Anna e le altre: L'epilogo
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Colpevole senza attenuanti o vittima di violenze?
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Anteprima del libro
Anna e le altre - Marzia Astorino
Ringraziamenti
Innanzitutto vorrei ringraziare i miei lettori.
Per me, come per voi, Anna, Silvia, Samantha e Alessandra sono diventate amiche reali.
La vostra partecipazione nel chiedermi i capitoli successivi, l’interesse nel voler sapere come si sarebbero sviluppate le vite delle protagoniste, mi ha spinta a continuare a scrivere di loro. Il fatto che siate voluti entrare nel mondo che ho inventato, è la cosa più gratificante.
Vorrei ringraziare la mia famiglia e i miei amici. Senza di voi, non conoscerei e non saprei trasmettere quei sentimenti forti che legano le persone, tanto da farli diventare punti di riferimento nelle vite gli uni degli altri.
Grazie a mio figlio Riccardo, per ciò che mi insegna e mi regala ogni giorno. Attraverso i suoi occhi vedo un mondo migliore.
Grazie a Eleonora Giordano per aver creato la copertina che avevo immaginato.
Grazie a Renato Ghezzi, mio amico ed editor che vi ha evitato una serie infinita di avverbi e pianti. Un amico con cui condivido progetti. Insieme siamo una squadra speciale.
Grazie alle professioniste e amiche: psicoterapeuta Dottoressa Benedetta Lorenzini e alle Avvocatesse Michela Sironi e Francesca Passerini per le consulenze tecniche. A Lucia Ferrauto Branca dell’associazione DDIRITTO per avermi raccontato quali sono le condizioni in cui versano le donne vessate e abusate, di quanto sia difficile affrontare le condanne e i pregiudizi della gente.
CAPITOLO 1 – L’inizio della fine
Dopo quello che era accaduto, i mesi si erano susseguiti veloci, lasciandoci immersi nelle faccende quotidiane che ti fanno andare avanti. Nessuno, però, si sentiva realmente tranquillo, come prima che tutto avesse avuto inizio. I cattivi ci avevano cambiati, per sempre, e temevamo che il loro rancore nei nostri confronti non si fosse placato, anzi, che fosse diventato più forte. La loro rabbia di certo covava sotto le ceneri del fallimento e avrebbe dato ogni giorno più forza ai pensieri di vendetta.
La data del processo a Roberta si avvicinava e noi eravamo fiduciose, convinte che avrebbe potuto riprendersi la sua vita. Nelle ultime settimane aveva cominciato a costruire una strategia con Alessandra, cominciava ad aprirsi, raccontava a poco a poco della sua vita, anche se non le era facile. Continuava a sentirsi colpevole, ma aveva anche accettato il supporto di una psicanalista che la stava aiutando a riemergere da quelle sabbie mobili che la volevano inghiottire, che a ogni movimento sbagliato la trascinavano verso i loro abissi. Un passo, una mossa incauta e si sentiva di nuovo risucchiata in un vortice, incapace di uscire dalle brutture che la vita le aveva riservato.
Alessandra era convinta che ce l’avremmo fatta, che finalmente l’avremmo liberata dai demoni e lei adesso aveva al suo fianco Gianni Curato che la andava a trovare ogni giorno. Aveva fatto la sua scelta, aveva confessato tutto alla moglie e trovato un accordo per i figli. Teneva davvero a Roberta.
Sapevamo tutti che vincere non sarebbe stato facile, che gli avvocati dei Grassi erano molto capaci, che quella famiglia era potente e manipolava i testimoni, ma tifavamo tutte per lei. Eravamo positive, speravamo che la giustizia avrebbe fatto il suo corso.
Anche le nostre vite sembravano andare a gonfie vele, l’attesa per le novità imminenti ci elettrizzava. Solo poche settimane e sarebbe nato il bambino di Samantha; fervevano i preparativi per le nozze di Silvia e Filippo; Caterina, la bimba affidata ad Alessandra dalla sua cliente Dana, mancata per un tumore, era ormai era completamente inserita nella famiglia.
Sentivamo che sarebbe andato tutto bene, ma forse ci sbagliavamo, forse la vita non va sempre come deve andare ed è pronta a proporci sempre nuovi colpi di scena.
CAPITOLO 2 - Matrimonio con sorpresa
«Bambini, ci siamo? È tardissimo! Giorgio, hai chiuso le finestre?» chiesi riponendo il rossetto.
«Guarda che noi siamo pronti, sei tu che ti stai ancora truccando» mi rispose entrando in bagno con a seguito i bambini.
«Ok, ok, allora voi scendete, arrivo subito.»
