai voluto realizzare. E davanti a quella semplicità sentiva nuovamente il peso della maledizione ricadere sulle sue spalle, come se quella fatalità fosse troppo ingiusta e che il prezzo pagato fosse davvero troppo esagerato. Che ho fatto di male per meritarmi tutta questa sofferenza, pensò Noah. Era un pensiero che affiorava ogni qualvolta si trovava dinanzi alla croce di legno che custodiva le reliquie della moglie. E subito dopo questo pensiero, come se la sua mente fosse in realtà un piccolo macchinario automatico, ne scaturiva sempre un altro: la mia sofferenza è nulla in confronto a quello che ha passato lei, accompagnato da un senso di colpa. Dall’angolo degli occhi sgorgarono due lacrime che gli solcarono lentamente le guance. Non ci fu il tempo di versarne delle altre che il suo sguardo venne attratto da un gioco di luci, uno scintillio che gli fece voltare la testa rapidamente, verso sinistra. Fu un bagliore simile a quello che si vede quando si apre una finestra e la luce del sole riflessa viene sparpagliata per un secondo in ogni direzione. Ma là dove si trovava lui non vi erano case o palazzi nelle vicinanze con vetri a specchio o altro di simile, né tantomeno c’era il sole. Pensò distrattamente che fosse piuttosto uno scherzo della sua mente malandata e riportò il suo sguardo sulla croce che segnava il nome di Sarah Clarke per riprendere la sua contemplazione, tra sofferenza e senso di colpa.   Ma quando lo fece era ormai troppo tardi: il cane che aveva seguito il suo odore aveva già la zampa posteriore sollevata e un flusso liquido si stava riversando sulla lapide della persona che aveva amato di più al mondo. Ancora con i fiori in mano Noah scattò velocemente e istintivamente sul cane, sferrando un calcio che colpì l’animale proprio sotto l’orecchio destro. Vari schizzi di sangue si formarono sulla croce e sporcarono il nome e le date incise sul legno, il cane guaì con latrati sempre più forti, poi in un secondo stramazzò al suolo.

    E fu proprio in quell’attimo che capì: la maledizione che si era abbattuta su Noah White, l’uomo venuto dal Maine, non era ancora del tutto compiuta.

    II

    Noah rincasò velocemente, la pioggia si era fatta fitta e solamente sull’uscio della porta di casa si accorse di avere ancora i fiori stretti energicamente nella sua mano destra. Aveva percorso il tragitto a passo svelto, senza badare alla pioggia che lo bagnava rendendolo fradicio, ma con un’unica immagine fissa nella mente. Non era quella del cane privo di vita, ma quella della croce di legno di Sarah, oltraggiata dal sangue. Era quell’idea che lo impauriva e che considerava l’emblema della maledizione. Ad ogni passo che compiva il peso sulle sue spalle si faceva sempre più intenso e quando raggiunse la porta della sua casa il suo corpo era ingobbito ed uncinato. Non era solamente un peso metaforico, lo poteva capire dal cedimento delle sue ossa che percepiva sempre più. Chiuse la porta alle sue spalle e si appoggiò su di essa, poi si tolse il cappotto e lo fece cadere pesantemente a terra, facendo scricchiolare le assi in legno che costituivano il pavimento della vecchia abitazione. Si recò velocemente in bagno, dove si liberò di tutte quelle sensazioni negative, rimettendo con suoni gutturali e dolorosi. Rimase a fissarsi allo specchio e quasi non si riconobbe. Stette così in piedi per un tempo indefinito: osservava i suoi occhi e non vi trovava Noah. Vedeva solamente un uomo invecchiato prima del tempo, un uomo sofferente, un uomo maledetto. Quel pensiero continuava a martellargli la mente, come se la sua vita fosse già giunta al termine. La mia data di scadenza si avvicina, pensò e si vergognò nuovamente per quel gesto insulso che aveva in qualche modo oltraggiato il corpo senza vita di Sarah. Dopo una manciata di minuti, che a Noah parvero infiniti, riuscì a distogliere lo sguardo dallo specchio. Si sentiva sporco. Ma ancora quel pensiero gli attraversò il cervello come una freccia. Non sono sporco. Sono maledetto. Si distese sul letto che per anni aveva condiviso con Sarah e rimase con gli occhi aperti verso il soffitto a ripensare a ciò che gli era capitato quella strana sera. Immaginò persino quale sarebbe stata la reazione di Sarah nel sapere che aveva macchiato una cosa sua. Si battibeccavano sempre per questo. E mentre chiuse gli occhi, un sorriso gli apparve sul viso ora leggermente più sereno. Immerso com’era nei ricordi e oramai quasi assopito non si accorse neanche quando la parete di camera sua si illuminò fievolmente, come se alcune candele fossero state accese dentro la sua vecchia casa. L’odore di bruciato pervase la camera, ma quando Noah si ridestò da quel sonno profondo era già lunedì mattina e un nuovo giorno di lavoro e di fatica lo attendeva come sempre.

