Rifiuti pericolosi. Un caso per Diana Carbone
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Anteprima del libro
Rifiuti pericolosi. Un caso per Diana Carbone - Alessandro Gramegna
1
Diana Carbone, calabrese di origine, un metro e sessantacinque di pura determinazione e affidabilità, classe ’72, rimise il telefono nella borsa e con passo rapido percorse a ritroso la strada dalla Piazza Ducale verso casa. Diversamente dalla tranquillità che aveva sperato, la nuova settimana sarebbe cominciata con la tensione provocata dal nuovo caso da risolvere.
L’idea di passare una semplice giornata a sistemare alcune faccende sul computer e magari alla chiusura di un paio di sopralluoghi che aveva in calendario svanì con la chiamata ricevuta dal superiore.
Si armò della pazienza che la contraddistingueva soprattutto nelle situazioni di repentini cambi di programma e, con un profondo respiro, allontanò i brevi sussulti di nervoso che tentavano di infastidire il suo stato d’animo.
Per evitare di imbattersi in qualcuno di sua conoscenza, decise di mantenere lo sguardo verso il basso, nonostante il movimento dei suoi folti capelli bruni le ostruiva la visuale.
In breve tempo si trovò di fronte al box dove custodiva la sua affezionata Smart grigia. Aprì e sollevò la basculante, spostò la bicicletta davanti al garage adiacente e tirò fuori la sua piccola utilitaria. Riordinò tutto e si avviò verso Abbiategrasso.
La strada non era molto trafficata. In direzione Milano la maggior parte delle auto occupate dai pendolari della metropoli era già transitata nelle ore precedenti.
Diana fu fortunata a trovare liberi tutti i semafori presenti nel tragitto cosicché, in poco meno di quindici minuti, raggiunse la sede del commissariato.
Ad attenderla davanti alla gradinata di accesso, con il sigaro fumante e gli occhiali da sole scuri, l’ispettore Luciano Bosetti: un metro e ottanta di milanesità doc, sessantadue anni, pizzetto e capigliatura abbondante e brizzolata, con tendenza al bianco.
La sovrintendente parcheggiò la sua Smart e raggiunse il superiore che indossava jeans scuri, una camicia blu, un gilet doppiopetto color fumo di Londra e una giacca del medesimo colore.
Buon giorno, ispettore.
Buon giorno, Diana. Prenda l’auto di ordinanza che le spiego tutto mentre ci dirigiamo verso il luogo di ritrovamento, a Cassinetta di Lugagnano.
Messa in moto la berlina blu scuro, i due poliziotti si avviarono verso il piccolo paese confinante con la città di Abbiategrasso e poco distante dal commissariato.
Una volta arrivati a Cassinetta, parcheggi pure davanti alla sede del comune. Il posto dove è stato trovato il cadavere è raggiungibile solo a piedi e da lì sarà abbastanza vicino.
D’accordo, ispettore. Ma si sa qualcosa sull’identità della persona morta? Chi lo ha segnalato?
Al momento pare di no. Tra l’altro non mi risultano ci siano state negli ultimi giorni denunce di scomparsa in zona, ma lo faremo comunque verificare. Ad accorgersi del corpo è stato un pensionato che passeggiava con il proprio labrador. Alla vista, ci ha subito telefonato e gli è stato chiesto di rimanere sul posto fino al nostro arrivo.
Bosetti e Carbone lasciarono l’auto nel posto convenuto e con passo sostenuto si diressero verso le sponde del Naviglio Grande.
Tra il ponte che univa le due sponde del corso d’acqua e le facciate delle storiche ville si trovava un importante imbarcadero, ristrutturato qualche anno prima e di nuovo utilizzato come punto di partenza per le navigazioni turistiche, che dal piccolo paese portavano da una parte verso la darsena di Milano e dall’altra verso Turbigo.
Ci si poteva arrivare facilmente dalla sponda destra del canale, percorrendo l’agevole corridoio che dalla strada principale immetteva al punto di approdo delle barche.
A quell’ora c’era ancora silenzio e si sentiva soltanto il cinguettio di piccoli uccelli che popolavano le rive del Naviglio e il vicino parco comunale.
Arrivati sulla banchina, i due poliziotti furono salutati dai diversi presenti: due colleghi giunti sul posto appena ricevuta la segnalazione, l’anziano con il suo labrador marrone sdraiato per terra e tre vigili del fuoco, che stavano per terminare le operazioni di recupero del cadavere dall’acqua.
Buon giorno a tutti: sono l’ispettore Bosetti e lei è la collega, sovrintendente Carbone
, e rivolgendo lo sguardo verso il pensionato ancora sotto shock, chiese:
Immagino sia stato lei a telefonarci vero? Ora si tranquillizzi e ci racconti come e dove ha trovato il corpo.
