Cannabis. Il futuro è verde canapa
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Anteprima del libro
Cannabis. Il futuro è verde canapa - Mario Catania
Prefazione
a cura di Raphael Mechoulam
Professore presso la Hebrew University
di Gerusalemme
La storia della cannabis: una visione personale
La storia della ricerca e dell’uso della cannabis è strana, molto strana. Abbiamo dati archeologici del suo utilizzo diverse migliaia di anni fa in Cina e in seguito in India e Medio Oriente. Raggiunse l’Europa molto più tardi. La regina Vittoria usò la cannabis indiana per la sua emicrania nel XIX secolo. Ma, sebbene non fosse un importante farmaco terapeutico, era ben nota nei circoli letterari europei, in particolare francesi, dove veniva usato per la sua psicoattività. Ad ogni modo la conoscenza della sua chimica, farmacologia ed effetti clinici è rimasta piuttosto scarsa.
Mentre la morfina era stata isolata dall’oppio all’inizio del diciannovesimo secolo e la cocaina venne isolata dalla pianta di coca alcuni decenni dopo, le conoscenze scientifiche moderne sulla cannabis erano limitate, nella migliore delle ipotesi.
Negli anni ’30 e nei primi anni ’40 Roger Adams negli Stati Uniti e Alex Todd nel Regno Unito fecero un lavoro eccezionale in questo campo. Tuttavia i componenti attivi non erano stati isolati in forma pura e la ricerca sulla cannabis fu quasi totalmente trascurata, probabilmente a causa di ostacoli legali.
Quando abbiamo iniziato la nostra ricerca nei primi anni ’60, solo pochi gruppi stavano lavorando sul campo. Il nostro primo obiettivo era ripetere gli isolati originali e farli progredire, con lo scopo di identificare il componente psicoattivo. Il dottor Yehiel Gaoni, che aveva appena completato il suo dottorato di ricerca a Parigi, e io (con un nuovo dottorato di ricerca presso l’Istituto Weizmann in Israele) abbiamo unito le forze.
Il nostro primo compito fu quello di isolare nuovamente il cannabidiolo (CBD) e chiarirne la struttura. L’abbiamo fatto nel 1963, con una pubblicazione scientifica. Un anno dopo abbiamo isolato il tetraidrocannabinolo (THC) e, ancora una volta, ne abbiamo chiarito la struttura. Ma non c’era interesse per la nostra ricerca. Quando abbiamo chiesto una sovvenzione in America, ci è stato detto che dovevamo trovare un «argomento più pertinente per la vita degli Stati Uniti». Successivamente il National Institute of Health ha cambiato idea e ha supportato la mia ricerca per quasi quarantacinque anni.
Nel decennio successivo, ora all’Università ebraica di Gerusalemme, il mio gruppo ha identificato molti composti aggiuntivi e li ha sintetizzati. Insieme a colleghi in Israele e all’estero, abbiamo avviato indagini biologiche e cliniche. Ancora una volta, purtroppo, l’interesse era minimo. Pertanto, quando con i colleghi brasiliani abbiamo dimostrato che il CBD era un potente farmaco antiepilettico nei pazienti, nessun lavoro clinico su questo argomento è stato svolto altrove per decenni. Tuttavia negli Stati Uniti, circa un decennio fa, genitori e pazienti hanno appreso che il CBD può aiutare i loro bambini epilettici e hanno iniziato a usare cannabis con alti livelli di CBD. Alla fine fu approvato un ampio studio clinico. Ha dimostrato che il CBD è davvero un buon agente antiepilettico nei bambini. C’era bisogno di aspettare trent’anni? Migliaia di bambini avrebbero potuto essere aiutati prima.
Negli anni ’80 un recettore dei cannabinoidi fu identificato nel laboratorio del dottor A. Howlett negli Stati Uniti. Fino ad allora si ipotizzava generalmente che il THC agisse attraverso un meccanismo non specifico. Poiché i recettori negli animali non esistono solo per i prodotti vegetali, abbiamo ipotizzato la presenza di un componente endogeno e dopo diversi anni di lavoro abbiamo isolato un componente di questo tipo, che abbiamo chiamato anandamide. La sua struttura chimica differisce totalmente da quella del THC e tuttavia il THC imita la sua attività. Alcuni anni dopo abbiamo identificato un secondo composto endogeno, oggi noto come 2-AG. Questi composti fanno parte di un importante sistema endogeno, che comprende anche due recettori dei cannabinoidi e gli enzimi coinvolti nella sintesi e nella degradazione degli endocannabinoidi (composti simili ai cannabinoidi prodotti naturalmente dal corpo umano e dai mammiferi, ndr). Da questa scoperta è scaturita una valanga di ricerche effettuate in molti Paesi e oggi la scienza considera che il sistema endocannabinoide sia coinvolto in un gran numero di stati patologici, principalmente come entità protettiva.
