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Multiverse: Il Creatore gioca a dadi
Multiverse: Il Creatore gioca a dadi
Multiverse: Il Creatore gioca a dadi
E-book449 pagine6 ore

Multiverse: Il Creatore gioca a dadi

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Info su questo ebook

La fisica di frontiera, quella della teoria delle stringhe e della meccanica quantistica, ci dice che il nostro universo, forse, non è solo. Tutto ciò ci invita a pensare, studiare e, perché no, sognare. Conosciamo il termine multiverso grazie alla fiction, ma ne sappiamo tremendamente poco. In questo romanzo l'incontro fantastico con Science proietta Red verso la scoperta di suoi cloni provenienti da un altro universo e di Camera, il creatore del multiverso. Entrambi gli svelano i segreti di magia e anima: l'una è il sistema operativo degli esseri viventi, l'altra è il materiale di cui l'anima è fatta. Mentre studiano e comprendono meccanica quantistica e teoria delle stringhe con un pizzico di filosofia accade l'imprevedibile: qualcuno ha cambiato le leggi della fisica. Il creato è a rischio, bisogna impedire all'ignoto usurpatore di impadronirsi del multiverso. Manca solo una settimana prima che sia troppo tardi.... .
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2022
ISBN9791221414851
Multiverse: Il Creatore gioca a dadi

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    Anteprima del libro

    Multiverse - Nino Dello Buono

    UNIVERSO #####, ###########

    ##:##, ## ##### ####

    Non c’era tempo per spiegare assolutamente niente.

    Un ragazzo scappava nel panico, da un corridoio all’altro in quel dedalo che non sembrava avere più fine. I suoi capelli castani, infradiciati dal sudore che scendeva copiosamente lungo le sue tempie, ondeggiavano nell’atmosfera chiusa. La barba, anche quella di tono castano, aleggiava trascinata dal resto del volto, colto in un’espressione di puro e sincero terrore. La camicia a quadri, versione leggera di quelle che di norma portano i boscaioli per andare in montagna, di colore rosso e nero, era sgualcita dalla maratona esattamente come la maglietta nera che, con evidenti chiazze di sudore, sotto gli stava. I jeans e le scarpette, logore e consumate, resistevano ancora. Nonostante il giovane fosse robusto, i vestiti gli stavano decisamente larghi ed ondeggiavano al vento prodotto dalla corsa a perdifiato. Il fiatone riecheggiava all’interno di quella che sembrava la navata di una cattedrale.

    Quel corridoio, adorno e ricco di rifiniture e dettagli, era un’opera d’arte. Le colonne, che strada facendo si alternavano, mettevano in mostra nelle proprie finezze ogni stile artistico noto al genere umano. Passando dai tre stili dell’antica Grecia, continuando per Etruschi, Romani e per le scuole medievali, arrivava al termine della stanza alle più altolocate scuole di design contemporaneo. Il pavimento, di uno stranissimo marmo dal tono ocra, aveva delle sfumature arancioni corallo che, in modo del tutto naturale all’interno del blocco di pietra, formavano dei quadrettoni connessi tra di loro. I finestroni a tutto sesto, su entrambe le mura laterali, avevano degli intarsi in acciaio che, illuminati dalla luna, riflettevano con dei bagliori bianchi la propria luce sul pavimento. Da diverse angolazioni, proprio quelle sfumature sarebbero state capaci di accecare chiunque le scrutasse con fare troppo minuzioso. Quello che rimaneva della luce proiettava delle ombre a terra, con la sagoma degli stipiti chiaramente riconoscibile.

    Dal fondo del corridoio, completamente privo di luce, si sentiva uno scalpitio disumano. Sembrava fatto da un esercito, in corsa spedita contro il poveretto che stava decisamente scappando. Ma ad inseguire il giovane c’era soltanto una ragazza, la quale mostrava una compostezza totalmente innaturale nei propri gesti. A differenza di chi era intenta a pedinare, lei era più lenta per preservare una sorta di educazione nei propri gesti ed era anche vestita in modo diverso. Aveva addosso una tuta nera, con dettagli purpurei e violacei. I capelli, perfettamente pettinati ed in ordine, erano lunghi e castani, con dei riflessi verdi sulle punte appena percettibili. Il paio di occhiali, di colore azzurro, che riposavano sul suo volto nascondevano parzialmente l’espressione schizzata dell’inseguitrice. Era più in carne di colui che inseguiva e la tuta non faceva altro che accentuarne le curve.

    L’adolescente, stremato, si voltò verso colei che lo tallonava. Coi pugni serrati, la scrutò fermandosi e sospirò affannato, abbandonandosi ad un monologo.

