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Deviazioni
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E-book281 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Il vivere quotidiano ci fa percorrere sentieri che non avremmo mai pensato di percorrere ed alcune deviazioni da questi sentieri ci cambieranno la vita. Queste deviazioni sono il fulcro su cui si snoda l'intero romanzo.
Donne e uomini intersecheranno i propri destini deviando contemporaneamente ed insinuandosi in tragitti che sconvolgeranno la loro vita.
Un gruppo di colleghi si troverà faccia a faccia con il proprio destino e scoprirà nel profondo che la vita, deviando continuamente, ci mette sempre alla prova.
La straordinaria avventura che capiterà a questi colleghi porterà ognuno di noi a rivedere il proprio viaggio e ad assaporare le deviazioni che il fato o la volontà ci obbligano a mettere in atto.
In un agriturismo sul un altipiano della valle Pusteria, lo staff dirigenziale di un’azienda produttrice di ricambi per automobili si ritrova per la riunione di fine anno. Nella riunione si dovrà affrontare anche il problema di un cospicuo aumento di guasti nei ricambi prodotti che potrebbe compromettere l’immagine dell’azienda.
Il luogo del meeting è alquanto isolato, si raggiunge con una tortuosa stradina di montagna, unica via d’accesso percorribile in automobile.
Il gruppo di persone, abituato ad intrattenere relazioni superficiali, saturo di preconcetti, dove la mancanza di fiducia reciproca regna sovrana, è costretto da un accadimento stravolgente a dover fare i conti con l’emergenza e a ridisegnare la propria struttura mentale.
Un’altra storia, un flashback, viaggia parallela alla prima e si occupa di due giovani fratelli che, negli anni seguenti il secondo conflitto mondiale, si arrabattano a sopravvivere nella capitale italiana con furti e raggiri fino al giorno in cui si trovano tra le mani una spilla molto preziosa; questo gioiello sarà oggetto di violenza, molto spargimento di sangue, e traccerà nell'anima dei due ragazzini una ferita molto profonda che sarà sanata dall'incontro con una donna speciale, che darà una svolta alla loro vita.
Dal passato al presente il racconto si sviluppa su trama ed ordito che costituiscono il nostro vivere. Così come l’intreccio di tessuti forma la stoffa, anche le continue deviazioni che caratterizzano il vivere formano la persona.
Gli avvenimenti si susseguiranno velocemente ed il lettore si troverà catapultato tra l’ieri e l’oggi, vedendo apparire personaggi attuali e remoti, storie in bianco e nero e storie a colori. Tutto si distinguerà perfettamente quando gli epiloghi segneranno l’ulteriore e più profonda deviazione.
LinguaItaliano
EditoreTektime
Data di uscita16 mar 2019
ISBN9788893983044
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    Anteprima del libro

    Deviazioni - Tiziano Chiarini

    la tenuta

    Quest’anno, la scelta della sede per il meeting aziendale incuriosiva i colleghi; un agriturismo sulle alte vette della valle Pusteria.

    Il luogo, tra i più rinomati della regione, non era facilmente raggiungibile; la stradina che bisognava imboccare si inerpicava a stento tra aceri, sorbi e caprini. Scorci di campi di grano in mietitura e prati, come un mare ebbro di onde lunghe e schiumose, si affacciavano a destra e a sinistra, quasi a perdita d’occhio. Il sole tramontava dietro le montagne illuminate; si era a fine giugno; i colori, i profumi ed il caldo facevano presagire una splendida estate. La strada sembrava non finire mai. Il piccolo autobus noleggiato per l’evento a fatica cercava di raggiungere la meta. Una curva, un tornante, si alternavano a corti rettilinei, adatti più ad un trattore che a un pulmino. Oltre un’ora era trascorsa da quando il bus aveva lasciato la strada principale. Un po’ per via della difficoltà e un po’ per via degli anni il piccolo autobus viaggiava con una lentezza preoccupante. Finalmente, ad un tratto, la vista si aprì su un ampio spiazzo, come un respiro dopo l’apnea, la comitiva raggiunse il luogo destinato ad ospitarli per i prossimi giorni; una meravigliosa corte rettangolare circondata da piccole case tutte uguali, un tempo dovevano essere le stanze in cui alloggiavano i contadini e gli operai. In fondo allo spiazzo si ergeva la casa padronale, ora cuore pulsante dell’attività di agriturismo.

