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Un errore di gioventù
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E-book287 pagine3 ore

Un errore di gioventù

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Info su questo ebook

Futura è incinta per la seconda volta e a Patrick sembra che il loro mondo sia perfetto, ma una notizia dal passato potrebbe scombinare tutto. Patrick infatti viene contattato da una sua ex, Arlene, che gli confessa di avere una figlia quasi adolescente, che potrebbe essere sua. Lui però, appreso ciò, non ha il coraggio di rivelarlo alla moglie.
Inoltre anche una seconda notizia è destinata a portare dolore. Futura e Patrick sono da anni gli amici di penna di Luis, incarcerato in Alabama per un omicidio commesso quindici anni prima sotto l’effetto di stupefacenti e condannato a morte. Ora l’iter processuale è terminato e l’esecuzione è stata fissata proprio nel giorno in cui per la gravidanza di Futura è previsto il termine. Solo Mac, che è un amico di Patrick e Futura, ma anche un personaggio pubblico, potrebbe avere qualche chance per ottenere la grazia per Luis, ma prima dovrebbe mettere da parte i propri pregiudizi.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita4 feb 2020
ISBN9788833664378
Un errore di gioventù

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    Anteprima del libro

    Un errore di gioventù - Elena Genero Santoro

    memoriam

    1

    Londra

    Patrick aprì la porta sulla sua casa a schiera in Malborough road e si affacciò sull’uscio. «Hai misurato la pressione oggi?» domandò a Futura, prima ancora di salutarla.

    «Già due volte: centoquindici su settanta. Più di così!» rispose lei senza scomporsi, continuando a lavorare a maglia immersa tra i cuscini. «E non ho il minimo accenno di mal di testa» puntualizzò per completezza di narrazione.

    Patrick aveva un nodo in gola ogni volta che ci pensava. La prima gravidanza di sua moglie era finita con un cesareo d’urgenza in seguito a un’eclampsia e il fatto che sia lei che la bambina fossero sopravvissute era stato un mero caso fortuito.

    Tirò un sospiro di sollievo. Solo allora si tolse il giaccone e le scarpe. Poi le posò un bacio sulle labbra e uno sulla pancia, dopo esserlesi accucciato di fianco, sul divano di alcantara rosso, - una goduria per il tatto, - che si erano regalati per il loro ultimo anniversario. «Come va il golfino?»

    «Inizia a prendere forma» rispose Futura, senza alzare lo sguardo.

    Patrick sorrise beato, guardandosi intorno. La sua mogliettina adorata, che trascorreva ore e ore a preparare il corredino, mentre la luce naturale che le illuminava il profilo metteva in risalto la pelle ambrata e i capelli neri, lisci, tagliati sotto le orecchie. La loro deliziosa prima figlia, Marina, una principessa con pelle bianca e occhi azzurri che adorava le bambole e in quel momento era sul tappeto davanti a loro con una spazzola giocattolo con cui acconciava una Barbie bionda. Un’altra bambina in arrivo che a detta di Futura scalciava di continuo. La loro casa nuova, a schiera, con la facciata di mattoni rossi, le finestre bianche e un piccolo giardino sul retro. L’ingresso dava su un soggiorno luminoso, dal quale si entrava poi in cucina. La zona notte stava al piano di sopra. Era la casa dei loro sogni. Finalmente tutto filava a dovere. Era tutto sotto controllo.

    «A volte penso che siamo benedetti da Dio. È così favoloso, ora. Dobbiamo dirgli grazie per tutto quello che abbiamo.»

    Futura smise di sferruzzare e alzò lo sguardo.

    «Sì, Dio va ringraziato, ovviamente. Ma, una volta tanto, non essere così modesto. Anche noi abbiamo fatto la nostra parte. Abbiamo rigato diritto. Nei momenti di crisi non ci siamo lasciati attirare da soluzioni facili e ingannevoli e, alla fine, ne siamo sempre venuti fuori. Tu convivi con l’emofilia da quando sei nato, ma non ti scoraggi. Se abbiamo creato un angolo di felicità tutto nostro, possiamo pure prenderci un po’ di merito. Diciamolo: siamo stati bravi. Ti pare?»

    Patrick ci pensò un attimo su. Futura non aveva tutti i torti. In fondo si miete ciò che si semina. Ciò che avevano costruito non era solo merito della buona sorte, ma anche della loro attitudine a una vita sana e ordinata.

