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L’amore ai tempi del Coronavirus
L’amore ai tempi del Coronavirus
L’amore ai tempi del Coronavirus
E-book205 pagine2 ore

L’amore ai tempi del Coronavirus

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Info su questo ebook

Eros Spartano ha i comuni problemi di ogni adolescente: delusioni sentimentali, conflitti con la scuola e incomprensioni da parte del padre. L’unica via di fuga sono le uscite con i suoi amici piuttosto singolari. Un giorno a fare breccia nel loro gruppo è Katy, una misteriosa ragazza che cambierà per sempre le loro vite e i rapporti tra ognuno di loro. Quando scatta il lockdown, la resilienza di Eros verrà messa a dura prova, proponendo alla ragazza di vedersi di notte e di trasgredire le leggi sull’isolamento. Insieme formeranno i Cazzari, sette ragazzi, ognuno con i propri demoni interiori, uniti da un’incrollabile amicizia che lavoreranno sull’accettazione di se stessi, sentendosi parte di qualcosa di più grande. L’amore ai tempi del Coronavirus propone una storia di formazione intensa ma non disperata, rappresentando ciò che hanno dovuto sopportare gli adolescenti con l’isolamento attraverso storie apparentemente parallele, ma destinate ad incrociarsi. 

Andrea Genovese è nato nel 2006 a Pescara dove tuttora risiede e frequenta il secondo anno del Liceo Classico G. D’Annunzio. Si allena nel Pescara Pallanuoto ed è un appassionato di cinema, musica rock e di narrativa.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2022
ISBN9788830661530
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    Anteprima del libro

    L’amore ai tempi del Coronavirus - Andrea Genovese

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana. 

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero, 

    tanto è frugale il carro dell’anima.

    (Trad. Ginevra Bompiani)

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi. 

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze

    Capitolo 1

    Pescara, febbraio 2020

    Il mio amore è divertente, un sorriso al funerale...

    Hozier, Take Me to Church

    Per quel che mi è dato narrare, questa storia inizia nella camera da letto di un adolescente, che di ritorno da un’importante esperienza subì le prime delusioni d’amore.

    Il soggetto in questione spalancò e richiuse una porta, tentando di non farsi vedere – mai mostrarsi fragili – da chi abitava con lui, ovvero i suoi genitori.

    La stanza era piccola ma confortevole, pareti dipinte di bianco, un letto singolo, una bella scrivania posta contro la parete e un armadio completamente nero.

    Sulla scrivania, con piano in legno e cassetti neri – abbinati all’armadio – vi erano tantissimi libri, molti classici appartenenti a suo padre (un professore di liceo classico) o di giurisprudenza e mafia, appartenenti a sua madre (una poliziotta).

    E poi vi erano i libri del ragazzo, per la maggior parte racconti di formazione e d’avventura. 

    Sulle pareti c’erano delle stampe di film della Nuova Hollywood, gruppi rock e rappers.

    Si gettò sul letto ancora con scarpe e zaino singhiozzando dal pianto. Il torace gli esplodeva, non riusciva a parlare, lacrimava a fontane e gli prese un grosso mal di testa. Premette la faccia contro un cuscino bianco per far sentire meno i suoi versi. Per nulla al mondo poteva mostrarsi in questo stato. Era vergognoso, si sarebbe ammazzato se solo si fosse visto. Era un giovedì e a Pescara pioveva come Dio comanda. Le strade si erano allagate, i canali di scolo faticavano ad ingerire così tanta acqua e i tombini si stavano otturando. Il cielo era così grigio e nuvoloso da render lecito il domandarsi se tutti i colori esistenti al mondo li avessero risucchiati i tombini. Le gocce tamburellavano la finestra della camera del ragazzo. Dopo una ventina buona di minuti, all’esaurir delle lacrime, si decise a staccare la faccia dal cuscino notando come l’aveva strapazzato e bagnato con il suo pianto. Capelli spettinati, faccia rossa paonazza e un gran scintillio negli occhi di questa anima in pena. Sentì bussare alla porta.