    Le piccole case, una ventina in tutto, erano state ritinteggiate di fresco con tenui colori pastello. Sopra ogni appartamento si ergeva, su spioventi tetti di coppi ingialliti dal tempo, un comignolo di mattoni a vista. Lo sguardo sembrava perdersi nelle geometrie architettoniche che uno strambo professionista del design aveva voluto dare all'insieme di villette. Il tutto rasentava le rappresentazioni metafisiche di De Chirico.

    Bisogna sapere che per la prestigiosa azienda Mancini Srl, produttrice di strumentazione elettronica destinata alle aziende automobilistiche di tutto il mondo, la riunione generale dello staff dirigenziale era momento di riorganizzazione. C’erano in ballo aumenti di stipendio, avanzamenti di carriera, ma anche retrocessioni e a volte licenziamenti improvvisi.

    Il clima tra i colleghi, come si può presagire, era elettrizzante; l’ansia si toccava e le scintille scoppiettavano ovunque.

    Per tutto il viaggio si era respirata un’aria di festa, una gita studentesca a confronto, poteva sembrare un ritiro di frati. Gli scherzi camerateschi, uniti alle canzoni da osteria, avevano fatto da corollario e da coperta ad una strisciante e malevola aria viziata. Visti da fuori, i bravi colleghi, sembravano dei ragazzini gonfi di ormoni, che si preparavano a nottate brave tra sghignazzi e scorrazzate nei corridoi, schivando gli sguardi ed i rimproveri dei malcapitati professori.

    Ora, arrivati a destinazione, ognuno aveva indossato nuovamente i propri quotidiani sudici panni.

    Il primo a scendere dal pulmino fu il direttore amministrativo, dottor Ugo Galeazzi.

    — Respirate a pieni polmoni — propose Galeazzi — non si può chiedere niente di meglio dopo un viaggio nella scatola di sardine. —

    — Mi è sembrato un incubo, ma adesso si incomincia a ragionare — disse il Rag. Carlo Cecchi, stretto collaboratore di Galeazzi, assunto alla Mancini da pochi mesi e impareggiabile lecca culo — non finiva più quella stramaledetta stradina tutta curve. —

    — Come? Non hai gradito il viaggio Cecchi?

    — Assolutamente sì dottor Galeazzi… io cioè… volevo dire… mi sono trovato straordinariamente bene. Soprattutto la sua compagnia ha reso il viaggio molto confortevole.

    — Bene, ora una passeggiata tra i prati ci ristorerà — tagliò la discussione Galeazzi.

    Alla spicciolata e silenziosamente scesero dal pullman tutti gli altri.

    Pia Velletri, pingue donna sulla cinquantina, responsabile dell’ufficio acquisti, scese con evidente difficoltà i gradini del vecchio mezzo di trasporto.

    — La prossima volta pretendo una limousine, bambina mia. — disse, rivolta alla collega ed amica Erika Pozzi.

    — La limousine si sarebbe incastrata lungo questo maledetto viottolo che abbiamo dovuto affrontare — rispose Erika.

    — Non preoccupatevi mie belle signore, al ritorno è tutta discesa. — replicò Giovanni Renda pilastro della produzione, stretto collaboratore dei titolari, nonché marito di Rachele Felici direttore marketing.

    — Devo portarmi i bagagli fino alla reception? — chiese il giovane rampante Diego Ratti direttore vendite, figlio di Eugenia Lotito e Gabriele Ratti.

    — No vai pure avanti, ci pensiamo noi tesoro — risposero in coro i genitori, entrambi con le teste immerse nella stretta stiva del bus, alla ricerca delle proprie valige.

