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Cruciverbar
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E-book223 pagine3 ore

Cruciverbar

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Info su questo ebook

La grande passione di Gregorio per l’enigmistica lo spingerà, assieme al socio Maurizio, a chiamare il bar avuto dallo zio Michele Cruciverbar. Un luogo carico di mistero che ha nascosto per anni il segreto di una stanza dalla quale si accede alle oscure profondità di un intrico di gallerie sotterranee. Ma anche luogo di sosta per personaggi come Sciarpetta, il clochard che dispensa a tutti le sue parole di saggezza.
È qui che Gregorio incontrerà Viola, la donna assunta come cameriera, di cui si innamorerà e con la quale sarà destinato a scoprire quanto sono indissolubilmente uniti i destini che legano loro a ciò che si cela al di sotto del locale.
Una storia appassionante, una sovrapposizione di varia umanità che si sfiora davanti al bancone o tra gli stretti tavolini del bar e si intreccia come fanno le lettere di un cruciverba per formare un’esistenza di senso compiuto.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2013
ISBN9788897469407
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    Anteprima del libro

    Cruciverbar - Silvia Peroni

    giorni.

    6 verticale: LA SCUOLA DI ZENONE

    Il mattino era grigio e l’aria piuttosto fredda.

    L’autunno aveva già steso la sua mano sulla città, velandola di foschia e spogliando gli alberi dei loro colori più accesi.

    Il flusso del traffico era diminuito; il mezzo che lava le strade avanzava lento con il suo lampeggiante giallo.

    Greg se ne stava ben piantato a gambe divaricate, a braccia conserte a osservare gli operai che stavano installando l’insegna che recava il nuovo nome del suo bar.

    Quel locale era appartenuto fino a pochi mesi prima a suo zio Michele e si chiamava, per l’appunto, da Michele, ma ora il cambio di proprietario comportava la scelta di una denominazione diversa. L’idea di utilizzare il proprio nome lo inorridiva: Gregorio non gli piaceva neppure per sé, infatti, si faceva chiamare Greg. Forse un da Greg e Mauri poteva anche starci, ma non lo convinceva. Il nipote aveva optato per qualcosa che richiamasse immediatamente il carattere di quel luogo di ritrovo: essendo un amante incallito dei cruciverba e di tutto ciò che riguardava i giochi enigmistici, non aveva avuto dubbi, l’avrebbe chiamato Cruciverbar.

    Immaginava già grossi schemi di parole crociate appesi ai muri, con cui i clienti avrebbero potuto ingannare l’attesa e divertirsi, magari ogni settimana li avrebbe sfidati con qualche nuovo rebus, regalando, a chi avesse indovinato la soluzione, una consumazione gratis.

    E sui tavolini, accanto agli immancabili quotidiani, i giornalini di enigmistica avrebbero ammiccato, stuzzicando la mente degli avventori.

    La lista dei panini? Quasi sicuramente si sarebbe composta di allegri giochi di parole, ma quello era un dettaglio a cui pensare più tardi.

    Il suo socio Maurizio aveva storto un po’ il naso di fronte a quella proposta, ma, in fondo, non dava troppa importanza a queste cose e gli aveva dato carta bianca.

    Quanti progetti, quanti sogni! Dopo anni trascorsi a lavorare in fabbrica, chiuso nel grigiore di un capannone, respirando fumi e veleni, si apriva, ora, la possibilità di dare una svolta alla sua vita.

    Certo i rischi erano molti, non si poteva prevedere se ci sarebbe stato un buon giro di clienti, negli ultimi tempi il bar dello zio lavorava veramente poco, bisognava risollevarne le sorti.

    Con lo sguardo fisso sull’insegna ancora spenta ed anonima, l’uomo tentava di essere ottimista e immaginava la gente seduta a vivacizzare quel luogo ancora vuoto di tutto.

    All’interno, due imbianchini stavano rinfrescando le pareti di un tenue, ma caldo, colore giallo, con qualche riquadro arancione, quando si sentì un tonfo ed un grido di dolore.

    Greg si precipitò dentro e vide uno dei pittori riverso a terra che si reggeva un braccio e l’espressione del suo viso rivelava un misto di sofferenza e di sorpresa.

    Costui era inciampato nel cellophane steso a ricoprire il pavimento, cadendo malamente addosso alla credenza incassata nel muro di fondo del bar e rovesciando una latta di pittura.

    Il suo gomito probabilmente si era fratturato nel tentativo di salvare il volto dallo schianto sul legno malandato del mobile.