    ‹‹Che dire, finora me ne hai date davvero tante di rogne…›› lui a stento si reggeva in piedi per l’ansia, la furia e la stanchezza di quell’istante. ‹‹Vedo proprio che il tuo coltello è sempre più arrugginito… Ma non lo pulisci mai quel coso?››

    Lei, nella mano destra, brandiva infatti un piccolo pugnale, la cui lama era sporca di qualcosa di imprecisato, rosso e simile a ruggine, che ricopriva anche le parti più vicine del manico e della mano. Quando quest’ultimo venne nominato dall’altro, venne naturale alla ragazza allargare il sorriso malsano che era già presente sul suo volto. Mentre lei inclinò leggermente la testa, il suo avversario decise di chiudere gli occhi.

    ‹‹So perfettamente che non mi risponderai, quando mai ne sei stata capace dopotutto…›› mantenendo gli occhi chiusi, lui sospirò. ‹‹Voglio farti un paio di domande… Secondo te, i peggiori su questa terra possono cambiare se solo facessero il minimo sforzo? O se non credi in questo… credi di essere al di sopra delle conseguenze di ciò che hai fatto?››

    L’inseguito insisteva a non aprire le palpebre, mentre a sua insaputa l’attaccante si stava lentamente avvicinando, rispondendo con dei versi che, ad un orecchio inesperto, sarebbero risultati bestiali.

    Fu solo nell’istante in cui poteva quasi sentire l’affannoso respiro di lei che lui decise di riaprire gli occhi. La sua pupilla destra splendeva di una luce rossastra, particolarmente forte e che sembrava quasi caricare elettricamente l’aria. Il pulviscolo nei dintorni di quest’ultima sembrava formare una vampata traslucida, con una nota tendente al rosso quasi riflessa dalle iridi luminescenti. La sclera, invece, era diventata più nera e scura della notte che si intravedeva dalle finestre. Mentre la giovane perse il sorriso, il ragazzo lo acquisiva confidente delle proprie capacità.

    ‹‹Cosa c’è, adesso hai paura?›› stringendo i pugni sempre più forte, lui ruggì contro di lei. ‹‹Andiamo, se proprio vuoi farmi del male fallo adesso! ORA NON RIDI PIÙ?›› sputando quelle parole, dalle mani del giovane uscì una riga di sangue per quanto se le stava stringendo.

    ‹‹LO SO PERCHÉ ADESSO NON FAI PIÙ NIENTE, È PERCHÉ TI SEI RESA CONTO CHE CI SONO DELLE CONSEGUEN-›› l’affermazione del ragazzo, carica di rabbia, venne troncata di netto da una pugnalata.

    La sferzata della giovane era stata rapidissima. Era stata anche molto profonda, dalla spalla destra all’anca sinistra dell’aggredito. Ironia della sorte, il disegno di squarcio sulla t-shirt del pedinato era stato preso in pieno. Mentre lui si accasciava al suolo, la ragazza decise soddisfatta di proferire parola.

    ‹‹GAME OVER, RED!›› quelle urla sembravano provenire da un demone, non da quella che all’apparenza sarebbe stata una santarellina. Nel frattempo, lui che si teneva la ferita all’altezza del cuore, si accasciò nella pozzanghera del suo stesso sangue, che aveva cominciato troppo tardi a raggrumarsi.

    Le forze lo stavano abbandonando quando…

    UNIVERSO 45, APPARTAMENTO DI RED

    03:45, 21 luglio 2021

    Era notte. Una calda e serena notte di mezz’estate.

    A Magnavalle tutto taceva. Neanche in piazza c’era più gente, data l’ora tarda. Tutti quanti erano tornati a riposare, ognuno in casa propria. I lampioni accesi mostravano ai pochi ancora per strada la via del ritorno, mentre le abitazioni avevano le lampade spente e le tapparelle chiuse. Le poche dimore in alta montagna andavano via via affievolendosi, lasciando il palcoscenico ad un cielo stellato incontaminato sopra le cittadine di campagna del circondario. A Baruso, dall’altro lato della valle, c’era qualche persona sveglia in più ma anche lì tutti stavano andando a dormire. Qualche stella cadente, di tanto in tanto, decideva di farsi vedere per essere prontamente ignorata dalla popolazione dispersa nel mondo dei sogni, poco prima di sparire dal cosmo.

    Lo stesso regime del mondo esterno vigeva anche in un piccolo appartamento all’ultimo piano di uno dei palazzi di periferia. L’unico rumore ancora udibile in quella dimora era il russare degli inquilini, ma tolto quello il silenzio era tombale. Tutte le imposte erano chiuse, ad eccezione di quella all’esterno di una stanza che definirla disordinata sarebbe stato un complimento. In quella camera alla rinfusa ci stava dormendo un ragazzo in carne, alto circa un metro e ottanta. Diciannove anni che non avevano la minima voglia e fretta di farsi sentire, gettati per la maggior parte al vento su progetti che, anche se superbamente ambiziosi, non avevano mai preso il volo e giacevano nella sua mente imperfetti. Il tutto giustamente inumidito dal suo sudore, che in parte era dovuto al caldo estivo ed in parte alla tensione.