    I coniugi Ratti stavano all'azienda come il big bang all'universo; in pratica erano lì dalla fondazione; venivano soprannominati, l’oca e il cervo. Eugenia Lotito in Ratti, era l’assistente personale di Valerio Mancini, presidente dell’omonima azienda, giunta sesta a miss Italia del 1987 ed ancora molto attraente, nave scuola per molti giovani dipendenti, da sempre portatrice di trambusto nella tranquilla vita aziendale.

    Il marito, Gabriele Ratti, ingegnere capo e direttore tecnico, nonché progettista, con la paternità di molti brevetti registrati dalla Mancini Srl, era un tipo molto socievole e d’animo bonario.

    Questa strana coppia aveva, per differenti motivi, peso ed importanza in tutte le decisioni, dalle strategiche alle marginali, che si prendevano tra le mura dei capannoni.

    — Qui non c’è campo… strano…— disse Rachele Felici consultando il Tablet che perennemente teneva tra le mani — Io non posso vivere senza la rete, — urlò la Felici

    — Non è possibile. Anche io non becco nulla — le fece eco Galeazzi — sperduti e scollegati dal mondo, speriamo che dentro ci si colleghi in Wi-Fi. —

    — Benvenuti signori, la reception è da questa parte.

    Un angelo apparso dal nulla, indicava l’ingresso della casa padronale. Questa visione onirica ammutolì la combriccola. Le bocche aperte e gli sguardi persi accompagnavano il braccio teso dell’apparsa. Camicetta gialla, aperta giusto quel po’ da scoprire un decolté inebriante, grandi occhi verdi leggermente disassati, un naso disegnato perfettamente, talmente bello da sembrare dipinto, inducevano gli sguardi ad accoccolarsi. I capelli castani lunghi e lisci, coprivano le spalle, andando a lambire la parte terminale della schiena. Calzava jeans sdruciti e scoloriti, molto attillati. Piedi scalzi e portamento da ballerina davano alla ragazza un’aura di leggerezza e malinconia. Si trattava di Lara, la figlia dei titolari della tenuta. La suadente voce armonica impreziosiva la già splendida figura.

    — Se lor signori vogliono seguirmi, avrò il piacere di registrare la loro presenza. Per chi lo desidera, nella sala azzurra verrà offerto un drink di benvenuto

    — Buon pomeriggio… signorina? — Disse Galeazzi, primo a destarsi.

    — Lara… mi chiamo Lara e sono a vostra disposizione.

    — Buon pomeriggio Lara… sarai con noi per l’intera giornata? — chiese Guido Cappi.

    — Sarà mio piacere guidarvi e servirvi per tutto il periodo della vostra permanenza qui alla Tenuta sul Lago — rispose Lara.

    — Benissimo… lascia che mi presenti… mi chiamo Guido. Ingegner Guido Cappi, direttore commerciale della Mancini Srl, piacere di fare la tua conoscenza.

    L’ingegner Cappi, scapolo e continuamente a caccia di prede, non perdeva tempo per fare conoscenza di qualunque mammifero di sesso femminile, il suo fare viscido e untuoso, allarmava chiunque si accostasse a lui per la prima volta; Lara non fece eccezione.

    — Buon pomeriggio ingegnere. È nostro piacere ed onore averla come ospite — rispose professionalmente Lara.

    La strana, variopinta, aggregazione si infilò nell'edificio principale.

    Il sole scendeva velocemente dietro la tenuta, tuffandosi nel laghetto che si trovava dall'altra parte dello spiazzo dove erano scesi i nostri colleghi. La relativa grandezza e profondità del lago donavano allo stesso una colore blu intenso. Una piccola barca, ormeggiata dalla parte delle scuderie, che affiancano il lago sulla sinistra, sonnecchiava immobile, mimetizzandosi con il panorama.