    Quel pensiero gli parve rassicurante. L’emofilia di quando in quando gli avrebbe sempre giocato qualche brutto tiro, ma ciò che contava erano gli affetti e quelli li aveva costruiti su solide basi. Non desiderava nulla di più di ciò che aveva e si sentiva felice. Fece leva su un ginocchio, si alzò e andò ad apparecchiare la tavola in vista della cena.

    2

    Londra

    Diritto, diritto, poi rovescio. Lavorare a maglia era un vero antistress. Le piaceva la sensazione tattile della lana e anche l’idea di creare qualcosa di caldo e accogliente per la nascitura. Alle soglie dell’autunno aveva scelto un bel color albicocca per realizzare un golfino con le trecce sul davanti.

    Menomale che esisteva il lavoro manuale, perché nonostante l’iniezione di fiducia che aveva appena somministrato a Patrick anche lei aveva delle ansie, che riguardavano la primogenita. Sarebbe stata gelosa della sorellina? Si sarebbe sentita messa da parte? Il rapporto che Futura aveva con la prima figlia era stato fino a quel momento esclusivo, simbiotico. E se la secondogenita avesse sconvolto tutti gli equilibri?

    Quei pensieri la tormentavano. Ogni tanto ne parlava anche con suo marito, ma lui le dava una carezza tenera su una guancia e la rassicurava:

    «Sarai bravissima, come sempre. Riuscirai a gestire tutto alla grande!»

    Ma queste aspettative la gravano ancora di più. Il suo rapporto con Patrick andava bene. Lo stesso non si poteva dire di quello di Elettra.

    Elettra, sua coetanea, era ufficialmente la sua migliore amica dalla fine del liceo e, dettaglio non trascurabile, condivideva con lei due fratellastri: Giovanni, il maggiore e Iago, il più piccolo. La loro frequentazione non era stata assidua negli ultimi anni, perché subito dopo il diploma Elettra si era trasferita negli Stati Uniti per studiare, ma una volta là aveva conosciuto Ted Crawford, un oriundo nero di dimensioni stratosferiche con cui aveva iniziato una convivenza e, dunque, era rimasta nei pressi di New York dove aveva pure messo al mondo una bambina, Cindy.

    Solo di rado rientrava in Italia per qualche vacanza estiva o natalizia; in genere restava nella Grande Mela e si faceva sentire tramite Skype.

    Il rapporto tra Elettra e Ted per lungo periodo era stato per Futura croce e delizia. Delizia perché lei era contenta per la nuova vita della sua amica. Croce perché le aveva sottratto la sua compagna di mille avventure, la mattacchiona con cui si chiudeva in bagno e cantava a squarciagola mentre tentava di arricciarsi i capelli con la piastra e depilarsi le gambe, quella che inventava una scusa sfacciata con sua madre Ornella quando nell’agriturismo rompevano piatti e bicchieri, quella che assaggiava di nascosto le ricette della madre Silvana e poi dava la colpa al gatto.

    Futura ammirava Elettra. Prendere casa in una nazione così lontana e diversa da quella d’origine, costruirsi un’esistenza fuori dagli schemi, vivere con un ragazzo di colore in un mondo pieno di pregiudizi, non era da tutti. Tra loro due, la più matura era sempre stata Elettra. C’era stato un tempo, poco oltre l’adolescenza, in cui Futura grassoccia e insicura, dubitava che avrebbe mai trovato un fidanzato. E mentre lei coltivava la propria sfiducia, Elettra senza chiedere il permesso a nessuno, aveva iniziato la sua vita da adulta responsabile.

    Elettra non era particolarmente bella. Era stata carina, bionda, ricciolina, con gli occhi chiari, all’epoca del liceo. Ma poi, una volta approdata in America, era ingrassata parecchio. Eppure era un tipo che piaceva. Aveva modi spicci e un senso pratico che le persone percepivano come rassicurante. Per questo Futura le raccontava sempre tutto.

    Eppure anche a una persona così assennata e giudiziosa era accaduto di separarsi, pur con una bimba piccola. Su Skype Elettra non si era dilungata molto. Aveva lasciato intendere però che Ted fosse uscito di testa, che la soffocasse con la propria gelosia.

    Futura avrebbe approfondito presto. Elettra stava per raggiungerla a Londra con la piccola Cindy, per starle vicino prima del parto e per godere di una pausa di riflessione, in tutta tranquillità. E lei ne era felice.