L’ottantenne ex operaio Arturo Pavesi si tolse il berretto grigio e con la voce tremante, mentre accarezzava il suo cane, rispose all’ispettore:
"Come tutte le mattine sono uscito di casa per portare a spasso il mio Elmo. Io abito qui a Cassinetta, appena dopo la chiesa. La prima tappa è il parco di fianco alla sede del municipio, poi ci spostiamo verso l’imbarcadero dove Elmo adora rotolarsi per terra e avvicinarsi alla sponda ad osservare il Naviglio. Per evitare che si sporga troppo, lo accompagno sempre standogli vicino.
Questa mattina però, Elmo è stato più veloce di me e si è messo a correre fino all’estremità della banchina, quando stranamente si è messo ad abbaiare come se fosse stato turbato da qualcosa. L’ho subito raggiunto e, abbassando lo sguardo verso l’acqua che scorreva, ho visto quel corpo incastrato tra un rovo e l’estremità in cemento del pontile. Poi vi ho chiamato."
Grazie, signor Pavesi, per noi è sufficiente. Ora se vuole la accompagniamo a casa così si rilassa. Non dovrebbe essere necessario, ma si tenga comunque a disposizione.
Bosetti si rivolse ai due giovani poliziotti, chiedendo loro di fare strada all’anziano e al suo cane verso il rientro a casa.
Nel frattempo, sull’imbarcadero i vigili del fuoco avevano sistemato il cadavere che, a prima vista, sembrava appartenere ad un uomo sulla cinquantina.
Pochi istanti dopo, mentre ispettore e sovrintendente davano un primo sguardo al corpo esanime, arrivò la squadra della polizia scientifica con il medico legale per i necessari rilievi.
Diana, direi di lasciare campo libero ai colleghi che ci aggiorneranno poi nel pomeriggio.
Certo, se vuole poi li sentirò direttamente io. Le va un caffè, ispettore, prima di rientrare? C’è un bel posticino a pochi metri dal parcheggio dove abbiamo lasciato l’auto.
I due poliziotti si congedarono dalla scientifica già all’opera sul corpo del malcapitato e si diressero verso il bar conosciuto da Diana.
Passarono davanti alla sede del municipio e alla piccola chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate con il suo caratteristico pronao, che si reggeva su colonne di granito e precedeva l’ingresso all’edificio religioso. Attraversarono la strada e raggiunsero il Caffè della Biraga, così chiamato in nome di una roggia di derivazione del Naviglio Grande, che un tempo divideva i due abitati di Cassinetta e Lugagnano.
Nonostante le ridotte dimensioni e il sentore un po’ stantio degli anni che aveva, il locale era comunque accogliente, grazie all’ordine e alla pulizia date dallo scrupoloso gestore: qualche vecchio mobile e lo storico bancone completavano il quadro retrò del posto.
Bosetti e Carbone si sedettero in uno dei sette tavolini in metallo anticato scuro a disposizione, che a quell’ora erano liberi e ordinarono i loro espressi.
Si è fatto qualche idea, ispettore, sul cadavere?
Chiese Diana al suo superiore, intento ad osservare le pareti del piccolo bar, in cui erano appese diverse tavole con fotografie in bianco e nero che rappresentavano i luoghi più caratteristici di Cassinetta.
Da come era ridotto, difficile stabilirlo. Spero solo non si tratti dell’ennesimo caso di suicidio, che negli ultimi mesi si stanno verificando soprattutto in questa zona. Qui la crisi economica sembra aver inciso in modo preoccupante, in particolare tra gli uomini di mezza età, che magari si trovano senza un lavoro ad un passo dall’agognata pensione: troppo vecchi per un nuovo impiego, troppo costosi per le aziende. E lei cosa ne pensa, Diana?
In questo momento non saprei. Con molta probabilità è stato parecchio tempo in acqua e segni particolari ed evidenti sul corpo non mi pare ci fossero. Vedremo cosa verrà fuori dall’autopsia e soprattutto se si farà vivo qualcuno a denunciare la scomparsa dell’uomo.
2
Quella mattina a Roma il cielo era ricoperto da nubi grigie che minacciavano pioggia per l’intera giornata, come avevano predetto quasi all’unisono tutti i servizi meteo locali e nazionali.
Nell’area a nord della capitale, compresa tra la Tomba di Nerone e la Riserva Naturale dell’Insugherata, polmone verde ricco di flora e fauna autoctone, il primo lunedì di aprile aveva già dato il benvenuto ai romani e non solo.
In un piccolo appartamento al piano terra della zona residenziale, Giulia Marini, quarantenne impiegata di una nota multinazionale del settore dell’elettronica di consumo, si apprestava a cominciare una settimana impegnativa, lontana dalla sua quotidianità.