    Eros, tutto bene? – domandò una voce oltre la porta.

    Eros, questo il nome del ragazzo, annuì credendo che lo possa vedere, ma poi capì che doveva dire qualcosa e, dopo aver ingoiato un po’ di saliva, prese un bel respiro e rispose: Sì mamma, oggi mangio più tardi. 

    Va bene, esci un po’ che ti fa bene.

    No, davvero sto bene così.

    Eros era abbastanza amante della casa, come desidererà tornare alla possibilità di uscire poche settimane dopo!

    Certe cose le apprezziamo solo quando ci vengono private.

    Si coricò sotto le coperte ad occhi chiusi, lasciando che gli si schiarisse la mente e che le lacrime salate si asciugassero sulle sue guance dolci.

    La mattina seguente non fu una delle più facili. Aveva smesso di piovere la sera precedente intorno alle sette, le strade erano umide e il timido sole giocava a nascondino con le nuvole. Il risveglio è una fase drammatica della routine, in cui si abbandona la facile e speranzosa dimensione onirica per scoprire che tutti i sogni che si hanno fatti non solo sono fittizi, essendo purtroppo solo sogni, ma che la realtà è triste e fredda. Tornato mentalmente sul nostro pianeta, Eros si alzò di buon’ora, non amava riposare, e quindi si recò in cucina dove la solita fetta di pane, burro e marmellata di more accompagnata da un caffelatte, originariamente concepito come un cappuccino prima dell’intervento di forze esterne, lo aspettava. Normalmente aveva appetito, ma solo se di buon umore, le mattine seguenti ad una delusione amorosa non rientrano quindi tra quelle in cui aveva fame. Anzi, gli crebbe una sensazione di inquietudine proprio nello stomaco, dove quel cappuccino senza schiuma avrebbe dovuto piazzarsi, e quindi consumò a fatica la metà di quanto gli era stato cordialmente servito da sua mamma. 

    Vai al carcere? Domandò coi baffi preadolescenziali sporchi di latte bianco. 

    Certo, pensi che non lavori? Lo apostrofò la madre, una donna bionda con gli occhi azzurri, che di atrocità peggiori dei malesseri sentimentali di Eros ne aveva viste.

    Scusa Sussurrò Eros alzando le sopracciglia. 

    Entrò in bagno, forse un po’ troppo ordinato per un giovane uomo in una tempesta ormonale, e si sciacquò la faccia, poi si mise il detergente per i brufoli (l’elisir di ogni quattordicenne), si fece i baffi, un po’ di deodorante ed era pronto ad uscire. Suo padre doveva esser già uscito per andare ad insegnare storia, italiano e latino al Liceo Classico Gabriele D’Annunzio di Pescara, una città balneare in Abruzzo, la regione più bella d’Italia a detta di chi scrive. Recuperò un paio di jeans, maglietta Levi’s giusto per aggregarsi alla massa (meglio non dare troppo nell’occhio dopo aver preso un palo!), scarpe Adidas, una felpa nera, un giubbino altrettanto nero e già che ci siamo facciamo anche un cappello nero. Prese il cellulare e il portafogli, (qualche soldo è sempre giusto portarselo anche a scuola) li ficcò in uno zaino Invicta nero e in sella ad una bici verde e nera del 1985, tanto arrugginita quanto iconica e singolare, andò dalla periferia al centro in un quarto d’ora.

    Percorse il ponte e dopo esser passato davanti al kebabbaro di fiducia, alla cartoleria in cui acquistava sin dalla prima elementare e alla pizzeria che svaligiava quotidianamente; superò le poste e arrivò al cortile della scuola. Legò la bici ad un lampione e con lo zaino in spalla si fece coraggio, tutto solo, a superare la soglia del portone per entrare nell’atrio, salire le scale a due a due e irrompere nella 3°C (in ritardo) per immergere la prof di turno di scuse e posare il suo culo ansioso su una sedia, senza guardare nessuno negli occhi.

