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Vite perdute
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E-book244 pagine2 ore

Vite perdute

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Info su questo ebook

Uomini in fuga dal proprio passato verso sogni di normalità e successo. Ma il destino attende paziente e beffardo, afferra i loro corpi e li trascina incontro a vittime che non sanno di attendere.
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2022
ISBN9791220391689
Vite perdute

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    Anteprima del libro

    Vite perdute - Augusto Galli

    Cane giallo

    Vedi gli animali

    Scaltri sosia immolati l’uno all’altro

    Fratelli immacolati che confondono le Ombre

    In un deserto di sangue.

    Paul Eluard

    I

    Si fece la scoperta grazie a un piattino non restituito. Da oltre tre giorni.

    Figurarsi, una precisa come la Zenardi, aveva confidato la signora Oderzi a una mezza dozzina di suoi intimi.

    Il piattino conteneva due cucchiai di fragole alla panna, vanto della scala C.

    Tutti i tentativi di clonare la ricetta erano miseramente falliti. La Oderzi ne teneva ben stretto il segreto, insieme a quello dei suoi anni. Si mormorava, forse a sproposito,  che la portinaia fosse a conoscenza di entrambi.

    Ieri non l’ho vista portar giù la frazione dell’umido,  precisò l’Astolfi. Che dallo spioncino posto sulla porta d’ingresso registrava, come dal periscopio di un sottomarino, i movimenti di chi passava  per il pianerottolo.

    Notizia che non lasciò indifferenti gli ascoltatori: la raccolta differenziata dei rifiuti era anch’essa un vanto della scala C. Possibile che la vedova Zenardi, Olimpia Zenardi anagraficamente parlando, avesse incrinato uno dei pilastri su cui poggiavano orgoglio e senso d’appartenenza della comunità di scala?

    A questo proposito, l’amministratore era stato perentorio: la scala C meritava l’Oscar per pulizia ed osservanza delle regole rispetto all’intero condominio. Soddisfazioni che non giungono a caso: anni di bisbigli, riunioni segrete in casa di questo o quello, conciliaboli di pianerottolo in pianerottolo, erano serviti a cementare un popolo, smussando i riottosi e fidelizzando ai capi i deboli e i semplici.

    Si dovrà parlarne alla portinaia, meglio subito.

    Crociani avrebbe formulato identico suggerimento anche da sotto le macerie fumanti dell’intero edificio: uomo d’ordine, confidava appieno nelle istituzioni cui attribuiva il compito di risolvere le situazione scabrose e volentieri delegava la responsabilità di agire. 

    Secondo me, meglio chiamare la polizia

    Monti, un passato da bidello, era sempre l’ultimo a parlare. Si sentiva investito dalla missione di concludere le discussioni che nascevano con una proposta ‘di buon senso’.

    Non per nulla era uno dei capi, lui cullava l’illusione di essere ‘il primo capo’ causa la supremazia culturale che reputava lo innalzasse sugli altri.

    Ha parlato catastrofe!.

    La Oderzi non perdonava la cronica mancanza del Monti nel rendere omaggio ad una ‘vera signora‘ quale sapeva d'essere.

    Sta tardando nel restituirmi un piattino, mica ha rubato i gioielli della regina..

    L’ultimo sceneggiato televisivo, un polpettone storico, l’aveva commossa fino alle lacrime.

    Monti stava aprendo bocca per replicare da par suo quando, evocata dallo spirito dell’assemblea, comparve la portinaia. Ansimante, l’ascensore era guasto da giorni, piombò al centro della scena assumendo immediatamente il controllo della situazione.

    Non sono stata consultata. Mi faccio meraviglia di lei, Oderzi, che dice di esserle tanto amica: cos’è questa storia della Zenardi? Vi ricordo che ha sempre fatto fronte ai suoi doveri.

    Specie quando si tratta della mancia natalizia, pensò Astolfi, sottolineando il ragionamento con un ghigno furtivo che Monti colse puntualmente.

    Messi a casaccio sul pianerottolo, secondo l’ordine d’arrivo e la faccenda che avevano interrotto per non perdersi la novità, somigliavano ad una scolaresca sorpresa dalla maestra a farsi boccacce.

    Insomma, proseguì l’autorevole custode, ora che si fa?,

    Il Monti ebbe un’uscita delle sue:

    Non ci vedo chiaro,  peccato che nessuno ascolti i  miei suggerimenti.