Lasciata in fretta l’abitazione di Magenta il venerdì precedente, aveva dovuto prendere il primo treno disponibile per Roma dove, qualche ora prima, l’anziano padre era stato trasportato all’ospedale in seguito ad una forte caduta, che l’aveva lasciato immobile e dolorante sul pavimento. Per sua fortuna, ma soprattutto grazie all’intervento tempestivo della moglie che raggiunse il telefono, i soccorritori erano arrivati in pochi minuti.
L’incidente casalingo aveva provocato, oltre a qualche lieve contusione, la rottura del femore destro e l’inevitabile ricovero presso la struttura ospedaliera.
Giulia aveva deciso così di fermarsi per alcuni giorni nella capitale per stare vicino al padre e per dare supporto alla madre che, costretta su una sedia a rotelle da diversi anni, in mancanza del marito, sarebbe stata in difficoltà nelle normali faccende domestiche.
Svegliatasi presto, la aiutò a lavarsi e a vestirsi e insieme fecero colazione con tè e biscotti al burro. Riordinò poi la tavola e diede uno sguardo al suo cellulare per leggere il messaggio di buongiorno, che ogni mattina il compagno Alberto Ferrari le inviava.
Si avviò nella camera degli ospiti allestita per l’occasione del suo temporaneo rientro e dal comodino, posto sul lato sinistro del letto, sollevò il suo telefonino: col cuore che batteva per quella piccola ma importante emozione, accese il display e stupita si rese conto che non c’era nessuna notifica.
Provò a spostarsi all’interno della stanza, sperando di raggiungere qualche linea in più di campo, ma ancora nulla, nonostante un paio di tacche in più. Sconcertata cercò il numero di Alberto tra le ultime chiamate ricevute e gli telefonò.
Dopo tre squilli, si inserì l’odiata segreteria che suggeriva di riprovare più tardi perché l’interlocutore in quel momento non era raggiungibile.
Fece altri tentativi a distanza di diversi minuti, ma la cantilena della voce registrata rimaneva sempre la stessa.
Decise allora di lasciare perdere per un po’. Salutò la madre con un caloroso abbraccio, aprì la porta e si avviò verso la vicina fermata dove avrebbe preso l’autobus che portava all’ospedale.
Sempre più preoccupata, durante il tragitto si interrogò su quale potesse essere il motivo della mancata ricezione del consueto messaggio mattutino e sul perché il telefono di Alberto continuasse a risultare spento, in particolare proprio in quel lunedì che li costringeva a tanti, troppi chilometri di distanza.
Non le venne in mente nulla che potesse giustificare quella situazione, anche perché lui l’avrebbe sicuramente avvisata per tempo, nel caso fosse successo qualcosa e avesse avuto emergenze o urgenze di qualsiasi tipo.
Per alleviare la tensione provocata da quello stato di incertezza, prima di entrare in ospedale fece due passi e dopo una mezz’ora pensò di chiamare Annalisa, la sorella del compagno.
Pronto, Giulia? Tutto a posto lì a Roma? Ho saputo di tuo padre, ora come sta?
Rispose Annalisa Ferrari, l’esuberante e prosperosa cinquantenne sorella di Alberto, che a quell’ora si trovava ancora avvolta nella sua sontuosa vestaglia di seta blu.
Ciao, cara, qui tutto a posto. Mio padre ora va meglio, deve stare un po’ di giorni a riposo in ospedale, ma il peggio è passato.
Che bella notizia! E dimmi, prima che vada in bagno, sai che poi ci metto parecchio, hai bisogno qualcosa?
Sì Annalisa. Si tratta di tuo fratello. È da stamattina che non risponde al cellulare, scatta sempre la segreteria telefonica. Non è da lui. Tra l’altro, di solito al risveglio mi manda sempre un messaggio, ma oggi non è arrivato nulla. Potresti riprovare tu a chiamarlo e nel caso lo trovassi, digli che lo cercavo? Non vorrei sia successo qualcosa.
Ma certo, non preoccuparti. Avrà lasciato il telefono a casa sotto carica nel solito posto dove non prende bene oppure non lo avrà ricaricato e si sarà spento. Ci penso io, Giulia. Ora vai tranquilla da tuo padre e salutamelo tanto.
Grazie mille, Annalisa, sarà fatto. Ci sentiamo poi dopo.
Terminata la telefonata, Giulia Marini, rincuorata dalle parole della futura cognata, passò dal bar dell’ospedale per un bicchiere di acqua gassata e si diresse poi al reparto dove era ricoverato il padre.
3
Lasciata Cassinetta di Lugagnano, Luciano Bosetti e Diana Carbone fecero rientro in commissariato per organizzare le successive attività da effettuare, nell’attesa degli aggiornamenti medico-legali.
Non fecero in tempo a sedersi nell’ufficio dell’ispettore, che il telefono squillò. All’ispettore fu inoltrata