    Il suo collega, soccorrendolo, aveva notato qualcosa di molto strano. Nell’urto, la credenza era rientrata nella parete da un lato, ma si era proiettata in avanti dall’altro e, pur essendo uno spostamento di pochi centimetri, si poteva scorgere uno spiraglio di luce oltre il mobile. Non si era verificato uno sfondamento vero e proprio, piuttosto quell’arredo tarlato e pieno di polvere era probabilmente agganciato a un perno girevole bloccato da chissà quanto tempo.

    Cosa si nascondeva là dietro?

    In quel momento, tuttavia, l’urgenza era quella di accompagnare Mario all’ospedale al più presto; di quell’insolita scoperta se ne sarebbero occupati più tardi.

    Greg recuperò la sua auto parcheggiata in una stradina poco distante e si fermò davanti alla porta spalancata, in attesa che il ferito si accomodasse sul sedile del passeggero, aiutato da Maurizio. Quest’ultimo restò a fissare il veicolo che si allontanava piano; sospirò gravemente e, un po’ sconsolato, rientrò.

    La settimana precedente si erano verificate le rotture di un paio di tubi dell’acqua in quella che sarebbe diventata la piccola cucina, la muffa nell’angolo del soffitto continuava a riaffiorare come un dispetto maligno ed ora ci mancava solo questo incidente.

    Tutti questi imprevisti vanificavano la prospettiva di poter inaugurare il locale nella data prefissata.

    Giunti al pronto soccorso, Greg e Mario dovettero attendere a lungo il loro turno. Il primo era affetto da impazienza congenita e l’altro cominciava a sbiancare in volto per l’intensità del dolore.

    Greg passeggiava avanti e indietro, come un leone chiuso in gabbia, le mani in tasca, lanciava sguardi imploranti al bancone dell’accettazione, ma qualcosa si era inceppato nell’organizzazione ospedaliera e la confusione regnava sovrana.

    Ogni tanto le grandi porte si aprivano con fragore per far entrare le lettighe con i nuovi arrivi, i più gravi, naturalmente, avevano la precedenza, e la probabilità di essere visitati in breve tempo sembrava sempre più remota.

    L’idea di quello spiraglio di luce nella parete del bar, rodeva come un tarlo; le domande si affollavano nella sua mente. Suo zio non gli aveva mai accennato a qualcosa che si trovasse al di là di quel muro e, ne era sicuro, non risultava nemmeno nei documenti catastali del locale.

    Possibile che neppure Michele sapesse nulla?

    Le congetture si sprecavano.

    Perché la moglie di Mario, avvertita per telefono, tardava tanto? Greg sentiva un bisogno fisico di tornare ad analizzare di persona cosa si celasse dietro la credenza, capire se si riusciva a farla ruotare del tutto, insomma, scoprire l’arcano e valutarne le conseguenze.

    Quel pensiero non gli dava tregua. Gli accessi di tosse e gli strilli dei bambini lo infastidivano a dismisura. Gli pareva intollerabile che tutta quella gente sofferente dovesse aspettare tanto per ottenere un benché minimo sollievo.

    Un’infermiera un po’ grassoccia, con la casacca della divisa che tirava sui fianchi, confabulava con l’addetto che prendeva i dati dei pazienti, poi spariva per ricomparire strascicando i piedi, aveva un accento spagnolo, una lunga coda di capelli nerissimi e un sorriso aperto.

    Era come un raggio di sole in quel luogo pieno di lamenti, dove ci si poteva ammalare più che altrove, se non altro di depressione.

    Finalmente due medici presero in consegna i due arrivati in ambulanza e l’ispanica chiamò una donna con il figlioletto saldamente avvinghiato al suo collo che non la smetteva di frignare.

    Sembrò ristabilirsi un po’ d’ordine, ma passò una buona mezz’ora prima che fosse visitata un’altra persona in attesa.

    Entrarono due uomini, uno vistosamente fasciato in modo posticcio e dietro a loro, un po’ trafelata, giunse la moglie di Mario.

    Greg avrebbe desiderato svignarsela all’istante, ma si trattenne ancora un quarto d’ora simulando una calma che non possedeva.

    Infine si congedò, dicendo che avrebbe telefonato più tardi per conoscere l’esito degli accertamenti.

    Salito sulla sua vettura, appoggiò le mani al volante e respirò profondamente, si autoimpose di guidare con prudenza, quel giorno aveva già avuto la sua dose di sfortuna, non era il caso di alimentarla, nonostante il richiamo verso il bar fosse irrefrenabile.

    42 orizzontale: IL MAX FILOSOFO DELLA SCUOLA DI FRANCOFORTE

    Al Cruciverbar, nel frattempo, Maurizio e il secondo imbianchino avevano provveduto a ripulire dalla pittura rovesciata; era stato sostituito anche il cellophane sporco. I due avevano tentato di forzare il perno della credenza, ma questo aveva ceduto solo di pochi altri centimetri, sette o otto in tutto.