    Tutto d’un tratto il giovane si alzò di scatto, sedendosi sul letto e sbarrando gli occhi. Trattenne per i capelli un urlo di paura, che uscì come un verso smozzato. Per fortuna, ciò che aveva appena vissuto era solo un incubo.

    Lasciandosi andare, ricadendo verso il materasso senza opporre alcuna resistenza, sospirò esausto ‹‹Esisterà un giorno, prima o poi, che mi lascerai stare?››

    Non riusciva a passare notte senza che non ci fosse almeno un brutto sogno per Red, questo era il nomignolo con cui tutti chiamavano quel poveretto. Gli incubi erano sempre e solo di due tipi, in cui quella ragazza, che lui conosceva fin troppo bene, era sempre presente. Nella migliore delle due possibilità lei gli riproponeva ricordi felici passati insieme, per poi strapparlo a quel mondo con un non ti voglio più vedere, mi fai schifo, seguito di norma da accuse infondate che gli davano i brividi anche più del sogno stesso. In caso contrario, come quella sera, la ragazza lo avrebbe inseguito a perdifiato per poi ucciderlo in quel corridoio, quasi in parallelo a come aveva fatto nei sentimenti qualche anno prima.

    Ormai ci era abituato. C’erano state volte in cui era riuscito addirittura a posticipare l’inevitabile, ma ogni singola volta senza il successo che sperava. Aveva provato a far finire quella raffica di incubi in ogni modo che gli fosse possibile, ma purtroppo la sua memoria, eccezionalmente efficiente nel suo compito, vanificava gli immani sforzi.

    Passandosi una mano sul volto, lasciando andare un altro spiffero, il pensiero fresco dell’incubo lasciò il passo ad un altro concetto. Il bisogno di acqua, in quantità industriale. Spinto da quel desiderio, il giovane si alzò e infilò le ciabatte ai piedi con fare goffo e pigro. Il pigiama, che nonostante la ciccia in eccesso gli stava un po’ largo, accarezzò dolcemente con le pieghe il materasso e le lenzuola ancora arruffate. I capelli, castano chiaro, si stavano sistemando sotto il loro stesso peso, assieme alla barbetta, tagliata e sistemata da qualche giorno.

    Procedendo verso la cucina, Red si stiracchiò, con tanti piccoli crack emessi dalle sue vertebre. Arrivato, si avvicinò al frigo e con un gesto fluido lo aprì, alla ricerca di quello di cui aveva bisogno.

    L’insalata sullo scaffale alto sarebbe servita l’indomani, non adesso. Gli affettati sul ripiano di sotto avrebbero soltanto peggiorato le cose ma erano decisamente invitanti, per non parlare di quel pecorino grattugiato ad altezza sguardo che lo tentava. Se avesse avuto un cucchiaino a portata di mano ne avrebbe preso un po’, ma una cosa era certa. L’acqua non si trovava.

    Fu in quel momento che gli tornò la memoria. Realizzando dove fosse ciò che chiedeva, chiuse il frigo con un colpo d’anca e andò nel ripostiglio della madre. Tra ferri da stiro ed arnesi per il cucito, nell’angolo, c’era l’acqua ancora fresca dal giorno prima. I suoi genitori erano andati a prenderla in quel di Cercetano, imbottigliandola direttamente alla sorgente. Era ancora fresca, gradevolissima a quell’ora di notte. Prendendo una bottiglia con un gesto smozzato dalla stanchezza, stappandola con nonchalance, fece per tornarsene nella stanza con pacatezza e senza fretta, bevendosene mezza in un colpo solo percorrendo quel breve tratto di salone.

    Rientrando nella sua stanza, con fare lento e placido, uno spettacolo si prostrò di fronte all’unico in grado di apprezzarlo a pieno. La Luna brillava così forte da proiettare dei fasci di luce in giro per tutta la valle, un fenomeno che il giovane appassionato di astri adorava con tutto se stesso quando non impediva la fotografia del cielo stellato col suo assordante bagliore. I raggi del corpo celeste, riflessi dall’atmosfera e dal suo pulviscolo, giungevano a terra passando per la finestra, spezzettati dagli infissi in legno. L’astrofilo non poteva certo lasciarsi scappare quell’opera d’arte, la Luna stava tramontando e quindi non sarebbe potuto rimanere lì ancora per molto prendendosela comoda.

    Aprendo alacremente la finestra, dopo aver poggiato sulla scrivania la bottiglia mezza vuota, il giovane si appollaiò alla balaustra del balcone fissando intensamente il satellite che si copriva dietro Sassetano con un velo di terra e roccia. Nell’istante in cui l’astro più vicino sparì dalla vista, migliaia e migliaia di stelle popolarono come tante piccole lanterne appena visibili il cielo stellato, mostrando una pletora di disegni e costellazioni. I tratti lattiginosi della Via Lattea tagliavano in due la sfera che, sopra la sua testa, si adornava di fotoni vecchi di migliaia di anni, i quali non attendevano altro che arrivare fin lì. Uno spettacolo mozzafiato, che sarebbe stato capace di lasciare chiunque a bocca aperta, se solo qualcuno fosse stato vigile a quell’ora.

