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Storia di Antonio della Portella - Parte 2
Storia di Antonio della Portella - Parte 2
Storia di Antonio della Portella - Parte 2
E-book366 pagine4 ore

Storia di Antonio della Portella - Parte 2

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Info su questo ebook

Come genere letterario, le biografie o i romanzi biografici sono le opere più conosciute, amate ed affascinanti che gli scrittori ci donano con i loro libri.
Le vite (βίόϛ) delle persone e dei personaggi principali vengono osservate in maniera longitudinale e scritte (ραϕία) nelle singole fasi esistenziali per poter decifrare in profondità l’essenza, a volte misteriosa, del loro destino. Annibale Falato canalizza nel suo libro il senso della vita di Antonio Sebastianelli, medico, ormai adulto, imprimendo un velo di mistero in alcuni capitoli, talvolta totalmente nascosto, chiaramente visibile in altri. Antonio è il genere umano che noi tutti amiamo. Il quadro psicologico che proietta è dei più classici, malgrado i nodi del destino, degli incontri e delle opportunità. Il protagonista, combattuto tra due forze contrarie tra loro e limitato dai tanti pregiudizi e remore derivategli dal retaggio culturale e caratteriale, ha difficoltà a trovare una propria dimensione e, quindi, una propria via. Le esperienze che vivrà, nel bene e nel male, lo aiuteranno a scoprire il senso della vita che, fino a quel momento, gli era sfuggito.

Annibale Falato è nato a Guardia Sanframondi (BN) il 28.10.1955. All’età di sei anni il lavoro di insegnante del padre lo porta a Roma dove vive tutt’ora con la sua famiglia. Dopo avere assolto il servizio militare come ufficiale di complemento nel corpo dei carristi presso la Scuola Truppe Corazzate di Caserta, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Da oltre trent’anni esercita la professione forense e dal 2002 è avvocato cassazionista. Nonostante abbia vissuto sempre a Roma è rimasto profondamente legato al suo paese dove si reca molto spesso e conserva una serie di legami amicali e parentali. Tuttavia il legame più profondo lo ha con la casa paterna, edificata dal bisnonno in aperta campagna, da dove è possibile ammirare l’intero paese e la valle telesina e dove ancora oggi dorme nella medesima stanza dove è nato. Il 27 gennaio 2021 è stato pubblicato dalla Casa Editrice Albatros un suo altro romanzo: Storia di Antonio della Portella che ha ricevuto in data 24 luglio 2021, nell’ambito del Premio Internazionale Casentino 2021 riservato ai romanzi editi, un ambito riconoscimento, ovverosia: “La segnalazione particolare della giuria”. 
Nel dicembre 2021 è stato pubblicato un secondo romanzo: Il Viaggio di Angelo ispirato all’avventurosa vita di un suo zio.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2022
ISBN9788830667297
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    Anteprima del libro

    Storia di Antonio della Portella - Parte 2 - Annibale Falato

    PREFAZIONE

    Storia di Antonio della portella, Parte 2^, è un romanzo corposo nel quale sono narrate, in modo circostanziato e con svolte improvvise nello sviluppo della trama, le vicende di un giovane benestante, medico di origini italiane, che intraprende la propria professione negli anni Sessanta.

    Il primo quadro lo presenta a Houston, nella corsia di un ospedale, a disquisire con i suoi colleghi su di un caso clinico.

    Lungo l’intero romanzo, che può essere definito di formazione, si assiste a continui colpi di scena, elementi decisivi e immancabili dell’opera.

    La storia diviene ben presto convulsa, gli spostamenti si moltiplicano e gli incontri assumono il carattere di singolarità, così come le conoscenze femminili si mostrano sorprendenti.

    Antonio ha l’opportunità di incontrare il Gran Dragone del Ku Klux Klan e trasferirsi in Brasile dove opererà un paziente di etnia pira-tapuya, venendo ricevuto dallo sciamano del villaggio. Dopo poco è a Napoli, dove sarà derubato, in seguito a Cordoba per incontrare il suo padre spirituale. Risiederà quindi a San Francisco, in Cile e nuovamente in Argentina.