    Capitolo 2

    "Respiri piano per non far rumore ti addormenti di sera ti risvegli col sole

    Sei chiara come un’alba… Sei fresca come l’aria..." Vasco, Albachiara

    Erano passati tantissimi anni da quando Marco e Beatrice Ultimo si conobbero ad un concerto di Vasco, con la loro comitiva di amici, nei sabati sera degli anni Ottanta e Novanta. Gli assoli di chitarra, il rock, la trasgressività, e sullo sfondo di essi, due innamorati. Lui si sarebbe deciso a sposarla e, senza aver mai mancato un concerto di Vasco Rossi, nel 2006 fu costretto a fare un’eccezione straordinaria. Per la prima volta nella loro vita saltarono un concerto di Vasco per far nascere Caterina, la quale, diversi anni dopo, si sarebbe ribattezzata Katy. 

    Katy Ultimo. Rammentava quando i suoi occhioni vispi osservarono per la prima volta i suoi genitori, che, ballando sulle note di un vinile, le dedicarono la canzone. Albachiara. E i medesimi occhioni vispi stavano guardando, a distanza di diversi anni, qualcuno di gran lunga meno eccitante. Eppure, il suo sguardo si posò su quello di Eros, appena entrato in classe. Poco dopo aver compreso che si trattava solo di Eros Spartano alzò le sopracciglia in gesto di rassegnamento e si decise a salutarlo con la mano. Eros era in ritardo, così sedette al suo banco accanto ad un altro soggetto piuttosto strambo. Il terzo componente della trinità che ci accompagnerà lungo questa storia non aveva genitori rockettari, non aveva un padre e una madre apparentemente normali ma da un passato segreto, niente di tutto ciò. Bensì, il terzo personaggio si chiamava Luca Catone, figlio di Antonio Catone e Maria. Sua madre aveva un lavoro molto impegnativo, infermiera, che da lì a poco sarebbe stata la professione più richiesta in Italia. Luca forse era uno dei pochi amici fedelissimi su cui Eros poteva contare, conosciutisi a tre anni, passarono dai Lego alle auto, poi al cinema e alla musica e, soprattutto nel caso infausto di Eros, alle ragazze. Complici in tutto ciò che facevano, sarebbero morti al posto dell’altro se glielo avessero chiesto anche solo per divertimento. 

    Ciao Luca. 

    Oh Rispose lui

    Dove stiamo?

    Tipo a pagina 94.

    Romeo e Giulietta?

    Mhhh. Rispose Luca addormentato sul libro di testo.

    Ti sei ripreso un po’?

    Non parliamone nemmeno va’.

    Come preferisci.

    Spartano hai fatto ritardo, se ti metti anche a chiacchierare poi quando comincerai la lezione? Lo richiamò la professoressa, una donna di mezza età che farciva una vita normale fatta di libri classici e letteratura con film, articoli di giornale, canzoni di ogni genere (perfino rap o trap) e una mole impressionante di conoscenza dell’attualità. Una all’avanguardia, con le palle insomma. Inserì un dischetto nel lettore della LIM, e cominciò ad armeggiare varie pagine, app, impostazioni... Poi partì la schermata iniziale di un DVD molto vecchio. Il film era Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli. 

    Ma che cazzo sta facendo? Si domandò Eros.

    Non chiederlo a me, maneggia la LIM come se fosse fatta di magma. Rispose Luca. 

    Dopo poco iniziò il film, ambientato in un’epoca antica ed uscito comunque molti anni prima di Eros, Luca e Katy. Era rappresentata una sequenza di balli in maschera in cui Romeo e Giulietta si ritrovavano in un posto più appartato e congiunsero dapprima i palmi

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