    A destra, dopo un ampio porticato unito alla struttura principale, si estendevano le stalle e i magazzini della tenuta. La luce solare, riflessa dall'acqua, colpiva tutto l’altipiano ed accecava chiunque osasse volgere lo sguardo da quella parte. Le tinte passavano dal bianco folgore al rosso intenso. I prati, in fondo oltre il lago, scendevano leggermente, lambendo la foresta di abeti e larici, per terminare improvvisamente sul ciglio di uno strapiombo. Tutt'intorno si ergevano alti monti, dipinti di infinite tonalità di verde e, sul lago blu intenso, quasi nero, spiccava, a macchie, il rosso lucente di alcune boe. Il silenzio, distraente ed immenso, veniva lacerato dal grido acuto e ritmato delle faraone che si radunavano per la notte. Tutti gli animali della tenuta si stavano preparando ad accogliere le ombre pesanti e nere dell’oscurità montana. Un pesce guizzava fuori dall'acqua, forse per carpire un insetto che si attardava sulla superficie lacustre.

    Un nero profondo, scuro ed avvolgente, avanzava lesto e prendeva il posto della forte luce del crepuscolo; la notte giungeva puntuale. All'interno della palazzina, i nostri ospiti, stavano ricevendo le chiavi dei loro appartamenti, posti negli strani ed affascinanti cottage che li avevano accolti al loro arrivo.

    Pian piano, alla spicciolata, dopo il cocktail di benvenuto, i colleghi si diressero nei loro rispettivi alloggi per prepararsi alla cena.

    Per raggiungere gli alloggi, dalla palazzina centrale, bisognava percorrere l’immensa aia buia, tenendosi ben vicino alla costruzione per approfittare delle tenui luci poste all'entrata di ogni cottage.

    Con molti problemi, dovuti alla poca illuminazione, Erika raggiunse il proprio appartamento.

    Trentacinquenne, ingegnere elettronico, laurea al politecnico con il massimo dei voti, timidezza esagerata, altezza un metro e ottanta, occhiali vintage, vestiti anni settanta, corpo magro, zero di reggiseno, dita lunghissime e sinusite cronica, facevano di Erika una ragazza veramente poco attraente; il suo fascino però si racchiudeva nella testa. Idee brillanti ed intuizioni geniali caratterizzavano Erika e la proiettavano come l’alter ego naturale di Gabriele Ratti. La Donna entrò velocemente nell'alloggio, si spogliò, buttando gli indumenti ovunque, si stese sul letto ad assaporare l’amata solitudine e si addormentò all'istante.

    Pochi momenti di quiete ed uno strano rumore, come un sibilo accompagnato dal rumore di ghiaia spostata, la svegliò di soprassalto; pareva che qualcosa venisse trascinato lungo il vialetto di fronte all'appartamento. Erika corse immediatamente alla finestra, si accorse però di essere completamente nuda, si accovacciò velocemente e raggiunse l’interruttore. La stanza piombò nell'oscurità. L’unica luce arrivava dalle imposte semichiuse che davano sul davanti, vicino all'ingresso. Carponi raggiunse la finestra e cercò di sollevarsi per vedere cosa stesse succedendo. Non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi che un suono improvviso le lacerò i timpani. Lo spavento le tolse il respiro e portò il battito cardiaco ad alzarsi esponenzialmente. Il cuore sembrava strapparsi dal petto, non riusciva a gridare, ogni suono le si spegneva in gola. Colpi tremendi alla porta, uniti a grida, riempivano l’etere. Sul limite dell’infarto, Erika prese coraggio, si alzò e corse verso l’ingresso. La tonante voce di Pia Velletri scosse la povera Erika.

    — Erika…Erika… Posso entrare? ... Ti devo parlare… Erika, Erika.

    In uno stato confusionale, Erika cercò di riprendersi dallo spavento.

    Pia? …era solamente Pia? ...Che ti venisse un … Pensò Erika.

    — Oddio mi sono pisciata addosso — bisbigliò con orrore, la ragazza, toccandosi le gambe.

    — Un attimo, sono in bagno… arrivo — si buttò addosso un accappatoio e andò ad aprire.