    È del tutto evidente che il nostro non trovi pace e ancor meno stabilità, desiderando e abbandonando le donne conosciute nei suoi trasferimenti.

    Colpisce il modo nel quale il protagonista ha l’opportunità di muoversi fra le maglie di un’esistenza concitata e irrefrenabile. Nella sua instancabile ricerca, Antonio prende coscienza del nascondimento sistematico della figura del padre, o meglio di colui che si presenta come tale.

    Ludwig, infatti, presenza sinistra e problematica, già ufficiale delle SS, implicato in segreti e ambigui traffici finanziari, si distingue per la sua segreta manipolazione dei figli.

    La figura del padre, evocata di continuo, diviene, di fatto, una presenza assente che determina in Antonio una profonda incertezza maturativa e un’indecisione nel pianificare il proprio lavoro e la gestione dei rapporti affettivi.

    A ciò va aggiunto un profondo sentimento di responsabilità verso gli altri e una necessità di risarcire e salvare il prossimo. Questo tratto di personalità sembrerebbe legato a un sentimento costante di smarrimento e fallimento.

    La condizione che pare attanagliarlo rinvia inevitabilmente alla figura paterna, avvertita sempre più come autoritaria e rarefatta.

    L’aspetto paterno si mostra attraverso un carattere perturbante: le vicende familiari si trasformano nel loro contrario, divenendo fonte d’angoscia e d’interrogazione.

    Appaiono così due figure contrapposte, l’eroe e l’antieroe, il protagonista e l’antagonista, Antonio e Ludwig.

    Quest’ultimo, ricoprendo maldestramente il ruolo genitoriale, dimostra come tale autorità sia in piena dissoluzione e come sia impossibile il compito di genitore senza partire dai propri errori e fallimenti.

    Da parte sua Antonio, dinanzi a tale disfacimento, è chiamato ad attraversare i propri limiti e a disporsi verso una eredità paterna che lo trascende e lo disarma. Se si vuole davvero possedere l’eredità dei padri, bisogna riconquistarla.

    Il compito di Antonio risulterà ancora più improbo e complesso tenendo conto che il romanzo nel suo finale offre un inatteso svelamento, che destabilizza il quadro, offrendo in parte una spiegazione del comportamento del padre.

    L’opera di Annibale Falato scava con maestria nelle pieghe dei vissuti familiari per denunciare la liquidità della figura paterna e i limiti di un’inevitabile orfanità.

    Pasquale Mastantuono

    Parte I

    Negli Stati Uniti, gli anni Sessanta erano stati molto intensi.

    Nel 1960 era stato eletto presidente un cattolico democratico, J.F. Kennedy che partendo dal new deal (nuovo patto) roosveltiano, aveva creato la new frontier (nuova frontiera) con l’intento di assicurare il benessere e la democrazia a tutto il popolo americano.

    Nel 1962 ci fu la crisi di Cuba che portò il mondo a un passo dalla guerra nucleare e, quindi, alla totale distruzione dell’umanità.

    Nel 1963 il presidente Kennedy venne assassinato a Dallas in circostanze misteriose, ancora da chiarire. In quello stesso anno fu costituito il movimento per i diritti civili al fine di contrastare il razzismo ancora fortemente radicato specie negli stati del sud. Di questo movimento fecero parte personaggi come Malcom X e Martin Luther King.

    Tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, dopo la costruzione del muro di Berlino e il blocco navale di Cuba, iniziò una vera e propria guerra che, convenzionalmente, venne definita guerra fredda. Ciò comportò una corsa spasmodica agli armamenti che faceva stare tutti costantemente preoccupati, tanto che parecchi americani pensarono di costruirsi dei rifugi antiatomici nei giardini delle proprie abitazioni.

    Nel 1965 iniziò la guerra in Vietnam.

    Nel 1968 fu assassinato Martin Luther King e nel 1969 ci fu la conquista della Luna. Di conseguenza si vivevano momenti di euforia alternati ad altri di paura. In ogni caso, in tutto questo contesto, l’economia galoppava soprattutto in virtù dell’esponenziale aumento della produzione bellica e aerospaziale. Il benessere era tangibile.