Il volto di Giorgio comparve nello specchio. «Sei bellissima» esclamò, e mi diede un bacio sulla guancia.
Io protestai perché mi rovinava il trucco, ma in realtà ricambiai compiaciuta.
In ritardo, ma non troppo, arrivammo in chiesa. Uno stuolo di fotografi presidiava il sagrato, tutti a cercare di accaparrarsi il posto migliore per fotografare l’atteso arrivo della sposa, d’altronde il matrimonio di Silvia non sarebbe potuto essere diverso da così.
Mi unii alle altre, bellissime e raggianti.
Samantha indossava un abito crema molto morbido che mostrava le bellissime curve del suo pancione teso che pareva potesse esplodere da un momento all’altro; Alessandra vestiva un abito arancione e ne aveva trovato uno uguale per la piccola Caterina. Io avevo optato per quel tailleur blu attillato che tra tutti gli indumenti provati un sabato pomeriggio con le ragazze stremate, mi aveva fatto sentire meglio.
Le bambine attendevano elettrizzate l’arrivo di Silvia, e noi non eravamo da meno perché l’abito era rimasto un segreto e, si sa, aspettavamo proprio quello.
L’attesa durò poco: dalla via comparve una Jaguar cabrio color crema, addobbata con fiori gialli. Si fermò con studiata lentezza, l’autista scese con fare cerimonioso e aprì con calma esasperante la portiera.
Intuimmo che Silvia fosse scesa dall’auto per via della sventagliata dei flash, i fotografi che la immortalavano da tutte le angolature. Finalmente si liberò dell’assedio e la ammirai, era raggiante come non l’avevo mai vista. Indossava un abito a sirena: il corpino in pizzo con uno scollo a V, le maniche lunghe in tulle e il resto dell’abito che seguiva morbido le sue curve perfette fino allo strascico, tutto rigorosamente in pizzo color cipria. Un abito da sogno, assolutamente perfetto per la nostra principessa. I capelli biondi, mossi, erano acconciati in un mezzo raccolto che mostrava il viso perfetto e la loro lunghezza copriva la schiena nuda sulla scollatura. Uno wedding planner in piena crisi esistenziale ci urlò di spostarci sui lati, con ampi gesti delle mani come se fossimo imbecilli. Per paura che gli venisse un collasso, tutti lo accontentammo e aprimmo un varco nel quale passò lei, che sorrideva di continuo. Io che la conoscevo bene, però, avevo notato che sotto tutta quella perfezione e quei sorrisi celava molta emozione. Non si trattava dell’ennesima sfilata, dello sfoggio della sua bellezza: quella navata verso cui camminava era la sua vita, la sua nuova vita. Aveva chiesto a Edoardo di accompagnarla all’altare, per lei era quanto avesse di più vicino a un fratello e quindi l’affetto più grande, visto che con i suoi genitori non parlava da anni.
Ad attenderla vicino all’altare un emozionatissimo ed elegantissimo Filippo in smoking blu, accompagnato da Matteo e Andrea. Quando la vide le sorrise e le tese le braccia perché lei lo raggiungesse il prima possibile, come a dirle che non vedeva l’ora di farla diventare sua moglie. Al suo arrivo, le strinse forti le mani e le sussurrò qualcosa.
Io me lo immaginai: Sei bellissima. Ti amo alla follia.
La cerimonia si svolse senza intoppi, ognuno aveva seguito alla lettera il compito assegnato dal nostro efficientissimo wedding planner. Persino le bambine, terrorizzate dal ragazzo, avevano lanciato i petali al momento giusto. All’uscita degli sposi dalla chiesa, colombe bianche, coriandoli e riso erano volati tra le risate e la gioia di tutti. Noi tre amiche corremmo ad abbracciarla e lei si mise a piangere dicendomi che non meritava tutta la felicità che stava provando. Io la strinsi forte e mi commossi con lei. Poi tutti insieme ci dirigemmo al castello che aveva affittato per la festa, che sarebbe proseguita fino a notte. Dopo gli aperitivi, che per me sono e rimangono la parte migliore di ogni pasto, mi sedetti al fresco su un dondolo nel parco sterminato del castello. Oscillavo piano e mi sentivo leggera. Senza un motivo particolare, sorridevo alla vita, ero in pace con me stessa. Era come se in quell’istante, dall’alto, qualcuno di più grande mi stesse riservando un momento di tregua nelle montagne russe.
Poi qualcuno fermò il dondolio. Erano Samantha e Alessandra che mi avevano raggiunta. Si sedettero accanto a me e cominciammo a muoverci all’unisono, felici.