    Sulla porta apparve Pia con un tailleur impeccabile, gonna rosa appena sopra il ginocchio, giacca doppio petto corta di taglio moderno anch'essa rosa con il colletto nero, cappellino rosa a bustina. L’abito si completava con una borsetta nera e scarpe nere con tacco altissimo. Il portamento di Pia non risultava però all'altezza del sua abito. Le rotondità molto accentuate e l’incedere austero della donna rendevano l’insieme molto goffo. Il braccio destro piegato reggeva la stupenda borsa ed il sinistro appoggiato sul ventre sembrava appisolato. Il viso di Pia nonostante la non giovane età evidenziava lineamenti fini e lo sguardo penetrante proiettato da occhi blu scuro attirava l’attenzione dell’interlocutore.

    — Ciao Erika… ti ho forse disturbato? Scusa, bambina mia, sei in deshabillé… non volevo… … passo dopo.

    Intanto, comunque, Pia entrò nell'alloggio senza aspettare la risposta di Erika.

    — Ma… prego accomodati… — rispose Erika molto imbarazzata.

    — Scusa ancora… ma non stai bene, bambina mia? … tremi.

    — Nulla… è solo un brivido. Il viaggio, il caldo ed ora la temperatura è crollata.

    — Vuoi che ti faccia portare un tè caldo?

    — Non importa, ora mi faccio una doccia e passa tutto

    — Bambina mia, l’hai vista la figlia dei padroni di casa? Come si chiama… Lisa… Lena… ah no Lara. Bellissima vero? Quegli stronzi dei nostri colleghi se la scopavano con gli occhi. Cappi pensa di essere figo. Povero illuso. È talmente viscido che lascia la bava. Una banda di vecchi porci eccitati, meno male che ci sei tu. Lo sai che ti trovo eccezionale con l’accappatoio? Ti da un fascino particolare, bambina mia.

    — Grazie Pia… sei sempre molto gentile — rispose Erika, lusingata ma al tempo stesso imbarazzata dagli apprezzamenti che le venivano rivolti.

    La ragazza non sapeva dove guardare, sentiva un fuoco arderle le guance e le mani cominciavano a sudare, anche se brividi continui e gelati le percorrevano il corpo.

    — È la verità, bambina mia — rispose Pia guardandola con particolare interesse — ti ho disturbato per una cosa importane. Domani quando inizieremo la riunione, come sai, cominceranno anche i lavori di depistaggio di quei furfanti dei nostri colleghi. Tenderanno a coprire le loro mancanze, buttando fango sugli altri. Dobbiamo stare unite, almeno tu ed io. Ci si deve spalleggiare, altrimenti addio promozioni. Galeazzi, quel fottuto manipolatore, per primo ci sbatterà in faccia il cambio di fornitori da noi voluto, che ha portato, a detta sua, un aumento di costi. Per non parlare poi del lumacoso, lui si sbrodolerà tutta Maria Rita e il presidente. A proposito, sai se arrivano stasera o domani? —

    — Non so… questo lo sa Galeazzi… forse… oppure no… mi… mi dispiace…— rispose Erika.

    — Non ha importanza, bambina mia. I titolari ci hanno sempre appoggiato. Questa volta però la situazione ci sta sfuggendo. Bisogna fare in modo che il ragazzo venga escluso dai giochi — continuò Pia.

    — Ragazzo? — chiese Erika.

    — Il giovane Ratti — rispose Pia.

    — Perché? — chiese Erika stupita.

    — Stavolta dobbiamo proteggere noi stesse. Lui ha già fatto troppa strada, grazie ai pompini che la madre elargisce a tutti — rispose Pia.

    — Pia. Che dici. Sono solo chiacchiere. Diego è molto in gamba. Non puoi giudicarlo in base ai presunti comportamenti della madre.

    — Intanto lui è il direttore vendite, mentre tu, bambina mia, sei il rincalzo del padre. Vali un milione di volte lui, dovresti già essere dirigente e sei sempre solo un quadro. I genitori di quel pirla stanno giocando in casa e tu ne paghi le conseguenze, tu ed io, mia cara, sappiamo cose che dovremmo usare per il nostro bene invece di far finta di niente.

    — Pia, io non sono capace di ferire nessuno, lo sai. — puntualizzò Erika.