    Quindi, assumendo l’aria più maestosa possibile, fece la mossa di ritirarsi nel suo appartamento posto al piano di sotto. Tanto bastò perché la maggioranza dei presenti si risolvesse a delegare la portinaia: pensasse lei a chiamare chi di dovere, fosse anche la forza pubblica.

    Dopo la sofferta decisione, ciascuno, fidando d’essere sgravato d’ogni responsabilità, s’avviò per rientrare a casa.

    Al telefono, la forza pubblica parve inizialmente perplessa. La mancata restituzione di un piattino, seppure dopo tre giorni e pur avendo contenuto le fragole con panna della Oderzi, non appariva motivo valido per un intervento d’urgenza. Si consigliava di suonare ripetutamente alla porta, valutando il risultato.

    Naturalmente, sempre a disposizione del cittadino.

    Il quale cittadino, meglio, la cittadina portinaia, raccolti al seguito i riluttanti Monti e Oderzi, si precipitò ad eseguire il suggerimento. Silenzio totale. Anche l’appoggio dell’orecchio ai battenti dell’uscio, più volte ripetuto dalla Oderzi, non permise di captare alcun segno di risposta.

    E se fosse in gita con la parrocchia?, azzardò Monti.

    Me l’avrebbe detto,  tagliò corto la portinaia.

    Prima sarebbe passata a restituirmi il piattino, concluse l’Oderzi. 

    Un cupo silenzio calò sugli esploratori. Il primo a riprendersi fu il bidello:

    Non ci vedo chiaro, forse si dovrà abbattere la porta...

    La Oderzi tacque.

    Quelle parole, o forse la mancata risposta alle scampanellate, cominciavano a darle una sorta di freddo alle tempie, umidiccio come se qualcuno le avesse posto le palme bagnate sul capo.

    Istintivamente si volse a scrutare attorno: erano sempre e  soltanto loro tre.

    Scesero in fila indiana, seguendo la portinaia, e finirono di nuovo davanti all’apparecchio telefonico della custode, fissandolo quasi possedesse la chiave del mistero.

    Si chiamò ancora la forza pubblica, dando conto del tentativo andato a vuoto. A rispondere fu persona diversa dalla precedente, per cui si dovette dipanare nuovamente l’intera vicenda, partendo dal piattino delle fragole.

    Tuttavia, alternandosi all’apparecchio la portinaia e Monti, riuscirono a trasmettere all’ascoltatore le ansie e le paure che principiavano ad alterarli.

    Avrebbero mandato a vedere, fu la risposta. Ne provarono sollievo, sentendosi salvi. Da cosa non avrebbero saputo dire.

    Trascorse quasi un’ora prima che un’uniforme, sormontata da regolare berretto d'ordinanza,  si materializzasse dinnanzi a Monti che montava la guardia nell’androne del palazzo. Senza essersi mai distratto, salvo qualche istante per seguire l’elegante percorso di un ragno che saliva a controllare le reti gettate lungo il soffitto.

    Siete stato voi a telefonare?, chiese l’uniforme.

    Monti, colto di sorpresa, annuì.                Diavolo, pensò, ha riconosciuto la mia voce: non sapeva se compiacersene, o preoccuparsi.

    E’ successo qualcosa, me lo sento.

    Lo disse quasi senza rendersene conto, poi si sarebbe mangiato la lingua.

    Andiamo a vedere.

    La voce aveva anche un volto: affilato, bruno pallido, con un paio d’occhi che scattavano fotografie e facevano domande contemporaneamente.

    Salirono i gradini in silenzio. Monti, senza motivo alcuno, si sentiva palpato e rivoltato da sotto a sopra dallo sguardo che gli camminava accanto.

    Come furono alla porta della Zenardi, la forza pubblica usò il pulsante del campanello con un’autorevolezza che prima a loro era mancata.

    Poco dietro, furtivi come fantasmi, si stavano raccogliendo gli altri inquilini, ciascuno fingendo d’essere lì per caso. La manovra, nonostante la scarsa illuminazione, non sfuggì all'uniforme.Sentiamo come sono andate le cose, ordinò. Sembrava si rivolgesse alla porta rimasta ostinatamente serrata, pure ciascuno intese che veniva interrogato, cominciando a pentirsi d’essere uscito a curiosare.

    Astolfi dovrebbe sapere.

    Qualcuno provava a vendicare vecchie spiate.

    Il poveretto fu tratto dal mucchio da un solo sguardo dell’uomo con  berretto.

    Avanti, e non perdiamo tempo!.