    3

    Torino

    Rompere un matrimonio non era affare semplice e neppure immediato. E pensare che era stato proprio lui a decidere di dare un taglio netto alla loro relazione sbilenca. Manuela non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe seguitato a metterlo in croce in eterno, ma non avrebbe mai rinunciato al suo status di donna sposata.

    Perciò Giovanni aveva incartato le sue quattro cianfrusaglie e se n’era andato. Non avrebbe mai voluto farlo. Lui era innamorato di Manuela. L’aveva ritenuta superiore a sé. Ma alla fine si era tirato indietro.

    Però svegliarsi al mattino da solo, nel nuovo monolocale – una topaia ammobiliata che aveva preso in affitto per trecento euro al mese in una traversa di corso Traiano – gli pesava sul petto come un macigno. Cenare davanti alla tv a base di scatolette – una di carne in gelatina, una di insalata di farro e tonno e, gran finale, una di piselli riscaldati nel microonde – proprio lui che aveva trascorso un decennio in un agriturismo tra Torino e Cuneo - un villino moderno rivestito col paramano rosso, con le persiane marroni e un piccolo portico che incorniciava l’ingresso principale su cui troneggiava la scritta Il Melo - ed era stato allevato secondo i sacri crismi dello slow food, era uno degli aspetti più deprimenti di tutta la faccenda. Perché, per quanto le performance culinarie di Manuela fossero scarse, un’insalata scondita e una pasta in bianco condivise erano sempre meglio di una zuppa di ceci precotta acquistata nel minimarket che, sotto casa sua, lo riforniva quotidianamente a prezzi astronomici.

    Se almeno avesse avuto degli amici, se fosse stato avvezzo a uscire la sera, o a tentare attività nuove. Invece stava rintanato in casa a mugugnare. Probabilmente sarebbe invecchiato così: triste e solo, tra una camicia stazzonata sulla sedia e un paio di pantaloni sul letto, da portare a smacchiare in lavanderia.

    Ma c’era anche un altro motivo per cui voltare pagina gli veniva difficile: Manuela lo chiamava tutti i giorni, o quasi. Lei non aveva affatto accettato quella nuova situazione, anzi, pareva non averla neppure presa sul serio. E lui, quando il cellulare squillava, non riusciva a non rispondere.

    4

    Los Angeles

    Prima o poi capitava a tutti, o quasi. E questa volta era toccato a lui. L’ultimo film che aveva girato nel ruolo di protagonista era stato un flop pazzesco. Peggio che un flop, anzi, una vera tragedia. Uno dei peggiori film dell’ultimo anno, uno di quelli da record negativi. Si parlava di Razzie Awards. Perché quando si ha a che fare con storie di alieni bisogna stare estremamente attenti. Possono uscire fuori dei veri capolavori, ma anche delle boiate che rasentano il ridicolo. E Invasion, indubbiamente, apparteneva alla seconda categoria.

    Prima o poi capitava a tutti, ma ora che era accaduto a lui, gli bruciava da pazzi. E così Mac vagava per la stanza dell’appartamento che condivideva con Connie a Santa Monica, a pochi passi dal mare, e si sentiva una belva in gabbia. Continuava a rigirarsi tra le mani quei rotocalchi che tracciavano giudizi impietosi e gli pareva che bruciassero come patate bollenti. Non era abituato a tante opinioni negative tutte insieme. La sua carriera stava procedendo bene e lui era all’apice del successo. Fino a quel momento aveva sempre azzeccato tutto. Anche quella commedia romantica stucchevole, Una casa per Maggie, su cui aveva avuto mille remore, era stata valutata positivamente sia dagli esperti del settore, sia dal grande pubblico.

    Invece Invasion era parso tanto inverosimile da sfiorare l’assurdità, la trama non aveva né una coerenza, né una logica e certi passaggi erano sembrati persino ingenui. Era un vero capolavoro di comicità involontaria. E lui, Julian MacInnes, in arte Julian MacGregor, Mac per gli amici, ancora si domandava come avesse potuto lasciarsi coinvolgere in cotanto orrore. Ora il suo faccione compariva su tutti i manifesti che reclamizzavano la prima visione e lui voleva morire per l’imbarazzo.

    Ma come era iniziata quella storia? Cosa gli era piaciuto di quel copione? E dire che Mac selezionava con cura ogni possibile lavoro. Non aveva necessità di elemosinare ruoli in film di secondo ordine. A quali altre partecipazioni aveva rinunciato per seguire quel progetto? Aveva rifiutato la parte di un politico omosessuale morto negli anni sessanta lottando per i diritti civili in una produzione incentrata sulla sua vita. Mac era etero e l’idea di impersonare un effemminato non era nelle sue corde. Quel film ora stava sbancando al botteghino.