    Nello spostamento iniziale gli spigoli del muro che contornavano il mobile si erano sbrecciati qua e là, mostrando brutte crepe che andavano risistemate.

    Si trattava ora di decidere sul da farsi: rimuovere del tutto la credenza o lasciarla nella sua nicchia dopo averla raddrizzata.

    Maurizio attendeva il ritorno del socio per valutare la situazione, mentre il collega di Mario aveva ripreso la tinteggiatura di un’altra parete, consapevole che avrebbe dovuto finire da solo il lavoro.

    L’insegna era stata installata e sfoggiava i suoi caratteri sgargianti, gli operai se ne erano già andati da tempo.

    Un cagnolino, trotterellando davanti al locale, si era fermato, aveva gettato uno sguardo attraverso la porta spalancata, aveva mosso qualche passo verso l’interno, poi, spaventato da un rumore improvviso, era scappato via.

    Era già pomeriggio inoltrato, Maurizio cominciava ad avere i crampi per la fame e nel momento in cui se ne rendeva conto entrava Greg con panini e birre per tutti.

    Prima di addentare il suo spuntino, però, non potè più resistere alla curiosità e andò a sbirciare nello spiraglio.

    Guardando con un occhio solo, riuscì a intravedere una stanza vuota e polverosa, sulla parete di fronte un calendario dalle pagine ingiallite, recava la data 1944. Forse c’erano due finestre, lui però ne vedeva solo una i cui vetri erano rotti, infatti, uno spiffero d’aria fredda soffiava insistente, emettendo un sibilo flebile.

    Perplesso si passò una mano sul volto, cercò lo sguardo dell’amico, che aprì le braccia in un gesto di rassegnazione.

    Se quella scena fosse stata un fumetto, nelle nuvolette sopra le loro teste sarebbero stati disegnati solo punti di domanda.

    Si presero comunque una pausa per mangiare in santa pace, chiusero la porta sperando di godere di un po’ di tepore, sedettero in terra, poggiando le bottiglie di birra su una latta di colore ancora sigillata.

    Non trascorse molto tempo che l’uscio si riaprì, spinto da un gomito dello zio Michele; il suo arrivo fu provvidenziale, non solo perché portava con sé un thermos pieno di caffè caldo e qualche fetta di torta di mele che spandeva un profumo dolciastro a confondere quello della pittura fresca, ma anche perché avrebbero potuto chiedere spiegazioni e consigli.

    Spiegazioni non ce ne furono, lo zio era allo scuro di tutto, usava la credenza per poggiarvi le bottiglie dei vini rinomati e di qualche grappa, non sospettava che ruotasse su se stessa. Che addirittura ci fosse una stanza nascosta, andava al di là di ogni immaginazione.

    Già prima dell’inaspettata scoperta, si era pensato di riverniciare il mobile e di tentare di stuccare i numerosi buchi nel legno, se, ora, si decideva di rimuovere quel rudere, di certo si sarebbe rovinato ulteriormente, ma… lasciarlo così, non era possibile.

    Michele propose di far intervenire un suo conoscente falegname, almeno per avere un parere.

    13 verticale: FA AUTOMOBILI IN SVEZIA

    Nella soffitta poco illuminata, Michele rovistava negli scatoloni impolverati alla ricerca delle planimetrie del locale. Aveva la cattiva abitudine di non scrivere sui cartoni cosa contenessero, così ora quel lavoro risultava assai arduo e, per di più, lassù faceva freddo.

    Le ragnatele disegnavano intrichi impalpabili di fili, i piccoli ragni correvano a nascondersi negli angoli più reconditi; alcuni fruscii dietro i vecchi bauli facevano pensare alla presenza di qualche topolino.

    Decise allora di trasportare il tutto in cucina dove una stufa a legna ardeva di un fuoco allegro.

    Era certo che sarebbe stato rimbrottato dalla moglie, ma i suoi occhi non potevano leggere carte smunte e logore se non sotto la potente lampada posta a illuminare la grande tavola. Pose un bollitore sui cerchi di ghisa incandescente della stufa per farsi un tè, con gli occhiali sul naso si apprestò a spulciare i fogli incartapecoriti dal tempo.

    Quando l’acqua raggiunse lo stato di ebollizione, l’uomo sentì il fischio del recipiente metallico, senza tuttavia prestarvi attenzione.

    La prima scatola che aveva aperto era zeppa di fotografie della sua gioventù; contemplandole si perse nel pensiero di un passato ormai lontano.

    Le osservava con cura, ora sorridendo, ora con sguardo malinconico, riviveva quei momenti con trasporto, anche se la memoria restituiva ricordi annebbiati, dai contorni un po’ sfumati.