    Sono due giorni che non la vedo sul pianerottolo.

    Astolfi ammetteva pubblicamente di essere sempre in vedetta.

    Non era mai successo, aggiunse ormai lanciato verso il baratro.

    La Oderzi temette, a quel punto, di perdere il ruolo di primadonna e intervenne bruscamente.

    Si è scoperta la cosa grazie alle mie fragole.., gorgheggiò, scrutando l'uniforme per cogliere l’effetto che aveva prodotto.

    Il viso della forza pubblica parve animarsi un poco, colto di sorpresa. Osservò per dieci secondi l’anziana donna, notando le tracce dei bigodini appena rimossi e la rete di sottili rughe che dagli occhi scendevano al mento.

    Piattino e contenuto furono oggetto di un interrogatorio serrato, strettamente legato a tempi e circostanze, che la Oderzi sostenne con prontezza, adducendo spiegazioni ragionevoli e convincenti.

    Sopra tutto, ella fece notare, la vedova Zenardi era persona di proverbiale precisione (mia cara e stimata amica) per cui  mai avrebbe mancato di restituire quanto dovuto e, naturalmente, ringraziare. Sembrandole quest’ultimo argomento conclusivo, lo sottolineò con un piccolo sorriso compiaciuto. Sentiva d’aver conquistato un posto al centro del palcoscenico e non intendeva mollare. 

    C’è qualcosa di sospetto, perciò ho telefonato..

    La portinaia fendeva la piccola folla. Ora si trovavano due istituzioni a confronto.

    La forza pubblica non ebbe esitazioni.

    Esiste un duplicato della chiave?.

    Un’affermazione, più che una domanda. Cui la portinaia non parve impreparata.

    Solo per necessità strettissime...

    Ma non riuscì a completare la frase: un gesto imperioso della forza la spedì da basso di dove presto riemerse, tra le occhiate sgomente e perplesse degli inquilini, con un mazzo di chiavi tenute assieme da uno spago.   

    Sa, una volta, l’Istituto aveva detto.., spiegava palpando con le dita grassocce la ferraglia, ..ecco il duplicato.

    Porgeva una chiave, tenendola tra due dita quasi scottasse.

    Tutti sporsero un poco in avanti, consci della solennità del momento.

    Indietro, che nessuno si muova!,  intimò la divisa.

    Trasse di tasca un paio di guanti trasparenti, l'infilò con la destrezza dell’abitudine, prese la chiave e aprì in un amen la porta.

    Ci fu un soffio leggero, quasi dall’appartamento fosse sortito uno spiritello troppo a lungo recluso, poi la forza pubblica varcò la soglia.

    Si passava direttamente in una stanza piuttosto grande, illuminata da una finestra le cui imposte non erano affatto serrate, come sarebbe stato logico se chi vi abitava si fosse assentato da giorni. Una credenza, un tavolo e due sedie scompagnate, un divano che necessitava di nuova copertura, un tappeto troppo nuovo per l’ambiente costituivano l’intero arredamento. Dalla parete sinistra pendeva una litografia da poco prezzo che, in tempi migliori, aveva fatto brillare uno scorcio del golfo di Napoli.

    Sul fondo due porte, alle opposte pareti, con inserti di vetro opacizzato. Quella di sinistra rivelò una cucina modesta, ma pulita. L’altra immetteva nella camera  da letto.

    Dove la vedova Zenardi attendeva.

    Era distesa sul dorso, le gambe scomposte buttate di lato come avesse scalciato prima di cadere, le mani irrigidite a tentare di proteggere la gola.

    Il viso, enfiato, era chiazzato di rosso scuro, gli occhi sbarrati all’indietro sembravano aver visto il peggio dell’inferno. Una ciocca di capelli s’era sciolta dalla pettinatura e, quasi avesse ancora vita, fremeva attraverso una guancia. Ma solo per effetto della corrente d’aria proveniente dalla piccola finestra, aperta.

    All’agente bastò un'occhiata.

    Strangolata, disse ad alta voce. Sembrava rivolgersi direttamente al cadavere.

    Proprio allora l’Oderzi, contravvenendo alle disposizioni, scivolò furtiva nella stanza: esalò un gemito, o un singhiozzo, e svenne.

    Nella confusione che seguì nessuno fece caso a un quadretto appeso al muro, giusto sopra la povera morta.

    Conteneva un ricamo di semplice fattura: un cane per cui si era usato del filo giallo, e due sole parole sotto la pancia dell’animale.     

