Affresco d'epoca
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Info su questo ebook
Personaggi della vita quotidiana sono dipinti in questo “affresco d’epoca”, dove i grandi eventi storici rimangono tragici e sfocati fantasmi nella vita della gente comune, alle prese con difficoltà di ogni genere. Questi sono i veri eroi senza nome e senza volto di quell’epoca turbolenta.
Genova è il palcoscenico di questo libro, insieme ad uno dei quartieri più caratteristici della città.
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Anteprima del libro
Affresco d'epoca - Rita Parodi Pizzorno
Prefazione
L’autrice di questo libro, ricorrendo e intrecciando le immagini e i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, come in un gioco di ombre cinesi, compie un viaggio metaforico a ritroso nel tempo nel proprio vissuto familiare ed esplora l’inconscio, nel tentativo di dare un volto alle ansie e ai fantasmi che mettono in forse la sua identità.
Nel viaggio dentro se stessa, rivive e rivede i luoghi e gli ambienti della città che hanno contribuito a plasmare, in positivo e in negativo, il suo modo di essere e hanno lasciato una impronta indelebile nel suo io. Così un quartiere di Genova, Borgo Incrociati, in capo al ponte di Sant’Agata, dove dalla città usciva la via romana
di levante, diventa lo sfondo su cui si muovono le ombre evocate, le quali non risaltano quasi mai come figure a tutto tondo, ma restano evanescenti, come evanescenti sono, così collocati nella memoria, i ricordi e le situazioni esistenziali degli anni dell’infanzia.
Tu, bambina, ritorni dal passato più viva che mai, per riportarmi indietro e riassaporare le amare rinunce, le deludenti sconfitte, gli errori mai cancellati. Perché ritorni? Che cosa vuoi da me? (…) Che cosa può importare il passato? Che cosa posso cambiare? Perché mi tormenti e assapori il mio tormento?
Sono questi e altri gli interrogativi martellanti e ricorrenti del libro.
Le storie di vita di cui il volume si compone, solo apparentemente slegate una dall’altra, sono in realtà un puzzle che l’autrice tenta dolorosamente di comporre, richiamando le singole tessere alla memoria e consegnandole alla pagina scritta, nel tentativo di liberarsi dai fantasmi del passato e dalle sue angosce.
C’è un altro passo in cui il dissidio interiore e gli interrogativi esistenziali emergono con prepotenza, ed è quando la bimba che la donna è stata si trova in mezzo a due specchi posti uno di fronte all’altro. L’immagine si frantuma e si disperde in mille sfaccettature riflesse all’infinito, ma una diversa dall’altra, senza che sia possibile stabilire quale sia la vera identità.
Anche il paesaggio che fa da sfondo si scompone in particolari. Così a identificare il Borgo
compaiono, come tessere di un mosaico, i dettagli di cui si compone la stretta via che attraversa il quartiere, animata da osterie e botteghe antiquarie, chiusa tra il torrente e la collina, con i resti malinconici del palazzotto nobiliare, il voltino sotto cui la lumassea cuoce e mette in vendita le lumache, mentre a lato scorre il Bisagno, con le sue bizzarrie e le piene devastanti e una voce annuncia gli arrivi e le partenze nella vicina stazione ferroviaria, principio e fine dei sogni dell’infanzia.
E dettagliando ancora dall’universale al particolare durante il percorso del suo viaggio immaginario, l’autrice lascia che si materializzino sulla scena gli oggetti di uso comune nella casa paterna, anch’essi immagini perse nella nebbia del tempo, l’orologio a pendolo, la sveglia che il padre smonta un pezzo dopo l’altro nell’inutile tentativo di ripararla, il pierrot di porcellana, i ritratti spocchiosi dei due antenati nella casa nobile della valle dell’Orba, gli abiti di quand’era piccola, anch’essi chiamati a imbastire storie e a spiegare il dissidio interiore dell’autrice.