Nell’ultimo decennio è stato svolto un considerevole lavoro sui composti come l’anandamide prodotti dall’uomo e dai mammiferi. Quindi abbiamo visto che l’oleoil serina (un altro cannabinoide endogeno, ndr) ha attività anti-osteoporotica e l’oleoil glicina (anch’esso un cannabionide prodotto naturalmente dai mammiferi, ndr) blocca la dipendenza dalla nicotina e influenza gli effetti di astinenza osservati quando i topi dipendenti dalla nicotina o dagli oppioidi non assumono i loro farmaci.
Cosa possiamo aspettarci in futuro? Molto probabilmente i cannabinoidi naturali, i derivati sintetici e i composti simili all’anandamide saranno sviluppati come farmaci moderni, cioè saranno sottoposti a approfondite ricerche farmacologiche, tossicologia dettagliata e studi clinici, e raggiungeranno così il mercato terapeutico. Tuttavia, tenuto conto dell’ampio uso di cannabis e di estratti di cannabis, è probabile che avremo ancora un mercato parallelo dei prodotti naturali.
Raphael Mechoulam
(5 novembre 1930), con più di 400 pubblicazioni all’attivo sulla cannabis – che studia da 60 anni – è considerato a livello internazionale il padre della ricerca su cannabis e cannabinoidi. È lo scienziato che ha identificato la struttura del CBD, il primo ad aver isolato il THC e scoperto e studiato a lungo il sistema endocannabinoide, aprendo la strada alla moderna ricerca scientifica su questa pianta. Ancora oggi si dedica alla ricerca presso la Hebrew University di Gerusalemme.
Canapa Manifesto
Loro cancellano ma noi riscriviamo da capo…
(Colle der Fomento)
La pianta di canapa è un invito vivente alla resistenza. È un seme che spunta dalla terra puntando il cielo e urlando a tutti, nel silenzio complice della natura, che il futuro può essere diverso dal presente che conosciamo, grazie a una nuova economia sostenibile per l’uomo e per l’ambiente. Nonostante l’abbiamo svilita, messa fuori legge e bistrattata come non è mai successo a nessun altro vegetale nella storia dell’umanità, continua a fornirci cibo nutriente, biomattoni e vestiti per ripararci, corde e vele per navigare sicuri nelle tempeste della vita, plastica e carburanti che non inquinano, carta di qualità per mantenere la memoria del mondo e dipingerlo come più ci aggrada, medicina per decine di malanni e patologie, oltre a un fiore che connette con il divino culture millenarie.
La canapa oggi, in questi tempi difficili, è il massimo esempio di cosa sia la resilienza. Lei che si è adattata per crescere a ogni latitudine con poca acqua e poche cure, ha passato indenne ottant’anni di becero proibizionismo che ha provato a cancellarla dai nostri campi, e una rivoluzione industriale che ha cercato di sostituirla con i derivati del petrolio, con il cemento, le merendine ipercaloriche e i farmaci di sintesi, con il risultato che è tornata più forte di prima.
La canapa è democratica, coltivata e custodita da chi lo vuole fare per provvedere ai bisogni di tutti.
La canapa è anarchica nel senso più nobile del termine, quello di darsi delle regole prima che siano altri a farlo per noi: le sue sono quelle della natura e della generosità, del concedersi senza chiedere nulla in cambio.
La canapa è cultura semplice e nobile, slanciata e baciata dal sole quanto profondamente radicata nel buio fitto della terra e nel cuore degli uomini che ne custodiscono il valore.
La canapa è una pianta sacra da migliaia di anni e per persone che la utilizzano per connettersi con il divino, per lasciarsi ispirare e per trovare sollievo dal dolore e dalla sofferenza.
La canapa è l’esemplificazione della green economy perché si sposa perfettamente con i principi dell’economia circolare ed è un’ottima base di partenza per ripesare gli attuali consumi e la produzione energetica; è un’alleata da tenere ben presente nelle sfide future dell’umanità nel contrastare i cambiamenti climatici e nel dar vita a una nuova rivoluzione verde, sostenibile e attenta all’ambiente.