    Il tempo che Red stava per trascorrere in quel piccolo angolo di paradiso, ormai, era agli sgoccioli. Quell’angolo di mondo, precisamente a misura d’uomo, che per anni lo aveva premiato con i suoi paesaggi, ma anche temprato a suon d’insulti, era diventato troppo stretto. In molti dicevano che era molto bravo in quel che faceva, arrivando sicuramente al livello dei più grandi e noti professionisti. La sua partenza da quel paesello, che non voleva affatto lasciare, era questione di quando, non di se purtroppo. Sarebbe tornato, senz’ombra di dubbio, per dare un occhio a Verteglia o per fare un giro in quel di San Francesco, andare a prendere alcuni amici e poi dirigersi ad Irpoburgo a fare baldoria, anche per un pomeriggio e basta. Le sue radici erano in quel posto, a scapito di cosa chiunque potesse dire.

    A tutti gli effetti, però, era ancora eccessivamente troppo presto per pensare a tutto questo, soprattutto a quell’orario. Era meglio godersi quel panorama per il tempo che restava, senza pensarci troppo.

    ‹‹È davvero un peccato che debba scambiarvi per degli insulsi lampioni, mie care stelle…›› ululò sottovoce lui, sospirando sul terrazzo e tirando in dentro una boccata di quella fresca aria di montagna.

    Entrando un secondo dentro casa e bevendo ancora qualche sorso d’acqua dalla bottiglia, che nel frattempo aveva lasciato un po’ di condensa sulla scrivania, si chinò per prendere da uno degli scaffali una fotocamera grande all’incirca quanto la sua mano destra, di quelle professionali ma non troppo. Accendendola e aprendo l’obiettivo, si mise il laccio attorno al collo per evitare che si rompesse sfuggendogli di mano per poi tornare sul balcone.

    ‹‹Che ne dite, un’ultima foto di gruppo?››

    Qualche istante più tardi, un clic.

    UNIVERSO 45, APPARTAMENTO DI RED

    07:32, 21 luglio 2021

    Il paese si stava lentamente svegliando in quella tiepida mattina estiva, crogiolandosi alla calda luce del sole appena tornato.

    Il cielo, cristallino, era di un azzurro oltremare che non si vedeva da un sacco di tempo. Il Sole, sorto da un paio d’ore, illuminava, coperto ancora dalle montagne, i due paesi ai bordi della valle. Qualche nuvola ogni tanto sorvolava Sassetano e andava verso Verteglia, altre nuvole invece si erano accampate sopra il convento di San Francesco, qualche altra invece si stava allontanando verso Cercetano. Una mattinata serena, insomma.

    Le persone erano già consce da un po’, mentre scorrazzavano per strada senza riuscire a staccarsi dal comunicare nelle loro auto senza la minima interruzione. I vecchietti, al sicuro da quel pandemonio nei loro salotti, sonnecchiavano al sentire il notiziario del mattino che trasmetteva sempre le solite notizie. Gli adulti rimasti a casa o si stavano preparando per andare a lavoro o si stavano organizzando, sempre al cellulare, per ritrovarsi, andare a far festa e scampagnate di ogni tipo. I ragazzi, ancora ignari di tutto questo, stavano dormendo con i ventilatori accesi al massimo per combattere il calore estivo.

    Fu proprio un clacson al pianterreno a svegliare Red, che ancora appisolato si alzò di scatto e colpì con la fronte la mensola sopra al letto. Mentre i libri si riassestavano dopo l’urto, il giovane si tenne la testa per il dolore, imprecando.

    ‹‹COMPLIMENTI, ATTEGGIAMENTO MOLTO MATURO PER UNA DIVINITÀ, DIO!›› indolenzito, il dormiglione alzò un pugno chiuso al soffitto, continuando a lamentarsi e a reggere la parte lesa con l’altra mano.

    ‹‹Mamma mia quanto sei deficiente…›› il fratello minore dell’adolescente, che casualmente stava passando di lì in quel momento, commentò la sfortuna del suo fratellone.

    Qualche centimetro più basso e con un colore di capelli decisamente più bruno e scuro, Francesco era di tre anni più giovane del diciannovenne. I due erano inseparabili, il più delle volte scherzavano facendo battute insieme e si difendevano a vicenda nel caso in cui uno dei due facesse qualche cavolata ed i genitori ritenessero opportuna una sgridata. Francesco era molto più robusto del fratello maggiore, avendo lui una vita sociale più dinamica e vivace, ogni tanto accompagnata da qualche allenamento in palestra dove era riuscito a ottenere risultati ammirevoli. Ancora in canotta e pantaloncini, che per lui erano sinonimi del pigiama nei mesi estivi, stava andando verso la cucina per fare colazione.