Accanto alle cose ci sono ovviamente i membri della famiglia e le figure che di striscio o in forma più stabile sono entrate a farne parte e hanno giocato un ruolo non da poco. Sono personaggi ora teneri (il nonno, il padre), ora dominanti e determinati (la mamma, la nonna), ora venuti da fuori e aggregati alla casa, tanto da esserne parte integrante (la donna che cuce).
I quadri che via via emergono dallo sfondo della vicenda, sono talvolta vivi e felicemente rappresentati, come quando viene descritto lo sferruzzare della mamma e della zia, fino a tarda notte per pochi soldi e con ore rubate al sonno: Desideravo rimanere con loro ad osservare le bacchettine danzare nell’aria, zigzagando briose, pennellando di cerchi vorticosi e giravolte, squittendo vivaci. Da quella danza nasceva la maglia come una magia, mille colori e punti diversi in una fantasia d’inverno, con un filo interminabile di Arianna, che conduceva a un labirinto di lana, per catturare un’idea, una creazione da sentirsi morbida e calda sulle membra infreddolite
. Insomma un mosaico di situazioni, figure, ambienti e cose, con tante storie i cui linguaggi si intrecciano fino a diventare un percorso che ha come meta la volontà di comprendere segni, decodificare frustrazioni e ambiguità sepolte.
Giovanni Meriana
Introduzione dell’Autore
La mia città è un anfiteatro dove il palcoscenico è il mare,
protagonista da sempre della nostra vita e della nostra storia,
orizzonte senza confini per ognuno di noi.
Immagino, in questo libro di racconti, una signora ormai in età avanzata che racconta il suo passato, l’infanzia e i protagonisti del suo mondo di allora, un libro di memorie.
Ho imparato a conoscere i personaggi ad uno ad uno, nei pregi e nei difetti, ognuno di loro è stato oggetto di una maniacale opera di limatura
.
Ogni racconto è breve e concluso, come mia abitudine, spero che l’insieme sia un affresco sufficientemente efficace della Genova al tempo della Seconda Guerra Mondiale e dell’immediato dopoguerra.
Le vicende descritte sono per me simbolo di un’epoca, in un periodo storico di capovolgimenti politici importanti.
Non mi è stato difficile descrivere la mia città, con le consuetudini di cui ho spesso sentito raccontare. Continui particolari mi ritornavano alla memoria: notizie e cognizioni provenienti da fonti diverse.
Scrivo di abitudini e rapporti umani ormai superati dai tempi di oggi, dal progresso che ha trasformato la nostra società e non sempre nel modo giusto.
I nostri nonni avevano una maniera semplice di vivere, una fede incrollabile nei valori ereditati, un sacrificio di sé limpido, senza ripensamenti, senza rimpianti, così lontano dalla nostra natura di eterni insoddisfatti, sempre alla ricerca di un qualcosa che non sappiamo, di cui non conosciamo la natura e che ci consuma, ci frustra, ci rende infelici. I nostri nonni non sono riusciti a trasmetterci il seme della loro serenità. Siamo incapaci di accettarci per quello che siamo e per quello che abbiamo.
Un volto di donna
a stento esce dall’ombra
dietro il vetro spento,
lo sguardo sulla strada…
ci osserva dal suo tempo,
l’ansia dipinge di grigio
il suo timido messaggio
silenzioso e
la malinconia si posa
velo bianco
sul suo volto d’ombra…
viene dal passato,
da un giorno lontano…
...E venne la sera
Fuori il vento soffia rumoroso, sfarfuglia i rampicanti sul poggiolo, creando in simbiosi col sole ombre vive sui vetri, disegni fantastici, incorporei; poi d’improvviso tace, s’acquieta solo per un poco.
Il sole del pomeriggio illumina di rimbalzo il salotto. Lo sguardo sfiora ogni oggetto in una ricerca inquieta… Il silenzio della casa deserta diventa ossessivo, mi avvolge, tento di sfuggire.
Una foto sbiadita in cornice mi rammenta un giorno felice, i giardini risalenti la collina, le piante rare, il sole… la gioventù. Era una gita in macchina sulla Costa Azzurra, coi fratelli e il mio ragazzo, oggi mio marito. I volti si staccano, risorgono dall’ombra, fantasmi