La canapa è storia e tradizione. È nei racconti degli anziani che spiegano sottovoce come conciassero le cime nei granai, per fumarle insieme a tutto il villaggio nel giorno della raccolta; nelle imprecazioni urlate o pronunciate in un sibilo di fatica di chi stava chino nei campi a raccoglierla, o nei maceri, insieme a insetti e sanguisughe, per lavorarla prima di poterla tessere. È nelle vele delle navi che hanno solcato mari e oceani resistendo ai canti delle sirene e nel prototipo di una Ford del 1941. È nelle prime paia di jeans così come nei vestiti tradizionali giapponesi, nelle salubri case moderne a impatto e bolletta zero, nei trattati di medicina cinese del 2000 a.C. e nelle bioplastiche realizzate con la moderna stampa 3D.
La canapa è futuro, finalmente sostenibile, per un’industria più a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente che ci ospita.
L’unico vero pericolo
che la canapa rappresenta, è quello di essere alla portata di tutti: una risorsa rinnovabile e inesauribile che non si può controllare a tavolino, che è folle proibire e impossibile sotterrare, senza vederla spuntare di nuovo per poter finalmente dire: «Sono tornata».
Il suo più grande nemico è l’ignoranza e il modo migliore per sconfiggerla è quello di raccontarne i benefici a più persone possibili.
Shhh… Ascolta!
Le piante parlano. Sono esseri intelligenti che comunicano tra di loro, tramite impulsi che noi nemmeno riusciamo a percepire. Le consideriamo esseri inferiori, che possiamo usare a nostro piacimento quando ci servono, e dimenticarcene arrivando a dipingerle per quello che non sono, quando crediamo di poterne fare a meno.
Invece la canapa ha manifestato la sua superiorità dando l’esempio che solo un illuminato, tra noi umani, avrebbe saputo dare. Ha resistito paziente, lasciandoci fare. Come un santone farebbe con la zanzara che lo infastidisce, mentre le persone comuni diventerebbero isteriche nel vano tentativo di scacciarla. Ha aspettato che l’odio si placasse, che la diffidenza si trasformasse in curiosità, per poi tornare a donarsi come ha fatto per millenni, migliorandoci la vita.
Le piante parlano, e io in questi anni ho cercato di ascoltare la canapa. Interrogandola, utilizzandola in mille modi, studiandola a fondo e parlando con chi la conosce bene, nei suoi diversi aspetti e nelle sue infinite sfaccettature, che noi in modo gretto riduciamo a prodotti, mercati, soldi e utilizzi che possono farci comodo. Ho cercato di sentirla arrivando in profondità, senza fermarmi alla superficie, ma scavando sotto la terra, sotto le radici, fin dentro il nucleo, per cercare di capirla il più possibile.
La canapa è nata probabilmente 28 milioni di anni fa¹ e quasi sicuramente ci sopravvivrà, ecco perché forse è giunta l’ora di guardare a quello che lei, come altre piante, ci può insegnare come essere vivente, piuttosto che considerarla solo come fonte di prodotti.
Le piante parlano, e quello che ho scritto è ciò che immagino la canapa avrebbe voluto raccontare di sé, se ne avesse avuto la possibilità.
Lasciamoci salvare dalla canapa
Se avessimo scelto di considerare la canapa come la risorsa incredibile che rappresenta, invece che come una minaccia, oggi vivremmo in un mondo non per forza migliore, ma sicuramente meno problematico. Se l’avessimo utilizzata per creare biocarburanti e bioplastiche al posto dei derivati del petrolio, in edilizia al posto del cemento, nell’industria cartaria al posto della cellulosa derivata dagli alberi e nel tessile al posto di nylon e cotone, la storia recente dell’umanità sarebbe diversa da come la conosciamo. Così come la situazione del nostro pianeta, vessato dalla plastica tradizionale quanto dai livelli di CO2, e privato dei propri polmoni anche per produrre carta.
Studiando questa pianta in modo approfondito, si può scoprire come sia un unicum in natura, per come è capace di legarsi all’uomo, sia dal punto di vista dei suoi principi attivi, che dei prodotti che se possono ricavare. Una pianta che pare essere stata messa lì apposta per curarci, sfamarci, vestirci e in generale farci stare meglio, e che, per una serie di motivi, oggi viene percepita come dannosa, oscura e maligna da ancora troppe persone, o una sostanza su cui fare battute nei casi rimanenti, alludendo in modo goffo a Bob Marley e sghignazzando su chi si fa le canne.
In realtà è una pianta sacra per l’uso che ne fanno ancora oggi milioni di persone, una medicina con una storia millenaria le cui proprietà continuano a essere confermate con migliaia di studi scientifici, e la risorsa più utile che esista sulla faccia della terra per provvedere a mille bisogni umani in modo ecologico e sostenibile, sposandosi perfettamente con i principi della green economy.
