666 Dannati archi
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Da sempre i suoi 666 archi sono testimoni di famosi miracoli. Condividono la fatica dei pellegrini nell’ultimo ripido e fiaccante tratto, quando la croce appare come un faro in lontananza. Catturano lo sguardo estasiato dei turisti dietro l’obiettivo. Gioiscono al fianco dei bolognesi che, colmi di devozione o attratti dalla scalata, sfidano sé stessi.
Ma ci sono storie che non osano raccontare. Storie dannate, figlie di credenze integraliste con radici antiche, capaci di scatenare perversioni, guerre e malvagità.
Nella settimana più importante per Bologna, quella della discesa della Madonna dal Colle della Guardia, l’ispettore Guidi dovrà azzardare le sue mosse in una complicata partita di scacchi a tre, dove la posta in gioco è ben più alta della soluzione del caso.
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Anteprima del libro
666 Dannati archi - Ilaria Montaguti
Ilaria Montaguti
666 Dannati archi
Prima Edizione Ebook 2022 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104887
Immagine di copertina su licenza
Adobestock.com
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
catalogo su
www.librisumisura.com
img1.pngIlaria Montaguti
666 DANNATI ARCHI
Romanzo
img2.pngINDICE
PROLOGO
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
L’AUTRICE
CATALOGO
A mia nonna Lucia,
che è con me quando la pagina prende forma
Ai miei genitori Marinella e Carlo,
a cui è riservata la prima copia
A Davide,
che ha letto questo per primo
PROLOGO
La sala degli interrogatori era avvolta dalla penombra. Due stretti lucernai illuminavano a malapena il tavolo solitario al centro della stanza.
L’arrestato era svaccato sulla sedia, in scocciata attesa. Lo sguardo di sfida puntato verso il vetro specchio.
Il questore Cervellati entrò da solo. Fece un cenno del capo all’avvocato, in piedi in un angolo. Poi rivolse l’attenzione allo spaccone seduto di fronte a lui. Non riuscì a distinguerne in modo netto i lineamenti ma intravide il ghigno stampato sulla sua faccia. Accese la grande lampada posta sul tavolo e lo fissò con occhi spietati. Con gesti lenti e composti estrasse dalla tasca della giacca un pacchetto di Dunhill e un accendino e, dopo essersi servito, li lanciò sulla scrivania proprio sotto il naso del tizio. Lui non si mosse.
— Tu sei Mathias Alpaca. È esatto?
Nessuna risposta.
— Bene. Mathias, in quei fogli ci sono i tuoi diritti e lui è il legale che ti è stato assegnato d’ufficio. Se sarai collaborativo, chiuderemo un occhio e qualche sudicio giorno di galera ti verrà scontato.
— Stronzate.— E sogghignò.
Il questore fece una smorfia di disgusto.
— Sei tu quello che dice stronzate qui. Ti abbiamo beccato che stavi adescando un minore per spacciargli quella merda di roba che hai. Il tampone ne ha rilevato tracce sui tuoi vestiti e c’erano trenta banconote sonanti da 100 euro nelle tue tasche. Come sono finite lì? Non mi risulta che tu abbia uno straccio di lavoro in regola. Ti conviene dirmi dove hai nascosto la merce che vendi. Anfratti, fioriere, tutti i luridi buchi che usi. E ti conviene farlo in fretta. Invecchiando ho perso la pazienza.
— Non puoi sbattermi dentro perché ho detto due parole a un amico.
— Mi prendi per il culo, eh? E tu saresti amico di quel ragazzino? Alla feccia come te non frega niente di ammazzarli. — E sbatté il pugno sul tavolo. Il volto teso di Cervellati non tratteneva più l’odio. L’avvocato sussultò ma non intervenne. Neanche quando il questore si protese sul tavolo e, dopo aver afferrato la maglia dell’arrestato, lo strattonò verso di sé costringendolo ad alzarsi.
Il volto di Mathias era così vicino al suo da poterne contare le gocce di sudore. L’espressione però era ancora sprezzante. Lo guardò con occhi da folle e scandì con voce roca:
— Diventerò il tuo peggior incubo. D’ora in poi guardati le spalle. Sono stato chiaro?
Il tizio sorrise beffardo: — Domani io sarò di nuovo libero.
Edo Guidi, dietro lo specchio spia, intuì che la situazione era sul filo del rasoio. Sperava nel consueto autocontrollo dell’uomo che aveva imparato a conoscere. Si avvicinò comunque alla porta, pronto ad agire.
Il questore scaraventò lo spacciatore sulla sedia, il quale a stento evitò di cadere all’indietro, poi estrasse la pistola dalla fondina. Tese il braccio e mirò alla testa.
Il legale, terrorizzato, si appiattì contro la parete e serrò gli occhi con forza. Mathias impietrito, sbiancò smarrendo di colpo la tracotanza.
— Guidi!
L’ispettore, precipitatosi nella sala, era a pochi passi da lui.
— Sì, signore.
— Lo faccia sparire dalla mia vista o giuro che lo ammazzo.
1
Il questore
Il commissario Pelagatti non riusciva proprio ad adattarsi a quell’ufficio così modesto. Cedere il suo al questore era stato uno sbaglio enorme, anche solo per una decina di giorni. Non solo era meno spazioso e aveva arredi poveri, poco consoni al suo status, ma la sua posizione nell’edificio era pessima sotto tutti i punti di vista. Doveva fare ben quarantadue passi in più dalla porta di entrata, il sole gli trapanava gli occhi per buona parte della mattina, non circolava l’aria neanche con le finestre spalancate e, soprattutto, si affacciava su un vicolo angusto dove non c’era niente da vedere.
Era consapevole di doversi immolare in nome della causa a lui cara, tuttavia dopo un paio di rimproveri del tutto immeritati stava iniziando a dubitare che ne arrivassero i benefici. Eppure una vocina dentro la testa continuava a ripetergli che la visita del questore doveva essere legata a qualcosa di importante. La versione ufficiale voleva far credere a un mero sopralluogo nei commissariati di competenza, ma lui, da vecchia volpe, non c’era cascato. Inoltre aveva piena fiducia che il suo superiore, nonché maestro da anni, avrebbe valorizzato il suo operato. Solo poche ore prima si era congratulato con lui per l’arresto di uno spacciatore.
Il commissario si adagiò sulla comoda e ampia poltrona da ufficio in pelle nera. Premette il pulsante nel bracciolo e si gustò il relax regalato dallo schienale reclinabile. Ho proprio fatto bene a portare con me questa meraviglia
pensò. Poi si allungò per sbirciare fuori dalla finestra. Vicolo deserto, da cui proveniva un disgustoso odore di rancido. Sbuffò contrariato e si lasciò andare.
Due decisi colpi alla porta lo fecero scattare all’insù in un istante, come un suricato. Cercò in preda al panico il dannato pulsante mentre rispondeva con titubanza: — Sì, avanti.
Lo schienale si raddrizzò un secondo prima che si aprisse la porta. Il commissario si ricompose indossando il suo sorriso plastico.
Era il questore. L’uomo richiuse la porta