    Certo, rimanevano le solite categorie di persone che lo vedevano passare solamente di sfuggita ma, ciò nonostante, riuscivano lo stesso a ottenere un qualche beneficio.

    L’enorme estensione del territorio faceva sì che la realtà statunitense non fosse ovunque la stessa. Variava da stato a stato a seconda dell’economia locale, del posizionamento geografico e del clima. Il Texas, dove si trovavano Antonio ed Erik, era uno stato molto ricco. Prima dedito quasi esclusivamente all’allevamento di bestiame per poi, dopo la scoperta del petrolio nel 1901, diventarne il maggior produttore degli Stati Uniti. In ogni caso rimaneva uno stato sui generis. Inizialmente apparteneva al Messico ma, nel 1845, dopo una lunga serie di vicissitudini, e con una dichiarazione autonoma e arbitraria, fu annesso agli Stati Uniti. Ne seguì una guerra con il Messico che terminò con un accordo di natura economica (venticinque milioni di dollari circa) che prevedeva la cessione di diversi territori da parte del Messico e la fissazione degli attuali confini tra la California, il Nuovo Messico ed il Texas.

    Benché parte integrante degli Stati Uniti, i texani hanno sempre considerato il loro stato come una sorta di repubblica indipendente tanto da continuare ad usare la loro bandiera. Probabilmente, in virtù di ciò, hanno maturato una mentalità molto diversa dal resto degli Stati Uniti fatta di esagerazioni, spavalderie e atteggiamenti aggressivi. Il generale Patton ne era il classico esempio.

    Purtroppo, nessun progresso era stato ancora fatto in ordine all’integrazione razziale rimanendo, quindi, uno degli stati più razzisti degli U.S.A. Dal confinante Messico arrivavano, quotidianamente, centinaia di persone, in maniera più o meno regolare, in cerca di una vita migliore. A queste, però, erano riservati solo i lavori più umili e meno pagati che nessun bianco voleva più fare.

    Questa era, dunque, la realtà sociale nella quale si trovò alla fine degli anni ‘60 Antonio a Huston. La sua origine italiana lo faceva appena tollerare dai suoi colleghi dell’ospedale, ma non certo accettare. Per la stragrande maggioranza di loro Antonio era un dago (deformazione di Diego) ovverosia assimilato agli ispanici. Tuttavia, nessuno ebbe mai qualcosa da ridire anche perché ebbero modo di capire che Antonio era un benestante e, quindi, degno di rispetto in un paese dove la ricchezza veniva considerata una virtù.

    La signora che governava la casa era una messicana, originaria di un paesino povero e sperduto del Chihuahua chiamato, impropriamente, Delicias.

    Come tutti i messicani aveva un nome lungo e altisonante ma per comodità, veniva chiamata semplicemente Maria. Ad Antonio ed Erik era decisamente simpatica perché molto solare e sempre allegra, ma dovevano stare attenti a non trattarla troppo affettuosamente in pubblico, perché familiarizzare eccessivamente con costoro non era visto di buon grado. Si poteva facilmente essere scambiati per comunisti e, quindi, considerati nemici.

    Contrariamente a quello che Antonio si aspettava non era semplice né facile avere a che fare direttamente con il dott. Cooley. Era sempre pieno di impegni fuori dalla struttura ospedaliera e, quando era in sede, costantemente circondato dai componenti della sua equipe; solo a costoro era consentito assistere ai delicati interventi al cuore che eseguiva.

    Come un vecchio artigiano di paese era geloso della sua arte e, quindi, non era propenso ad insegnarla a chiunque. La cosa cominciò ad infastidirlo. In ogni caso seguì con profitto il corso di specializzazione. Un giorno, durante la pausa pranzo, notò una bella ragazza bionda, dai chiari lineamenti anglosassoni, con indosso un camice bianco come lui, intenta a leggere una rivista scientifica che teneva all’altezza degli occhi con una mano mentre mordicchiava, di tanto in tanto, un sandwich che aveva nell’altra.