«Dite che si sfonda?» chiese Samantha preoccupata. «Io, come potete notare, sono leggermente lievitata e già partivo da una buona base.»
Io e Alessandra ci mettemmo a ridere. «Basta non muoversi troppo» proposi.
«Assolutamente, non aumentate la velocità perché altrimenti mi sento male» rispose lei.
«Sammy, saranno tutti i tramezzini che hai mangiato» scherzò Alessandra.
Lei fece finta di mettere il broncio e ricominciammo a ridere. Parlammo delle bambine e Samantha ci raccontò dei nuovi completini che aveva comprato per il bambino, poi bloccò il dondolo. «L’avevo detto che questo coso mi avrebbe fatto stare male, devo alzarmi» ci disse a fatica.
«Tutto ok? Mi sembri pallida» le chiesi aiutandola.
«Non mi sento bene» disse, improvvisamente seria, toccandosi la pancia.
«Cos’hai di preciso?» le chiese Alessandra.
«Non lo so, mi sento strana.» Poi guardò a terra: «Oh mio Dio, sono bagnata, molto bagnata, che succede?»
«Oh, cavolo, hai rotto le acque» le dissi. «Ci siamo Sammy, stai calma.»
«Calma? No, no, non adesso. Non oggi, non a questo matrimonio, ok? Forse ho solo un po’ di incontinenza, capita in gravidanza, no?»
«Samantha, sei al termine, hai rotto le acque e dobbiamo andare in ospedale.»
«Ho detto di no, sarà stato questo maledetto dondolo. Oggi è il giorno di Silvia e non sarò certo io a rovinarglielo e poi avete visto che splendido posto? Non voglio andare via.»
«Non le stai rovinando nulla e devi ascoltare tuo figlio che sta per nascere, chiaro?» le dissi.
Lei si piegò per la prima fitta di una lunga serie e io corsi a chiamare Edoardo.
CAPITOLO 3 – Quando vogliono uscire, escono
«Allora, io vado» dissi agitatissima a mio marito, prendendo la borsa al volo.
«Certo, ma non correre in macchina, mi raccomando» disse mandandomi un bacio. «Il bambino non nascerà prima che arrivi, non vorrà beccarsi una tua ramanzina appena nato!»
«Smettila di prendermi in giro» dissi, facendogli poi la linguaccia.
Uscii con Alessandra al seguito, entrambe elettrizzate per Samantha, per ciò che stava per accaderle. La nostra amica sarebbe diventata mamma. Nella sala d’attesa, Alessandra si mise a camminare avanti e indietro, senza sosta, domandandomi quanto ci sarebbe voluto, se stava andando tutto bene, se tutto quel tempo non fosse preoccupante.
«Ale, i bambini non prendono appuntamenti, quando vogliono uscire, escono. Che cavolo, calmati!»
Silvia ci aveva chiamate almeno dieci volte per sapere se Samantha avesse partorito, e ogni volta ci rimproverava per averla convinta a restare al suo stesso matrimonio, perché avrebbe preferito essere lì con noi. Le dovevamo ricordare che Samantha non l’avrebbe mai perdonata se avesse abbandonato la festa nuziale, e che comunque avevamo promesso di aggiornarla ogni mezz’ora. All’ennesima telefonata le avevamo risposto di godersi il suo evento e che l’avremmo chiamata appena il bambino sarebbe nato.
Dopo poco più di tre ore di travaglio, finalmente vedemmo uscire Edoardo, tutto sudato, stanco come se avesse partorito lui, ma con uno sguardo che esprimeva la gioia più grande: «È nato! Diego è nato, lui e la mamma stanno benissimo. Sono papà, capite? Sono papà.»
Ridemmo e piangemmo tutti insieme, poi il neo-papà si allontanò per telefonare ai parenti e noi ne approfittammo per chiamare la nostra sposa.
֍
«Lo sai che non mi perdonerò mai di averti sottratta al tuo matrimonio?» disse Samantha, sfinita dal parto.
«A quest’ora sono già tutti ubriachi e nessuno si è accorto che ce ne siamo andati. E poi, credetemi, ho vissuto il giorno più bello della mia vita che si è concluso con la nascita del mio nipotino. Cosa potevo chiedere di più? È stato tutto perfetto, ragazze. Un sogno» rispose Silvia che aveva fatto anche in tempo a cambiarsi d’abito. Ora indossava un vestitino avorio, lavorato in pizzo con la gonna a balze.
Diego era biondo come la sua mamma e aveva le guance piene, la pelle chiarissima. Dormiva come un angioletto, nella sua culla al di là del vetro che lo divideva dalla stanza della mamma.