    III

    Il grande portone di legno commissionato da Don Paulo venne terminato il sabato notte successivo. Noah decise di rimanere in falegnameria fino a mezzanotte inoltrata, in modo tale da poter installare l’opera la mattina successiva prima che iniziasse la messa destinata ai fedeli. Era un evento che il piccolo borgo attendeva con trepidazione, non solo perché anticipava il Natale, ma anche perché era tradizione del paese cambiare il portone della Chiesa ogni quaranta anni esatti. Si trattava di un evento dunque molto atteso, che consentiva di recuperare le antiche tradizioni e allo stesso tempo di rinnovare continuamente l’aspetto della struttura ecclesiastica. Le incisioni dovevano narrare qualche passo della Bibbia e l’onere della scelta ricadeva proprio sul falegname. Noah aveva scelto un passo che sin da piccolo lo aveva affascinato e terrorizzato: l’esodo degli Ebrei. Aveva dedicato molte ore a leggere e rileggere la Bibbia per cercare di cogliere ogni minimo dettaglio e tentare di riprodurlo in immagine scolpita in basso rilievo sul legno di rovere. Aveva cercato di raccontare l’esodo in scene di medie dimensioni, dal momento in cui l’angelo della morte si portò via le anime dei primogeniti fino all’arrivo nella Terra promessa.

    Il portone era pesante e per installarlo Noah avrebbe avuto sicuramente bisogno di un aiuto. Pensò che l’indomani mattina avrebbe chiesto a Oliver, il suo vicino di casa, se i suoi due figli avrebbero potuto dargli una mano, naturalmente dietro ricompensa. Chiuse quindi la serranda del laboratorio e si diresse a passi lenti e stanchi verso casa, che distava solamente qualche decina di metri dalla falegnameria. La schiena gli doleva e l’età iniziava a presentare il conto. Nei giorni in cui dedicava maggiore tempo al lavoro le fitte di dolore diventavano insopportabili, e quel sabato era uno di quei giorni. Infilò la chiave nella serratura ed entrò, chiudendo la porta alle sue spalle. Anche stavolta non si accorse del cane, straordinariamente identico a quello che lo seguì la domenica precedente, al quale chiuse praticamente l’anta sul muso. Schiacciò l’interruttore della luce ma questo non provocò alcun effetto: capitava spesso a Fòbia che il paese rimanesse senza corrente, specialmente durante l’inverno. In ogni modo Noah non ci fece caso, si tolse il cappotto lasciando che la gravità facesse il resto. Cadde con un pesante tonfo a terra, facendo scricchiolare come al solito il pavimento in legno. Noah rimase immobile per qualche minuto aspettando che gli occhi si abituassero al buio. Quando cominciò a familiarizzare con gli spazi si diresse sulle scale che conducevano alla camera da letto, sentendo nuovamente uno strano peso sulla schiena, sicuramente diverso dalla stanchezza e dal genere di dolore provocato dalle fitte muscolari. Si appoggiò dunque sul materasso, quasi sfinito, volgendo lo sguardo al soffitto per allentare il dolore alla cervicale. La camera era buia e dalle finestre di vetro poteva accorgersi di quando fosse tornata la luce. La maledizione. Ecco cos’è quel peso. È tornata. Cercò di distogliere la mente da quel pensiero, tentò di ritrovare un briciolo di razionalità, che generalmente andava svanendo con l’allungarsi delle ombre. Ma nonostante gli

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1