Le domeniche del commissario Feroci
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Info su questo ebook
Luciana Chiesi De Fornari è nata e vive a Genova. Ha collaborato con racconti e romanzi alle principali riviste femminili; è autrice di testi teatrali e ha ottenuto vari premi. Per l’editore De Ferrari ha pubblicato: Pannolenci (1996), La stanza di Van Gogh (1999) e i racconti Copia dal vero (2004). Per Fratelli Frilli Editori Il cielo sopra il Righi (2005), Donne di un anno tranquillo (2007) e Piccoli spostamenti sentimentali (2009). Per il Nuovo Melangolo La procura Ottonello (2013) e Diana nel dedalo (2017).
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Anteprima del libro
Le domeniche del commissario Feroci - Luciana Chiesi De Fornari
La signora non c’è
La ragazza spinse il dito sul campanello di villa Lopez e arretrò di qualche passo.
Le sembrava di commettere un reato.
Fissò la porta massiccia con le rifiniture in ottone come fosse un confine invalicabile.
Era meglio non riprovarci, troppo tardi!
Forse qualcuno dall’interno l’aveva vista, già avvertiva lo scatto della serratura.
Ancora un passo indietro fino all’orlo dell’ultimo scalino, mentre nello spiraglio spuntava la faccia di una donna di mezza età dallo sguardo severo.
Chi è lei? L’ho intravista gironzolare nel giardino… come ha fatto ad entrare, il cancello è chiuso.
Mi scusi, ho trovato una porticina aperta nel muro di cinta...
farfugliò la ragazza volgendosi indietro per timore di cadere.
La donna la osservava sospettosa valutandone l’aria dimessa e il borsone a tracolla.
Chi cerca?
sillabò con sussiego.
Vorrei parlare con la signora Lopez...
rispose l’altra intimidita.
La signora non c’è...
S’era levato un vento di falsa primavera densa di nubi e di scampoli d’azzurro.
I capelli della biondina si arruffarono e la sua mano infreddolita si appoggiò alla porta socchiusa.
Le faccio perdere solo cinque minuti...
Quasi una supplica.
Cinque minuti a che scopo? La signora non c’è
confermò la donna.
Poi ebbe un ripensamento e si scostò per farla entrare.
In fondo non le spiaceva fare quattro chiacchiere.
Era da stamattina che teneva il becco chiuso.
Finiva il servizio alle sette e tornava a casa in bicicletta.
Aveva un marito e due figli sempre muti come pesci.
Nell’ampio vestibolo la luce scintillante del lampadario feriva gli occhi. Restarono impalate a guardarsi.
Di solito non faccio entrare nessuno, lei cosa vende?
Io non vendo niente...
dichiarò la ragazza adombrata.
Dicono tutte così e ti offrono nuovi contratti per le bollette telefoniche e del gas, sono tutte fregature!
Io non vendo niente...
Perché voleva parlare con la signora?
La biondina si passò una mano sulla frangia che le sfiorava le sopracciglia, alzò il mento e fece brillare gli occhi chiari e penetranti.
Ho letto tutti i romanzi di Eva Lopez e l’ammiro molto
rispose con un certo orgoglio.
E allora?
si spazientì la donna.
L’altra specificò che si era portata nella borsa Pareti di carta l’ultimo romanzo della scrittrice e sperava di farselo firmare con dedica da Eva Lopez.
Chi le ha dato questo indirizzo?
Un libraio di Genova.
La donna la guardò come a compatirla.
Si è mossa per così poco?
Nemmeno un’ora di treno, signora, da tempo sognavo di venire a Castelpoggio, ma mi mancava il coraggio... sa come sono gli scrittori, fanno soggezione.
La donna le concesse un sorriso e tese l’orecchio. Voci maschili e calpestii sul lastricato del vialetto. Si lisciò il grembiule e la ragazza si voltò incuriosita. Un giro di chiave e comparvero due uomini in tenuta da tennis. Il primo prestante e abbronzato si fermò sulla soglia mentre il compagno, un tipo insignificante saliva al piano di sopra.