    Di lì a poco, la tavola fu ingombra di visi ammiccanti, di paesaggi campestri, di gente in bicicletta, di città d’arte in bianco e nero.

    Un sottile strato di polvere ricopriva la superficie lucida; le scatole ingrigite rivelavano segni di cedimento e spigolature rosicchiate.

    Solo quando rientrò sua moglie Virginia con la spesa, e l’espressione del suo volto non celava il disappunto per quel disordine, Michele si risolse a raccogliere il tutto e a rimetterlo nei cartoni: era chiaro che quel che cercava non si trovava là dentro.

    Ne aprì un’altra mentre la donna passava uno straccio sulla porzione di tavolo dove avrebbe servito il tè.

    Dopo una breve pausa, Michele riprese la sua ricerca con tale zelo che, alla fine, anche Virginia si lasciò coinvolgere e anche lei, come lui, fu rapita dal contenuto, come se stesse frugando in scatole magiche che custodivano frammenti di vita dimenticati.

    La preziosa pendola in radica scandiva i secondi con il suo ritmo perfetto, nel silenzio rotto solo da qualche starnuto dovuto alla polvere e da brevi commenti tra i due.

    Fuori era buio pesto ormai da ore, nessuna stella occhieggiava nel cielo, anzi una sottile pioggerella scendeva sulla città che si apprestava ad abbassare le serrande dei suoi negozi.

    23 orizzontale: CENTRO DEL PIACENTINO CON UNA EX CENTRALE NUCLEARE

    La mattina seguente, Maurizio, Greg e lo zio erano in attesa del verdetto del falegname, il quale aveva osservato a lungo la credenza con aria perplessa: secondo lui andava rimossa completamente per valutare lo stato degli ingranaggi, sicuramente arrugginiti.

    E così fu fatto.

    Cacciavite, pinza e martello torturarono il vecchio legno procurandogli ferite insanabili, schegge e trucioli giacevano inerti tutto intorno in un cimitero di segatura.

    Ora il perno si rivelava in tutta la sua nudità di metallo ossidato, un ammasso di ferro inservibile; ma i quattro uomini non vi prestarono molta attenzione in quel momento.

    Si aggiravano increduli nella stanza sul retro, considerandone il perimetro; il soffitto ricoperto di muffa maleodorante, le finestre dai vetri rotti, le ante sgangherate, l’intonaco scrostato.

    Il pavimento era nascosto sotto un fitto strato di sudiciume, non si poteva distinguere il colore delle piastrelle.

    Anche qui, appoggiato alla parete di destra, troneggiava un grande armadio di legno scuro, con uno specchio centrale che rifletteva assai poco, data la polvere che lo opacizzava.

    Sembrava un arredo da camera da letto, al suo interno vi era appesa una giacca lisa a cui mancava un bottone, altre due grucce vuote oscillavano tintinnando, quasi grate di aver ritrovato la luce dopo lunghi anni di oscurità.

    In un angolo se ne stava una sedia di paglia sfilacciata e lì accanto, sotto un telo bucherellato dalle tarme, dormiva una vecchia macchina da cucire a pedale.

    Le finestre davano su un piccolo cortile chiuso sui tre lati dagli alti muri dei palazzi circostanti; il quarto lato era delimitato da una muraglia alta quasi tre metri che aveva tre aperture tonde, riempite da grate di ferro che avrebbero permesso, a una persona molto alta, di vedere una stretta strada chiusa.

    Tralci di edere infestanti ricoprivano quasi interamente quella parete scrostata, ma qua e là si potevano notare sgradevoli strisce ramate, colate dalle inferriate arrugginite.

    Al di sotto di questa si sentiva scorrere dell’acqua, forse un fossato. Al centro del giardinetto ghiaioso un’aiuola ottagonale vomitava erbacce rinsecchite e disordinate. Nel mezzo si ergeva qualcosa di non ben definito, seminascosto alla vista dall’intrico vegetale, forse non era una semplice aiuola, ma una fontana.

    Strano però. Nessuna porta o cancello dava accesso a quel cortiletto. Sarebbe stata una buona opportunità poter sfruttare anche quel locale e il giardino per il bar, bisognava trovare a tutti i costi le planimetrie.

    Lo zio non aveva ancora terminato di passare in rassegna i documenti, che un arcobaleno di idee cominciava già a roteare nella testa dei due nuovi proprietari come un caleidoscopio di colori; le alternative erano molte.

    Tuttavia, Greg era sicuro di non voler rinunciare al mobile girevole; quello appena smontato era chiaramente da buttare, ma ne avrebbe commissionato uno su misura

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