    ‹‹Andiamo, coglione! Ti stiamo aspettando da mezz’ora!›› Francesco insistette, quasi stanco di aspettare.

    ‹‹Sto arrivando… un secondo…›› sbadigliò dolorante Red.

    ‹‹Uno! Sbrigati!›› avviandosi, Francesco lo lasciò indietro.

    Infilando di nuovo le ciabatte che aveva messo la sera prima, Red sistemò alla meno peggio il letto, per poi seguire il fratello. Le occhiaie, che aveva già quando alle tre di notte gli era venuta la brillante idea di fare foto al cielo stellato, erano uscite soltanto più appariscenti dalla genialata. E non era il solo evento in casa che aveva lasciato i postumi della sera precedente, il soggiorno infatti era ancora in disordine.

    La partita tra Italia ed Inghilterra, che decretava il termine del campionato europeo in mano agli azzurri, convinse i quattro inquilini ad uscire di casa per sbandierare per la prima volta, correndo in macchina attraverso il paesino anche se non erano mai stati fanatici del calcio. Ovviamente, nella foga del momento, il tavolino era rimasto intatto con sopra la roba da buttare. I divani, messi in disordine con le coperte appoggiate sullo schienale, facevano da sfondo ai cartoni di pizza sparpagliati sul tavolo assieme alle lattine di Coca-Cola e le bottiglie di birra. Il tappeto, però, era stato sgomberato dalle briciole, probabilmente grazie a qualcuno che quella mattina aveva passato l’aspirapolvere.

    In cucina la situazione rifletteva quello che succedeva anche fuori. I genitori dei due avevano appena finito di preparare quattro tazzine di caffè, mentre Francesco sorseggiava la sua indisturbato. All’arrivo del figlio maggiore, il padre di famiglia cominciò a parlare.

    ‹‹Alla buon’ora, Red!›› porgendogli un espresso, il genitore reclamò con fare sarcastico.

    Se si confrontavano i due a parità di età, le somiglianze non erano solo estremamente evidenti, erano anche rimarcate fino allo sfinimento da chi le notava incredulo. I capelli erano sbiaditi, la conoscenza era diventata più grande ed ampia, c’era anche qualche centimetro d’altezza in più, ma in fin dei conti quelli erano gli effetti dei trentott’anni di differenza che li separavano. Tutti auspicavano al ragazzo una carriera grandiosa, seguendo magari le orme del padre e passando per le più alte cariche istituzionali che la sua carriera tecnica, nel corso del tempo, gli aveva concesso ma quella carriera, così carica di doveri ed impegni, di onori ed oneri, stava decisamente stretta al ragazzo, anche solo concettualmente. E poi, tutto sommato, Red puntava a cose completamente diverse nella propria vita. Realizzare quegli auspici sarebbe stato anche improbabile, per non dire impossibile.

    ‹‹Buongiorno anche a te, papà… per la cronaca oggi mi sono svegliato prima di te, quindi niente commentini ironici, grazie mille…›› il ragazzo, stanco e ormai resiliente allo scherno dell’universo nei suoi confronti, seguì gli altri a sorseggiare il proprio caffè di cui in quell’istante aveva bisogno per carburare meglio.

    ‹‹Che è successo? Altro incubo?›› l’adulto, al sentire le parole che suo figlio gli stava rivolgendo, si voltò verso di lui con un’espressione crucciata, un misto di compatimento e preoccupazione, tentando di capire cosa non andasse anche soltanto tramite un’occhiata.

    Usando le sue stesse armi contro di lui, Red ribatté in modo sarcastico. ‹‹Esattamente! Aggiudicato il mongolino d’oro a papà!››

    Mentre il fratello si faceva placidamente i fatti suoi e la madre ascoltava la discussione con la stessa espressione inquieta di suo marito, il padre squadrò crucciato il figlio, che nel mentre gli sorrideva come al suo solito, con una nota di sarcasmo.

    ‹‹Solito incubo, non è vero?›› l’uomo, che nel mentre si avvicinò al ragazzo dandogli una lieve pacca sulla spalla, gli domandò qualche informazione in più.

    ‹‹Centro anche stavolta… Non mi va troppo di parlarne, mi conosci. E poi, ormai si sa già come evolve la situazione…›› sospirando, il giovane ignorò la situazione e buttò giù l’amara pillola accompagnandola con un sorso di caffè, socchiudendo gli occhi.

    ‹‹La situazione non sta migliorando per niente, dobbiamo un po’ parlare con-››

    La frase dell’uomo venne interrotta dal cicalino del citofono che, in quel momento, decise di trillare.