    Poi c’era stata un'altra proposta per uno di quei fanta-fumettoni dove realtà e mondo onirico parallelo si confondevano dal primo all’ultimo fotogramma, sul genere di Matrix. Mac riteneva che un Matrix fosse più che sufficiente e aveva declinato. Invece, per quanto sapesse di déjà vu, anche quel film era stato un trionfo.

    Aveva detto no anche a una commedia sentimentale in cui avrebbe dovuto recitare insieme a una sua vecchia fiamma e baciarla spesso. Connie Mead, che era la sua agente ma anche la sua ragazza, gli aveva sconsigliato di accettare. E ora quel polpettone melenso si difendeva piuttosto bene nelle sale.

    Invece Invasion rischiava di essere eliminato prematuramente dai cinema. Il che forse poteva non essere un male.

    E pensare che era stato proprio un altro film sugli alieni, New War of Independence, a lanciarlo nel firmamento delle stelle di Hollywood, solo qualche anno prima. Bella la trama, favolosi gli effetti speciali, ottimi i dialoghi. C’erano state persino due nomination all’Oscar, per la regia e per la sceneggiatura.

    Il primo dubbio su Invasion gli era venuto al momento del ciak d’inizio. C’era meno organizzazione di quanto lui si sarebbe aspettato e persino le scene più d’effetto erano state congeniate badando a non spendere nemmeno un dollaro più del dovuto. A un certo punto Mac era stato persino tentato di rescindere il contratto, ma poi aveva tenuto duro, anche incoraggiato da Connie, dicendosi che, al momento del montaggio, sarebbe stato concesso il giusto risalto ai punti cruciali della narrazione. Invece una serie di scene erano state tagliate, così la trama presentava incoerenze e lacune. Insomma, tutto ciò che si poteva fare per rendere grottesco quel lungometraggio era stato fatto. E ora Mac, accasciato sul divano, teneva un rotocalco aperto sulle gambe e piangeva sul risultato finale.

    «Non ti abbattere così» gli disse Connie, tentando di posargli una mano sulla spalla. «Sono incidenti che capitano. Ora dobbiamo pensare al prossimo film. E poi devi considerare che i media non si sono scagliati contro di te: la tua recitazione ha ricevuto una valutazione positiva!»

    «Lasciami stare» scattò lui, sfilandosi come un’anguilla dalla mano calda di Connie. Era una giornata luminosa, ma lui aveva la nebbia dentro. «Non sai quello che stai dicendo. Ora vado a farmi un giro. In questo buco di casa non ci resisto un momento di più.»

    Mac uscì sbattendo la porta, senza dire dove andava.

    5

    Cristini – frazione di Ceresole d’Alba

    La storia con Fabiana non l’aveva iniziata lui. Era stata lei a inseguirlo nel fracasso della discoteca sperduta tra i campi in una frazione di Carignano, a stargli appresso, a invitarlo a ballare tra le luci psichedeliche tirandolo per il gomito. Era primavera. Faceva caldo, Iago si sentiva la camicia incollata al petto. Fabiana gli aveva scritto il suo numero sull’avambraccio e, urlando per farsi sentire, aveva preteso altrettanto. Non aveva atteso che lui la cercasse. Si era fatta viva già il giorno dopo, nel primo pomeriggio, per chiedergli se gli andava di vedersi, più tardi. Una cosa ben più tranquilla, un gelato all’Agrisapori di Pralormo, solo loro due, dove avrebbero chiacchierato un po’ davanti a un frappè alla fragola con panna montata. Era stato allora che Iago, occhi di carbone, aveva iniziato a osservarla. Fabiana era graziosa, con i capelli castani, lisci, lunghi con un taglio sfilato. Gli occhi erano pure castani e la pelle chiara. E comunque era simpatica, aveva un piglio allegro, forse un po’ sopra le righe, ma quel giorno lei aveva parlato un sacco, gli aveva raccontato un mare di cose, che lavorava nello studio di un dentista, che le piaceva Vasco Rossi, che andava matta per il cioccolato. Iago, con le mani piantate nei ricci neri e incolti, era rimasto ad ascoltarla quasi in silenzio. La notte precedente, dopo la discoteca, per riuscire a prendere sonno, con le canne ci era andato giù pesante, e adesso doveva ancora smaltire.