    II

    Non avrebbe dovuto essere in quel luogo.

    La periferia spelacchiata, dove spuntavano palazzoni dai colori incerti a causa di troppe piogge e poche manutenzioni, apparteneva a un passato che credeva con tutte le sue forze di aver cancellato per sempre.

    Ma l’agile viadotto che poteva consentirgli di tagliare via quella brutta ferita di città era bloccato. Completamente. Una riga compatta di uomini e donne, tute e camici grigi, l’aveva preso in ostaggio.

    Si tenevano per mano e dondolavano prima il capo poi tutto il corpo declamando un qualche slogan. Lo si intuiva dalle bocche che si aprivano e chiudevano a tempo. Li fronteggiava una riga svogliata di poliziotti, caschi e scudi di plastica, i manganelli ancora ciondoloni.

    Così era stato giocoforza invertire la marcia, destreggiandosi tra altri automobilisti che, colti anch’essi di sorpresa, imbastivano goffe manovre a strappi frenando e accelerando tutti insieme.

    Stava per iniziare un viaggio a ritroso nell’inferno del tempo.

    Sensi unici e divieti, c’erano anche allora?  s’era sorpreso a chiedere ad un altro se stesso, l’avevano poco a poco incanalato verso il basso, quasi dovesse scendere a forza dove era stato atteso troppo a lungo.

    Destra, sinistra, ancora destra, senso unico: ecco lo slargo, l’aiuola pelata dove crescevano soltanto barattoli ammaccati e cartacce.

    Bloccò di colpo, stordito. L’automobile che seguiva fece del suo meglio, accompagnando la frenata con un prolungato colpo di clacson.

    Il chiosco dei giornali era ancora al suo posto. Sbilenco, tatuato di scritte e geroglifici metropolitani, ma sempre là come una barca arenata fra marosi di cemento.

    Si sporse dal finestrino: forse c’era ancora Giuseppe, la pipa fra i denti giallastri, che gli allungava il fumetto porno. Prendi, Omar, ricordati di restituirmelo prima di domattina, debbo fare le rese..

    Pagava la protezione, il vecchio. Lui era stato perentorio: O quei fumetti che sai, o ti brucio il chiosco..

    Ma sarebbe poi stato capace di farlo? Era in simpatia con il vecchio, tanto che aveva proibito alla banda di cui era il capo indiscusso di andargli a pisciare sui giornali, o scrivere parole oscene sui fianchetti di lamiera che reggevano la baracca.

    Ti proteggo io gli aveva spiegato, indicando con gesto noncurante i suoi fidi accatastati contro la cancellata delle Case Popolari.

    Sto sognando, si disse. Tentò di scacciare la      visione passandosi più volte la mano davanti agli occhi.     

    Ma arrivò il peggio. Una figuretta svelta si materializzò dietro il chiosco, direttamente dalle rotaie del tram, a piccoli passi verso i bulletti che non l’avevano ancora inquadrata.

    Un vestitino rosa, troppo corto, le scopriva gambe che già in distanza apparivano ben tornite, un maglioncino legato stretto alla vita ne faceva risaltare l’eleganza della schiena..

    Ines!, balbettò, e per un attimo fu nel buio più assoluto, accecato, con la testa che girava all’impazzata.

    Lo trasse dall’abisso uno schiocco rabbioso di clacson: un’automobile si era affiancata e il guidatore gesticolava al suo indirizzo. Non poté fargli caso, un sudore diaccio gli velava la fronte e scendeva a goccioline verso le guance e il collo; s’accorse con orrore che le mani, abbandonate sul volante, tremavano.

    Ines è morta.. riuscì a balbettare.

    Ora ricordava di averla spinta con quelle stesse mani.

    Pensiero che l’indusse a fissarle duramente, cercando di trasmettere loro l’ordine di fermarsi. Il tremito sembrò cessare, le nocche delle dita sbiancarono mentre i pugni stringevano il vuoto. Poi, ubbidendo ad altro padrone, ripresero la danza.

    Non ho paura, cercò di ordinare, costringendosi a guardare ancora là dove era comparso il fantasma.

    Vide, invece, due anziani, curvi d’acciacchi, che sedevano su una panchina di ferro e pietra. Il casotto dei giornali principiava a sfumare in una nebbiolina che s’era già mangiata metà dei binari. Un povero randagio avanzava sbilenco su tre zampe, fiutando per abitudine.

    L’urto del passato

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