    Più che dalla bellezza del viso fu colpito dallo sguardo attento e assorto con il quale leggeva. Antonio non era certo un timido per cui si avvicinò dicendole:

    Da come sei concentrata devo desumere che deve essere qualcosa di estremamente interessante quello che stai leggendo.

    La ragazza distolse lo sguardo dalla rivista e, dopo avere squadrato il giovane che gli si parava di fronte, con un sorriso rispose Dipende dai punti di vista, mostrandogli nel contempo la pagina sulla quale comparivano immagini di fegati umani sezionati.

    Bastò questo a far sì che i due iniziassero a parlare e a fare conoscenza. Lei si chiamava Stephanie e veniva dall’Alabama; precisamente dalla città di Mobile. Era figlia di un medico e si apprestava a seguire le orme paterne. I suoi studi, però, riguardavano la medicina interna. Viveva in un appartamento insieme ad altre tre ragazze con le quali divideva le spese. Fu molto impressionata nel sentire che Antonio, benché non avesse i genitori, viveva in una casa di sua proprietà con il fratello. Si trattava di un bel ragazzo, medico e, per giunta, sicuramente ricco. La sua natura femminile le fece pensare immediatamente che, molto probabilmente, poteva essere quello giusto.

    Antonio, da parte sua, non aveva ancora maturato progetti familiari; al momento aveva solo voglia di fare amicizia con qualcuno. Meglio se una bella ragazza colta ed intelligente con la quale confrontarsi e poter scambiare le proprie idee.

    I due cominciarono a vedersi sempre più spesso nel campus e a parlare a lungo fino a quando non decisero che era venuto il momento di uscire insieme. Antonio aveva ventotto anni mentre Stephanie ventiquattro. Fino a quel momento si erano sempre incontrati all’ospedale dove indossavano perennemente il camice bianco dalla tasca del quale si vedeva fuoriuscire uno stetoscopio. Tale abitudine non costituiva affatto una necessità in quanto nelle pause ne avrebbero potuto fare tranquillamente a meno ma non ci avrebbero mai rinunciato in quanto ciò costituiva una sorta di status symbol. Di conseguenza Antonio non sapeva proprio cosa indossare per quella prima serata.

    Il programma prevedeva una cena fuori in un buon ristorante prenotato per l’occasione dalla stessa Stephanie che conosceva bene il posto.

    In un primo momento aveva pensato di vestirsi in maniera informale ma poi il suo insito provincialismo lo portò ad indossare un classico e costoso vestito. Voleva assolutamente fare colpo.

    Giunto sotto l’abitazione della ragazza rimase di stucco nel vedere che questa era abbigliata in stile country con dei blue jeans consunti, stivaletti di cuoio intagliati che coprivano per intero i polpacci e una T-shirt bianca con sopra una camicetta rossa a grossi quadri legata in vita con un nodo.

    Quando lo vide in piedi, vicino all’automobile, Stephanie scoppiò a ridere.

    "Ehi dandy, dove credi di andare?"

    Rosso in viso, Antonio iniziò a balbettare parole incomprensibili.

    Siamo in Texas. Non è un posto da elegantoni. Vieni qua che ci penso io.

    Con dolcezza e familiarità gli tolse la cravatta slacciando i primi due bottoni della camicia per poi sfilargli, da dietro, la giacca. Eseguita quest’operazione gli arrotolò le maniche della costosa camicia di seta fino al gomito.

    Ecco. Così sei accettabile.

    In realtà il locale dove Stephanie aveva prenotato era una steack house dove c’erano degli immensi tavoli di legno ai quali gli avventori potevano sistemarsi come meglio volevano.

    Gigantesche bistecche di manzo, bruciate fuori e crude all’interno, facevano capolino dalla cucina alla sala. Alcune ragazze, dal bar, trasportavano enormi boccali di birra spumeggiante. L’ambiente era molto chiassoso; non era certo quello che avrebbe voluto Antonio che, dentro di sé, aveva sperato in uno svolgimento diverso della serata, magari con un dopo cena sentimentale.

    In quel frastuono assordante era difficile finanche parlare.