    ‹‹Vado io…›› la madre di Red e Francesco si avviò verso la cornetta del cicalino, mentre gli altri tre finivano di fare colazione. Padre e fratello minore finirono alacremente, andando altrettanto velocemente sul terrazzo per capire chi avesse citofonato. Il fratello maggiore invece se ne stava in cucina a riempirsi una tazza di latte, mentre pensava la stessa cosa che ora pervadeva le menti della casa.

    Non poteva essere uno degli invitati al picnic di quella giornata in montagna, l’appuntamento era all’Orto dei Taralli e soprattutto tra mezz’ora. Il vecchio nonno dei due ragazzi non era un’opzione, dopo la pandemia non riusciva ad uscire di casa come un tempo e quindi andare a trovarlo era l’unica via per vederlo.

    Il flusso dei pensieri venne interrotto dalla madre, che incredula chiamò il figlio maggiore al citofono nello sconcerto. Non sbiadiva mai dal nulla, soprattutto visti i tre uomini che doveva gestire ogni giorno. Era una donna energica, forte, con moltissimo da accreditare al suo passato da lavoratrice. Le sue preoccupazioni, primariamente associate ai suoi due ragazzi, spesso non erano capaci di scalfirla ma questa volta era il caso.

    ‹‹Red… la voce al citofono è uguale alla tua…›› la donna, alta poco meno della spalla del figlio che aveva chiamato, stava impallidendo sempre di più dal momento in cui aveva preso in mano la cornetta.

    ‹‹E siamo alla quinta volta questo mese… ‘sto branco di deficienti che prendono e editano i miei video per farmi ‘sti scherzetti non li tollero davvero più!›› il ragazzo, stringendo il manico della tazza che si era portato dalla cucina, si alterò a vista d’occhio massaggiandosi le palpebre chiuse. ‹‹Giuro che questa è la volta buona che mi sentono!››

    Mentre parlava, il giovane si avviò verso la porta stringendo la coppa ben salda. A giudicare dalla sua reazione, così improvvisa e iraconda, aveva probabilmente in programma di lanciarla contro i ragazzini che quel giorno, così come tante altre volte, avevano giocato il solito e ormai monotono scherzo.

    Prima che qualcuno potesse dirgli di trattare i giovinastri al piano terra meglio di quanto avesse in programma di fare, Red stava già scendendo giù per le scale.

    UNIVERSO 45, ATRIO DEL PALAZZO

    07:41, 21 luglio 2021

    La mattinata procedeva, sciapa, nell’atrio del palazzo, senza qualcosa che potesse cambiare la situazione.

    Il sole, sorto poche ore prima sulla cima di Baruso, illuminava, dalle austere finestre che, ad ogni piano, facevano entrare un po’ di luce, l’intera stanza di servizio del condominio. Non c’era nessuno a vedere quei raggi di luce che, dai vetri, si infrangevano sulle mura bianche e venivano in parte riflessi sulla ringhiera in metallo, rendendola piacevolmente calda al tatto, ed in parte sul tappeto verde al pianterreno. I gradini in marmo riposavano di fronte all’ascensore, girando come una trottola all’interno della colonna d’aria che, salendo, consentiva a chiunque nella tromba delle scale di discutere mentre si saliva o si scendeva. Molto spesso faceva le veci dello spioncino.

    L’unico suono che rompeva il silenzio nell’intero edificio era il rumore ovattato delle ciabatte di Red che stava scendendo, cronometrando ogni singolo gradino come un metronomo. Ogni tanto si sentiva qualche sbuffo, dettato dall’ira che il giovane abitante dell’ultimo piano stava provando.

    Un salto marcò la fine della discesa. Il portone in vetro antisfondamento sussultò leggermente alla scossa provocata dalla botta, producendo un rumore simile a quello che faceva quando veniva chiuso di scatto, seppur decisamente più attutito. La trasparenza del varco concedeva all’inviperito una visuale leggermente distorta del mondo esterno, il quale a furia di scherzi e scherzetti era un libro aperto, anche senza che la luce del giorno fosse lì ad aiutare l’inquilino dell’ultimo piano a riconoscere chi gli desse noie. E quello che vide lo lasciò perplesso, ma non per questo meno nervoso.

    La sagoma che l’entrata lasciava intravedere non era quella di una piccola armata di ragazzini, come il giovane si aspettava, bensì quella di una sola persona. Quello che lo lasciava ancora più scettico era la forma che stava osservando, la stessa che avrebbe avuto lui se fosse stato in quella posizione. Lasciato furibondo e stranito da quell’informazione, si avvicinò a passo lento all’ingresso per vedere meglio. Ad ogni passo in più che faceva in quella direzione, l’ombra mostrava sempre più dettagli uguali ai suoi, ad eccezione del vestiario. La parte alta dei vestiti era lunga fino al ginocchio, mentre il pantalone era a gamba lunga.

