Le avventure dell'investigatore Bignè - Il sipario
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Anteprima del libro
Le avventure dell'investigatore Bignè - Il sipario - Francesco Italiano
genitori
CAPITOLO PRIMO
L’ANNUNCIO
Bignè teneva il volto a tre spanne dal vetro, occultando il proprio corpo dietro lo stipite della finestra: dall’alto della sua camera stava controllando con grande attenzione il viottolo sottostante.
Una figura sarebbe apparsa di lì a poco, ne era certo; e a quel punto sarebbe scattato come una lepre.
Iniziava ad essere stanco per quell’attesa in piedi, ma l’obiettivo giustificava ogni sua fatica.
La signorina Adele era già uscita di casa da più di un’ora, l’aveva vista smuovere la ghiaia ai piedi del cancello principale, con il manico di quel suo ombrello rosso, ben chiuso da un vecchio laccio, agganciato al gomito come un mestolo alla barra della cucina. Egli aveva lasciato passare qualche decina di minuti e poi era sgattaiolato dal salotto alla camera, da un versante all’altro della casa, appostandosi subito di vedetta.
Fino a quel momento non era ancora successo nulla.
Prese a fissare i rami dell’albero che arrivavano a superare il primo piano: nessun frutto, da almeno due anni.
Udì un cigolio.
Passi sul selciato, in avvicinamento, pochi metri più in basso.
Pesanti, trafelati.
Finalmente.
Un grosso cappello entrò nella visuale dell’investigatore: l’ampia tesa fu la prima ad apparire, con il suo reticolo a righe alterne ocra e grigie, poi fu il turno della bombetta, circondata alla base da un nastro arancio.
Era lei.
Non appena ella ebbe proseguito quel tanto da mostrargli parte del proprio corpo, a Bignè bastò osservare le dimensioni delle sue caviglie per trovarne conferma: la signora Pinot era uscita in giardino, e, puntuale come una campana, stava effettuando la consueta visita mattutina alla sua serra.
In quel breve frangente, tutta Villa Bignè sarebbe stata solo e soltanto nelle mani dell’investigatore.
La donna aprì la porta della serra, spingendo con la spalla, e vi entrò, armata di un’ampia cesta e di tanta passione.
È fatta!
pensò Bignè, fregandosi le mani.
Uscì dalla camera, passando poi per l’anticamera, finendo quindi nel corridoio che arrivava da un’altra camera e prima ancora dalla sua anticamera, per giungere poi in un secondo corridoio che si snodava rapido, prima a destra e poi a sinistra, fino al corridoio seguente, e infine… una saletta, minuscola, inutile, con due divani, uno di fronte all’altro, un dipinto sopra la porta e un vaso, a cui si era appoggiato, presso lo stipite dell’altra.
Una breve sosta: prese fiato.
E poi ancora… corridoio, camera, anticamera, corridoio, ritratto del nonno, dipinto di barca fra le onde, olio su tela del nipote di secondo grado della cugina del padre, pianta secca, mobiletto antico con specchio e ventidue – ventidue davvero – minuscoli cassettini, intarsiati a mano, tutti diversi tra loro, di uno o due millimetri. Quando la signora Pinot aveva avuto la brillante idea di pulirlo rapidamente, estraendoli tutti insieme, si era ritrovata poi a spendere più di mezza giornata a capire quale cassetto andasse nel giusto incastro. Apriti cielo…
Già, la signora Pinot: non avrebbe passato l’intera mattinata nella serra.
Accelerò il passo.
Raggiunse le scale e le percorse saltellando.
Terminata la discesa, si guardò intorno ansimante: nessuno.
Dopo un istante di titubanza, puntò dritto verso la dispensa.
Era un atto grave in quella casa, proibito.
Poteva essere catalogato al pari di una insubordinazione, un’aperta dichiarazione di guerra al potentato della magione.
La signora Pinot non voleva che altra anima viva mettesse piede nei locali di sua pertinenza, per alcuna ragione al mondo.
Ma il gesto di Bignè, quel giorno, era più di un capriccio, era più di un desiderio: si trattava di un vero e proprio atto di sopravvivenza.
La governante, di tanto in tanto, aveva l’abitudine di istituire la settimana di qualcosa
: durante i sette lunghissimi giorni successivi ad una domenica, ella cucinava solo piatti basati proprio su quel qualcosa
, in tutti i modi possibili, e non era concesso cibarsi d’altro. Quella era la settimana del carciofo
, ed era già stato presentato in almeno dieci vesti differenti negli ultimi giorni: lesso, fritto, in crosta, marinato, stufato con ripieno di mollica, in pinzimonio, al cartoccio, in umido con rigaglie e pomodori, a crema in una pagnotta cava, bollito.
Non ne poteva più.
Tradizione!
diceva la signora Pinot.
E così Bignè finiva sempre per aprir bocca e replicare, volgendo la tavola al litigio. In quei giorni, però, non si era ancora espresso sul carciofo, forse per tutti quegli ostici bocconi così difficili da mandar giù, o forse perché la pazienza era spugna che avrebbe potuto ancora assorbire: quando si finiva poi per far rissa, tra i due seguiva un gelo lungo da disciogliere.
Avvistò un lucente barattolo di marmellata.
Albicocche
recitava l’etichetta, scritta a mano in una grafia incerta, con ampi ghirigori in ogni angolo. Era uno dei pezzi pregiati fra le conserve della signora Pinot: tanto allettante, in quel momento, quanto letale nelle conseguenze. Avrebbe potuto farlo proprio, era sufficiente allungare il braccio… ma se ne sarebbe accorta? Sì, certamente.