    — Pensaci e non farti prendere in giro, bambina mia, voglio vederti felice e soprattutto realizzata. Con te alla guida dell’ufficio tecnico saremmo in una botte di ferro. Tu ed io inseparabili… ora però fatti subito una doccia bollente che sei verde come i prati qui dietro. Vuoi che resti con te? ... Ti serve un massaggio, bambina mia? ... Qualcosa che riattivi la circolazione?

    — Grazie Pia. Sto meglio ora. Con una doccia ritroverò tutte le mie forze. Hai ragione, staremo unite domani, ne abbiamo bisogno... Grazie ancora.

    — Ciao bambina mia. Riguardati.

    Una volta chiusa la porta, Erika, esausta, si catapultò in bagno, aprì l’acqua e si infilò sotto una pioggia calda e rigenerante.

    In quel momento, nell'appartamento accanto, Diego Ratti staccò l’orecchio dal muro. Bene… molto bene… domani si prevedono lampi e saette… non vedo l’ora pensò il ragazzo.

    Galeazzi e Cecchi intanto, si trovavano nella sala giochi intenti ad affrontarsi in una sfida a biliardo. Galeazzi stava ingessando la propria stecca per prepararsi al tiro. Lo sguardo del direttore amministrativo scrutava la disposizione delle biglie sul tavolo. Il dottor Galeazzi era un uomo alto sulla cinquantina un po’ sovrappeso, aveva capelli radi che si tingeva di nero corvino, le basette lunghe ed i baffi spioventi donavano all'uomo un aspetto di altri tempi. Il suo ego era secondo solamente al disprezzo che manifestava verso i propri diretti subordinati. Non c’era momento che non si astenesse dal giudicare chicchessia e da sputar sentenze. Come direttore amministrativo Galeazzi godeva di ampi spazi di manovra in azienda e coglieva ogni piccola défaillance dei propri colleghi per affondar fendenti. Ora, con lo sguardo sempre fisso sulla biglia da colpire appoggiò il gessetto sulla sponda del tavolo e si chinò per tirate.

    — Bravissimo dottore, un colpo da maestro. Non so come faccia ad essere sempre in forma. Ci vogliono molta costanza ed allenamento, veramente un bel tiro. — disse Cecchi ossequioso.

    — Guarda e impara Cecchi. Bisogna nascere con l’istinto del predatore. Io ci sono nato. …Tu, a proposito, hai portato i documenti che ti ho ordinato? — chiese perentorio Galeazzi.

    — Certamente dottore. Sono chiusi in cassaforte come mi aveva suggerito — rispose Cecchi.

    — Ottimo. Ora prendimi la stecca lunga che ti faccio vedere come si gioca — ordinò Galeazzi.

    Con un po’ di maestria e molta fortuna Galeazzi effettuò un gran bel tiro da dodici punti.

    — Vedi, …un colpo difficile sbrigato in un secondo. Niente di più semplice per me. Ho la competizione nel sangue. Quest’anno vedrai, mi faranno socio. Non può essere altrimenti. Li vedremo tutti cagarsi sotto, mio caro. Sento già l’odore — puntualizzò sprezzante Galeazzi.

    — Se mi posso sbilanciare dottore… — timidamente disse Cecchi — direi che siamo… ehm... è… lei è già alla meta. Se però mi consente un piccolo pensiero… io… ehm… terrei d’occhio il giovane rampante Ratti, con i genitori sempre allerta e con le spalle coperte... non so se mi sono spiegato… poi anche la cicciona potrebbe essere d’ostacolo…—

    — Non preoccuparti somaro. Se tu hai portato i documenti, allora io sarò il nuovo socio. Parola di Galeazzi.

    Detto questo, lo sbruffone, buttò la stecca al ragioniere che la mancò, lasciandola volare verso il tavolino con i bicchieri da cocktail. Un vero disastro. Vetri e champagne finirono sul pavimento, sulle sedie e sugli abiti del signor Kofler, titolare della Tenuta sul Lago.

    — Ci mancava solo questa. Cecchi… Guarda cosa cazzo hai combinato, razza di imbecille. Ma cos'hai al posto del cervello, spazzatura? — gracchiò maldestramente Galeazzi.