    ‹‹Altro me, è davvero da maleducati non farmi entrare!›› esclamò lo straniero ridacchiando.

    ‹‹Cosa intendi per altro me e chi sei.›› ruggì furibondo Red.

    ‹‹Se mi apri la porta ti spiegherò qualsiasi cosa!›› rise l’altro.

    Come evidenziato poco prima dalla madre, la voce dell’estraneo era identica alla sua. Ora più che mai era certo che non si trattava di qualche trucco, come ad esempio un video dei suoi tagliuzzato. Aveva visto la sua mascella muoversi e le parole uscirne di conseguenza.

    Sempre sul chi va là, tenendo la tazza come se volesse scagliarla contro l’esotico visitatore, aprì la porta rimanendo a bocca aperta. Fatta eccezione dei vestiti che aveva addosso, non esistevano differenze tra i due a livello fisico. Stessa altezza, stesso colore e taglio di capelli e barba, stesse proporzioni del viso e corporatura. Erano del tutto identici. E mentre l’inquilino dell’ultimo piano portava un pigiama corto, l’ospite era vestito di tutto punto. Portava un paio di occhiali dalla montatura blu cobalto e un camice da laboratorio, le cui cuciture avevano la stessa tonalità. La polo azzurra ed i jeans lunghi completavano il guardaroba di questa copia che, con un passetto, entrò nell’atrio.

    ‹‹Visto? Alla fine dei giochi non era poi così complicato!›› dall’avere le mani riposte nelle tasche del camice, il forestiero gliene porse una.

    ‹‹Spiega chi sei e perché sei qui.›› Red, riluttante, non gliela strinse.

    ‹‹Devo dirtelo, caro mio, temevo di non aver centrato il bersaglio visto il tuo atteggiamento. Spiegherò tutto ciò che vuoi sapere, non preoccuparti.›› il travestito da scienziato si stiracchiò rilassato. ‹‹Sarà più semplice se conosci l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica… Ce l’avete da queste parti?››

    ‹‹Allora…›› il ragazzo perse la pazienza. ‹‹Per come la vedo io, le cose in questo momento sono due. O mi somigli, hai visto i miei video e sei venuto qui con l’intento di dirmi un sacco di stronzate, cosa molto probabile e se questo è il caso hai scelto decisamente il giorno sbagliato… Oppure la tua presenza qui dimostra la teoria più accreditata e famosa del secolo.›› Red si preparò al lancio della coppa. ‹‹Dimmi un po’ te quale di queste due ipotesi è corretta secondo me.››

    ‹‹Perfetto, vedo che conosci quella teoria!›› esclamò sollevato lo straniero. ‹‹Posso dimostrarti tutto ciò che ho detto finora senza alcun problema, tranquillo!››

    L’estraneo, discostandosi il camice dal fianco, mostrò un fodero con quella che sembrava una pistola all’interno. L’unica differenza tra quella ed un revolver classico stava nel livello tecnologico, che quasi trasudava dal congegno. Estraendola, la mostrò a Red il quale indietreggiò con le mani in alto.

    ‹‹Sta a guardare!›› puntandola al muro e fissando lo spaventato negli occhi, il visitatore sparò. Temendo un colpo diretto verso di lui, il ragazzo si parò il volto. Al posto del rumore che si aspettava, un piccolo bagliore blu si presentò a sostituirlo. Quando tornò a scoprirsi ed aprire gli occhi, ciò che vide era quasi surreale.

    Lo scienziato, a mo’ di cowboy, soffiò sulla canna del marchingegno fumante e se la rimise alla cintura tentando di farla roteare, ma fallendo miseramente. Il suo occhio destro, dapprima blu con la sclera nera, tornò normale in un battito di ciglia.

    Sul muro, anziché un colpo di pistola, era apparso quello che sembrava un buco nero privo però della parte nera. Uno strano gioco di luci mostrava, al di là di un bordo blu soffuso e quasi sfumato nel riflesso distorto dell’ambiente, un altro corridoio tale e quale a quello dove si trovavano i due. L’unica differenza stava nel fatto che loro due non c’erano. La cosa non cambiava da qualsiasi angolazione la si guardasse, c’era sempre il bordino blu sfumato e soprattutto la copia della stretta stanza al centro dell’esoterico gioco di luci. Dopo averci girato intorno per qualche istante, il padrone di casa si convinse che quanto detto dall’estraneo non era affatto finzione.

    ‹‹Ma questo… È un ponte di Einstein-Rosen…›› Red si pronunciò, in preda allo sbigottimento più puro.