«È bellissimo, Samantha» disse Alessandra guardando il piccolo. «E, sapete» ci rivelò girandosi a guardarci «Non provo nessuna invidia, non più. Sono così appagata da Caterina che questa mania della pancia, questo tarlo che mi stava consumando, se n’è andato. Magari l’adozione non è la strada giusta per tutti, ma se le persone sapessero cosa si prova, allora forse si lancerebbero. Non so, non voglio fare la moralista, visto che ero io la prima a escludere questa scelta, ma ora posso dire che i preconcetti a volte limitano la vita a tal punto da rovinarla.»
«Il mondo è pieno di sorprese per ognuno di noi, bisogna solo saper cogliere le opportunità che ci offre. Occorre guardare oltre, avere la mente aperta perché nulla accade per caso, anche quando una porta ci si chiude sul naso» dissi. E ci credevo veramente.
Unimmo le nostre mani e, felici per quella giornata straordinaria, salutammo la neo-mamma e la neo-sposa che abbracciò subito il suo Filippo.
«La compagnia è bella, ma noi avremmo un impegno» disse il ragazzo, suscitando l’ilarità di tutti.
CAPITOLO 4 – Ricomparsa
Un pomeriggio, pochi giorni dopo, io e Matteo rientrammo in redazione da un servizio. Poco dopo, a sorpresa, lo vidi prendere l’uscita.
«Matteo, dove vai? Il montaggio mi serve per stasera» gli ricordai nervosa.
«Lo so, lo so. Poi torno, tranquilla» disse mettendosi la borsa a tracolla.
«Mi nascondi qualcosa? Sai che non ti conviene» dissi, contenta per lui.
Matteo si girò, mi fece l’occhiolino e uscì dalla porta. Avevo imparato, o almeno cercavo di lasciargli i suoi spazi, anche se per me era difficile non tentare di proteggerlo, soprattutto dopo quello che era successo. Lui mi aveva chiesto scusa almeno mille volte, aveva passato un periodo tremendo dopo la sparatoria, ma Andrea gli era stato vicino. Con pazienza aveva ridato a Matteo la voglia di credere che si può ricominciare.
Ed erano arrivati i primi sorrisi, aveva ricominciato a uscire, ad andare in palestra; si stava riappropriando della sua vita e io ne ero felicissima.
֍
Matteo scese le scale di corsa, non voleva far tardi. La luce del sole lo colpì e alzò gli occhi al cielo, ringraziando qualcuno lassù per quella seconda possibilità. Uscì dal cancello del giornale e si ritrovò in strada. Girò l’angolo per andare a prendere la moto, ma qualcuno gli si parò davanti, spaventandolo.
«Teo.»
Il ragazzo rimase immobile, senza riuscire a credere che quello avesse avuto l’ardire di andare a trovarlo, di farsi vedere di nuovo. Non gli rispose, gli passò accanto cercando di allontanarsi da lui il più velocemente possibile, ma l’altro lo sfiorò.
«Christian! Non osare toccarmi, non osare venire più qui, hai capito, brutto stronzo?» disse Matteo ritraendosi.
«Aspetta, ti prego, io…»
«No, no, no! Io un cazzo, Christian, io niente. Non voglio sentire niente che esca da quella bocca. Mi hai raccontato solo palle. Ma non ti vergogni a farti anche solo vedere? Non ti vergogni a esistere?» disse Matteo arrabbiato e frustrato.
Aveva pensato tante volte a lui, al male che gli aveva fatto, al rancore profondo che provava per il ragazzo che aveva amato di più in assoluto perché aveva distrutto qualcosa in cui lui credeva con tutto se stesso. Era stato l’unico ragazzo con cui aveva pensato di costruirsi una vita ed era stato ripagato con la peggior moneta, l’inganno.
«Lo so, non ho diritto di stare qui, forse sarebbe meglio che fossi morto. Lo so e hai ragione, ma…» tentò di giustificarsi ancora Christian.
«Ma basta!» gli urlò contro Matteo. «Non c’è nessun ma, non c’è giustificazione che regga per quello che hai fatto a me e ai miei amici. Sparisci o chiamo la polizia!»
Dopo questa minaccia, salì sulla moto. Si infilò il casco e diede gas alla sua Kawasaki Monster, accelerando per fuggire dal passato, ancora così doloroso.
CAPITOLO 5 – Il processo abbia inizio!
Era passato un mese dal matrimonio di Silvia e dalla nascita del piccolo Diego e ora ci trovavamo di nuovo insieme per affrontare quel processo che attendevamo ormai da troppo tempo, tra rinvii e ritardi del tribunale. Era giunto il giorno