Non darti tante arie, René, la prossima volta ti schiaccio
gli gridò dietro Fulvio Ricci agitando la racchetta.
La domestica gli andò incontro con palese imbarazzo. Lui notò la ragazza e s’irrigidì.
Come mai abbiamo visite, Carmen?
e spostò lo sguardo da una all’altra contrariato.
Signor Ricci, il giardiniere ha lasciato aperta la porticina; è sempre distratto...
si giustificò la donna.
La ragazza aveva le fiamme al viso.
L’uomo non le badò. Si avviò verso la porta a vetri smerigliata del soggiorno, cacciò l’asciugamano e la racchetta su una poltrona, si versò del bourbon nel bicchiere, sostando accanto al carrello dei liquori.
Qualche istante dopo tornò indietro e si rivolse alla ragazza appiattita in un angolo dell’ingresso.
Si accomodi, prego...
Lei avanzò lentamente a occhi bassi. Si trovarono a breve distanza. Il tennista la sovrastava con la sua alta figura e la faceva sentire un pulcino nella stoppa.
Come mai è venuta qui, signorina?
La domanda era scontata, ma esigeva una risposta.
La ragazza sollevò gli occhi è ripeté ciò che aveva detto alla domestica poco prima. L’uomo la soppesava con un’espressione indefinibile.
Come si chiama?
Margherita, ma tutti mi chiamano Marga.
Cosa fa, Marga, quando non legge romanzi rosa?
e aveva l’aria di prenderla in giro.
Lavoro in un supermercato di Genova e oggi avevo mezza giornata libera.
L’altro bevve un sorso pensieroso.
Anch’io avevo mezza giornata libera perciò ho giocato a tennis col mio amico che mi ha battuto, dunque ci assomigliamo nella sfortuna visto che lei non ha trovato in casa la sua scrittrice prediletta...
e la sua voce era lievemente provocatoria.
A quel punto la ragazza mormorò che rischiava di perdere il treno e si voltò per andarsene.
Quello delle cinque e venti l’ha già perso, signorina, è passato poco fa...
l’avvisò la domestica incrociandola nell’ingresso.
Prenderà il prossimo, la stazione è vicina...
intervenne rabbonito Fulvio Ricci.
Il borsone di tela grezza della ragazza lo disturbava, come un elemento insidioso.
C’era in questa mammoletta un’ombra di ambiguità.
Capitava ormai raramente di essere importunati da estranei.
Giornalisti e lettrici sapevano che Eva Lopez era rigida custode della sua privacy.
Niente presentazioni in pubblico dei suoi romanzi, niente interviste.
Né un sito sul web o un profilo su Facebook.
Nel frattempo René scendeva le scale con l’impermeabile e la cartellina di cuoio.
Sta per piovere, il cielo è di piombo
e scorgendo la ragazza Oh, scusami, sei occupato...
Si tratta di una ficcanaso
specificò Ricci.
Vuoi bere qualcosa, René?
Mi è bastata la doccia...
fece l’altro stupito dal tono scortese rivolto all’ospite.
Intanto Carmen faceva scattare il congegno che apriva il portone e il cancello.
La ragazza uscì di corsa.
L’uomo le andò dietro.
Aspetti, signorina, incomincia a piovere, le posso dare un passaggio sulla mia macchina.
Fulvio Ricci restò accigliato sulla soglia ad aspettare che la BMW si allontanasse con i due a bordo.
Dopodiché rientrò in soggiorno, prese l’asciugamano e la racchetta e salì di sopra a cambiarsi.
Notturno con sorpresa
Poco prima di mezzanotte Fulvio Ricci si staccò dal computer, non aveva fatto altro che scrivere, cancellare, rileggere e sostituire.
Incrociò le mani dietro la schiena facendo scricchiolare la sedia.