    Parte II

    Alla fine, urla, fischi e rumori assordanti a parte, risultò una simpatica serata. La carne era ottima e la musica, suonata da quattro improbabili cowboys, risultò piacevole. Stephanie, al di fuori dell’ambito medico, era veramente una ragazza solare; allegra e spiritosa. Questo piacque molto ad Antonio. Un’altra cosa che lo colpì positivamente fu la pelle della ragazza; setosa e senza il minimo difetto e il suo odore allo stesso tempo pungente e sensuale. Si accorse che anche lui non le dispiaceva affatto. Tra i due cominciò un naturale scambio di gesti affettuosi.

    Come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, mentre erano seduti insieme a tutti gli altri ad ascoltare musica, Stephanie si ritrovò con la testa appoggiata sul petto di Antonio mentre la sua mano sinistra giocherellare con il dito indice della mano destra di lui. Non c’era alcuna malizia in tutto ciò, ma solo una grande spontaneità.

    Si era fatto tardi e bisognava rientrare. Una volta giunti davanti all’abitazione della ragazza Antonio, dopo avere arrestato l’auto, scese e andò ad aprirle la portiera come aveva visto che si usava fare negli stati del sud. Stephanie, una volta in piedi, senza dargli il tempo neppure di parlare, gli si lanciò tra le braccia baciandolo con passione. Stettero lì a baciarsi per molto tempo. A nessuno dei due sembrava mai abbastanza. Finalmente, dopo un ultimo bacio, Stephanie entrò in casa e chiuse la porta. Antonio rimase come stordito. Un turbine lo aveva avvolto nelle sue spire. Gli girava quasi la testa. Rimase ancora in piedi vicino all’auto per qualche minuto per riprendersi prima di salirci sopra e mettersi alla guida. Cantando a squarciagola una vecchia canzone del suo paese che aveva più volte sentito cantare da suo padre, raggiunse casa sua. Ovviamente, eccitato e su di giri com’era, non riuscì a prendere sonno. Solo all’alba, stanchissimo, cadde tra le braccia di Morfeo.

    La vita presso il campus non era male. I corsi tenuti dagli assistenti del dott. Cooley erano molto interessanti ma sempre e solo teorici. Gli unici interventi chirurgici ai quali Antonio riusciva ad assistere erano di minore importanza e sempre effettuati dagli assistenti. A lui e agli altri specializzandi, qualche volta, facevano fare solo il lavoro di apertura e chiusura. Ciò nonostante, Antonio si sentiva pronto per operare. Non vedeva l’ora di mettere in pratica ciò che aveva studiato. Più volte aveva chiesto a qualcuno degli assistenti di consentirgli di partecipare attivamente agli interventi ma senza successo.

    Un giorno uno di questi, forse per simpatia nei suoi confronti o perché quel giorno, avendo gozzovigliato la sera prima, non se la sentiva di operare, glielo permise. Inizialmente sembrava insicuro; più che altro era emozionato. Poi, come se non avesse fatto altro nella sua vita, le mani cominciarono a muoversi in maniera decisa e sicura. L’assistente ne fu sorpreso ma anche soddisfatto. Da quel momento sempre più spesso lo coinvolse negli interventi. Quando, però, sentendo i commenti positivi dei colleghi e degli infermieri, si accorse che Antonio lo stava surclassando, preso da un moto di gelosia, improvvisamente e senza alcun motivo apparente, lo escluse dalla sua equipe e Antonio si trovò nuovamente a studiare la teoria.

    Questo ostracismo, purtroppo, era cosa comune per tutti gli specializzandi. I poveretti, quindi, cercavano di rubare con gli occhi e con le orecchie il mestiere, ma era cosa troppo difficile. Per diventare un bravo chirurgo era necessario fare molta pratica.

    Un giorno, mentre si trovava nella sala riunioni, gli si avvicinò un collega che si trovava nelle sue medesime condizioni. Questi, dopo avere inveito sulla grettezza e meschinità dei loro professori, disse ad Antonio che, da parte sua, aveva trovato il modo di potersi esercitare per gli interventi al cuore. Antonio prestò subito attenzione.