    — Signor Kofler, metta tutto in conto. Evidenzi per bene le spese relative a questo incidente. Verrà tutto saldato — disse Galeazzi rivolto al titolare del luogo.

    Infine volse lo sguardo al povero ed incolpevole Cecchi.

    — Deficiente, raccogli la stecca e vai a preparati per la cena. I costi di questo disastro ti verranno addebitati sul cedolino dello stipendio. Ma guarda cosa cazzo devo vedere. Accidenti a te, — disse Galeazzi uscendo dalla stanza con un diavolo per capello lasciando il povero Cecchi a raccogliere i cocci.

    Intanto, Valerio e Maria Rita Mancini, nella loro villa, stavano assaporando uno splendido cocktail, impeccabilmente servito da Corrado, il discreto ed affidabile maggiordomo.

    I titolari della omonima azienda, sorridevano, intrecciando i complici sguardi. Nulla in quel piacevole pomeriggio poteva macchiare ed inacidire il gusto secco e penetrante del loro cocktail; nemmeno il viaggio scomodo che avrebbero dovuto intraprendere fra qualche ora. Gli anziani titolari avevano appena concluso un’importante riunione con un notaio ed il loro amico, l’avvocato Giacomo Sterni. Tutti i documenti erano stati firmati, la macchina era partita, le decisioni erano state prese; ora toccava a loro il passo finale. Il signor Mancini immerso in profondi pensieri reggeva la coppa di cristallo come se la stesse accarezzando. Indossava un leggero abito blu con la camicia slacciata, lui non amava portare la cravatta, si sentiva imbrigliato. Il viso scavato e il respiro pesante denotavano l’età avanzata ma la luce nei suoi occhi rivelava una mente sveglia ed un istinto da predatore. Adagiata su un’ampia poltrona in pelle, la signora Mancini sfogliava distrattamente alcuni documenti. I due osservati distrattamente sembravano distanti tra loro ma al contrario gli anni di vita vissuta insieme li avevano accomunati e resi inseparabili. La donna magra e alta con le dita della mani molto affusolate, il naso aquilino ed il portamento austero cercava di nascondere il proprio stato d’animo. L’uomo che conosceva perfettamente ogni piccolo cambiamento d’umore della donna lesse tra le rughe degli occhi di lei un lieve accenno di stanchezza.

    — Chissà cosa succederà, come reagiranno.

    Un tremito scosse le ossa ed i pensieri del presidente.

    Una mano amorevole accarezzò il viso stanco di Valerio. Gli occhi lucenti e profondi di Rita penetrarono i pensieri dell’uomo.

    — La decisione presa è la migliore, l’unica. Noi lo sappiamo — puntualizzò la signora Mancini, compagna di una vita.

    altri tempi

    Nella Roma del primo dopoguerra, Antonio, Antò per gli amici, svelto di mano e di gambe, aveva quindici anni ed era affezionato alla sorella e, nonostante fosse di poco più grande, necessitava di lei fino al midollo.

    Assunta, intelligente e scaltra, viveva insieme al fratello in una catapecchia alla periferia di Roma a casa di lontani parenti. I loro genitori decedettero in un tragico incidente sotto le macerie di una palazzina in costruzione nella zona Prati di Roma. Quella maledetta palazzina li strappò dalle braccia amorevoli di una coppia di poveri operai del Salento, venuti a Roma per trovare fortuna e scappare dalla fame che, durante la guerra, aveva mietuto vittime in tutto il mezzogiorno. Gli zii, così li chiamavano, si erano presi cura dei fratelli solamente perché da piccoli erano molto bravi nel raccogliere l’elemosina alla stazione Termini ed ora molto veloci nel sottrarre i portafogli dei frettolosi viaggiatori romani.

    L’infanzia l’avevano trascorsa tra scippi e raggiri, sempre di corsa, inseguiti dalle loro vittime o dai poliziotti. Quando li acciuffavano non succedeva nulla, al massimo una ramanzina del giudice e due scappellotti dal prete del riformatorio, niente più. Si sentivano invincibili. Assunta distraeva il malcapitato fingendo crisi di pianto o dolori al petto. Con i suoi lamenti

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