    Non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui com’era cominciata. Fabiana lo aveva invitato più volte e lui la aveva assecondata. Non aveva trovato mai ragioni valide per declinare. Probabilmente perché non ce n’erano. Una volta il cinema a vedere un film d’amore. Una volta una cena al giapponese.

    Quel giorno erano sulla collina di Torino, dalla basilica di Superga dove si sarebbe potuta vedere tutta la città se non ci fosse stata la foschia. Era lì che lei gli aveva chiesto:

    «Senti, ma come rimaniamo allora? Siamo insieme o no?»

    Lui si era domandato se avrebbe potuto rifiutare. Più volte si erano assaggiati a vicenda in macchina, più volte lei gli si era avvinghiata addosso in moto. Non stavano insieme, erano solo usciti. Ma ciò non significava che fosse iniziata una storia.

    «Beh, sì, direi di sì…» aveva risposto, senza guardarla negli occhi, ma giocherellando con le mani che lei aveva intrecciato alle sue.

    «Sì!» gli era saltata al collo con un abbraccio festoso, mentre lui era rimasto fermo come un salame a valutare in quale nuovo casino si fosse appena cacciato.

    Nell’immediato futuro aveva avuto da ricredersi. Quella semplice parola, insieme, aveva indotto Fabiana a concedergli una disponibilità del tutto nuova. Fino a quel momento infatti, lei non gli aveva permesso di scendere più di tanto, gli aveva accordato giusto qualche palpatina. Ma dopo quella specie di promessa estorta, dopo quell’insieme, avevano fatto finalmente l’amore.

    Per un po’ tutto era filato liscio. Iago apprezzava le gioie di avere una ragazza, anche se si era trovato invischiato in una storia di cui si sentiva quasi uno spettatore esterno.

    Poi i mesi erano passati e qualcosa era cambiato. Ora, all’inizio dell’autunno, Iago non aveva più dubbi: Fabiana era una fidanzata gelosa.

    6

    Londra

    «Ma stai benissimo! Fatti guardare!» esordì Elettra, riferita a Futura, una volta entrata in casa. «Che bella pancia e tu, amore mio, sei una meraviglia!»

    Elettra fece un passo verso di lei. Trascinava due valigie enormi e teneva in braccio la figlia mulatta, con la pelle caffelatte e i ricci biondi.

    «Io invece ho una faccia devastata, ho gli occhi sempre segnati, queste borse non se ne vogliono andare. È colpa di tutto lo stress che ho addosso e che proprio non mi molla. Sono davvero sclerata, questa separazione mi ha distrutta, guardami, non sono più io.»

    Futura la osservò e, lì per lì, non notò nulla di diverso, solo un’aria leggermente più stanca del normale, colpa anche del jet lag. I chili di Elettra c’erano ancora tutti, la fine della sua storia d’amore l’aveva esaurita, ma non le aveva fatto perdere del peso.

    Si misero a tavola, Elettra mangiò con gusto, poi si mise subito a lavare i piatti e a coordinare un gioco di bambole e peluche tra Marina e Cindy.

    «Chi l’avrebbe mai detto, dieci anni fa, che le nostre figlie avrebbero parlato tra di loro in inglese? Tu mettiti lì, continua a lavorare a maglia e goditi la pancia.»

    Nei giorni seguenti Futura intuì che qualcosa era cambiato davvero. Elettra aveva più voglia di confidarsi di quanta ne avesse mai mostrata prima di allora. Tanto era stata sintetica e sbrigativa su Skype nei giorni precedenti, quanto adesso, non riusciva più a contenersi.

    Ovviamente ce l’aveva con Ted. Quel Ted che solo fino a qualche mese prima era sempre stato oggetto di elogio sperticato. Pareva che Elettra non stesse neppure parlando della stessa persona.

    All’ora di cena Elettra dava il meglio di sé. Dopo aver apparecchiato per tutti e nutrito entrambe le bambine, iniziava lo show.

    Quella volta l’attacco fu:

    «Questo era un piatto che a Ted non piaceva per niente.»

    Era un arrosto di tacchino con carote e patate al forno.

    «Ah, ma non ho proprio voglia di parlarne.»

    Un attimo dopo partì la filippica:

    «E io per anni ho rinunciato persino a mangiare ciò che mi piaceva, pur di far contento lui.

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