    Dal mese prossimo andrò ogni mese, per una settimana, in Brasile, a Manaus. Nel locale ospedale lavora un medico mio amico. Hanno tanti casi di povera gente, malata di cuore, che non può permettersi il lusso di farsi operare.

    Ma tu ancora non hai l’esperienza necessaria.

    Me la farò là. D’altronde quella gente, con quelle patologie gravi, è destinata a morire in ogni caso, tanto vale tentare un intervento. Così io potrò esercitarmi mentre loro, se l’intervento dovesse andare bene, risolveranno il loro problema.

    Ad Antonio vennero i brividi a sentire nuovamente nominata la città di Manaus; gli faceva venire in mente vecchi e brutti ricordi. Tuttavia la cosa non lo lasciò indifferente. Poteva essere una soluzione. Ma il pensare di usare dei poveretti come delle cavie umane lo disgustava. Pensandoci bene, però, il collega aveva ragione. Sarebbero morti in ogni caso per cui non avevano nulla da perdere nell’affidarsi ad un chirurgo anche se inesperto. Vista da un altro punto di vista poteva sembrare quasi una buona azione ma si accorse subito che era solo un modo balordo per mettersi a posto con la propria coscienza. In ogni caso gli rispose:

    Quando torni mi devi assolutamente mettere al corrente di tutto. La cosa potrebbe interessarmi.

    Era molto indeciso sul da farsi. Aveva voglia di parlarne con qualcuno per avere qualche opinione e qualche consiglio. La cosa migliore sarebbe stata quella di scrivere a Padre Saverio ma già immaginava quale sarebbe stata la sua risposta per cui se ne astenne.

    La sera stessa ne parlò con Stephanie. Rimase molto sorpreso e amareggiato quando, dopo averle spiegato di cosa si trattava, la sentì rispondere:

    Magnifico. Che aspetti ad andare anche tu. Potresti diventare un cardiochirurgo bravissimo. Non farti tanti scrupoli. Che ti importa di quella gente. Tanto sono solo delle bestie.

    Nel sentire quelle parole, rimase interdetto. Come era possibile che la sua dolce Stephanie si esprimesse in quel modo? Tentò di rimanere impassibile ma volle approfondire per cui disse:

    Poveretti, in fondo non hanno fatto nulla di male

    Sono di colore, ignoranti, sporchi e di una razza inferiore. Il fatto che esistano o meno è del tutto irrilevante.

    L’ultima volta che Antonio aveva sentito parlare in quel modo era stato dal suo patrigno Ludwig. In verità questi ce l’aveva principalmente con gli ebrei ma anche le altre etnie e i diversi credo religiosi non godevano certo della sua simpatia. Come era possibile che nel 1971, nei progrediti e modernissimi Stati Uniti, faro del mondo occidentale, si potessero concepire tali modi di pensare e da una giovane ragazza poi? Quindi la condanna della Shoah e dei campi di concentramento da parte dell’America era stata solo una gigantesca ipocrisia? Non voleva discutere o litigare con Stephanie; era da così poco tempo che stavano insieme. Si limitò a glissare sull’argomento e ad introdurne un altro.

    Ti manca casa tua?

    Tantissimo rispose. La settimana prossima mi ci recherò per qualche giorno. Perché non mi accompagni? Ho tante cose che vorrei mostrarti. Ti farò conoscere la mia famiglia. L’Alabama è bellissima in questo periodo dell’anno

    Volentieri disse Antonio curioso di scoprire in che ambiente la ragazza era cresciuta e con chi era stato a contatto per avere maturato un tale modo di pensare.

    Dopo qualche giorno, partirono per Mobile. Su espressa richiesta di Stephanie fecero il viaggio in auto impiegando un’intera giornata. Attraversarono l’intera Louisiana passando per Beaumont, Lafayette e Baton Rouge, dove si fermarono a mangiare. Mobile era una città portuale situata nel sud-est dell’Alabama sul Golfo del Messico. Il clima era mite in inverno e caldo umido in estate. In quel periodo era estate e il caldo si faceva sentire. C’erano quasi quaranta gradi ma la grande umidità ne faceva percepire almeno quarantacinque. Il sudore scorreva copioso lungo la schiena.