È ora di cambiare il modo in cui industria e agricoltura interagiscono. La canapa è rinnovabile, biodegradabile e vantaggiosa per l’ambiente. Con la rinascita di un’industria basata su questa pianta avremmo l’opportunità di tornare a sviluppare dei circuiti economici virtuosi, nei quali l’uomo può trarre il profitto necessario rispettando l’ambiente in cui si trova a vivere.
Le prime volte che cercavo di spiegare come la canapa potrebbe sostituire completamente i prodotti derivati da petrolio e limitare enormemente l’utilizzo di energie fossili, qualcuno mi guardava con l’accondiscendenza silenziosa che si accorda ai pazzi. In effetti avevo torto: la canapa può fare molto di più. Può guidarci con naturalezza (letteralmente) dritti dritti verso una nuova rivoluzione industriale: sostenibile, circolare e più a misura d’uomo.
Un futuro diverso è possibile e dipende da ciascuno di noi: lasciamoci salvare dalla canapa.
L’infinito in un atomo
Il THC, il principio attivo più demonizzato nella storia nonostante le sue innumerevoli doti terapeutiche, e il CBD, quello al centro della ricerca scientifica odierna che invece non ha effetti psicotropi, sono nati grazie all’azione di un virus.² Ciò significa che i principali cannabinoidi oggi utilizzati e studiati in medicina, di cui più avanti parleremo approfonditamente, non esisterebbero se non ci fosse stato questo virus che ha causato una mutazione genetica che poi si è rivelata benefica e si è stabilizzata.
Nella grande storia dell’universo, la storia dell’umanità non dura che un battito di ciglia, e, anche se il paragone non ci fa onore, l’essere considerati dei virus per il nostro pianeta sicuramente rende bene l’idea di cosa stia accadendo oggi. La scelta che abbiamo davanti, in questo momento storico in cui il singolo incide sempre di più sui processi macroeconomici e le nostre attività hanno un impatto sempre più rilevante, è quella di fare in modo che la mutazione che stiamo apportando al pianeta torni a essere benefica; l’alternativa è quella di essere eliminati come esseri indesiderati. La canapa sicuramente può essere una valida alleata in questa conversione laica nel segno della sostenibilità ambientale. D’altronde la stessa lotta tra bene e male, rappresentata con una metafora straordinaria ne La spada nella roccia con la battaglia tra Mago Merlino e Maga Magò, è stata vinta grazie a un virus utilizzato con intelligenza, proprio quando tutto sembrava perduto. Se è vero, come recita il titolo di un ottimistico documentario di Yann Arthus-Bertrand, che È troppo tardi per essere pessimisti, è anche troppo tardi per continuare a non far caso alle potenzialità che la canapa può avere nel migliorarci la vita, a livello di singolo, di comunità e umanità intera.
Una caratteristica che lega indissolubilmente l’uomo e la canapa è il fatto che questa agisca sia nel mondo esteriore, con l’infinità di prodotti che ne derivano, ma anche su quello interiore, grazie a principi attivi che si legano in modo unico al corpo umano. Tutti i mammiferi posseggono infatti quello che viene chiamato sistema endocannabinoide, che sta assumendo sempre più importanza nella ricerca medica (vedi capitolo Il sistema endocannabinoide). Presiede a decine di funzioni fondamentali per la nostra vita, che vanno dalla gestione dell’umore a quella del peso passando per quella del dolore, che, oltre a esemplificare il motivo per cui la canapa può essere utile in decine di patologie, rendono chiaro questo legame. Il nostro corpo produce infatti dei composti, chiamati endocannabinoidi, che sono molto simili ai cannabinoidi prodotti dalla cannabis stessa, ecco spiegato il motivo di questa relazione che nemmeno un proibizionismo sfrenato è riuscito a spezzare.
In questo libro parlerò di cannabis a uso ricreativo e medico e di canapa industriale. Ma la pianta è sempre la stessa, che l’uomo ha selezionato secondo i propri bisogni e distinto in diversi ambiti criminalizzando un principio attivo, il THC, dalle molteplici doti terapeutiche. Oggi in Europa abbiamo oltre 60 varietà di canapa certificate a livello industriale, che possono essere utilizzate per gli usi previsti dalle leggi comunitarie e dei singoli stati. Mentre dall’altro lato la cannabis a uso medico si caratterizza per la produzione in GMP (Good Manifacturing Practices), dal campo all’infiorescenza, per garantire la massima sicurezza del prodotto e l’assenza di contaminanti, muffe e batteri.