    ‹‹Suvvia, vostra grazia, eviti i paroloni complicati. Da me li chiamiamo soltanto portali.›› lo scienziato si stiracchiò di nuovo, sempre più rilassato. Sembrava che anche lui si fosse svegliato da poco, sotto la sua ironia. ‹‹Mi credi adesso?››

    ‹‹Spiegami. Tutto.›› Red, ancora decisamente confuso ma curioso di imparare qualcosa di nuovo, si girò incredulo verso l’estraneo. ‹‹E soprattutto, spiegami come mai sei qui e non a prendere il Nobel!››

    ‹‹Molto semplice, caro mio. Volevo testare il nuovo congegno che ho creato venendo a trovarti, seguendo le indicazioni di un vecchio amico.›› l’acculturato si rivolse in modo serio verso l’inquilino dell’ultimo piano. ‹‹Posso farti una domanda?››

    Controbattendo all’ironia con l’ironia, il ragazzo disse ‹‹Hai una pistola. Spara pure.››

    ‹‹Se i miei calcoli inesistenti e fatti sul momento sono corretti, anche tu hai diciannove anni, sei alto circa un metro e settanta ma soprattutto anche tu sai qualcosa di fisica. Corretto o mi sbaglio?›› lo scienziato, ridendo leggermente per la battutina del suo doppione, prese gli occhiali in mano e se li pulì con un lembo del camice.

    ‹‹Sì, hai ragione.›› il ragazzo annuì, confermando la tesi del suo alter ego.

    ‹‹A questo punto puoi capire benissimo che noi, non essendo i soli in giro per il multiverso ad avere queste proprietà, abbiamo qualche problemino a distinguerci. Posso spiegarti dopo quello che succede a livello multiversale ma il problema che voglio sottoporti in questo istante è un altro. Come posso chiamarti senza che si volti mezza stanza in caso ci riunissimo?›› il luminare, sarcastico, ribatté con una domanda dopo l’altra.

    Red ci rifletté per qualche istante, per poi rispondere in modo semplice e naturale.

    ‹‹Chiamami pure Red. Su Internet mi hanno dato questo appellativo e quindi, se usi questo nome per rivolgerti a me, non mi fa nemmeno così strano.›› rispondendo, il giovane rincarò la dose con un mezzo sorriso.

    ‹‹Piacere di conoscerti, Red. Chiamami pure Science.››

    UNIVERSO 45, APPARTAMENTO DI RED

    08:13, 21 luglio 2021

    ‹‹D’accordo, credo siano appena arrivati in montagna. Adesso possiamo parlare in santa pace.››

    Il primo impatto fra Science e la famiglia di Red fu qualcosa di bizzarro e, a detta di alcuni, quasi paranormale.

    I genitori di Red, vedendo una copia esatta del loro figlio maggiore, pensavano di star avendo un’allucinazione e, scioccati, si guardarono l’un l’altro. Non appena tentarono di aprir bocca in tal proposito, chiedendo all’altro se avessero visto una copia di colui che era sceso per le scale qualche minuto prima, entrambi realizzarono che la faccenda non era un goccio di sambuca di troppo nel caffè. Francesco, per qualche motivo, si convinse che quello fosse un elaborato piano del fratello per evitare di andare con loro a Verteglia quel giorno. Alquanto strano, vista proprio la passione di Red per quell’ambiente immerso nel verde che a lui non trasmetteva granché. Alla fine, i tre decisero che la miglior cosa da fare era agire come se quel contrattempo non fosse mai accaduto, lasciando Red a capire meglio la situazione mentre loro andavano in montagna a schiarirsi le idee, approfittando della giornata di sole che li aspettava. Erano confusi ma non si fecero domande e se ne andarono senza battere ciglio, come se quell’avvenimento tanto fuori dal normale fosse stato qualcosa che capitava tutti i giorni.

    Red si vestì in un tempo ristrettissimo, mentre in silenzio Science lo teneva d’occhio, sistemandosi di tanto in tanto il camice, la t-shirt blu e la cintura del pantalone senza dare troppo nell’occhio. L’outfit che Red aveva deciso di indossare era una copia esatta di quello che aveva addosso nell’incubo della notte scorsa, ancora stampato nella sua memoria, con l’unica differenza nella lunghezza delle maniche, corte data la calura estiva.

    Science chiese di parlare sul balcone, incuriosito di come il paesaggio potesse cambiare grazie al cambio di universo. Red, favorevole all’idea di discutere al fresco sul terrazzo, acconsentì.

    ‹‹Prima di cominciare a discutere, ti volevo assolutamente fare i miei complimenti per quella tazza che fino a qualche minuto fa volevi piantarmi in fronte. Devo dirlo, molto sfiziosa!›› lo scienziato si riferiva alla coppa che Red si era portato dietro e che adesso riposava nel lavello.

    Quella tazza, con sopra un’immagine, riportava alcuni elementi strappati alla tavola periodica. Vanadio, oganesso, litio ed ossigeno su una riga, calcio, fluoro e ferro su quella successiva. Il tutto, a formare una scritta ironicamente scientifica: V-Og-Li-O Ca-F-Fe.

    ‹‹Oh, grazie mille Science…››

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