    Arrivarono a sera a casa della ragazza. Era una casa molto signorile situata in un quartiere residenziale della periferia. Come tutte le altre case era a due piani e fatta di legno tranne la canna fumaria del caminetto (decisamente inutile a quella latitudine) che era stata realizzata in mattoni. Stephanie presentò Antonio ai genitori.

    Questo è Anthony, il mio boy friend, si sta specializzando in cardiochirurgia al mio campus.

    Dopo i saluti di rito fecero accomodare Antonio in salotto. Il padre della ragazza era un uomo alto e magro mentre la madre era di statura normale, non grassa ma decisamente in carne. Non passò neppure qualche minuto che subito si iniziò a parlare di medicina. La padrona di casa, a quel punto, protestò energicamente. Non riteneva che fosse il caso in quel contesto. Dopo poco si sentì bussare alla porta. Erano alcuni amici di famiglia che, usciti a fare due passi, erano venuti a trovarli per scambiare qualche parola e bere qualcosa di fresco insieme. Ad un certo punto Stephanie si avvicinò ad Antonio dicendogli sottovoce:

    Vedi quello che è entrato ora con la camicia bordeaux? È il Gran Dragone

    Antonio non riusciva a capire.

    E che vuol dire?

    Comanda uno dei regni dell’impero

    Ma di quale impero parli? Non capisco

    Del Ku Klux Klan.

    Antonio rimase basito. Ne aveva sentito parlare. Ricordava delle foto di uomini incappucciati a cavallo che davano fuoco ad una grande croce, ma pensava si trattasse di cose passate che avevano fatto il loro tempo. Invece non era così ed ora si trovava di fronte alcuni dei suoi membri più autorevoli. Nessuno di costoro gli prestava attenzione continuando a parlare tra di loro. Ad un certo punto Antonio sentì che due di questi parlavano in tedesco, anche se non proprio correttamente e, di conseguenza, facendo finta di niente, si avvicinò per ascoltare cosa stessero dicendo.

    Uno dei due, il più anziano, diceva all’altro:

    La figlia di Peter si è portata a casa una scimmietta ammaestrata.

    Pare si tratti di un italiano e per giunta cattolico.

    Gente di merda! Non capisco cosa ci possa trovare di interessante Stephanie.

    A quel punto Antonio non ne potette più. Il suo grado di sopportazione aveva raggiunto il massimo. Il suo orgoglio ferito ebbe il sopravvento. Improvvisamente, dimenticando la sua vera origine, si sentì figlio di Ludwig. Con passo deciso si avvicinò ai due e, fissandoli altezzosamente negli occhi, in perfetto tedesco, disse:

    Siete due maleducati, ignoranti e provinciali. Bastardi! Voi non sapete neppure cosa significhi essere di pura razza ariana. Se proprio lo volete sapere il mio vero nome è Anton Von Steiner e a voi due non vi considero proprio.

    Detto ciò, si girò con fare sprezzante e tornò da Stephanie che era rimasta a guardare incuriosita. I due, rimasti a bocca aperta, non seppero replicare. Il padrone di casa, accortosi che qualcosa non andava, chiese spiegazioni. Antonio rispose tranquillo:

    Tutto a posto. Avendo sentito che parlavano tedesco, ho voluto salutare nella mia lingua madre quei due simpaticoni.

    Si era vestito di panni non suoi e che, dentro di sé, disprezzava profondamente ma in quel contesto pensò che, se voleva farsi rispettare, non avrebbe potuto fare altrimenti in quanto, come gli venne in mente quello che si diceva al suo paese: "chi pecora si fa, il lupo se la mangia".

    Parte III

    Ma tu parli tedesco?

    Beh, sì. Ho vissuto diversi anni a Berlino insieme alla mia famiglia.

    E si può sapere cosa gli hai detto visto che sono rimasti di sasso.

    Niente di particolare. Siccome mi è parso di capire che non avessero un buon concetto di te ma soprattutto di me, gli ho ricordato le buone maniere germaniche.

    Stephanie non rimase affatto soddisfatta

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