La cannabis è inoltre stata classificata in Cannabis Sativa, Cannabis Indica e Ruderalis. La prima è più slanciata e ha foglie più sottili, la seconda è più tozza e cespugliosa, la terza si è sviluppata in climi freddi con dimensioni inferiori alle altre due e tempi di crescita e fioritura più rapidi. Oggi non esistono più varietà al 100% sativa o indica, perché l’ibridazione ha portato alla commistione e ci sono quindi varietà a predominanza di un carattere o dell’altro. Non solo, perché se in genere le varietà a predominanza sativa sono state selezionate per gli utilizzi agro-industriali, ci sono varietà a predominanza sativa che ad esempio vengono utilizzate a scopo medico o ludico.
Quando tra qualche secolo, se l’umanità ci arriverà, gli alunni del futuro studieranno il proibizionismo a scuola, credo che faranno davvero fatica a comprendere come si fosse deliberatamente scelto di sostituire i prodotti che si potevano realizzare con la canapa con altri più difficili da realizzare, più inquinanti e dalla disponibilità limitata, accumulando quantità spaventose di rifiuti che non sappiamo come smaltire e scaricando sulle generazioni future il peso di riparare a nostri errori. Ma così è andata. Fino ad oggi. Il cambiamento inizia da ciascuno di noi partendo da una semplice certezza: la canapa sta tornando a fare capolino nella quotidianità di milioni di persone, di aziende e ricerche scientifiche. La canapa è tornata, questa volta per restare.
1 McPartland, J.M., Hegman, W. & Long, T. Veget, «Hist Archaeobot», 2019.
2 Laverty K.U., Stout J.M., Sullivan M.J., Shah H., Gill N., Holbrook L., Deikus G., Sebra R., Hughes T.R., Page J.E., A physical and genetic map of Cannabis sativa identifies extensive rearrangements at the THC/CBD acid synthase loci, Genome research 2019, 29:146–156.
Parte 1
Legalizzazione e cannabusiness
"La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario."
(A. Einstein)
Benvenuti nella Humboldt County
Zic, zac, zic, zac
. Le forbicine sferruzzano senza sosta per pulire le cime di cannabis che sono state accuratamente tagliate e seccate. Per 14/16 ore al giorno si lavora con poche pause perché l’equazione che dice che il tempo equivale al denaro, qui, negli Stati Uniti, è più vera che mai, visto che si viene pagati in base al quantitativo di cannabis pulita, setacciata per eliminare gli eventuali residui, pesata e consegnata. Ogni infiorescenza – bud in americano – deve essere priva delle foglioline che la proteggevano per essere più invitante per il consumatore finale. È la vita dei trimmer (dall’inglese to trim, tagliare, spuntare), gli stagionali della cannabis che vengono a lavorare in questa nuova industria nel Paese che ha creato il proibizionismo nei confronti di questa pianta a partire dagli anni ’30 del secolo scorso e che ora è in prima linea per trasformare in business una demonizzazione senza senso.
La loro patria è la Humboldt County, la regione nord-californiana delle sequoie giganti che insieme a Mendocino e a Trinity County costituisce l’Emerald Triangle, la zona dove si coltiva il 70% della cannabis prodotta in California e che ha il più alto numero di coltivatori di cannabis pro-capite al mondo.
Io ci sono arrivato con un pullman Greyhound abbastanza scassato dopo aver passato tre giorni a San Francisco. I sedili consumati erano in finta pelle con le molle che cigolavano ma davano ancora una lontana sensazione di gentilezza sotto le natiche, perché comodità sarebbe esagerato. Intorno a me un campionario di vari tipi di persone, dai disperati ai sognatori, passando per delinquenti, fancazzisti, studenti e di tutto un po’, perché il lavoro a cottimo pagato relativamente bene unito al fiore più magico che c’è, sono un binomio che attira ogni genere di genio e stravaganza.
Fino a un mese prima non avrei mai immaginato che di lì a poco sarei stato in California immerso nella gangja più buona del mondo, a sferruzzare cime per poter avere i soldi per girare la costa una volta ripartito. Ma tant’è. La decisione di partire è stata improvvisa e per fortuna, scrivendo da tempo di cannabis e dintorni, avevo un paio di contatti utili per poter avere un aggancio una volta arrivato e per poter lavorare sia come giornalista scrivendo qualche articolo, ma anche come trimmer per tirar su qualche soldino e scendere lungo la costa fino a San Diego.
La città dove ci eravamo dati appuntamento era Eureka, un paese sulla costa nord-occidentale della California, che da giugno a novembre è presa d’assalto dai cosiddetti trimmigrants, persone che arrivano da tutto il mondo e che bivaccano in modo spesso molesto per le città della zona, in attesa di trovare qualcuno che offra loro l’opportunità di lavorare per un po’ nello stupefacente mercato della