Toccava a lui supplire all’inefficienza di Eva che trascurava il lavoro giustificandosi con delle emicranie patologiche.
In passato i suoi romanzi che appartenevano alla narrativa di genere li scriveva di getto e ne traeva grande soddisfazione.
Da mesi nel suo sguardo transitava una sorta di noia malinconica, forse derivante dal presentimento che la sua vena creativa stesse esaurendosi.
Farglielo notare, sebbene cautamente, aveva suscitato la sua reazione.
Già l’abilità del suo compagno, di cui aveva sollecitato l’aiuto, aveva urtato il suo amor proprio.
Chi ti credi di essere, Fulvio? Le tue trame sintetiche e le tue battute di spirito non si adattano al mio stile, sei un giornalista e sorvoli sui sentimenti delle donne e fai apparire le mie protagoniste come dei manichini.
Ma le sue crisi di nervi duravano come un temporale estivo, Eva passava facilmente dai bronci ai sorrisi.
Durante le pause notturne Fulvio tornava col pensiero al loro primo incontro: una giornata grigia nell’ottobre 2009.
Dopo le ore frenetiche del suo lavoro al giornale, nell’ascensore in discesa aveva notato una mora dagli occhi di cerbiatta che faceva allungare il collo ai maschi presenti.
Per caso si erano ritrovati nell’unico tavolino libero del bar sottostante.
Due punch bollenti e una brillante conversazione.
Il suo cognome non mi è nuovo... Eva Lopez...
Del suo quotidiano lei trascura la pagina culturale del sabato.
Gli aveva fatto notare soavemente la giovane donna.
Veniva di rado a Genova, le piaceva la campagna e la solitudine della sua villa nel basso Piemonte.
Lui aveva commentato affabile: Dunque una vita isolata come preferivano le Brontë e la Dickinson, ma adesso i costumi sono cambiati, gli scrittori ci tengono a mettersi in mostra.
Lei era arrossita ammettendo di avere un carattere introverso. Si appagava di tradurre in parole le sue ispirazioni e di rimirare i suoi romanzi nelle vetrine dei librai.
Eva Lopez aveva una voce dolce e pastosa e un look semplice.
Sotto l’impermeabile un foulard colorato.
Trent’anni circa, quanto basta per farlo sentire vecchio con i suoi quarantuno.
Io purtroppo nel mio giornale riporto la realtà quotidiana e l’effetto spesso è inquietante.
Scambio di indulgenti sorrisi.
Guai a farsi prendere dai ricordi. Fulvio finiva sempre per pentirsi di aver perso i suoi anni migliori a inseguire un’illusione di felicità a villa Lopez.
Dopo la passione iniziale Eva si era rivelata una donna dal temperamento instabile, perfino irrazionale, quando aveva preteso che lui smettesse di fare la spola tra Genova e Castelpoggio per stabilirsi definitivamente in campagna.
Dopo un tentativo di resistenza l’aveva accontentata, limitando la sua collaborazione al giornale a qualche articolo.
E le aveva dato tutto il suo tempo e l’amore di cui era capace.
Ma ciò non era bastato per mitigare il suo malcontento, finché si era messa in testa di cambiare aria per dare ossigeno al suo blocco creativo.
Ormai per Eva era diventata un’abitudine di prendersi brevi vacanze nei luoghi dove era stata da adolescente insieme a suo padre.
Perché non vai in compagnia di un’amica?
Figurati, mi basta niente per distrarmi, le idee mi vengono dai silenzi di nuovi ambienti, ma già come puoi capirmi... tu lavoravi in uno stanzone del tuo giornale tra colleghi vocianti e telefoni che squillavano.
Si portava dietro il suo PC portatile per mostrargli la buona volontà di impegnarsi. E tornava di solito con l’espressione di una bambina che ha preso un brutto voto a scuola.
E non mancava mai di polemizzare su quello che aveva scritto lui in vece sua.
Fulvio soffriva delle sue assenze senza protestare.
Quasi