E dove diavolo è sparito questo…? Signor Bignè! Venga immediatamente qui!!
sentiva già riecheggiare la sua voce.
Si guardò in giro, cercando qualcosa di più discreto.
Proseguì tenendosi parallelo allo scaffale: funghi essiccati, pasta di semola, lenticchie secche, uvette.
Frenò.
La signora Pinot non si sarebbe mai potuta rendere conto di qualche uvetta in meno… la mano del colpevole Bignè stava già proiettando la propria ombra sul recipiente.
Din-don.
Il campanaccio della porta infranse il silenzio.
D’istinto ritrasse il braccio, volgendo lo sguardo impaurito verso l’ingresso della dispensa.
Non appena i suoi lineamenti si furono liberati dal senso di colpa, proruppe in un’empia imprecazione.
La signora Pinot non sarebbe mai dovuta accorrere alla porta d’ingresso, o avrebbe deciso poi di tornare in casa a fare altro. Lo diceva l’esperienza.
La dispensa era situata nella zona posteriore della villa, proprio come la serra: se Bignè avesse urlato da lì, la governante si sarebbe potuta insospettire per la sua vicinanza.
Prese uno straccio e con esso si coprì la bocca, urlandoci attraverso un seccato: «Vado io!»
Si augurò che la voce attutita avesse sortito l’effetto sperato.
Percorse il tragitto dalla dispensa all’atrio evitando le finestre quanto più gli fosse possibile; risalì alcuni gradini delle scale silenziosamente, per poi discenderle facendo un gran baccano, con passi pesanti e voce irritata.
Aprì la porta e trovò di fronte a sé uno dei ragazzini dell’edicolante. Sventolava il giornale davanti al suo naso ripetendo il consueto: «Notizie fresche, signore.»
Con la coda dell’occhio, però, l’investigatore riuscì a vedere altro: ramaglie grigiastre che coprivano una fronte raggrinzita sotto il peso di un ampio cappello. Bignè a quel punto comprese che non avrebbe avuto altre occasioni per saziare i propri desideri: la mattinata ormai era compromessa, la signora Pinot aveva già riempito la sua cesta di ortaggi.
«Dai qui, giovanotto.» la governante allungò il braccio, porgendo al ragazzino una moneta ed una patata ancora sporca di terra.
Dopo aver strappato il giornale dalle mani del fanciullo, ella squadrò l’investigatore con sospetto. Bignè temeva che la donna si stesse chiedendo come egli avesse fatto a scendere così velocemente, e così sfruttò una delle nozioni apprese nella scherma: parata e risposta.
«È possibile che ogni mattina io sia costretto a scendere?» disse l’uomo con fermezza a pugni stretti, aggrottando le sopracciglia. Da infante, il padre l’aveva costretto a seguire alcune lezioni di fioretto; in verità non aveva combinato un granché, prendendole spesso di santa ragione, ma alcune basi teoriche erano servite negli anni a seguire… oggi come molte altre volte.
«Questo affare suona, strilla din-don, ed io, che ho ben altre questioni per la testa, devo mollare tutto, fiondarmi giù e ruotare quella dannata maniglia.»
La governante, punta sul vivo dei propri doveri, accusò il colpo: aveva appena inspirato a pieni polmoni, quando la bocca si serrò da sola, con forza, formando piccole increspature una a ridosso dell’altra. Tirò dritta verso l’ingresso, senza fiatare, gettando con impeto il giornale fra le braccia ed il petto di Bignè. Il plico di fogli sfuggì alla presa dell’investigatore, che nel tentare di afferrarlo in volo finì per colpire maldestramente pagina dopo pagina, trovandosi infine davanti ai piedi una bella lattuga di carta.
La raccolse, cercando di sistemarne ogni foglia secondo la piega originale. La signora Pinot intanto era già rincasata; Bignè fece lo stesso poco dopo, sbattendo la porta alle proprie spalle. Un riflesso color arancio colpì la sua immaginazione, facendo materializzare l’immagine di un enorme barattolo di lucente marmellata… proprio lì, in cima alla scala, mezzo metro sopra il pianerottolo, sospeso, come il suo appetito lacrimante sopra quel baratro oscuro cinto da acuminate spine di carciofo.
Salì i gradini, uno ad uno, salutando con rabbia e frustrazione la dispensa e le sue uvette. Era stato ad un passo…
«Signor Bignè!»
Si arrestò all’istante, sbilanciato in avanti, con un piede ad una spanna dal successivo scalino ed un nodo di terrore che si era appena formato in gola: aveva lasciato qualche indizio? Era stato scoperto? Quando voleva, la signora Pinot sapeva essere un’osservatrice acuta.
«Si ricordi il pranzo, fra un’ora. E non si metta a suonare, o dovrò salire a chiamarla.»
L’investigatore non rispose, tirando fra sé e sé un bel sospiro di sollievo prima di riprendere il cammino.
Giunto nel suo confortevole salotto, si lasciò andare sul divano, levando la consueta nuvoletta di polvere. Allargò il giornale dai fianchi, cercando di domare le numerose pieghe che fendevano i fogli come monti crespi.
Sistemò gli occhiali sul naso e volse la prima pagina, saltandola a piè pari: non aveva mai sopportato quell’ammasso di titoli e di trafiletti che anticipava qualsiasi interessante notizia fosse celata nelle pagine successive… chi diavolo mai poteva aver partorito un’idea simile? Era talmente chiaro